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Umberto Eco, Il nome della rosa [A.S.]

letteratura



1. Notizie sull'autore

L'autore è Umberto Eco, (Alessandria,1932) saggista e narratore italiano. Docente universitario, ha svolto indagini in molteplici direzioni:sulla storia dell'estetica, sulle poetiche d'avanguardia, sulle comunicazioni di massa etc.. Pubblicista, noto per le sue brillanti inchieste sulla cultura di consumo, ha ottenuto un successo di risonanza mondiale appunto con "Il nome della rosa"(1980), thriller gotico di ambientazione medievale che sviluppa la fitta trama di un dibattito ideologico. Tra i suoi volumi di saggi vanno ricordati: "Il problema dell'estetica in Tommaso d'Aquino"(1956),"La definizione dell'arte"(1968), "Lector in fabula"(1979), "Semiotica e filosofia del linguaggio"(1983).

2.Titolo

Il titolo, che secondo Eco deve proporre necessariamente una sintesi, o quantomeno deve dare una precisa indicazione al lettore, ha creato qualche grattacapo all'autore. All'inizio era orientato per "L'abbazia del delitto": ma si trattava di un titolo che avrebbe attirato gli amanti del giallo poliziesco, senza però soddisfarne le attese. Pensò poi di usare un titolo , per così dire, neutrale, quale "Adso da Melk": ma i titoli riportanti nomi propri non venivano quasi mai usati dalla narrativa italiana e non avevano la fortuna, ad esempio, dei corrispettivi inglesi o americani. Con "Il nome della rosa", Eco sceglie un titolo che possa confondere le idee al lettore: la rosa è per lui una figura simbolica ricca di significati, quasi da non averne più nessuno: allo stesso modo l'abbazia di cui ci racconta è densa di mistero.



3. Composizione e pubblicazione dell'opera

L'autore afferma nella prefazione di "aver avuto fra le mani il 16 agosto 1968 un libro dovuto alla penna di un certo abate Vallet". Questo libro conteneva la storia, o meglio le memorie di un monaco tedesco, Adso da Melk. Spinto dalla curiosità di verificare l'attendibilità del manoscritto, Eco cominciò a cercare prove concrete di questo racconto nell'abbazia di Melk e in molte altre nella Francia meridionale e nell'Italia settentrionale ,non trovando pero' mai nulla di interessante. Riuscì poi a trovare, addirittura in Brasile, un testo che citava appunto il manoscritto di Adso da Melk. Facendo leva solo su questo, Eco pubblica, nella traduzione italiana, il manoscritto di Adso, peraltro già tradotto nel XIX secolo in francese dall'abate Vallet.

4. Fabula e intreccio

Fabula e intreccio non coincidono mai, dal momento che l'intero romanzo è un racconto a 333h78d posteriori. Adso infatti scrive, da anziano, le sue memorie giovanili, quand'egli era ancora novizio.

5. Intreccio (trama)

-PRIMO GIORNO-

La narrazione ha inizio con l'arrivo nel monastero di Guglielmo, un esperto frate francescano e di Adso da Melk, un novizio benedettino, la cui cura era stata appunto affidata dal padre di quest'ultimo a Guglielmo. Egli dà subito prova del suo acume, quando,appena fuori dell'abbazia, incontra il cellario preoccupato dalla scomparsa di uno dei migliori cavalli della scuderia. Ma Guglielmo riesce non solo a descrivere perfettamente un cavallo mai visto prima dalle impronte che aveva lasciato sulla neve e da altri particolari apparentemente insignificanti, ma anche ne indica la direzione verso cui si sarebbe diretto: poi il cavallo si ritroverà proprio dove Guglielmo aveva indicato. Arrivati finalmente all'abbazia, Guglielmo consegna una lettera all'abate, nella quale venivano spiegati i motivi della visita:Guglielmo, infatti, godendo di un'ottima fama, era stato invitato dall'imperatore a fare da mediatore fra Papato, Impero e i vari ordini sacri (Francescani, Domenicani etc.). Quindi Guglielmo e Adso si recano negli alloggi che erano stati preparati per il loro arrivo. Durante l'ora terza l'abate entra nella loro stanza e comincia a parlare con Guglielmo, dicendo che da qualche tempo strani fatti stavano avvenendo nella sua famosa abbazia, e lo prega di far luce sulla morte di un giovane monaco, Adelmo. L'abate non escludeva nemmeno l'intervento del demonio ma Guglielmo, avendo spiegato che anche durante la sua carriera di inquisitore, non aveva mai badato alla possibile sovrannaturalità degli eventi, ma solo alle cause umane che li avrebbero provocati, prega di esporgli i particolari riguardanti la morte del monaco: il corpo esanime era stato fra l'altro ritrovato in un precipizio. Il fatto che fosse stato ritrovato proprio in quel determinato posto, doveva far pensare che il corpo si fosse gettato, o fosse stato gettato, dall'Edificio, il "cuore" dell'Abbazia. L'abate Abbone spiega che nessuno dei famigli poteva entrare nell'edificio dopo cena e pertanto solo un monaco avrebbe potuto commettere il fattaccio, appurato che di suicidio non si trattava, in quanto la finestra dalla quale egli si sarebbe dovuto gettare era stata trovata chiusa. L'abate dà libera facoltà ai due di girare per l'abbazia per investigare sulla morte: l'unico luogo a cui non si poteva avere accesso era la biblioteca. Conclusa la discussione Guglielmo volle rivedere il suo amico Ubertino da Casale e si recò in chiesa dove l'Abate aveva detto che Ubertino trascorreva gran parte del suo tempo. Ubertino faceva parte dell'ordine degli Spirituali, dichiarati eretici dalla Chiesa solo perchè la desideravano più vicina agli ideali di povertà evangelica. La curia per questo motivo aveva tentato di ucciderlo, e purtroppo aveva messo al rogo coloro che non si riuscirono a rifugiare da qualche parte come lui aveva fatto: tutto questo con l'assenso di Papa Giovanni XXII. Inoltre critica Guglielmo perchè aveva condannato l'amore mistico a cui invece era approdato Ubertino.

-SECONDO GIORNO-

Un altro sanguinoso evento apre il secondo giorno: la morte di Venanzio, un altro monaco. Fu ritrovato a testa in giù in un orcio pieno del sangue dei maiali che qui venivano uccisi. Da alcuni indizi Guglielmo capisce che anche in questo caso si poteva parlare di omicidio e che il corpo era stato trascinato fin lì da un altro luogo, precisamente dall'Edificio. Guglielmo scopre grazie alla rivelazione di Bencio da Upsala che Venanzio aveva spesso avuto contrasti con Jorge riguardo una questione sulla liceità del riso, e inoltre che l'aiuto bibliotecario Berengario era l'ultimo che quegli aveva visto scambiare parola sia con Adelmo che con Venanzio. Dopo aver assistito a una lite fra persone volgari, precisamente fra il cuciniere e Salvatore, un monaco dall'aspetto orripilante, Guglielmo e Adso si dirigono verso lo scriptorium dove trovano come al solito un numero cospicuo di monaci, fra cui lo strano Jorge. Si affronta quindi il problema sulla liceità del riso, che secondo Jorge è solo segno di stoltezza. Ma a Guglielmo per il momento non interessa tanto questo: il suo scopo è trovare qualcosa di interessante al tavolo che fu di Venanzio. Tuttavia viene avvicinato ancora da Bencio, che gli rivela un "segreto" di cui dovevano essere a conoscienza sia Adelmo che Berengario, i quali fra l'altro avevano avuto anche fra loro un rapporto carnale. Visto che anche Bencio stimola la curiosità di Guglielmo, egli decide che è giunto il momento di trovare un modo per entrare nell'impenetrabile biblioteca. Per farlo, decide di utilizzare una via che ha visto prendere anche al bibliotecario Malachia. Intanto però nasce un colloquio fra Guglielmo e Abbone: i due si mettono a parlare di eresie. Abbone le condanna fortemente, mentre il saggio Guglielmo assume una posizione ben più tollerante nei confronti degli eretici. Un'altra conoscienza di questo giorno è l'anziano monaco Alinardo, che nonostante usasse parole alquanto confuse, riesce a spiegare la precisa ubicazione del passaggio segreto che, attraversando l'ossario, finisce sino in biblioteca.Guglielmo e Adso, quindi, dopo cena, si recano all'ingresso dell'ossario per entrare segretamente nella biblioteca, quando ormai l'Edificio era stato chiuso da Malachia. Attraverso il lugubre ossario, giungono nello scriptorium:ai piedi del tavolo di Venanzio Guglielmo scopre un'interessante pergamena in greco con alcuni segni misteriosi, scritta con un inchiostro speciale che compare solamente se avvicinato a una fonte di calore. Ma i due non sono soli:infatti, approfittando di un loro attimo di distrazione, una terza presenza sottrae i preziosi occhiali di Guglielmo. Secondo lui, quegli strani segni avrebbero dovuto avere una qualche attinenza con il "Secrectum finis Africae" .I due poi si dirigono per la prima volta alla biblioteca e vengono subito colpiti dall'ambiente spettrale, favorito dal vento che provocava strani rumori e dall'aria stessa che si respirava, al punto stesso che Adso ha una visione e scambia un'illustrazione di un manoscritto arabo per un dragone di dieci teste. Dopo esserne fortunosamente usciti, visto che la biblioteca era un vero e proprio labirinto, i due vengono a sapere che anche Berengario era scomparso.



-TERZO GIORNO-

Anche il terzo giorno inizia con un sinistro evento: viene infatti trovato un panno sporco di sangue nella cella di Berengario. Adso ha dapprima un incontro con Salvatore, il quale gli racconta, nella sua lingua un po' latina e un po' volgare, i suoi vagabondaggi insieme a manigoldi di ogni risma; poi va in cerca di Guglielmo e lo trova intento alla ricerca di altri vetri adatti ai suoi occhiali, quindi ha con lui un colloquio riguardante le moltissime sette ereticali che a quei tempi proliferavano. Frattanto egli rivela al suo discepolo di essere riuscito a decifrare linguisticamente gli strani segni del manoscritto, ma che purtroppo aveva ottenuto un enunciato senza senso. I due vengono poi convocati dall'abate, il quale comunica loro l'arrivo di Bernardo Gui, un illustre inquisitore, e della delegazione papale: Guglielmo è quindi invitato a risolvere al più presto il preoccupante mistero che avvolgeva l'abbazia. Il problema dell'eresia torna quando Adso incontra Ubertino da Casale in chiesa e, avendo già diverse volte sentito parlare dei dolciniani, gli chiede notizie sull'iniziatore di questa setta, appunto fra Dolcino, che all'epoca aveva un nutrito numero di seguaci. Così apprende la triste storia di passione di fra Dolcino, morto sul rogo insieme a Margherita, la donna che aveva amato. Questo racconto suscita in Adso un'indicibile inquietitudine e decide di recarsi in biblioteca da solo per riflettere. Legge un libro sui dolciniani, le cui illustrazioni provocano in lui strani effetti, come immagini di donna, tanto che, sconvolto e nel pieno del suo turbamento, si precipita fuori dalla biblioteca. In cucina, guardacaso, incontra una misteriosa donna, che evidentemente si concedeva per fame a qualche monaco eretico. Adso, all'apice della sua crisi interiore, non riesce a frenare l'impeto delle sue passioni e, spinto anche dalla giovane donna, si unisce a lei. Quindi Adso si assopisce e lo risveglia Guglielmo che frattanto si era preoccupato per la sua assenza. Resosi conto del grave peccato carnale che aveva compiuto poco prima, esprime subito a Guglielmo la sua volontà di confessarsi. Egli lo ascolta con serietà, ma anche con un pizzico di indulgenza. Dopo aver discusso sulla figura della donna nel piano della creazione, si scopre il cadavere di Berengario nei balnea, apparentemente annegato.

-QUARTO GIORNO-

Si crede dapprima che il corpo di Berengario giaccia esanime per annegamento, ma la scoperta della lingua e dei polpastrelli, che erano stranamente di colore nero, fa intuire, giustamente, che il pover'uomo era morto avvelenato.Tanto più che l'occasione fa tornare in mente a Severino, l'erborista, il fatto che molto tempo prima gli era stato sottratto un veleno potentissimo. Un successivo incontro con Salvatore si rivela proficuo: egli infatti rivela di essere stato lui a portare in cucina la donna con cui Adso aveva giaciuto, ma che in realtà questa era destinata a Remigio, un ex dolciniano proprio come lui. Guglielmo induce quindi anche Remigio a confessare tutto, il quale rivela anche di aver trovato il corpo di Venanzio già morto in cucina durante la notte. Adso è intanto turbato dai suoi patimenti d'amore: il suo corpo aveva ormai dimenticato quella notte di amore e piacere intenso, ma la sua anima era pronta ogni attimo a ricordargli il terribile peccato che aveva compiuto. Guglielmo, ritrovando le sue lenti ed essendosene fatte comunque preparare un paio di riserva, riesce a decifrare meglio il manoscritto di Venanzio, senza però capire alla perfezione il significato delle espressioni usate dal monaco: comunque la causa dei delitti sembra essere un libro, nel quale dovrebbe essere contenuta tutta la verità. Mentre Adso va alla ricerca di tartufi, ecco giungere nell'abbazia la delegazione dei frati minori che avrebbe dovuto incontrare quella papale. Da un dialogo fra Guglielmo e i frati minori si evince la situazione politica dell'epoca, con una Chiesa in preda alla corruzione della corte papale. Adso, dopo cena, incontra nuovamente Salvatore, il quale stavolta gli parla di un rito macabro per propiziarsi le attenzioni delle donne: Adso lo manda via disgustato, ma tutto ciò ha come unico risultato quello di accentuare ancor di più il suo turbamento. Guglielmo e il suo discepolo si dirigono quindi alla misteriosa biblioteca, alla ricerca dell'ancor più misterioso libro di cui parla il manoscritto di Venanzio. Durante questa ricerca, Guglielmo si ferma ad ammirare e leggere manoscritti di vario genere, fino a quando non giungono ai "Leones", cioè a quella parte della biblioteca in cui si trovano i libri degli "infedeli": qui Guglielmo si accorge che non si può accedere alla stanza ottagonale del torrione se non tramite un passaggio segreto. Guglielmo capisce che Venanzio nel suo manoscritto parla di uno specchio, ma non sapendo che cosa fosse "il primo e il settimo dei quattro", non riesce ad entrare nel "finis Africae". All'uscita dalla biblioteca, li aspetta una terribile notizia: Bernardo Gui, capo della delegazione papale, si mette subito al lavoro e sorprende Salvatore in compagnia della donna con cui Adso aveva giaciuto. Per Salvatore, Bernardo preparerà un processo, accusandolo di essere un ex dolciniano; la donna invece, accusata di stregoneria, verrà messa al rogo.

-QUINTO GIORNO-

Il quinto giorno è dominato dalla disputa tra i sostenitori della regola francescana e gli oppositori a questa. I secondi accusano i primi di favorire in qualche modo le eresie, che portano alla radicalizzazione dell'ideale di povertà. I monaci delle delegazioni, oltre che scontrarsi verbalmente, lo fanno anche fisicamente, e nella confusione generale Severino invita Guglielmo a seguirlo, perchè voleva mostrargli un testo veramente interessante. Sentite queste parole, Jorge si dirige immediatamente verso l'Edificio. Purtroppo Guglielmo non può raggiungere subito Severino, in quanto viene invitato dalle delegazioni ad esprimere il suo parere in merito alla scottante questione politica del tempo. Egli auspica una netta separazione fra potere spirituale e temporale, e inoltre una assemblea generale affidata al popolo che si occupi del governo del territorio. Ma nessuna delle due fazioni sembra accogliere benevolmente le affermazioni di Guglielmo. L'accesa discussione viene interrotta da una sgradita notizia: anche Severino è stato ucciso. Le circostanze sembrano incolpare Remigio il cellario, che poco prima s'era allontanato anche lui dal convegno.Bernardo, l'inquisitore papale, non ci pensa due volte a istituire un pubblico tribunale contro Remigio, mentre Bencio rivela a Guglielmo che sicuramente Malachia al momento dell'omicidio si trovava nell'ospedale (qui e' stato ritrovato infatti il corpo di Severino).I due quindi si mettono alla ricerca del testo che Severino avrebbe voluto che Guglielmo leggesse. Ma a quest'ultimo non viene in mente che, secondo una consuetudine dell'epoca, i testi greci venivano inseriti in mezzo a quelli arabi, cosicchè Bencio può facilmente sottrarre a Guglielmo sotto i suoi occhi il volume della verità, senza che quest'ultimo se ne potesse accorgere. Bernardo frattanto ha la facoltà di ordinare la tortura per Remigio, sicchè quest'ultimo, pur di evitarla, si vede costretto a dichiararsi colpevole, sottoponendosi così al processo sommario di Bernardo. Guglielmo però sa bene che non è lui l'autore della serie di omicidi che sconvolgeva in quel periodo la vita dell'abbazia. Il giorno termina con una apocalittica discussione di Jorge sulla venuta dell'Anticristo.



-SESTO GIORNO-

Malachia è intanto tornato in possesso del libro miserioso e, entrato in chiesa, dove i monaci intonavano il "sederunt principes", preludio alla messa natalizia, diventa pallido in volto e cade a terra morto davanti agli occhi esterrefatti di tutti.Frattanto, Nicola viene nominato nuovo cellario, e Bencio nuovo aiuto bibliotecario: non viene però eletto alcun nuovo bibliotecario.Nicola, conducendo Guglielmo e Adso nella cripta per mostrare loro i tesori dell'abbazia, racconta delle elezioni di abbati e bibliotecarii avvenute in passato in cui eranto stati coinvolti Alinardo e Jorge, i due monaci più anziani dell'abbazia. Guglielmo chiede a Bencio di consultare il catalogo dei libri dell'abbazia e si accorge della scrittura di un misterioso bibliotecario che si sarebbe cronologicamente frapposto fra Malachia ed il suo antecedente ufficiale.Questa strana scrittura avrebbe registrato l'arrivo di un particolare volume, (proprio quello che stavano cercando) la cui ubicazione era proprio nel finis Africae. Guglielmo, ad un passo dalla risoluzione del mistero, chiede all'abate il permesso di recarsi nel finis Africae, ma l'abate si ostina a negarglielo, anzi invita i due ad andarsene la mattina seguente e a rinunciare di risolvere il mistero. Ma Guglielmo e Adso decidono nuovamente di entrare furtivamente nel labirinto della biblioteca e aspettano che Abbone, dopo aver chiuso le porte dell'Edificio dall'interno, esca dall'ossario. Frattanto Adso, inconsapevolmente, riesce a dare la soluzione dell'enigma del manoscritto di Venanzio: per aprire il passaggio che porta al finis Africae, è necessario premere la prima e la settima lettera della parola "quattuor" incisa sopra lo specchio. Purtroppo l'attesa risulta vana, e così decidono di entrare lo stesso.

-SETTIMO GIORNO-

Nel finis Africae li aspetta Jorge, che aveva intanto intrappolato Abbone grazie a un congegno in un cunicolo che l'avrebbe condotto nella stanza segreta. Non sarebbe stato possibile nemmeno tirarlo fuori perchè Jorge aveva rotto questo congegno: Abbone era dunque destinato a morire asfissiato. Jorge invita Guglielmo a leggere quel famoso libro, che si rivela essere il secondo libro della Poetica di Aristotele, ma prudentemente quest'ultimo indossa dei guanti per salvaguardarsi, dal momento che aveva ormai capito ogni particolare delle malefatte di Jorge. Jorge aveva portato quel libro dalla Spagna, e preoccupato che potesse essere scoperto, aveva sottratto del veleno a Severino e ne aveva cosparso il volume, in modo che chiunque l'avesse toccato sarebbe morto: Adelmo si era suicidato per rimorso, Venanzio aveva letto il libro e si era trascinato sotto l'effetto del veleno fino alla cucina in cerca d'aiuto; poi Berengario, trovato il suo cadavere, e preoccupato che l'inchiesta avrebbe potuto coinvolgerlo, l'aveva immerso a testa in giù nell'orcio. Intanto Berengario porta con sè il libro nell'ospedale e muore casualmente nei balnea. Severino scopre il volume, ma, sorpreso da Malachia, a sua volta istigato da Jorge, lo uccide, ma anche lui legge il libro e fa la stessa fine. In questo libro Aristotele giustificava il riso, considerata "una forza buona, che può anche avere valore conoscitivo", mentre questo non era ammesso da Jorge, secondo cui "la legge si impone attraverso la paura -il riso infatti distoglie l'uomo dalla paura- il cui nome vero è timor di Dio". Ormai smascherato, Jorge tenta di ingoiare alcune pagine del manoscritto e di fuggire, ma, nel parapiglia che fra i tre ne consegue, una lampada accesa va a finire in un mucchio di vecchi libri che subito prendono fuoco. Mentre Guglielmo e Adso tentano di spegnere, senza successo, le fiamme, Jorge getta il libro su di queste. Nonostante il tentativo di Adso di avvertire i monaci del grave pericolo e di porvi in qualche modo rimedio, l'incendio, dalla biblioteca, si estende all'Edificio, alla chiesa, alle stalle, praticamente a tutta l'abbazia, che "arse per tre giorni e per tre notti".

6. Sistema dei personaggi

I personaggi de "Il nome della rosa" appartengono più o meno tutti alla vita di una comune abbazia medievale:insieme ai monaci vivevano servi, famigli e artigiani. Occorre soffermarsi in particolare sulla figura di quattro personaggi.

-Adso da Melk

Adso è il narratore. All'epoca dei fatti è un giovane voglioso di apprendere dal suo illustre maestro Guglielmo. Da anziano, Adso ricorda quei terribili sette giorni come fondamentali per la sua crescita spirituale e intellettuale.Durante la permanenza nell'abbazia cade nel peccato carnale e viene sconvolto più volte dalle turbe d'amore: forse non riesce a trovare serenità per quell'avvenimento neppure da anziano, ed il ricordo del peccato è sempre vivo in lui.



-Guglielmo da Baskerville

Guglielmo è un dotto francescano,inviato in giro per le abbazie dall'Imperatore per fare da mediatore fra le due fazioni opposte dell'epoca: i sostenitori dell'Impero e quelli del Papato. Egli si mostra saggio a Adso non solo per il fascino della parola e dell'acume intellettuale,ma anche solamente per il suo aspetto esteriore, che al novizio ricorda la figura del padre ("la sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto; aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al volto l'espressione di uno che vigili [...];poteva avere cinquant'anni ed era già molto vecchio ma muoveva energicamente il suo corpo con tanta agilità da stupire.). Da un punto di vista culturale, Guglielmo è padrone, come tutti gli intellettuali dell'epoca, del resto, di un sapere enciclopedico, che gli permette di affrontare le situazioni con la giusta sagacia e prontezza nell'agire. Abbraccia i princìpi della filosofia cristiana e pagana (aristotelica,soprattutto),le teorie sulla conoscienza e sull'etica.

-Jorge da Burgos

Anche per Jorge, come per Guglielmo, la caratterizzazione fisiognomica è ben evidente nel testo ("era un monaco curvo per il peso degli anni, bianco come la neve, non solo il pelo, ma pure il viso e le pupille. La voce era maestosa e le membra possenti anche se il corpo era rattrappito per l'età"). Ma il tema che domina nelle discussioni di Jorge è sicuramente il riso e la sua importanza. Jorge disprezza gli esseri umani che ridono, perchè così si prendono beffe delle cose divine e si allontanano dalla realtà.Proprio per difendere l'inviolabilità del II libro della poetica di Aristotele, che giustifica e apprezza il riso, Jorge lo cosparge di veleno e provoca la morte di tutti coloro che hanno ardito di sfogliarlo. L'autore esprime anche un giudizio su Jorge, per bocca però di Guglielmo, verso la fine del romanzo ("d'altra parte ne abbiamo visto il volto questa notte. In quel volto devastato dall'odio per la filosofia, ho visto il ritratto dell'Anticristo. Esso può nascere dalla stessa pietà o dall'eccessivo amore per la verità"). Un giudizio, quindi, estremamente negativo.

-Bernardo Gui

Come al solito, è rilevante, dapprima, la caratterizzazione fisiognomica ("era un domenicano di circa settant'anni, esile ma diritto nella figura; i suoi occhi sono particolari, grigi, freddi, capaci di fissare senza espressione, abile sia nel celare pensieri e passioni che nell'esprimerli a bella posta"). Si capisce dai suoi comportamenti, come Bernardo, inquisitore papale, desideri vedere gli imputati subito messi al rogo:infatti egli non ricerca la giustizia, il suo scopo è avere un capro espiatorio per rafforzare davanti al popolo la potenza della sua carica.

7. Narratore e focalizzazione

Il narratore, Adso da Melk, si può definire "onnisciente" in quanto, pur essendo presente nella storia come personaggio, ha già vissuto gli eventi che descrive dal momento che li ricorda alla ormai veneranda età di ottanta anni. Il narratore è inoltre di primo grado, poichè non lascerà mai a nessun altro personaggio il compito di narrare gli eventi. Di conseguenza, la focalizzazione è interna, in quanto il narratore è allo stesso tempo colui che parla e colui che vede, quindi tutti gli avvenimenti e le situazioni vengono analizzate secondo il punto di vista dell'Adso diciottenne. A tal proposito, è interessante rilevare lo sdoppiamento dell'io:in alcuni punti, infatti, si nota che l'Adso diciottenne non riesce a spiegarsi dei comportamenti e delle azioni che al contrario l'Adso ottantenne comprende.

8. Livello spaziale e temporale

L'intrigo abita in una abbazia dell'Italia settentrionale, di cui l'autore però tace sia il nome che la precisa ubicazione. Gli eventi accadono durante l'ultima settimana del novembre 1327: tempo della storia e tempo del racconto però non coincidono. Il tempo della storia si articola in sette giorni, e la narrazione di questi è suddivisa in varie ore secondo il giorno liturgico benedettino. Il tempo del racconto, invece, non è meglio precisato, dal momento che Adso scrive quando "giunto al finire della sua vita di peccatore, mentre canuto senesce" desidera lasciare testimonianza del suo passato.

9. Tecniche narrative

Tutto il romanzo si presenta come un grande "flashback", infatti Adso, monaco ottantenne ricorda le sue terrbibili esperienze di quand'era soltanto un novizio. Solo in qualche caso interviene l'io narrante con la tecnica del "flash-forward", anticipando avvenimenti che accadranno nel futuro. Il genere narrativo si può inquadrare fra il giallo poliziesco e la cronaca medievale e offre certamente diverse chiavi di lettura, come lo stesso Eco suggerisce quando afferma che "il romanzo è una macchina per generare interpretazioni".

10. Referente storico

Il contesto storico nel quale avvengono i fatti è il Medioevo. Aspetti e limiti di questa età sono ben descritti attraverso la, a volte pittoresca, rappresentazione dei personaggi. L'abbazia è poi il luogo ideale nel quale calare il romanzo in quanto nel Medioevo i luoghi sacri erano il fulcro della vita di allora. Nel Medioevo ognuno interpreta la fede a modo suo e inevitabilmente proliferano i movimenti eretici, la cui esistenza spesso si conclude in maniera tragica a causa della terribile realtà dell'Inquisizione. Si sente inoltre prossima la venuta dell'AntiCristo e quindi la distruzione del mondo.

Armando Silvestro
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