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Nel 1929 esce il romanzo Gli indifferenti destinato ad essere una importante
tappa nella sperimentazione del romanzo italiano del '900. L'azione, che si
svolge nell'arco di appena 48 ore, è ambientata all'interno di un'elegante
villa romana dei Parioli, circondata da un altrettanto lussuoso parco. I
protagonisti appartengono tutti all'alta borghesia, l'unica classe sociale che
l'autore, allora appena ventenne, conosceva profondamente. Moravia dunque,
all'inizio della sua opera narrativa pone perentoriamente la riflessione sulla
propria classe sociale al centro della sua esperienza di scrittore. Moravia è
il giudice, ma anche la vittima consapevole, e in certa misura anche complice,
di una condizione borghese che egli rappresenta così impietosamente nel
romanzo. E' Moravia a dichiarare in un'intervista: C'è la Roma pretenziosa del
quartiere Coppedè, dei gerarchi che credono di sprovincializzarsi frequentando
la Casina Valadier, 11 Golf e domandano di essere ammessi al Circolo della
Caccia . All'alienato, indifferente eroe moraviano il fascismo trionfante in
quegli anni non appare attraverso le sue componenti storiche e sociali, ma solo
attraverso la coscienza distorta dei protagonisti del romanzo. Moravia è
inoltre il primo scrittore italiano capace di rappresentare in termini
razionali, oggettivi, una crisi che molti suoi contemporanei (Alvaro e Pavese
ad esempio) avevano vissuto in termini solo esistenziali. A questa crisi
concorrono due fenomeni storici: il crollo dei valori umanistici, su cui si
erano formati Pirandello e Svevo, e la consapevolezza del disfacimento di
quella classe borghese che era stata fino ad allora la portatrice di tali
valori. Gli indifferenti ebbero un'enorme risonanza in Italia e all'estero:
attorno al tema dell'indifferenza ve ne erano altri ch 757c25h e la letteratura del
Decadentismo aveva messo in luce come l'incomunicabilità, il senso di
inettitudine, la coscienza dello scacco. Sul piano della struttura narrativa va
detto però che tali temi sono calati in un impianto di tipo naturalistico, con
una osservazione minuziosa, quasi maniacale, della realtà sociale e
psicologica, in uno stile neutro, quasi fotografico, privo di qualunque
concessione all'elemento lirico. Questo realismo è affine a quello degli
scrittori libertini del '700 inglese (Defoe, autore del Robinson Crusoe, o
Fielding, autore di Tom Jones), che descrivono la realt~ senza tentare di
modificarla; è lontano invece da quello dei naturalisti francesi, quali Zola e
Maupassant, che, pur critici e consapevoli dei limiti della borghesia,
aspiravano a liberare la società da ingiustizie e pregiudizi che condannavano
nei loro romanzi. In Italia Gli indifferenti rompono bruscamente un'atmosfera
letteraria rarefatta, dominata, a parte la grande eccezione di Pirandello e l'ancora
sconosciuta opera di Svevo, da D'Annunzio e da una cultura elitaria quale
quella propugnata da riviste come Solaria o La Ronda . Inoltre la crisi morale
della borghesia era in aperto contrasto con l'ottimismo culturale del regime
fascista. Moravia ha sempre negato che nel suo romanzo fossero presenti istanze
sociali o politiche: tuttavia è evidente che l'indifferenza si carica nel
romanzo di connotazioni storiche precise: si tratta del conflitto
dell'individuo con la vita, ma anche del conflitto dell'individuo con una
determinata società, come dimostra Moravia, che, in tutto l'arco della sua
produzione narrativa, colpirà successivamente con la sua polemica ironica e
fredda la società conformista del ventennio fascista (Il conformista), quella
violenta del dopoguerra (La Romana, La Ciociara), e quella alienata del
neocapitalismo industriale (La noia, La vita interiore). Moravia dunque
verifica la sua concezione esistenziale attraverso le varie fasi storiche di
cui egli è stato spettatore attento, dal fascismo ai nostri giorni: di queste
fasi egli registra caratteristiche e ambienti, miti, costumi, modi di dire,
avvalendosi dei più vari strumenti d'indagine critica: sociologia, marxismo,
psicanalisi. I temi de Gli indifferenti' si ripeteranno poi nei romanzi
successivi, i personaggi chiave presenteranno le stesse caratteristiche
esistenziali, anche se di volta in volta sono calati in ambienti e situazioni
storiche diverse. Queste caratteristiche comuni permettono di raggruppare i
personaggi moraviani in due schiere opposte: vinti e vincitori. Alla schiera
dei vinti appartengono quelli che sono destinati allo scacco, che tentano in
modo spesso velleitario di ribellarsi al destino: di questo gruppo Michele,
protagonista de Gli indifferenti", è il capostipite, ma anche Luca de La
disubbidienza e Mino de La Romana hanno le stesse caratteristiche. All'altro
gruppo appartengono invece i personaggi che accettano la vita senza farle il
processo e che proprio per questo risultano alla fine vincitori o per lo meno non
del tutto sconfitti: sono personaggi che non possono fallire, perchè manca loro
un impegno, un progetto di vita: caratteristica di questa schiera è
Mariagrazia, la madre de Gli indifferenti . Ma soffermiamoci ora su questo
concetto di indifferenza, così caratteristico della narrativa moraviana: per lo
scrittore indifferenza non è una stoica forma di saggezza di fronte alla vita,
ma è la degradazione dell'uomo che rassegnato e sconfitto, rinuncia a vivere.
Indifferenza è dunque inerzia morale, incapacità di vivere, superficialità con
cui la società borghese si pone nei confronti dei problemi dell'esistenza, dei
valori più veri e profondi insiti nell'uomo. Nel primo capitolo del romanzo
Moravia ci propone subito un esercizio di stile che mostra le caratteristiche
del suo modo di raccontare: egli ci descrive minuziosamente, in modo quasi
pedantesco, l'interno borghese della villa ai Parioli in cui si svolge quasi
interamente la storia; ci familiarizziamo così con le luci e le ombre, gli
oggetti, i gingilli e tutto ciò che capita sotto gli occhi della protagonista,
Carla, che è la prima dei cinque personaggi del romanzo in cui ci imbattiamo;
immediatamente dopo avviene la scena dell'approccio di Leo con Carla, figlia
della sua amante Mariagrazia, la padrona di casa. Già dal concitato dialogo che
avviene in un punto buio del salotto fra Leo e Carla siamo informati del dramma
della ragazza: essa detesta la sua vita e vorrebbe cambiarla. Leo le propone
dunque un cambio radicale, invitandola ad andare da lui: Carla lo respinge
apparentemente, ma l'autore ci informa dei pensieri di Carla, attraverso il suo
monologo interiore: Perchè rifiutare Leo? Non è peggio nè meglio degli
altri". La scena è bruscamente interrotta da un tintinnìo della porta a
vetri che introduce la madre: essa avanza con passo malsicuro: Nell'ombra la
faccia immobile dai tratti indecisi e dai colori vivaci pareva una maschera
stupida e patetica": questa è la prima descrizione che M. dà del
personaggio, ed è subito chiaro quale ruolo gli attribuisce nel romanzo.
Comincia a questo punto una banale conversazione fra i tre in cui si progetta
cosa fare della serata; la madre esclude la commedia di Pirandello, 'I sei
personaggi in cerca d'autore , perchè la recita è popolare e quindi non adatta
al loro ceto. Carla ascolta la madre, la insulsa superficialità della sua
conversazione fatta solo di pettegolezzi su comuni amici, di commenti sulla
loro situazione finanziaria, sul loro aspetto fisico, sulla serietà o meno dei
costumi delle donne dell'ambiente. Leo partecipa distrattamente alla banale
conversazione, e Carla avverte dolorosamente cib che ha sempre intuito ma che
ora le si manifesta con drammatica evidenza: Quell'ombra,quella lampada, quelle
facce immobili e stupide...La vita non cambia - pensò - non vuol cambiare.
Avrebbe voluto gridare'. Siamo ormai alla fine del capitolo e M. introduce
finalmente Michele, il fratello di Carla, che entrando nel salotto suggerisce
l'argomento economico che è alla base della storia. Ho saputo che siamo
rovinati....Dovremo cedere la villa in pagamento dell'ipoteca e andarcene senza
un soldo, andarcene altrove". Con queste poche parole Moravia ci dice
molto sul personaggio di Michele, sulla cui bocca le parole chiave del romanzo,
indifferenza e disgusto, ritoneranno quasi ossessivamente. Il secondo capitolo
è uno dei più celebri del libro e si apre con la descrizione di una cena in
famiglia, una delle tante del romanzo. Tutte le descrizioni di pranzi o cene
rispondono ad una esigenza di teatro che costituì l'originario interesse di
Moravia. La descrizione minuziosa della tavola, la puntualizzazione dei colori,
degli odori, risponde, sul piano stilistico, oltre che all'amore per il teatro,
all'esigenza di rimanere all'interno, di non uscire dalla propria classe
sociale, di non cercare fuori, magari nella dimensione popolare, quello che in
questa famiglia borghese è già stato vissuto. Moravia è dunque l'intellettuale
borghese che vuol fare i conti con la sua classe di appartenenza: i personaggi
sono tutti chiusi nelle loro case, isolati, perche misurarsi con l'esterno
significherebbe per loro fallire irrimediabilmente. Questa presa di coscienza
della condizione della propria classe trova sul piano narrativo l'equivalente
linguistico nella frequentissima descrizione di interni, di ambienti
materialmente chiusi. Tutto quello che Moravla vuole raccontare è dentro quelle
case, tutto quello che è fuori, compreso il fascismo, non è che una sorta di
sovrastruttura (cap. VIII, pag.175) Una ventata impetuosa si rovesciò nella
stanza....Chiudi, chiudi - gridava la madre attaccandosi con ambo le mani alla
porta e ridicolmente chinandosi in avanti su due piedi giunti per non bagnarsi
- Fuori ci sono il vento e la pioggia, pericoli lievi ma sconosciuti, dentro ci
sono l'angoscia e l'infedeltà, l'indifferenza e il disgusto, pericoli noti e ai
quali si è abituati. Nel terzo capitolo i personaggi si sono riuniti in
salotto: la madre appare angosciata alla notizia della imminente rovina
economica annunciata; per lei la povertà non pub esistere, essa è meschina ed
arrogante ed ora si vede minacciata negli unici valori in cui si riconosce:
l'oscurità completa la sovrasta. Michele comprende che ci si attende da lui una
reazione indignata, ma egli deve fare violenza a se stesso, deve rompere la
prigione dell'indifferenza, ma non ci riesce. Arriva infine Lisa, amica di
famiglia e vecchia amante di Leo. Essa è una figura grottesca, la descrizione
che Moravia ne fa è patetica e ridicola. Tuttavia il grottesco non è qui come
in Pirandello una analisi che l'uomo fa della propria personalità
contrapponendola alle forme , alle maschere che ad essa danno gli altri uomini
e che è dunque venato di tragedia, ma il grottesco puro e semplice: Lisa è
ridicola e rivela anche nel fisico quella dimensione doppia nella quale si può
leggere l'ambiguità della sua anima e quella dell'ambiente che la circonda. A
questo punto tutti i personaggi sono in scena: la commedia abbozzata nei primi
capitoli si ripeterà monotonamente nei due giorni successivi: Moravia ha scelto
consapevolmente il modulo classico, l'unità aristotelica di tempo e di luogo.
Le conversazioni da salotto, le offese, le punzecchiature, i pranzi (tipico
quello dei ventiquattro anni di Carla), si susseguono con identica ritualità.
Quello stesso giorno Carla accetta di appartarsi con Leo in una dépendance del
parco ma il tentativo di seduzione fallisce: il vomito isterico di Carla è il
sintomo spia del rifiuto inconscio della propria degradazione che poi di fatto
Carla accetterà e vivrà dolorosamente nelle ore successive, con un inesorabile
senso di fatalità. La pioggia intanto batte incessantemente, i protagonisti
sono avvolti in una tetra atmosfera, disgusto, angoscia e indifferenza sono i
sentimenti tra i quali si dibattono come fantocci inerti. Alla fine del pranzo
di compleanno Moravia sottolinea: "Mariagrazia vedeva la miseria, Carla la
distruzione della vecchia vita, Michele non vedeva nulla ed era il più
disperato dei tre. Il capitolo VIII vede la famiglia Ardengo riunita attorno al
pianoforte su cui Carla annuncia che suonerà Bach: questo permette agli altri
personaggi di isolarsi, ciascuno solo con i propri pensieri. Michele sogna una
donna vera, pura, trovare la quale sarebbe per lui la possibilità di rimettere
a posto ogni cosa. Leo vuol trovare una scusa per allontanarsi dalla casa e
portarsi via Carla. Le parole disgusto ed indifferenza sono ripetute di nuovo
per tutto il capitolo. Finalmente finita la serata, dopo che la notte è
cominciata nella villa ormai silenziosa, Carla decide di dar seguito al suo progetto:
Leo l'aspetta fuori, alla pioggia, nella macchina scura (pag.183): l'addio di
Carla alla propria casa, alla propria purezza, alla propria gioventù, è una
citazione del celebre "addio ai monti" di Lucia: dopo, Carla non avrà
più tempo di pensare. I capitoli XIII e XIV vedono protagonista Michele:
l'indifferenza è la sua più insidiosa nemica, ma il suo innato snobismo e il
disprezzo per la vita della massa gli mostrano il pericolo di ridursi ad un
fantoccio, simile al ridicolo manichino che vede riflesso nella vetrina di un
profumiere (pag.278). Il tema del malinteso, della falsità, del soffocamento,
del disgusto, del disagio ritornano ossessivamente nel monologo di Michele.
Pensare è vivere dice Michele, che non riesce ad odiare Leo, ad amare Lisa, a
provare disgusto e compassione per la madre nè affetto per Carla. Annoiato e
triste Michele si abbandona passivamente agli avvenimenti. Da Lisa apprende la
storia di Carla e Leo ma si accorge di rimanere ancora una volta insensibile.
In uno sforzo estremo di vivere e di non vedersii vivere progetta di uccidere
Leo: il paesaggio intorno fa da testimone alla sua mancanza di emozioni o di
rimorsi. Ma quando finalmente spara, la rivoltella si rivela scarica: nel
linguaggio della psicanalisi questo è un atto mancato, il sintomo di un
conflitto inconscio. Michele ha barato con se stesso, quella che doveva essere
una tragedia si è ridotta alla consueta squallida commedia. Leo è un
personaggio vincente nella vita proprio perchè l'accetta per quello che è,
adeguandovisi con astuzia e violenza, senza illusioni e quindi senza
sofferenza: Michele e Carla restano succubi, sono destinati a rimanere estranei
alla vita perchè mancano di fede. Leo offre la situazione riparatoria del
matrimonio per non lasciarsi sfuggire l'affare della villa, e Carla acconsente:
Michele è consapevole che lui e la sorella hanno perso. A1 ritorno a casa
troveranno la madre e Lisa che li attendono per recarsi insieme ad un ballo in
maschera: con la scena della mascherata, che è l'amplificazione del tema della
maschera già accennato nel primo cap. (pag.9) si conclude il romanzo:
"Carla, travestita da Pierrot, aveva il volto nascosto da una mascherina
di raso nero, portava un enorme collare intorno al collo.......sorrideva
misteriosamente . Il processo di alienazione all'interno della coscienza dei
personaggi si è ormai definitivamente esplicitato. Michele, nella sua
autocommiserazione, è diventato anche egli una maschera; Carla, per
sopravvivere, ha bisogno della mascherina di raso che la separi dal resto del
mondo. La dissoluzione dei valori della borghesia raggiunge nelle ultime pagine
del romanzo la sua celebrazione nelle parole di Mariagrazia che ne testimoniano
la totale cecità. Anche i personaggi degli Indifferenti', Michele, Mariagrazia,
Carla, sono eroi negativi, vicini, se pure diversi, dai protagonisti dei
romanzi di Svevo, Pirandello, che Moravia aveva conosciuto profondamente negli
anni solitari della malattia attraverso la lettura dei grandi romanzi: ma egli,
pur facendo tesoro della lezione di Joyce e Proust, oltre ai già citati
Pirandello e Svevo, con grande consapevolezza traccia la nuova strada del
romanzo italiano, che dovrà essere leggibile, adattandosi al confronto con i
nuovi linguaggi del cinema, della radio e della stampa che sempre più
prepotentemente si andavano imponendo. La scrittura e lo stile sono dunque
asciutti, senza preziosismi ma anche privi di cadute di tono. Concludendo, vale
la pena di ricordare che nel 1929 escono anche romanzi importanti come "A
farewell to arms" di Hemingway e "The sound and the fury" di Faulkner.
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