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Firenze - Nella Divina Commedia Firenze

dante





Firenze: luogo di dolore e di amore per Dante, immagine ricorrente nella Divina Commedia, vicenda di drammatiche passioni nell'Inferno, simbolo storico e spunto di indignato fervore oratorio contro i mali che travagliano l'Italia nel Purgatorio, eleagica stampa del buon tempo antico nel Paradiso dove si additano le capacità del perdono e dei giusti valori morali.



Nella Divina Commedia Firenze è un'immagine ricorrente perché è stata per Dante la sua città natale e tanto amata da cui fu costretto all'esilio per ragioni p 444f55e olitiche.

Il modo, i termini e le espressioni che utilizza per parlare di Firenze cambiano a seconda del luogo in cui Dante si trova; infatti nell'Inferno utilizza un linguaggio drammatico e passionale con parole aspre e dure che rispettano coerentemente l'aspetto di quel luogo buio e malvagio.

Dante "approfitta" dell'incontro con Farinata, ed altri personaggi che hanno influenzato la vita politica della sua grande città, per evidenziare i problemi di Firenze; questo eroe, come lui, era così innamorato della sua città che fu pronto a difenderla anche quando i suoi alleati Ghibellini, dopo la sconfitta di Montaperti, volevano distruggerla. Proprio per la battaglia di Montaperti Dante scatena la sua ira per i suoi compatrioti fiorentini uccisi.



Verso Farinata utilizza anche un tono sarcastico, quando vuole riferirsi all'arte del tornare in patria, cosa che i Ghibellini non avevano imparato perché non ritornarono a Firenze dopo l'esilio.

Il tono linguistico nel discorso tra Brunetto Latini e Dante addirittura diventa volgare e plebeo, nei versi "Faccian le bestie fiesolane strame // di lor medesme e non tocchi la pianta // s'alcune sorge ancora in lor letame" che definisce i Fiorentini come bestie fiesolane e tutto quello che ruota loro attorno è letame; è un linguaggio aspro e pieno d'accusa nei confronti dei malvagi Fiorentini discendenti da Fiesole.

Nel Purgatorio vi è l'unione affettiva tra i due Mantovani, Virgilio e Sordello, che si contrappone alle discordie tra fazioni, che travagliavano l'Italia. Il linguaggio è amaro e oratorio e definisce l'Italia serva di dolore ostello, nave senza nocchiere durante la tempesta, prostituta, cavalla indomita e selvaggia per descrivere la sua situazione politica instabile, inginocchiata dalle grandi lotte interne e sede di dolore. Chiede all'Italia di cercare un luogo in lei dove ci sia pace e lancia aspre accuse contro ArrigoVII che non si era preoccupato del "giardin dell'impero(Italia) e inserisce il suo ideale di politica universalistica(potere politico imperatore; potere spirituale papato). Vi è però un risentimento, un dubbio sulla volontà di Dio che poi viene subito corretto dalla grandiosità del Creatore e dall'umile remissione del credente ai suoi imperscrutabili disegni.

Negli ultimi versi del cantoVI paragona l'Italia ad un'inferma che si rivolta nel letto per cercare la posizione che le arreca minor dolore, questo denota l'inizio del perdono da parte di Dante per l'esilio poiché l'immagine implicitamente denuncia che prova compassione per questa "povera Italia".

Nel Paradiso Dante incontra Cacciaguida, un suo avo, che sublima Firenze come una stampa antica dove le donne non portavano monili che rendessero l'apparenza superiore alla persona stessa, una città non corrotta, popolata, senza esili, pacifica, sobria e pudica. Utilizza le anafore "non" per cercare di annullare tutte le realtà negative presenti a Firenze in quel tempo; ma il tutto viene narrato con malinconia, anche per questo fu l'inizio della fine di quella vita serena e pacifica che venne interrotta dal fatto che Buondelmonte non volle più sposare una fanciulla degli Amidei.

Nel Paradiso vengono evidenziate le sofferenze che Dante subirà con l'esilio le umiliazioni del suo orgoglio e l'incomprensione del suo senso della giustizia con un tono lirico e profetico.




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