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ESERCITAZIONE - Giovanni Pascoli - Spiega il significato del mito del fanciullino.

letteratura italiana



ESERCITAZIONE - Giovanni Pascoli

Spiega il significato del mito del fanciullino.


Pubblicata nel 1897 sulla rivista fiorentina "Il Marzocco", la prosa intitolata "Il fanciullino" è il più importante ed esplicito discorso programmatico di Pascoli sul poeta e sulla poesia, e contiene dunque la sua personale poetica. Il poeta, ne "Il fanciullino", afferma l'esistenza in ogni uomo di due fanciulli: uno destinato a crescere e divenire ragazzo, giovane, adulto, l'altro destinato a rimanere sempre piccolo, innocente ed 252g68c ingenuo. In principio i due fanciulli si identificano, ma poi, via via che il primo cresce e si afferma, il secondo tace, si nasconde. Solo nel poeta il fanciullino continua a vivere e a parlare. Il poeta è il fanciullino e la poesia è il vedere, il sentire, il parlare di lui. Il fanciullino, dunque, è la parte infantile dell'uomo da cui scaturisce la poesia (l'aggettivo infantile non è inteso come in senso letterale, ma allegorico: come metafora della natura intuitiva e originale della poesia). Il poeta fanciullino, infatti, è colui che sa guardare il mondo con meraviglia, come se lo vedesse sempre per la prima volta, colui che si stupisce e si emoziona continuamente e sa mettersi in contatto con l'anima delle cose; come un piccolo Adamo dà il nome agli oggetti della natura, ne capisce e ne sa parlare la lingua segreta. Ascoltando il fanciullino che è in lui, il poeta è capace di dire ciò che gli uomini provano, ma non sanno esprimere. L'idea di Pascoli è, dunque, quella che per essere veramente poeti occorre recuperare quella condizione di animo che è tipica dei fanciulli. Essa è contraddistinta da verginità spirituale, fatta da assenza di malizia, estrema semplicità, capacità di meraviglia di fronte ad ogni scoperta relativa al mondo che ci circonda. Il fanciullino, per dirla con le parole del poeta stesso, è quello che "ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere [.] che piange e ride senza perché di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione [.]". L'uomo che voglia essere poeta deve, quindi, saper recuperare la dimensione interiore del fanciullo, perché quando noi cresciamo "egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena meraviglia".




Spiega che cosa intende Pascoli per sublime dal basso, per simbolismo e per negazione dell'eros, dopo la lettura de "Il gelsomino notturno".


La poesia "Gelsomino notturno" è stata composta da G. Pascoli, dopo lunga gestazione e tormentata vicenda di varianti, per le nozze dell'amico Raffaele Briganti e vi è raffigurato il tema dell'unione dei due sposi e del conseguente germogliare di una nuova vita. I temi di questa poesia ruotano attorno a tre nuclei fondamentali: sessualità, morte, esclusione. Il primo è il più largamente presente: è fondamentale l'immagine del fiore che apre il calice spargendo il profumo di fragole, trasportato dal vento nella notte e che si chiude infine all'alba. All'incontro sessuale dei due sposi alludono anche il bisbigliare nella casa e la luce che sale al primo piano e si spegne. C'è da sottolineare, però, che non esiste in Pascoli un filone di poesia amorosa, né si parla mai esplicitamente di amore. Il tema vi compare in forma indiretta e allusiva, subordinato, come già detto, ad altri temi fondamentali come quelli del "nido" e dei morti. L'esperienza erotica non è mai vissuta in prima persona, ma è delegata ad altri o contemplata a distanza e rappresentata in modo ambiguo e indefinito, con un senso di inquietudine e mistero. Si parla di "negazione dell'eros" perché la donna e l'amore sono un fantasma rimosso. La dimostra anche l'oscillazione, presente nella lirica pascoliana, tra i due poli opposti della sublimazione della figura familiare e della visione turbata e morbosa del rapporto erotico. L'emozione fisico-sessuale dell'amore è rimossa e attribuita ad un fiore. In questa poesia il rapporto tra il padrone-marito e la donna-terra è un rapporto di possesso, che evoca il motivo sadomasochistico della violenza subita e amata. C'è da dire, però, che affiorano in superficie anche temi che richiamano il mondo della natura: fiori, farfalle, uccelli, fragole, erba, ape, stelle, vento. Il simbolismo pascoliano vuole indicare la strada della rivelazione di una verità segreta la cui chiave di accesso nascosta appartiene solo al poeta. Il senso del mistero si esprime attraverso una catena di analogie simboliche, che puntano tutto sulla valorizzazione del particolare. Coerentemente con la poetica del simbolismo, la realtà umana viene raffigurata per mezzo di simboli naturali, ovvero vi è una tendenza a  "naturalizzare l'uomo". Inoltre, vi è anche una antropomorfizzazione degli elementi naturali (l'ape, per esempio, patisce l'esclusione in maniera umana). Avviene così, un parallelismo tra l'uomo e la natura; vi è anche uno scambio tra temi umani e temi naturali. Concludo affermando che la lingua nei Canti (la poesia "Il gelsomino notturno" appartiene alla raccolta Canti di Castelvecchio), è lo strumento privilegiato per realizzare una forma innovativa di "sublime", raggiungibile dal basso (attraverso le voci popolari e tecniche) e dall'alto (riccorrendo ai termini aulici della tradizione lirica e letteraria). Pascoli ama, però, cercare il sublime dal "basso": il suo un registro linguistico semplice, spesso nelle sue poesie si incontrano ripetizioni, onomatopee. L'intento del poeta quello di cogliere l'essenza delle "piccole cose" che ci offre la vita quotidiana.


Ricostruisci il tema del nido dopo la lettura del X Agosto.



Tratta dalla raccolta Myricae la poesia "X Agosto" è dedicata alla morte del padre, assassinato in condizioni misteriose il 10 agosto del 1867. La poesia è una fitta rete di simboli, che richiamano la sua visione pessimistica della vita e il suo frequentemente citato concetto del "nido", inteso sia come dimora che come nucleo familiare. Il primo vero simbolo si può ritrovare già nel titolo: il 10 agosto, rappresenta, oltre al giorno della morte del padre di Pascoli, la notte di San Lorenzo, famosa per le sue stelle cadenti. Il poeta vede questo fenomeno naturale con gli occhi di un uomo sofferente e rattristato, che riconosce nelle comete le lacrime di un grande pianto, quello di un cielo disperato e deluso, proprio come Pascoli. Il poeta paragona alla morte del padre, quella di una rondine che doveva tornare al nido per nutrire i suoi piccoli, ma che essendo stata uccisa durante il tragitto, lascia i suoi piccoli affamati e morenti. Oltre a questa prima metafora, il poeta introduce altri elementi rilevanti: nel verso quinto utilizza la parola "tetto" per descrivere il nido; nel sesto verso, quando la rondine viene uccisa, ci viene detto che "cadde tra spini" (la rondine viene profondamente collegata all'immagine del Cristo in croce, simbolo della vittima sacrificale per eccellenza). Questa immagine viene anche richiamata nel settimo verso, nell'espressione "ora è là, come in croce", momento nel quale l'allegoria appena citata è esplicitata in modo più evidente e di più facile comprensione.  Comunque, l'uomo e la rondine sono, al di là della loro esistenza individuale, simboli del dolore universale e della malvagia ingiustizia che regola la vita sulla Terra. Inoltre, la lontananza dal cielo esprime la lontananza incolmabile del bene e della giustizia dalla sofferenza umana.

Indica il rapporto tra Pascoli e il '900.

Pascoli rappresenta un momento di passaggio necessario tra Ottocento e Novecento. Continuità e rottura, tradizione e innovazione si contemperano in lui in modo equilibrato, così da farne, insieme, l'ultimo dei classici (e infatti si proclama allievo di Carducci, ma anche di Virgilio) e il primo, in Italia, dei moderni. La sua democrazia linguistica, e cioè l'impiego di un linguaggio basso e talora persino popolaresco, ha sempre qualcosa di raro e di prezioso, che sfiora l'estetismo. Alto e basso, privilegio e umiltà, tradizione e innovazione, eredità del sublime ottocentesco e "democrazia" novecentesca si combinano insieme.  Pascoli è considerato da alcuni un autore del Novecento e da altri è messo, invece, in rapporto con le tendenze tardoromantiche di fine Ottocento. Negli ultimi anni sta prevalendo la tendenza a collocare Pascoli in una posizione di passaggio fra vecchio e nuovo secolo. I primi anni del Novecento portano con sé nuove avanguardie (futuristi, crepuscolari, vociani) e forse è per questo che la poetica pascoliana mostra alcune importanti specifiche innovazioni. È, infatti, nell'epoca del Positivismo e del Naturalismo che nascono la psicologia e la criminologia, scienze che sembrano esatte e che perciò danno all'uomo gran fiducia in sé; in quest'ottica l'atteggiamento di Pascoli è raro, se non unico, e questo fa di lui un poeta all'avanguardia, primo annunciatore della poesia del Novecento. Le poesie di Pascoli corrispondono, infatti, ad un'idea prevalente nel '900: la poesia non deve essere esplicita, ma fatta togliendo il superfluo (Ungaretti). Non è tanto la brevità ad influire, ma lo spessore del non detto. E ciò corrisponde ad un'idea molto alta di poesia: la poesia pura. Si può dire che il suo procedimento si avvicina all'analogia: stabilire connessioni tra elementi molto simili fra loro. Questo sarà anche alla base di alcune avanguardie, come ad esempio il Futurismo.

Presenta Myricae.

Le "Myricae" sono considerate la miglior opera di Pascoli, caratterizzata da testi composti tra il 1877 e il 1900. Sono poesie corte, lampeggiamenti, poesie di tipo paesaggistico dove il personaggio si tiene abbastanza in disparte (cosa che non accade, invece, nei "Canti"). Sono poesie legate all'aspetto del fonosimbolismo: ossia, l'associare i suoni ad un significato che però non è espresso. C'è sempre, nelle poesie myricee, un susseguirsi di collegamenti tra suono e senso, e la scelta di figure foniche, talvolta, prevale sula scelta semantica. La citazione iniziale, che poi sarà usata anche all'occhiello dei "Canti", è una scelta dichiarata dell'autore: egli vuol cantare temi e cose umili ("humus"), ma riferisce il suo intento citando un illustre poeta latino. Le poesie, quindi, sono arbusti (come le tamerici, da cui deriva il titolo dell'opera): piccole, brevi, collocate in un mondo campestre fatto di piccole (ma non minimali) cose. Il principio fondamentale che regola la distribuzione dei componimenti all'interno delle quindici sezioni è un principio rigorosamente metrico: ciascuna sezione è caratterizzata da una forma metrica ricorrente. Nel libro il poeta affronta due temi fondamentali: il tema della morte del padre (con le connesse disgrazie familiari) e il tema della natura, vista come grande consolatrice. Si coglie così il tentativo di Pascoli di costruire un contrasto tra le vicende dolorose della storia e la dimensione equilibratrice della natura. La poesia di Myricae appare divisa tra tradizione e sperimentalismo. Le forme metriche chiuse e obsolete, l'idea della poesia come un'attività priviligiata di conoscenza rimandano al rispetto della tradizione. Invece, testimoniano lo sperimentalismo di Pascoli la ricerca di un rapporto nuovo di tensione (non più di equilibrio) tra metrica e stile, l'apertura ad un lessico concreto, tecnico e regionale e la vicinanza alle nuove tendenze del Simbolismo europeo.



Spiega la poesia "Ultimo sogno".

"Ultimo sogno" è la lirica di quattro quartine che chiude Myricae. Il titolo può avere tre significati: il "sogno" può essere l'ultimo della malattia, oppure l'ultimo di quella malattia che è la vita e di cui si guarisce morendo; oppure il sogno estremo che è dato dal sognare (sognare di essere morti). Dal delirio della febbre e dalle allucinazioni che esso comporta, il poeta guarisce di colpo o sogna di essere guarito. La malattia è scomparsa improvvisamente e il poeta si trova al suo fianco la madre, che in realtà è morta. Non è chiaro se sua madre sia sognata in questa o in un'altra esistenza. Comunque sia, i vari significati di questa poesia e dello stesso titolo, piuttosto che escludersi, si richiamano e si compenetrano, in una reversabilità simbolica dove il sogno non esclude la realtà e la vita non esclude la morte. Comunque sia, nella conclusione la pace ritrovata è una vita-non vita, una rinuncia alla vita per dedicarsi, in una sorta di ascesi, alla contemplazione poetica, che consiste nella compartecipazione esistenziale del mistero dell'essere. La vita appare come un fiume che va verso un mare paradossalmente inesistente; un sussurro vano che si perde nel tutto-nulla dell'ignoto.


















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