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Commento del canto XXVII

dante



Commento del canto XXVII


Il canto XVII del Purgatorio è il canto di Lia. Esso è uno dei canti più notevoli del poema per la varietà delle situazioni e per l'umanità dei sentimenti in esso rappresentati. Il canto si apre con una complessa e difficile descrizione astronomica per indicare il tramonto, determinando l'ora per tutti i punti cardinali. Mentre il Sole tramonta ecco che appare ai tre poeti (Dante, Virgilio e Stazio) l'Angelo della cornice, c 616i83g on il volto lieto perché vede delle anime giungere alla fine dell'espiazione. Questo è l'Angelo della castità, che sta sull'orlo esterno della cornice, dove non giungono le fiamme, e che, con voce chiara e squillante, saluta i poeti cantando la sesta beatitudine evangelica: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".

L'Angelo non ventila con le ali per levare dalla fronte di Dante l'ultima P, quella della lussuria (essa sarà cancellata dal fuoco), ma avverte i poeti che non potranno procedere se non passeranno attraverso le fiamme purificatrici, e che dovranno ascoltare attentamente il canto che giungerà ad essi al di là delle fiamme medesime. L'avvertimento non è rivolto solamente a Dante, ma anche a Virgilio e a Stazio perché il fuoco rappresenta la pena specifica dei lussuriosi e l'estremo mezzo di purificazione per tutte le anime che hanno espiato le loro colpe nelle precedenti cornici.

Dante alle parole dell'Angelo si sente agghiacciare il sangue dallo spavento. Egli non pronuncia nessuna parola, ma i suoi atti istintivi e naturalissimi esprimono, meglio delle parole, il turbamento del suo spirito.



Il poeta si protende innanzi con le mani giunte, allo scopo evidente di proteggere il volto dal calore della fiamma, e, mentre guarda il fuoco con gli occhi sbarrati, rievoca nell'accesa fantasia la visione di corpi umani già visti ardere sui roghi nelle piazze pubbliche.

Virgilio e Stazio vedendo il loro discepolo così atterrito si rivolgono a lui con affettuosa premura; così Virgilio cerca di confortarlo, richiamandolo alla ragione.

Il buon maestro non dissimula il vero, ma lo riduce nei suoi giusti limiti, perché nel purgatorio le pene possono essere causa di tormento, non di morte; e, per confermare le sue parole, ricorda al discepolo i tanti pericoli da cui l'ha tratto, primo fra tutti quello di Gerione, simbolo della frode, a cui nessuno può opporsi, e rivela la diversa e ben più favorevole condizione in cui adesso si trova. Ma poiché Dante non dà segno di essere persuaso, Virgilio incalza con altri argomenti, affermando che anche se egli stesse mille anni in quella fiamma, essa non gli brucerebbe neanche un capello. Infine propone di accertarsi lui stesso con le sue stesse mani che il lembo della veste accostato al fuoco non si brucia. Questa è la seconda volta in tutto il poema che Virgilio ritiene che la sua parola possa non essere creduta e di conseguenza si offre di dare una prova per convincere il discepolo. Ma è tutto inutile. Dante se ne sta immobile, anche contro la voce della sua stessa coscienza, che lo ammonisce a seguire il consiglio della sua guida. Così Virgilio ricorre ad un argomento decisivo: il ricordo di Beatrice; egli lo fa usando parole estremamente semplici che non ricorrono più alla ragione, ma al cuore. Dante al dolce richiamo si sente pronto ad affrontare l'indicibile tormento. Virgilio, vedendo il discepolo ormai docile al suo volere, avanza per primo tra le fiamme e prega Stazio di andare per ultimo in modo che Dante non ritorni indietro, cosa che nel Purgatorio sarebbe risultata gravissima. Superata la difficilissima prova i tre poeti si trovano proprio di fronte alla scala che conduce al Paradiso Terrestre. Qui si trova l'Angelo custode della scala che invita i viandanti a salirla ed ad affrettarsi perché essa non può essere salita di notte. Dante non riesce però a vederlo perché è abbagliato dalla luce da esse emanata. Ma il Sole tramonta dopo pochi gradini, così i tre poeti sono costretti ad adagiarsi sui gradini ed ad attendere un nuovo giorno. Mentre Dante medita sulle cose accadute in quel giorno e si perde nella contemplazione delle stelle è preso dal sonno che assume un valore profetico.



Egli ha la visione di una donna giovane e bella, che raccoglie fiori in una pianura e cantando afferma di essere Lia. Questa è la figlia maggiore di Labano e la prima moglie di Giacobbe, la quale fece molti figlioli e che perciò è simbolo della vita attiva.

Lia si compiace della bellezza delle sue mani, con le quali fa una ghirlanda di fiori, simbolo degli atti virtuosi. Con questa si adorna per gioire di sé davanti allo specchio, cioè Dio, perché la vita attiva non è fine a se stessa, ma mezzo della vita contemplativa.

Ella nomina la sorella Rachele, la quale fu bella di volto, ma non ebbe figli, e che perciò è simbolo della vita contemplativa, in cui consiste la felicità soprannaturale dell'uomo.

All'alba Dante si sveglia vedendo i due poeti già alzati. Compiuta la salita e giunti sull'ultimo gradino, Virgilio con profonda commozione, come un padre che deve lasciare il figlio ormai adulto, saluta Dante fissandolo negli occhi e pronunciando solenni parole.

Egli è ormai giunto al termine della sua missione, e ha compiuto la promessa fatta a Beatrice nel Limbo, conducendo Dante attraverso le pene temporali del Purgatorio ed eterne nell'Inferno. Mentre Virgilio parla il Sole, simbolo della grazia divina, riluce sulla fronte di Dante.

Quest'ultimo è ormai signore del proprio arbitrio, cioè è veramente libero e non più soggetto alla schiavitù delle passioni.






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