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Dante inizia il
viaggio ideologico della sua Divina Commedia la notte di venerdì santo del 7
aprile
Il suo stato d'animo è quello dell'uomo cosciente d'esser caduto nel peccato (rappresentato 414i81e dalla "selva oscura") e nel tormento che lo stesso infligge (la "notte" inquieta). ). Dopo aver trascorso la notte in questa selva giunge nei pressi di un colle che il poeta identifica con la salvezza poiché illuminato dai raggi del sole (la grazia di Dio).
È la visione della "luce" (la grazia del Dio) che gli indica il cammino tutto in salita (il piede fermo è più basso di quello che muove avanti), lungo un sentiero spirituale non facile. Ecco infatti che tre belve gli sbarrano la strada: una è la lonza (identificata con l'allegoria della lussuria e dell'incontinenza), un'altra è il leone che rappresenta la violenza (ira e accidia), l'ultima è la lupa, cioè il significato allegorico della cupidigia e del desiderio sfrenato.
L'allegoria di Dante associa proprio alla lupa (simbolo di Roma) le caratteristiche che identificano lo Stato Pontificio del XIV Secolo che, sotto la guida di Papa Bonifacio VIII, viene accusato di preoccuparsi più di fatti mondani (potere temporale) che della salvezza delle anime (potere spirituale).
Fin dal primo incontro (quello con la lonza) il poeta legge i simboli della presenza di Dio e lo lascia intendere con un chiaro riferimento: quello della congiunzione celeste del sole con la costellazione dell'Ariete, esattamente come lo era all'epoca della creazione (ciò potrebbe indicare l'idea di una completa rinascita spirituale dopo il peccato).
Dante si ferma davanti alle belve con un fremito di paura (l'esser "mangiato" vorrebbe dire permanere irrimediabilmente per sempre nel peccato) ed è sul punto di ritornare indietro quand'ecco che incontra Virgilio (dunque la ragione) che accorre in suo aiuto. Virgilio (o la ragione) è identificato da Dante come il "maestro", il solo che, con la sua sapienza, può riportarlo sulla retta via (cioè salvarlo dalle fiere e quindi dal peccato).
Il poeta (Virgilio) narra a Dante (quasi a dargli conferma dei suoi timori e delle sue vacillanti certezze) la legenda di un veltro (un cane veloce) capace di combattere persino contro i suoi simili affetti da "errore" (è la traccia del capo sapiente e illuminato - laico o prelato - capace di sottrarsi ai "peccati" rappresentati da tutte e tre le belve).
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