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Dan Brown - IL SIMBOLO PERDUTO 2

letteratura



Dan Brown - IL SIMBOLO PERDUTO 2


Non era la prima volta che Warren Bellamy veniva incappucciato. Come i suoi fratelli di loggia, aveva indossato il copricapo rituale durante l'ascesa ai gradi più alti della massoneria. In tali occasioni, però, si trovava tra amici fidati. Quella sera, invece, era tutt'altra faccenda: lo avevano legato, gli avevano messo un sacchetto sulla testa e lo stavano guidando a spintoni lungo i corridoi del deposito della biblioteca.

Gli agenti avevano cercato di costringerlo con le minacce a dire dove fosse Robert Langdon. Sapendo di non avere più l'età per sopportare certi maltrattamenti, Bellamy aveva risposto subito. Con una bugia.

"Langdon non è mai sceso quaggiù con me!" aveva detto, affannato. "Gli ho suggerito di andare nella balconata e di nascondersi dietro la statua di Mosè. Non so dove sia adesso, però." Doveva essere stato convincente, perché due agenti erano partiti di corsa all'inseguimento. Altri due, invece, erano rimasti lì con lui e lo stavano accompagnando via in silenzio.



Il suo unico sollievo era sapere che Langdon e Katherine stavano portando al sicuro la piramide. Presto Langdon sarebbe stato contattato da una persona che avrebbe potuto offrirgli protezione. 77 puoi fidare. Costui sapeva molte cose riguardo alla piramide massonica e al segreto che nascondeva, ovvero le coordinate di una scala a chiocciola che portava ad antiche conoscenze lì custodite da tempo immemorabile. Bellamy era riuscito a contattarlo mentre scappavano dalla sala di lettura ed era certo che avrebbe compreso il suo breve messaggio.

Mentre gli agenti lo scortavano, incappucciato, per i meandri della biblioteca, Bellamy pensava alla piramide di granito e alla cuspide d'oro che Langdon aveva nella borsa. È passato molto tempo dall'ultima volta in cui quei due oggetti sono stati insieme nella stessa stanza...

Bellamy non avrebbe mai più scordato quella notte travagliata. La prima di molte, per Peter. Lui era stato invitato nella villa dei Solomon in Potomac per il diciottesimo compleanno di Zachary. Per quanto ribelle, il ragazzo era un Solomon e questo comportava che, quella sera, secondo una tradizione familiare, ricevesse la sua eredità. Bellamy era uno dei più cari amici di Peter, oltre che suo fratello massone, e perciò gli era stato chiesto di essere presente. Non era solo al trasferimento di un'ingente somma che avrebbe assistito, tuttavia: l'eredità dei Solomon non consisteva soltanto di denaro.

Bellamy era arrivato presto ed era stato fatto accomodare nello studio privato di Peter. Era un ambiente molto elegante, che profumava di cuoio, fuoco di legna e foglie di tè. Warren era già seduto quando Peter era arrivato con il figlio. Nel vedere Bellamy, Zachary si era rabbuiato. "Cosa ci fa lei qui?"

"Sono venuto in veste di testimone" aveva risposto Bellamy. "Buon compleanno."

Il ragazzo, magrissimo, aveva borbottato qualcosa e si era girato dall'altra parte.

"Siediti, Zach" aveva detto Peter.

Zachary aveva preso posto sull'unica sedia di fronte all'imponente scrivania in legno del padre. Solomon aveva chiuso a chiave la porta, mentre Bellamy si era accomodato un po' in disparte.

Solomon si era rivolto al figlio in tono molto serio. "Sai perché sei qui?"

"Credo di sì" aveva risposto Zachary.

Solomon aveva fatto un lungo respiro. "So che non andiamo molto d'accordo, Zach, ma ho cercato di essere un buon padre e di prepararti a questo momento."

Zachary era rimasto in silenzio.

"Come sai, tutti i Solomon, raggiunta la maggiore età, ricevono ciò che spetta loro di diritto alla nascita, ovvero una fetta del Patrimonio di famiglia. La tradizione vuole che sia un seme... da curare, far germogliare e usare per il bene dell'umanità."

Solomon si era avvicinato alla cassaforte a muro, l'aveva aperta e aveva preso una spessa cartellina nera. "Qui c'è tutto quello che serve per trasferire legalmente il lascito che ti spetta in un conto a tuo nome." Aveva posato la cartellina sulla scrivania. "Dovrai usare questo denaro per costruirti una vita produttiva e prospera, e per aiutare il prossimo."

Zachary aveva allungato la mano per prendere la cartellina. "Grazie."

"Aspetta" lo aveva fermato il padre, posandoci la mano sopra. "Prima ti devo spiegare una cosa."

Zachary gli aveva lanciato un'occhiataccia ed era tornato ad accasciarsi sulla sedia in modo scomposto.

"Ci sono aspetti dell'eredità dei Solomon di cui ancora non sei al corrente." Peter lo guardava negli occhi. "Sei diventato maggiorenne, e questo significa che hai il diritto di scegliere."

Il ragazzo aveva alzato la testa, incuriosito.

"È una scelta determinante per il tuo futuro, per cui vorrei che ci riflettessi con grande serietà."

"Tra cosa devo scegliere?"

Il padre aveva preso fiato prima di rispondere: "Tra ricchezza e saggezza".

Zachary l'aveva guardato senza capire. "Tra ricchezza e saggezza?"

Solomon si era alzato in piedi, era tornato alla cassaforte e aveva preso una pesante piramide di granito, su cui erano incisi simboli massonici. Poi l'aveva posata sulla scrivania, accanto alla cartellina nera. "Questa piramide è molto antica e da generazioni la nostra famiglia ha il privilegio di custodirla."

"Una piramide?" Zachary non sembrava particolarmente entusiasta.

"Figliolo, questa piramide è una mappa... una mappa che rivela l'ubicazione di uno dei più grandi tesori nascosti dell'umanità. Il suo scopo è consentire che un giorno questo tesoro venga riscoperto." Nella voce di Peter c'era una nota di orgoglio. "E stasera, nel rispetto della tradizione, io la offro a te... a certe condizioni."

Zachary l'aveva guardata sospettoso. "Che tesoro è?"

Bellamy aveva intuito che Peter non si aspettava quella domanda tanto rozza. Lui, però, era rimasto imperturbabile.

"Zachary, è difficile da spiegare... Ma questo tesoro, in pratica, è... ciò che chiamiamo gli antichi misteri."

Zachary era scoppiato a ridere. Forse pensava che suo padre stesse scherzando.

Bellamy si era accorto che Peter era sempre più sconfortato.

"È difficile da spiegare, Zach. Per tradizione, quando un Solomon compie diciotto anni, è in procinto di intraprendere un cammino di studio e di..."

"Te l'ho già detto: non voglio andare all'università!" lo aveva interrotto Zachary.

"Non intendevo l'università" aveva ribattuto il padre senza perdere la calma. "Parlavo della massoneria e dello studio dei grandi misteri dell'umana scienza. Se tu avessi intenzione di entrare nella fratellanza, verresti edotto sull'importanza del passo che stai per compiere."

Zachary aveva alzato gli occhi al cielo. "Ti prego, risparmiami l'ennesimo predicozzo sulla massoneria. So che sono l'unico Solomon a non esserci voluto entrare. E allora? Non capisci che non me ne frega niente di mascherarmi insieme a un gruppo di vecchi rimbambiti?"

Suo padre era rimasto a lungo in silenzio, e Bellamy aveva n 757f53h otato che intorno agli occhi ancora giovanili gli si stavano formando rughe sottili.

"Sì, capisco" aveva risposto Peter dopo un po'. "I tempi sono cambiati. Mi rendo conto che la massoneria ti possa sembrare strana, e persino noiosa. Ma voglio che tu sappia che quella porta sarà sempre aperta per te, nel caso cambiassi idea."

"Non contarci troppo" aveva ribattuto il ragazzo.

"Adesso basta!" Peter, spazientito, si era alzato in piedi. "Lo so che hai avuto i tuoi problemi, ma io non posso essere l'unico punto di riferimento per te. Ci sono molte persone fidate che ti aspettano e che sarebbero felici di accoglierti nella fratellanza per mostrarti il tuo vero potenziale."

Zachary aveva lanciato un'occhiata all'amico di suo padre, ridacchiando. "È per questo che lei è qui, signor Bellamy? Per accalappiarmi?"

Bellamy era rimasto zitto e aveva riportato lo sguardo su Peter per ricordare a Zachary chi fosse a comandare lì dentro, e lui aveva fatto altrettanto.

"In questo modo non arriviamo da nessuna parte, Zach" aveva detto Peter. "Mettiamola così: che tu comprenda o no le responsabilità che ti vengono offerte stasera, è un mio dovere proporti la scelta." Aveva indicato la piramide. "Custodire la piramide è un grande onore. Vorrei che riflettessi su questa opportunità prima di prendere una decisione."

"Da quando in qua fare la guardia a un sasso è un'opportunità?"

"In questo mondo ci sono misteri di insondabile profondità, Zach" aveva detto Peter con un sospiro. "Segreti che tu neanche immagini. Questa piramide li protegge, e un giorno, quando verrà decifrata, probabilmente nel corso della tua vita, essi verranno rivelati. Ciò porterà a una grande trasformazione per l'uomo... e tu puoi avere un ruolo in questo evento straordinario. Voglio che ci pensi bene, Zach. La ricchezza è di molti, la saggezza di pochi." Aveva indicato la cartellina, poi la piramide. "Ricorda che la ricchezza, senza saggezza, spesso porta alla rovina."

Zachary lo guardava come se fosse impazzito. "Avrai anche ragione, papà, ma non esiste che io rinunci alla mia eredità per 'sta cosa" aveva detto indicando la piramide.

Peter aveva incrociato le braccia. "Se sceglierai di accettare questa responsabilità, io conserverò per te sia la piramide sia il denaro finché non avrai completato la tua istruzione nella massoneria. Ci vorranno anni, ma un giorno sarai maturo per ricevere entrambe. Saggezza e ricchezza. Una miscela portentosa."

"Cristo!" era sbottato Zachary. "Non ti arrendi mai, eh, papà? Non capisci che non me ne frega niente dei massoni, delle loro piramidi e dei loro antichi misteri?" Aveva allungato la mano e preso la cartellina nera, sventolandola sotto il naso del padre. "Io ho diritto a questo, come tutti gli altri Solomon prima di me! Non posso credere che tu abbia cercato di fregarmi l'eredità con delle stupide mappe del tesoro!" Si era messo la cartellina sotto il braccio ed era uscito.

"Zachary, aspetta!" Peter gli era corso dietro. "Qualunque cosa tu decida, ricorda che non dovrai parlare con nessuno della piramide che hai visto!" Gli si era incrinata la voce. "Con nessuno, capito? Mai!"

Ma Zachary lo aveva ignorato ed era scomparso nel buio.

Solomon era tornato alla scrivania e si era seduto sulla poltrona di pelle, gli occhi grigi pieni di rammarico. Dopo un lungo silenzio, aveva alzato lo sguardo e, con un sorriso forzato, aveva detto: "Poteva andare peggio"

Anche Bellamy era addolorato. "Peter, non vorrei infierire, ma... ti fidi di Zachary?"

Solomon fissava il vuoto.

"Voglio dire..." aveva insistito Bellamy. " Siamo sicuri che non parlerà della piramide?"

Solomon aveva lo sguardo assente. "Non ne ho idea, Warren. Non lo riconosco più."

Bellamy si era alzato e aveva camminato avanti e indietro per un po'. "Peter, hai fatto il tuo dovere come vuole la tradizione di famiglia, ma ora, alla luce di quello che è successo, penso sia il caso di prendere alcune precauzioni. Ti restituirò la cuspide, in maniera che tu possa affidarla a qualcun altro."

"Perché?" aveva domandato Solomon.

"Se Zachary dovesse mai lasciarsi sfuggire della piramide... e che io ero presente stasera.. '

"Non sa della cuspide ed è troppo immaturo per comprendere il valore della piramide. Non occorre che le affidiamo a qualcun altro. Io continuerò a tenere la piramide nella mia cassaforte e tu terrai la cuspide dove l'hai sempre conservata. Resterà tutto come prima."

Alcuni giorni dopo l'irruzione dell'assassino di Zachary in casa Solomon, sei anni più tardi, Peter aveva convocato Bellamy nel suo studio. Aveva preso la piramide dalla cassaforte e l'aveva posata sulla scrivania. "Avrei dovuto darti ascolto."

Bellamy sapeva che Peter era roso dai sensi di colpa. "Non sarebbe cambiato niente."

Solomon aveva sospirato. "Hai portato la cuspide?"

Bellamy aveva tirato fuori dalla tasca un pacchetto. Era a forma di cubo, avvolto in carta marrone sbiadita e legato con un cordino. Recava il sigillo dell'anello dei Solomon. Bellamy l'aveva posato sulla scrivania e aveva pensato che le due metà della mappa erano troppo vicine l'una all'altra, quella sera. "Trova qualcun altro a cui affidarla. E non dirmi il suo nome"

Solomon aveva annuito.

"Conosco un luogo adatto a nascondere la piramide" aveva aggiunto Bellamy, suggerendo il sotterraneo del Campidoglio. "Non c'è posto più sicuro, a Washington."

Solomon si era dichiarato subito d'accordo, perché anche dal punto di vista simbolico non c'era luogo migliore del centro della nazione. Tipico di Solomon, aveva pensato Bellamy, essere idealista anche nei momenti di crisi.

Erano passati dieci anni da allora, e quella sera Bellamy, spintonato nei labirinti della Biblioteca del Congresso, stava vivendo una nuova crisi. Aveva scoperto a chi Solomon aveva affidato la cuspide e sperava con tutto il cuore che Robert Langdon si rivelasse all'altezza.


Mi trovo sotto Second Street.

Langdon teneva gli occhi chiusi mentre il nastro lo trasportava verso il John Adams Building. Cercava di non pensare alle tonnellate di terra sopra la sua testa e allo stretto cunicolo nel quale era costretto. Sentiva il respiro di Katherine a pochi metri da lui. Fino a quel momento, la donna non aveva detto una parola.

E' sotto shock. Langdon non aveva il coraggio di rivelarle che suo fratello aveva perso una mano. Glielo devi dire, Robert. È giusto che lo sappia.

«Katherine?» la chiamò dopo un po', senza aprire gli occhi. «Stai bene?»

Gli rispose una voce tremula, che pareva provenire dall'oltretomba. «Robert? La piramide che hai nella borsa... è di Peter, vero?»

«Sì» rispose Langdon.

Seguì un lungo silenzio. «Io credo che... mia madre sia stata uccisa per quella piramide.»

Langdon non conosceva le circostanze esatte della morte di Isabel, e Peter non aveva mai accennato alla piramide in sua Presenza. «Non so di cosa parli, Katherine.»

Lei gli raccontò con voce commossa i particolari dell'assassinio di sua madre. «È passato molto tempo, ma ricordo benissimo che quello sconosciuto voleva una piramide. Disse che aveva saputo della sua esistenza da mio nipote Zachary, in prigione... E che era stato lui ad ammazzarlo.»

Langdon ascoltò sconcertato quel tragico racconto, che aveva dell'incredibile.

Katherine gli spiegò che aveva sempre creduto che l'uomo fosse morto, invece poche ore prima, quel pomeriggio, era riapparso. Si era fatto passare per lo psichiatra di Peter e l'aveva attirata con l'inganno a casa sua. «Conosceva dettagli molto intimi, sapeva della morte di mia madre e persino del mio lavoro» disse angosciata. «Erano cose che poteva avergli riferito solo Peter e così... mi sono fidata di lui. Ecco perché è riuscito a entrare nello Smithsonian Museum Support Center.» Fece un respiro profondo e gli rivelò che le aveva distrutto il laboratorio.

Langdon l'ascoltava scioccato. Per un po' rimasero in silenzio, ma lui sapeva di doverle dire di suo fratello. La prese alla lontana: le spiegò che Peter gli aveva affidato un pacchetto diversi anni prima e che qualcuno gli aveva fatto credere di doverlo portare a Washington quella sera. Alla fine, le raccontò che nella Rotonda del Campidoglio era stata trovata la mano destra di suo fratello.

Katherine reagì con un silenzio carico di emozione.

Langdon intuiva che era sconvolta e avrebbe voluto consolarla, ma non era facile in quella situazione. «Sono certo che se la caverà» sussurrò. «È vivo: lo troveremo.» Cercò di infonderle un po' di speranza. «Il suo rapitore mi ha promesso di non ucciderlo... se io risolverò per lui l'enigma della piramide.»

Katherine continuava a stare in silenzio.

Langdon riprese a parlare. Le disse della piramide di granito, dell'iscrizione cifrata, della cuspide e del fatto che, secondo Bellamy, si trattava della leggendaria piramide massonica, una sorta di mappa capace di condurre a una lunga scala a chiocciola che scendeva per decine di metri verso un antico tesoro mistico sepolto lì a Washington da tempo immemorabile.

Alla fine Katherine parlò con voce piatta e priva di emozione. «Robert, apri gli occhi.»

Aprire gli occhi? Langdon non aveva nessuna voglia di vedere quanto era angusto lo spazio in cui si trovava.

«Robert!» insistette Katherine in tono più perentorio. «Apri gli occhi! Siamo arrivati.»

Langdon sollevò le palpebre e vide che il nastro lo stava portando finalmente fuori del tunnel, passando per un buco nel muro simile a quello sotto la sala di lettura. Katherine stava già scendendo dal tapis roulant. Prese la borsa e aspettò che Langdon si mettesse seduto e saltasse a sua volta sul pavimento di mattonelle, appena prima che il nastro trasportatore girasse e ritornasse indietro. Si trovavano in una stanza molto simile a quella da cui erano partiti. Una targhetta diceva: JOHN ADAMS BUILDING: SALA DI DISTRIBUZIONE NUMERO 3.

A Langdon pareva di aver rivissuto l'esperienza della nascita. Si voltò verso Katherine. «Stai bene?»

Lei aveva gli occhi rossi ed era chiaro che aveva pianto, ma annuì con risoluto stoicismo. Prese la borsa di Langdon e, senza dire una parola, attraversò la stanza fino a un tavolo ingombro di fogli. Vi posò sopra la borsa e, dopo avere acceso l'alogena, aprì la zip e guardò dentro.

Ammirò l'austera piramide di granito alla luce della lampada. Passò le dita sull'iscrizione massonica e Langdon si rese conto che era emozionata. Poi, lentamente, infilò la mano nella borsa ed estrasse il pacchetto. Lo avvicinò alla luce e lo esaminò con attenzione.

«Come vedi, il sigillo sulla ceralacca è quello dell'anello di Peter» spiegò Langdon. «Mi ha confidato che è stato usato oltre cent'anni fa per chiudere questo pacchetto.»

Katherine non replicò.

«Quando me lo ha affidato, mi ha detto che mi avrebbe dato il potere di creare ordine dal caos. Non so bene che cosa intendesse, ma penso che la cuspide abbia un grande valore, perché Peter mi ha raccomandato di non permettere che finisca in cattive mani. Me l'ha ripetuto anche Bellamy, esortandomi a nascondere la piramide e a non lasciare che il pacchetto venga aperto.»

Katherine si voltò, infuriata. «Bellamy ti ha chiesto di non aprire il pacchetto?»

«Sì. E ha insistito molto.»

Katherine non riusciva a crederci. «Ma non mi hai detto che la cuspide è la chiave per decifrare l'iscrizione sulla piramide?»

«Probabilmente sì.»

Katherine alzò la voce. «E il rapitore di Peter ti ha ordinato di risolvere l'enigma, altrimenti non lo avrebbe lasciato libero, giusto?»

Langdon annuì.

«Allora perché non apriamo il pacchetto e non proviamo subito a decifrare l'iscrizione?»

Langdon non sapeva cosa rispondere. «Ho avuto la tua stessa reazione, Katherine, ma Bellamy mi ha detto che preservare il segreto è più importante di qualsiasi altra cosa... anche della vita di tuo fratello.»

Katherine assunse un'espressione dura e si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Per questa piramide ho perso tutta la mia famiglia» dichiarò in tono deciso. «Prima Zachary, poi mia madre e adesso anche mio fratello. E diciamocelo, Robert, se non mi avessi chiamato per avvertirmi, stasera...»

Langdon si sentiva fra l'incudine e il martello: da una parte c'era la logica di Katherine e dall'altra le accorate suppliche di Bellamy.

«Sono una scienziata, ma appartengo a una famiglia di massoni» proseguì Katherine. «Credimi, ho sentito parlare mille volte della piramide massonica e della sua promessa di un tesoro capace di illuminare l'umanità. Onestamente, non credo che esista davvero. Se esiste, però... forse è venuta l'ora di svelarlo.» E infilò un dito sotto il cordino.

Langdon fece un salto. «No, Katherine! Aspetta!»

Lei esitò, ma non tolse il dito. «Robert, non intendo lasciare che mio fratello muoia per questo. Qualsiasi cosa ci possa dire la cuspide, che ci conduca o no a tesori nascosti, questa storia deve finire. Stasera.»

Con aria di sfida, tirò il cordino e spezzò il fragile sigillo di ceralacca.


In una zona tranquilla vicino al quartiere delle ambasciate, a Washington, c'è un giardino in stile medievale, protetto da mura di pietra, con rose che si dice nascano da una specie risalente al dodicesimo secolo. Fra i sentieri lastricati di pietre provenienti dalla cava privata di George Washington, si erge la Shadow House, un gazebo in quarzite di Carderock.

Il silenzio del giardino, quella notte, fu infranto da un giovane che superò di corsa il cancello di legno, chiamando a gran voce.

«C'è nessuno?» gridava, scrutando nella notte illuminata dal chiarore della luna.

La voce che gli rispose era fievole e a malapena udibile. «Sono nel gazebo... Prendevo una boccata d'aria.»

Il giovane trovò il suo anziano superiore seduto sulla panchina di pietra, con un plaid sulle spalle. Magrissimo, con la schiena curva, sembrava un elfo. L'età lo aveva ingobbito e privato della vista, ma il suo animo restava forte e risoluto.

Il giovane, che aveva il fiatone, gli disse: «Ho appena... ricevuto... una telefonata... dal suo amico... Warren Bellamy».

«Oh.» Il vecchio alzò il viso, incuriosito. «Cosa voleva?»

«Non me lo ha detto, ma aveva molta fretta. Mi ha riferito di averle lasciato un messaggio in segreteria telefonica. Si è raccomandato che lei lo ascolti il prima possibile.»

«E non ha aggiunto altro?»

«Be', veramente...» Il giovane fece una breve pausa. «Mi ha chiesto di farle una domanda.» Una domanda stranissima. «E ha bisogno di una risposta immediata.»

Il vecchio si avvicinò. «Che domanda?»

Quando gliela riferì, il giovane vide che il suo superiore impallidiva. Si tolse il plaid dalle spalle e si alzò faticosamente in piedi.

«Aiutami a rientrare. Presto.»


Basta segreti, pensò Katherine Solomon.

Sul tavolo davanti a lei erano sparsi i pezzi del sigillo dì ceralacca che per generazioni aveva protetto il prezioso pacchetto di suo fratello. Tolse la carta marrone sbiadita che lo avvolgeva. Langdon la osservò, a disagio.

Dentro c'era una piccola scatola di pietra grigia, un cubo di granito levigato, senza cerniere, senza chiusure, apparentemente inaccessibile. A Katherine vennero in mente le scatole rompicapo giapponesi.

«Sembra tutta d'un pezzo» disse passando le dita sui bordi. «Sei sicuro che ai raggi X risultasse cava e con la cuspide di una piramide dentro?»

«Sicurissimo» rispose Langdon avvicinandosi a Katherine per osservare la scatola misteriosa. La guardarono da ogni angolazione cercando un modo per aprirla.

«Ho capito!» esclamò a un certo punto Katherine. Aveva trovato con l'unghia una minuscola fessura lungo uno spigolo. Posò il cubo sul tavolo e fece leva: il coperchio si alzò facilmente, come in un portagioie.

Rimasero senza fiato: l'interno della scatola pareva brillare di luce propria, quasi innaturale.

Katherine non aveva mai visto un blocco d'oro massiccio di quelle dimensioni. Le ci volle un momento prima di rendersi conto che il metallo prezioso rifletteva la luce della lampada.

«Spettacolare!» sussurrò. Sebbene fosse rimasta chiusa in una scatola di pietra per oltre un secolo, la cuspide non era né sbiadita né annerita. L'oro resiste al decadimento entropico. Anche per questo gli antichi gli attribuivano virtù magiche. Con il batticuore, si chinò ad ammirarla. «C'è un'iscrizione.»

Langdon si avvicinò sfiorandole una spalla. Nei suoi occhi azzurri brillava una luce di curiosità. Spiegò a Katherine l'antica pratica greca del symbolon - un oggetto spezzato in due parti - e le disse che la piramide era sempre stata tenuta lontana dalla sua cuspide perché solo riunendole si sarebbe potuta decifrare la scritta. L'iscrizione sulla cuspide avrebbe portato ordine nel caos.

Katherine avvicinò ulteriormente la scatola alla luce e guardò meglio.

Benché minuscola, l'iscrizione era visibilissima: una frase elegantemente incisa su una faccia della cuspide. Katherine la lesse.

E poi la rilesse.

«No!» esclamò. «Non può essere!»


Dall'altra parte della strada, il direttore Sato usciva dal Campidoglio e correva verso First Street. Il rapporto che aveva appena ricevuto dalla sua squadra era inaccettabile: Langdon era sparito, insieme con la piramide e la cuspide. Bellamy era stato catturato, però si rifiutava di parlare. Fino a quel momento, i suoi uomini non erano riusciti a fargli dire la verità.

Ci riuscirò io.

Si voltò un attimo verso il nuovo scorcio sul Campidoglio: la cupola illuminata vista sullo sfondo dell'appena inaugurato centro visitatori. Le ricordò l'importanza della posta in gioco quella sera. Sono tempi pericolosi.

Sentì partire la suoneria del cellulare e tirò un sospiro di sollievo nel vedere il nome sul display.

«Nola, cos'hai scoperto?» rispose.

L'analista Nola Kaye le diede la cattiva notizia: nelle radiografie l'iscrizione sulla cuspide della piramide risultava troppo sfocata e nessun filtro era in grado di migliorare sufficientemente l'immagine.

Merda. Inoue Sato si morse un labbro. «E la griglia di sedici lettere?»

«Ci sto ancora lavorando» rispose Nola. «Finora non ho trovato nessuno schema di criptazione applicabile. Ho lanciato un programma per riordinare le lettere della griglia in tutti i modi possibili, che però sono oltre venti trilioni.»

«Continua a lavorarci. E fammi sapere.» Sato chiuse la comunicazione, scura in volto. La speranza di riuscire a decifrare la piramide attraverso foto e radiografie stava sfumando. Ho bisogno di quella piramide e della sua cuspide... e al più presto!

Arrivò in First Street proprio mentre un suv Escalade nero con i finestrini oscurati superava la doppia linea continua per andare a inchiodare davanti al punto in cui si erano dati appuntamento. Scese un agente.

«Notizie di Langdon?» gli chiese Sato.

«Siamo fiduciosi» rispose l'uomo, calmissimo. «Sono appena arrivati i rinforzi e tutte le uscite della biblioteca sono sorvegliate. Abbiamo chiesto supporto aereo. Lo bombarderemo di gas lacrimogeno e gli taglieremo qualsiasi via di fuga.»

«E Bellamy?»

«È sul sedile dietro. Legato.»

Bene. La spalla le faceva ancora male.

L'agente le porse una busta trasparente con un cellulare, un mazzo di chiavi e un portafoglio. «Gli effetti personali di Bellamy.»

«Nient'altro?»

«Nossignora. La piramide e il pacchetto devono essere rimasti a Langdon.»

«Okay» replicò il direttore dell'OS. «Bellamy sa, ma non vuole parlare. Lo interrogherò personalmente.»

«Sissignora. Lo porto a Langley, allora?»

Inoue Sato fece un sospiro e iniziò a camminare avanti e indietro. I protocolli relativi agli interrogatori di privati cittadini americani erano rigidissimi: la legge non le consentiva di parlare con Bellamy se non a Langley con registrazione video, in presenza di testimoni, avvocati eccetera eccetera. «No» rispose cercando di farsi venire in mente un posto più vicino. E più riservato.

L'agente non replicò e rimase accanto alla macchina con il motore acceso, in attesa di ordini.

Sato si accese una sigaretta, aspirò una lunga boccata di fumo e guardò la busta che conteneva gli effetti personali di Bellamy. Nel mazzo c'era anche una chiave elettronica con la scritta USI3G.

Sato capì subito a quale istituzione pubblica desse accesso quella chiave. Era vicina e, a quell'ora, assolutamente deserta.

Sorrise e si infilò la chiave in tasca. Perfetto.

Si aspettava che l'agente rimanesse sorpreso nel sentire dove intendeva portare Bellamy, invece questi si limitò ad annuire. Impassibile, le aprì la portiera.

Sato apprezzava la professionalità.


Langdon era nei sotterranei del John Adams Building e guardava incredulo le parole elegantemente incise su una faccia della cuspide d'oro.

Tutto qui?

Katherine, accanto a lui, teneva la cuspide sotto la luce e scuoteva la testa. «Ci deve essere qualcos'altro» insisteva. Si sentiva tradita. «E mio fratello ha custodito questa cosa per anni?»

Neanche Langdon capiva: Peter Solomon e Warren Bellamy dicevano che la cuspide consentiva di risolvere l'enigma della piramide e lui si aspettava qualcosa di più illuminante, di più utile. Qualcosa di meno ovvio e banale.

Lesse le sei parole delicatamente incise sulla faccia della cuspide:

Il
segreto si cela
dentro L'Ordine


Il segreto si cela dentro L'Ordine


A prima vista, sembrava un'ovvietà: le lettere della piramide erano in disordine e il segreto stava nel trovare la giusta sequenza. Ma quella lettura, oltre che essere lapalissiana, era improbabile anche per un altro motivo. «"L'Ordine", con la "L" e la "O" maiuscole» fece notare Langdon.

Katherine annuì. «Sì, ho visto.»

Il segreto si cela dentro L'Ordine. Langdon vedeva un'unica soluzione logica. «L'Ordine deve essere quello massonico.»

«Sì, lo penso anch'io» rispose Katherine. «Ma non mi sembra che saperlo ci sia molto utile.»

Langdon dovette convenirne. Dopotutto, era ovvio che il segreto di una piramide massonica fosse nascosto all'interno della massoneria.

«Robert, Peter non ti aveva detto che grazie a questa cuspide saresti stato in grado di vedere ordine dove gli altri vedono solo caos?»

Langdon annuì. Era frustrato e, per la seconda volta quella sera, si sentiva un inetto.


Mal'akh finì di occuparsi della sua ospite inattesa, una guardia giurata della Preferred Security, e ritoccò la vernice sul vetro attraverso il quale l'intrusa aveva visto il suo sacro laboratorio.

Uscì dallo scantinato e salì la rampa che conduceva alla porta segreta del soggiorno. Si fermò un istante ad ammirare lo spettacolare dipinto delle Tre Grazie e ad assaporare gli odori e i suoni della sua casa.

Presto me ne andrò per sempre. Mal'akh sapeva che non sarebbe mai più tornato in quel posto. Dopo stasera non ne avrò più bisogno. Quel pensiero lo fece sorridere.

Si chiedeva se Robert Langdon avesse compreso il potere della piramide e l'importanza del ruolo che il destino gli aveva assegnato. Non ha ancora chiamato, pensò dopo aver controllato i messaggi sul telefonino. Erano le 22.02. Gli restano meno di due ore.

Salì di sopra, entrò nel bagno di marmo italiano e accese la doccia a vapore. Si tolse i vestiti e cominciò, metodico, il suo rituale di purificazione.

Bevve due bicchieri d'acqua per calmare i morsi della fame e poi andò a guardarsi allo specchio a figura intera. Dopo due giorni di digiuno, la sua muscolatura era ancora più definita. Non potè fare a meno di ammirarsi. All'alba sarò ancora meglio.


«Dobbiamo andarcene da qui» disse Langdon a Katherine. «Non impiegheranno molto a capire dove siamo.» Sperava che Bellamy fosse riuscito a scappare.

Katherine non poteva staccare gli occhi dalla cuspide d'oro. Continuava a leggere l'iscrizione, senza capacitarsi della sua inutilità. L'aveva tirata fuori dalla scatola e l'aveva esaminata da tutti i lati. La rimise al suo posto, facendo attenzione.

Il segreto si cela dentro L'Ordine, pensò Langdon. Bell'aiuto.

Si chiese se Peter avesse capito male: la piramide e la cuspide erano state realizzate molto prima che lui nascesse, e forse si era limitato a fare ciò che i suoi antenati gli avevano detto, ovvero custodire un segreto tanto misterioso per lui quanto per sua sorella e per Langdon.

Che cosa mi aspettavo? Più cose apprendeva riguardo alla leggenda della piramide massonica, meno gli appariva plausibile. Sto cercando una scala a chiocciola nascosta, coperta da una grande pietra? Gli pareva di dare la caccia alle ombre. D'altra parte, risolvere l'enigma della piramide sembrava l'unico modo per salvare Peter.

«Robert? Ti dice qualcosa la data 1514?»

Langdon si strinse nelle spalle. Gli sembrava una domanda futile. «No. Perché?»

Katherine gli porse il cubo di pietra. «Guarda. La scatola è datata. Vieni qui alla luce.»

Langdon si sedette alla scrivania e studiò la scatola. Katherine gli posò una mano sulla spalla e si chinò a indicargli la minuscola iscrizione che aveva trovato su una faccia esterna del cubo, nell'angolo in basso.

«C'è scritto: "1514 AD".»

L'iscrizione recava in effetti il numero 1514 e una bizzarra sigla stilizzata, formata da una A e da una D.


«Che sia quello che ci mancava per decifrare la mappa?» chiese Katherine speranzosa. «Questo cubo potrebbe simboleggiare una pietra angolare, la prima pietra di una costruzione massonica. Forse è un modo per indicarne una vera, posata nel 1514 Anno Domini... Ti viene in mente un edificio costruito in quell'anno?»

Ma Langdon non l'ascoltava più, immerso nei propri pensieri.

2514 AD non è una data...

Il simbolo era una sigla molto famosa e qualunque storico dell'arte l'avrebbe riconosciuta all'istante. In passato parecchi filosofi, letterati e artisti si firmavano con un monogramma. Era un modo per aggiungere mistero alle loro opere e per proteggersi dalle persecuzioni, nel caso esse avessero suscitato le ire dei potenti.

La A e la D incise sulla scatola di pietra non stavano per Anno Domini... Non era latino, ma tedesco.

Langdon d'un tratto intuì la soluzione e comprese come decifrare l'enigma della piramide. «Sei un genio, Katherine!» esclamò mettendo tutto nella borsa. «Andiamo. Ti spiego strada facendo.»

Katherine era stupefatta. «Dunque quella data ti dice qualcosa?»

Langdon le strizzò l'occhio e si diresse verso la porta. «AD non è una data, Katherine. È una persona.»


Nel giardino protetto da mura vicino al quartiere delle ambasciate, con le rose del dodicesimo secolo e la Shadow House, era tornato il silenzio.

In fondo alla strada di accesso, il giovane aiutava il suo anziano superiore ad attraversare il prato con passo malfermo.

Si lascia guidare da me?

In genere non voleva essere aiutato e preferiva orientarsi a memoria, ma quella sera aveva evidentemente una gran fretta di rientrare e di telefonare a Warren Bellamy.

«Grazie» disse al giovane dopo che. furono entrati nell'edificio dove si trovava il suo studio. «Da qui posso proseguire da solo.»

«Se preferisce che resti e le dia una mano...»

«Per stasera, è tutto» lo congedò il vecchio, lasciandogli il braccio per incamminarsi da solo nel buio. «Buonanotte.»

Il giovane uscì e percorse il giardino per tornare alle proprie modeste stanze. Era roso dalla curiosità. L'anziano superiore si era visibilmente agitato quando lui gli aveva riferito la domanda di Bellamy... Eppure era una domanda strana, quasi senza senso.

Nessuno aiuta il figlio della vedova?

Non riusciva proprio a immaginare che cosa potesse voler dire. Andò al computer e cercò in internet.

Con sua sorpresa, apparvero pagine e pagine di occorrenze. Lesse stupito quelle informazioni e scoprì che Bellamy non era stato il primo a porre quella strana domanda. Erano le parole che re Salomone aveva pronunciato piangendo la morte dell'architetto che aveva costruito il suo tempio, e si diceva che i massoni le usassero come una sorta di richiesta di aiuto cifrata.

Evidentemente Warren Bellamy stava lanciando un appello a un fratello massone.


Albrecht Dürer?

Mentre correva con Langdon per i sotterranei del John Adams Building, Katherine cercava di mettere insieme i pezzi. AD sta per Albrecht Dürer? Il famoso pittore e incisore tedesco del sedicesimo secolo era uno degli artisti preferiti di suo fratello. Katherine conosceva vagamente le sue opere, ma non capiva che utilità potesse avere in quel frangente. Tanto per cominciare, è morto da quasi cinquecento anni...

«Dal punto di vista simbolico, Dürer è perfetto» le stava dicendo Langdon seguendo le indicazioni luminose per l'uscita. «È stata una delle menti più illustri del Rinascimento: artista, filosofo, alchimista, non smise mai di studiare gli antichi misteri. La simbologia nascosta nei suoi lavori non è ancora stata capita appieno.»

«Sarà» fece Katherine. «Ma a cosa ci serve "1514 Albrecht Dürer"? In che modo può aiutarci a risolvere l'enigma della piramide?»

Arrivarono a una porta, che Langdon aprì con la chiave magnetica consegnatagli da Bellamy.

«Il numero 1514 rimanda a un'opera specifica di Dürer» rispose lui, salendo le scale di corsa. In cima, c'era un lungo corridoio. Guardò da una parte e dall'altra e poi fece segno di andare a sinistra. I due ripresero a correre. «Albrecht Dürer nascose il numero 1514 in quella che è forse la sua opera più misteriosa, Melencolia I, completata nel 1514 e considerata uno dei capolavori del Rinascimento tedesco.»

Peter aveva mostrato a Katherine quell'incisione in un vecchio testo esoterico, ma lei non ricordava che ci fosse il numero 1514.

«Come forse sai, Melencolia I raffigura la difficoltà che l'uomo incontra nel cercare di comprendere gli antichi misteri. Il simbolismo dell'incisione è talmente astruso che al suo confronto Leonardo è un libro aperto.»

Katherine si fermò un attimo e guardò Langdon. «Robert, Melencolia I è conservata qui a Washington. È esposta alla National Gallery.»

«Sì» rispose lui con un sorriso. «E qualcosa mi dice che non è una coincidenza. La galleria a quest'ora è chiusa, ma conosco il curatore e...»

«Scordatelo, Robert. Sappiamo tutti che cosa succede quando tu entri in un museo.» Katherine si diresse verso una nicchia con una piccola scrivania e un computer.

Langdon la seguì con aria sconfortata.

«Cerchiamo di facilitarci la vita.» Katherine aveva l'impressione che il professore avesse qualche remora morale a usare internet quando l'originale era così vicino. Si sedette alla scrivania e accese il computer. Quando finalmente lo schermo si illuminò, si rese conto di avere un problema. «Non vedo l'icona di un browser. Questo computer non ha internet.»

«Consentirà l'accesso alla rete interna.» Langdon le indicò un'icona sul desktop. «Prova questo.»

Katherine spostò il cursore sull'icona COLLEZIONI DIGITALIZZATE. Sul monitor apparve un'altra schermata e Langdon le indicò dove cliccare: INCISIONI. Si materializzò una stringa di ricerca.

«Scrivi: "Albrecht Dürer".»

Katherine digitò il nome e cliccò su CERCA. Pochi secondi dopo sullo schermo comparve una serie di piccole immagini tutte nello stesso stile, molto complesse e in bianco e nero. Evidentemente Dürer aveva fatto parecchie incisioni molto simili.

Katherine scorse l'elenco delle sue opere in ordine alfabetico.

Adamo ed Eva

Grande Passione

I quattro cavalieri dell'Apocalisse

L'ultima cena

Tradimento e cattura di Cristo

Vedendo quei titoli, Katherine si ricordò che Dürer aveva subito l'influsso del misticismo cristiano, che riprendeva il primo cristianesimo e lo fondeva con alchimia, astrologia e scienza.

Scienza...

Le tornò in mente la terribile esplosione che aveva distrutto il suo laboratorio. Non era ancora in grado di valutare le conseguenze, ed era in pena per Trish. Spero che sia riuscita a scappare.

Langdon stava dicendo qualcosa a proposito dell'Ultima cena di Dürer, ma Katherine non lo ascoltava. Aveva appena trovato il link di Melencolia I.

Melencolia I, Albrecht Dürer
(xilografia)
Rosenwald Collection
National Gallery of Art
Washington, DC


Katherine scese con il cursore e individuò un'immagine ad alta definizione del capolavoro di Dürer.

Lo guardò stupita: si era dimenticata di quanto fosse strano.

Langdon rise. «Come ti dicevo, è criptico.»

Melencolia I ritraeva una figura con grandi ali seduta con aria imbronciata davanti a una costruzione di pietra, in mezzo a oggetti disparati e bizzarri: una bilancia, un cane scheletrico, attrezzi da falegname, una clessidra, vari solidi geometrici, una campana, un putto, un coltello, una scala a pioli...

Katherine ricordava vagamente che suo fratello le aveva spiegato che la figura alata rappresenta il "genio", il grande pensatore con la testa appoggiata a una mano, sconsolato perché incapace di raggiungere l'illuminazione. Nonostante sia circondato da diversi simboli della ricerca intellettuale, che rimandano a scienza, matematica, filosofia, biologia, geometria e persino architettura, lui non riesce a salire la scala della vera illuminazione. Persino i geni fanno fatica a comprendere gli antichi misteri.

«Dal punto di vista simbolico, quest'opera rappresenta il fallimento del tentativo da parte dell'uomo di accedere a poteri divini. In termini alchemici, l'impossibilità di tramutare il Piombo in oro.»

«Non mi sembra un messaggio particolarmente incoraggiante» disse Katherine. «E continuo a non capire in che modo possa esserci utile.» Non aveva ancora visto il numero 1514 di cui Langdon le aveva parlato.

«Ordine dal caos» replicò Langdon con un sorrisetto. «Proprio come aveva promesso tuo fratello.» Prese dalla tasca la griglia copiata dalla piramide. «Per ora, questa serie di lettere è incomprensibile.» Stese il foglio sul tavolo.


Caos.


Katherine la osservò. Incomprensibile è la parola giusta.

«Dürer però la trasformerà.»

«E come?»

«Alchimia linguistica.» Langdon le indicò lo schermo. «Guarda bene: in questo disegno è nascosta la chiave per comprendere le nostre sedici lettere.» Aspettò un momento, poi aggiunse: «Non lo vedi? Cerca il numero 1514».

Katherine non aveva nessuna voglia di giocare agli indovinelli: non era dell'umore giusto. «Non lo vedo, Robert. Dov'è? Sulla sfera, sulla scala a pioli, sul coltello, sul poliedro, sulla bilancia? Mi arrendo.»

«Sullo sfondo. Guarda. Inciso sul muro della costruzione alle spalle dell'angelo, sotto la campana, c'è un quadrato pieno di numeri.»

Lei lo notò solo in quel momento. Fra i numeri c'erano anche, vicini, il 15 e il 14.

«Katherine, questo quadrato è la chiave per decifrare la piramide!»

Lei lo fissò sbigottita.

«Non è un quadrato normale» replicò Langdon sorridendo. «Questo, dottoressa Solomon, è un quadrato magico.»


Dove diavolo mi stanno portando?

Bellamy era ancora incappucciato nel SUV. Fatta una breve sosta davanti alla Biblioteca del Congresso, l'auto era ripartita e si era fermata di nuovo... un minuto dopo. Doveva aver percorso al massimo un isolato.

Sentì alcune voci sommesse.

«No... impossibile...» diceva qualcuno in tono autoritario. «A quest'ora è chiuso...»

L'uomo alla guida del SUV replicò, altrettanto perentorio: «Indagini... CIA... sicurezza nazionale...». Evidentemente, sia la risposta sia le sue credenziali erano state convincenti, perché il tono cambiò di colpo.

«Sì, certo... entrata di servizio...»

Si udì un rumore come della saracinesca di un garage che si alzava. Una voce chiese: «Vi accompagno dentro? Non vorrei che poi non riusciste a...».

«No, grazie. Abbiamo la chiave.»

Se la guardia era rimasta sorpresa, ormai era troppo tardi per protestare: il S U V era ripartito. Dopo una cinquantina di metri, si fermò. La saracinesca si richiuse.

Silenzio.

Bellamy si rese conto di tremare.

La portiera si aprì e Bellamy si sentì afferrare sotto le ascelle e trascinare giù dalla macchina. Senza dire una parola, i suoi sequestratori lo fecero avanzare in uno spazio vuoto, dove c'era uno strano odore che lui non riuscì a identificare. Sentiva i passi di un'altra persona, che però non aveva ancora aperto bocca.

Si fermarono e Bellamy udì il rumore di una serratura magnetica. Una porta si aprì e lui venne accompagnato lungo una serie di corridoi, sempre più caldi e umidi. Una piscina, forse? No, l'odore non era di cloro. Era molto più... terroso.

Dove mi hanno portato? Sapeva solo che erano vicini al Campidoglio. Si fermarono nuovamente e Bellamy riconobbe il bip di una porta di sicurezza, che un momento dopo si aprì con un sibilo. Si sentì spingere all'interno e riconobbe l'odore, inconfondibile.

Aveva capito dove l'avevano condotto. Mio Dio! Ci andava spesso, anche se non passava mai dall'entrata di servizio. La splendida costruzione tutta vetri era a soli trecento metri dal Campidoglio e faceva parte del complesso. È sotto la mia responsabilità! In quel momento si rese conto che avevano usato la sua chiave.

Lo fecero camminare lungo un tortuoso percorso che conosceva molto bene. Il caldo umido di quel luogo in genere gli piaceva, ma quella sera gli sembrava soffocante. Era tutto sudato.

Che cosa siamo venuti a fare qui?

A un certo punto si fermarono e lo fecero sedere su una panchina, poi gli tolsero le manette il tempo sufficiente per agganciargliele allo schienale.

«Che cosa volete da me?» chiese Bellamy, con il cuore che gli batteva forte.

Nessuna risposta: solo un rumore di scarpe pesanti sul pavimento e poi lo scorrere di una porta a vetri.

Silenzio.

Silenzio di tomba.

Mi hanno mollato qui? Bellamy provò a liberarsi delle manette dietro la schiena, con il risultato che iniziò a sudare ancora più copiosamente. Non  riesco nemmeno a togliermi il cappuccio!

«Aiuto!» gridò. «Qualcuno mi aiuti!»

Sapeva che nessuno lo avrebbe sentito. Quell'enorme serra, che chiamavano la "Giungla", aveva porte a tenuta stagna.

Mi hanno lasciato nella Giungla! pensò. Non mi troveranno fino a domattina.

Fu in quel momento che lo sentì.

Era un rumore sommesso, ma lo riempì di terrore come mai prima di allora. Qualcuno sta respirando. Incollato a me.

Non era solo, su quella panchina.

Udì il sibilo di un fiammifero, talmente vicino alla faccia che avvertì il calore della fiamma. Si spostò di lato e si fece male ai polsi.

Una mano gli sfiorò la faccia: gli stavano togliendo il cappuccio.

La fiamma illuminò gli occhi scuri di Inoue Sato. Stava accendendo la sigaretta che teneva fra le labbra, a pochi centimetri da lui.

Al chiarore della luna che filtrava attraverso il soffitto a vetrate, la donna gli lanciò un'occhiata gelida. Sembrava godere della sua paura.

«Allora, signor Bellamy» gli disse spegnendo il fiammifero. «Da dove vogliamo cominciare?»


Un quadrato magico. Katherine annuì nel vedere la griglia di numeri nell'incisione di Dürer. Capì che Langdon aveva ragione, anche se molti forse l'avrebbero preso per pazzo.

I quadrati magici non hanno nulla di mistico. Sono un gioco matematico: una tabella di numeri disposti in maniera da dare la stessa somma in tutte le file, in verticale, in orizzontale e in diagonale. Creati quattromila anni fa da matematici egizi e indiani, continuano a essere considerati magici da molte persone. Katherine aveva letto che ancora oggi in India, nei riti puja, si usa disegnare sugli altari quadrati magici di nove numeri, detti "Kubera Kolam". In generale, tuttavia, l'uomo moderno li ha relegati al ruolo di gioco enigmistico, solo per appassionati. Una specie di Sudoku per geni.

Katherine osservò il quadrato di Dürer, calcolando mentalmente.


«Il risultato è 34» dichiarò. «Se sommi i numeri di qualsiasi

«Esattamente» rispose Langdon. «Sapevi che questo quadrato è famoso perché Dürer è riuscito in un'impresa praticamente impossibile?»

Mostrò a Katherine che a dare come risultato 34 non erano soltanto le file orizzontali, verticali e diagonali, ma anche i quattro quadranti in cui poteva essere divisa la tabella, il quadrato formato dai quattro numeri al centro e persino i quattro angoli.

«Per di più, Dürer riuscì anche a mettere in basso al centro i numeri 15 e 14, in modo da datare la sua formidabile impresa.»

Katherine constatò, strabiliata, che era proprio così.

Il tono di Langdon si fece più concitato. «E straordinario che Melancolia I rappresenti il primo quadrato magico mai raffigurato in un'opera d'arte europea. Secondo alcuni storici, per Dürer era un modo un modo per comunicare in maniera cifrata che gli antichi misteri erano usciti dalle scuole egizie ed erano ormai custoditi dalle società segrete europee.» Dopo un attimo di silenzio, aggiunse: «E questo ci riporta a noi».


Indicò il foglio sul quale aveva copiato la sequenza di lettere della piramide.


«Riconosci il modello?» chiese Langdon. «Immagino che ormai ti sarà familiare.»

«Un quadrato quattro per quattro.»

Lui prese una matita e trascrisse il quadrato magico di Dürer di fianco alla griglia di lettere. Katherine capì che a quel punto sarebbe stato semplicissimo.

Langdon si fermò con la matita a mezz'aria: nonostante tutto il suo entusiasmo, esitava.

«Robert?»

Lui la guardò, titubante. «Sei sicura di volerlo fare? Peter ha detto espressamente che...»

«Robert, se non vuoi farlo tu, lo faccio da sola.» E allungò la mano per prendere la matita.

Langdon si arrese, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea. Assegnò a ogni lettera della griglia un numero e le riordinò secondo la sequenza del quadrato magico di Dürer.

Quando ebbe finito, lesse il risultato insieme a Katherine.


Lei rimase un attimo perplessa. «Continua a non avere senso!» Langdon rifletté qualche istante, poi, con gli occhi che gli brillavano, disse: «Veramente non è senza senso, Katherine: è latino».


In un lungo corridoio buio, un anziano cieco avanzava trascinando i piedi verso il proprio studio. Quando finalmente vi arrivò, si lasciò cadere sulla sedia dietro la scrivania, esausto. Premette un tasto e ascoltò il messaggio in segreteria telefonica. "Sono Warren Bellamy" diceva sottovoce il suo amico e fratello. "Ho notizie a dir poco allarmanti..."


Katherine Solomon guardò di nuovo la griglia di lettere e questa volta identificò almeno una parola: Jeova.

Non aveva mai studiato il latino, ma quella parola le era familiare, avendo letto antichi testi ebraici. Jeova. Jehovah. Continuò a leggere e identificò anche le altre due parole.

Jeova sanctus unus.

Capì subito cosa volesse dire. Quelle tre parole ricorrevano numerose volte nelle traduzioni in latino delle scritture ebraiche.


Nella Torah, il Dio d'Israele veniva chiamato in molti modi -Jeova, Jehovah, Jeshua, Yahweh, la Sorgente, l'Elohim -, ma nelle versioni in latino tutti questi nomi erano stati riuniti in un unico appellativo, Jeova sanctus unus.

«Unico vero Dio» sussurrò Katherine fra sé. Non le sembrava che quella scoperta potesse aiutarli a salvare suo fratello. «E questo sarebbe il segreto della piramide? Unico vero Dio? Credevo che dovesse darci delle indicazioni geografiche...»

Anche Langdon era dubbioso e un po' deluso. «La soluzione dell'enigma è giusta, però...»

«L'uomo che tiene prigioniero mio fratello vuole delle coordinate.» Lei si ravviò i capelli sistemandoseli dietro le orecchie. «Non credo che sarà molto contento.»

«Era proprio quello che temevo, Katherine» ammise Langdon con un sospiro. «È tutta la sera che ho la sensazione di stare sbagliando a trattare come reale una serie di miti e allegorie. Forse questa iscrizione conduce a un luogo metaforico... significa che il potenziale dell'uomo si può realizzare appieno soltanto attraverso l'unico vero Dio.»

«Ma non ha senso!» ribatté Katherine. Serrò le labbra. «La mia famiglia custodisce questa piramide da generazioni! Un unico vero Dio? È questo il suo segreto? E la CIA lo considera un problema di sicurezza nazionale? O qualcuno qui mente, oppure a noi sfugge qualcosa.»

Langdon si strinse nelle spalle. Era d'accordo.

In quel momento, gli squillò il cellulare.


In uno studio ingombro di antichi tomi, il vecchio era chino sulla scrivania e stringeva la cornetta nella mano deformata dall'artrosi.

Il telefono suonava e suonava.

Dopo un bel po', rispose una voce profonda ma titubante. «Pronto?»

«So che cerca protezione» sussurrò il vecchio.

L'uomo al telefono sembrava sorpreso. «Chi parla? È stato Warren Bellamy a...»

«Non faccia nomi, per carità» lo interruppe il vecchio. «Mi dica, è riuscito a proteggere la mappa che le è stata affidata?»

La risposta arrivò dopo un attimo. «Sì, ma... non credo sia molto importante. Ammesso che sia davvero una mappa, sembra più metaforica che...»

«No, le assicuro che non è una metafora: indica un luogo preciso. Mi raccomando, faccia in modo che resti al sicuro. Non serve che le dica quanto è importante. La stanno seguendo, ma se riuscirà a raggiungermi senza farsi scoprire, io le darò protezione... e risposte.»

L'uomo esitò.

«Amico mio» disse allora il vecchio, stando attento a come si esprimeva. «Esiste un luogo a Roma, a nord del Tevere, che contiene dieci pietre provenienti dal monte Sinai, una venuta direttamente dal cielo e una che reca le sembianze dell'oscuro padre di Luke. Lei sa di che luogo parlo?»

Dopo un momento di riflessione, l'altro rispose: «Sì, ho capito».

Il vecchio sorrise. Lo immaginavo, professore. «Venga subito. E stia attento a non farsi seguire.»


Mal'akh, nudo sotto la doccia fumante, si sentiva di nuovo puro, ora che si era lavato di dosso l'odore di etanolo. Il vapore profumato all'eucalipto cominciò a penetrargli nella pelle e i pori gli si aprirono, dilatati dal calore. A quel punto cominciò il suo rito.

Prima si cosparse di crema depilatoria il corpo e la testa tatuati per eliminare ogni pelo. Gli dèi delle sette isole Elettridi erano glabri. Poi si massaggiò la pelle così ammorbidita e ricettiva con olio di abramelin. La mirra sacra dei magi. Quindi, con un gesto deciso, ruotò la manopola e l'acqua cominciò a scorrere gelida. Rimase sotto il getto freddissimo per un minuto buono, per far richiudere i pori, in modo da trattenere all'interno il calore e l'energia. Il freddo gli serviva anche a ricordare il fiume gelato in cui aveva avuto inizio la sua metamorfosi.

Quando uscì dalla doccia tremava, ma nel giro di pochi secondi il calore risalì dal profondo verso la superficie e Mal'akh si sentì ardere come una fornace. Andò davanti allo specchio e si ammirò... forse era l'ultima volta in cui si vedeva da semplice creatura mortale.

I suoi piedi erano artigli di falco, le gambe gli antichi pilastri della saggezza -Boaz e Jachin-, i fianchi e l'addome l'arco della potenza mistica da cui pendeva il grande membro virile, che recava tatuati simboli del suo destino esistenziale. In un'altra vita, quella poderosa verga era stata fonte di piacere carnale, ma ora non più.

Sono stato purificato.

Come i mistici monaci eunuchi di Katharoi, Mal'akh si era fatto evirare. Aveva sacrificato la potenza sessuale in cambio di poteri più nobili. Gli dèi sono asessuati. Essendo il sesso un'imperfezione umana, oltre che una tentazione terrena, Mal'akh se ne era liberato, diventando come Urano, Attis, Sporo e i grandi maghi castrati della leggenda arturiana. Ogni metamorfosi spirituale è preceduta da una metamorfosi fisica. Questa era la lezione delle grandi figure divine, da Osiride a Tammuz, a Gesù, Shiva e Buddha.

Devo liberarmi delle mie spoglie umane.

Mal'akh alzò gli occhi di scatto e, al di sopra della fenice a due teste che aveva sul petto e del mosaico di antichi simboli che gli adornavano il volto, si osservò la testa. Si chinò verso lo specchio per guardare il cerchio di cuoio capelluto ancora vergine, in attesa. Quella parte del corpo è sacra. Si chiama "fontanella" e corrisponde all'unico punto in cui, alla nascita, le ossa non sono ancora saldate. Un oculo che dà accesso al cervello. Benché quest'apertura fisiologica si chiuda spontaneamente nei primi mesi di vita, conserva un valore simbolico in quanto traccia della connessione perduta fra il mondo interiore e quello esteriore.

Mal'akh osservò quel cerchio sacro di pelle intatta, delimitata a mo' di corona da un uroboro, il mistico serpente che si morde la coda. La pelle bianca pareva ammiccare, carica di promesse.

Robert Langdon stava per scoprire il tesoro di cui Mal'akh aveva bisogno. A quel punto, lo spazio vuoto sulla sommità del suo capo sarebbe stato riempito e lui sarebbe stato finalmente pronto per la trasformazione finale.

Scalzo, andò a prendere nell'ultimo cassetto del comò una lunga fascia di seta bianca e, come tante altre volte prima di quella sera, se l'avvolse intorno ai glutei e all'inguine come un perizoma. Poi scese al piano di sotto.

Sul computer dello studio era arrivato un messaggio di posta elettronica.

Era del suo contatto.

L'oggetto richiesto è a portata di mano.

Mi metterò in contatto entro un'ora. Ancora un po' di pazienza.


Mal'akh sorrise. Era giunto il momento di fare gli ultimi preparativi.


L'agente della CIA era di pessimo umore quando scese dalla balconata della sala di lettura. Bellamy ci ha mentito. Non aveva visto alcuna traccia termica al piano di sopra, né vicino alla statua di Mosè né da nessun'altra parte.

Ma dove diavolo è finito Langdon?

Tornò sui propri passi per raggiungere l'unico punto in cui era stata rilevata qualche traccia di calore: il banco della distribuzione. Scese di nuovo la scala sotto il mobile. Il rumore dei nastri trasportatori in movimento era fastidioso. Arrivato nel locale sottostante, si mise il visore a infrarossi e si guardò intorno. Niente. Si voltò verso il deposito, la cui porta divelta era ancora calda dopo l'esplosione. A parte quella, non c'erano altri segni di...

Merda!

L'agente fece un salto all'indietro: era appena spuntata una luminescenza che non si aspettava. Sul tratto di nastro uscito in quel momento dal muro c'erano due tracce termiche a grandezza d'uomo.

Sbigottito, l'agente guardò quelle due specie di fantasmi fare il giro della stanza e poi venire nuovamente inghiottiti nel muro. Sono scappati sul nastro trasportatore? Roba da pazzi!

Oltre a rendersi conto che Robert Langdon era appena sfuggito alla cattura su un tapis roulant, dovette constatare con sgomento che c'era un altro problema: il professore non era solo.

Stava per accendere la ricetrasmittente e chiamare il capo, ma questi lo batté sul tempo.

«A tutte le unità! Abbiamo una Volvo abbandonata sul piazzale antistante la biblioteca. Risulta intestata a Katherine Solomon. Un testimone oculare dice di aver visto entrare una donna in biblioteca poco fa. Sospettiamo che sia con Robert Langdon. Il direttore Sato ha ordinato di fermarli entrambi.»

«Ho la traccia termica di tutti e due!» gridò l'agente nel deposito, e spiegò cos'era successo.

«Cristo santo!» esclamò il caposquadra. «Dove porta quel tapis roulant?»

L'agente stava già consultando una piantina sul computer a uso dei bibliotecari. «Nel John Adams Building» rispose. «Il palazzo accanto.»

«A tutte le unità! Dirigetevi al John Adams Building! IMMEDIATAMENTE!»


Protezione e risposte.

Quelle parole riecheggiavano nella mente di Langdon mentre usciva a precipizio da una porta laterale del John Adams Building e si ritrovava fuori al freddo con Katherine. Lo sconosciuto al telefono gli aveva comunicato il proprio indirizzo in maniera criptica, ma Langdon aveva capito. La reazione di Katherine nell'apprendere dove erano diretti era stata sorprendentemente positiva. Quale posto migliore per trovare l'unico vero Dio?

Adesso il problema era come arrivarci.

Langdon si guardò intorno, cercando di orientarsi. Era buio, ma per fortuna il cielo era tornato sereno. Si trovavano in un cortile. La cupola del Campidoglio gli parve stranamente lontana e lui si rese conto che era la prima volta che usciva all'aria aperta da quando era arrivato parecchie ore prima.

Altro che conferenza...

«Robert, guarda!» Katherine gli indicò il Thomas Jefferson Building.

La prima reazione di Langdon fu di stupore per aver fatto tanta strada su un nastro trasportatore. La seconda fu di allarme. Intorno al Thomas Jefferson Building c'era una gran confusione: furgoni e auto che arrivavano, uomini che gridavano. Una fotoelettrica?

Prese per mano Katherine. «Vieni, andiamo.»

Attraversarono il cortile di corsa, in direzione nordest, e sparirono dietro un elegante edificio a forma di U. Langdon lo riconobbe: era la Folger Shakespeare Library. Un nascondiglio ideale, pensò: in quella biblioteca era conservato il manoscritto originale in latino della Nuova Atlantide di Francesco Bacone, una delle utopie su cui i padri della patria avevano fondato il loro mondo nuovo basato su saperi antichi. Ciò nonostante, Langdon non si fermò.

Dobbiamo trovare un taxi.

Arrivarono all'angolo fra Third Street e East Capitol Street. C'era poco traffico e Langdon, guardandosi intorno, ebbe un attimo di scoramento. Svoltò in Third Street e proseguì con Katherine a passo svelto in direzione nord, allontanandosi dalla Biblioteca del Congresso. All'angolo successivo vide finalmente arrivare un taxi libero. Gli fece un cenno e l'auto si fermò.

La radio trasmetteva musica mediorientale e il giovane tassista arabo li accolse con un sorriso amichevole. «Dove vi porto?» chiese appena salirono a bordo.

«Dobbiamo andare...»

«Da quella parte!» esclamò Katherine indicando Third Street nella direzione opposta al Thomas Jefferson Building. «Northwest Washington. Vada verso Union Station e svolti a sinistra in Massachusetts Avenue. Le diremo noi dove lasciarci.»

Il tassista si strinse nelle spalle, chiuse il divisorio di plexiglas e alzò di nuovo il volume.

Katherine lanciò a Langdon un'occhiata severa, come a dire: "Non dobbiamo lasciare indizi". Poi indicò fuori dal finestrino per attirare l'attenzione di Langdon su un elicottero scuro che sorvolava la zona a bassa quota. Merda. A quanto pareva, Sato era decisa a recuperare la piramide di Solomon a ogni costo.

Mentre l'elicottero atterrava fra i due palazzi della Biblioteca del Congresso, Katherine si voltò verso Langdon, ancora più preoccupata. «Mi dai un attimo il tuo cellulare?»

Langdon glielo porse.

«Peter sostiene che hai un'ottima memoria eidetica» disse aprendo il finestrino. «E che ti ricordi tutti i numeri di telefono. È vero?»

«Sì, ma...»

Katherine lanciò il cellulare fuori dal finestrino.

Langdon si voltò sul sedile e lo vide rotolare nel buio e andare in mille pezzi sul marciapiede. «Sei impazzita?»

«Adesso siamo fuori dagli schermi radar» replicò Katherine seria. «L'unica speranza di ritrovare mio fratello sta in questa piramide, e io non ho nessuna intenzione di lasciarmela soffiare dalla CIA.»


Omar Amirana, al volante, canticchiava e dondolava la testa a tempo di musica. La serata era stata fiacca ed era contento di avere finalmente trovato dei clienti. Stava passando davanti allo Stanton Park quando sentì la voce familiare del centralinista della sua cooperativa alla radio.

«Qui centrale. A tutte le macchine nella zona del National Mall: abbiamo appena ricevuto un comunicato dalle forze dell'ordine che segnala la presenza di due ricercati in fuga nei pressi del John Adams Building...»

Omar ascoltò esterrefatto la descrizione dei due sospetti, che corrispondeva esattamente all'uomo e alla donna che aveva appena caricato a bordo. Guardò preoccupato nello specchietto retrovisore. In effetti l'uomo aveva un'aria vagamente familiare. L'avrò mica visto alla trasmissione "America's Most Wanted"?

Circospetto, prese il microfono. «Centrale?» disse sottovoce. «Qui taxi uno-tre-quattro. I due ricercati... sono con me. Li ho appena caricati.»

Dalla centrale gli diedero subito istruzioni. Con le mani che tremavano, Omar chiamò il numero di telefono che gli venne indicato. Gli rispose una voce secca, efficiente, da militare.

«Agente Turner Simkins, CIA. Chi parla?»

«Ehm... sono il... il tassista» disse Omar. «Mi hanno detto di chiamare per quei due...»

«I ricercati sono a bordo della sua auto? Mi risponda solo sì o no.»

«Sì.»

«Sentono questa conversazione? Sì o no?»

«No. Il divisorio è...»

«Dove li sta portando?»

«Northwest Washington. Massachusetts Avenue.»

«Destinazione precisa?»

«Non me l'hanno detta.»

L'agente esitò. «L'uomo ha una tracolla di pelle?»

Omar guardò nello specchietto retrovisore e sgranò gli occhi. «Sì! Non conterrà mica esplosivi o...»

« Mi ascolti bene » lo interruppe l'agente. «Se farà esattamente quello che le dirò, non correrà nessun pericolo. È chiaro?»

«Sì, signore.»

«Come si chiama?»

«Omar» rispose il tassista cominciando a sudare.

«Mi ascolti, Omar» riprese l'agente con calma. «Lei adesso deve rallentare e proseguire lentamente, in modo che io possa mandarle incontro una squadra. È chiaro?»

«Sì.»

«Il suo taxi è dotato di un interfono per comunicare con i passeggeri?»

«Sì.»

«Bene. Allora adesso le spiego cosa fare.»


La cosiddetta Giungla è il pezzo forte dell'USBG - United States Botanic Garden -, l'orto botanico che si trova nei pressi del Campidoglio. Tecnicamente non è una giungla, bensì una foresta pluviale racchiusa in una serra altissima, con tanto di alberi della gomma, piante epifite come il Ficus aurea e, per i turisti più coraggiosi, una passerella di corda che consente di ammirare dall'alto le chiome degli alberi.

Di solito Warren Bellamy trovava rassicuranti il profumo di terra e la nebbiolina prodotta dai vaporizzatori disposti nelle vetrate del soffitto, ma quella sera la Giungla, illuminata soltanto dalla luna, gli parve terrificante. Sudava copiosamente e aveva i crampi alle braccia, legate dietro la schiena.

Inoue Sato gli passeggiava davanti, fumando tranquilla una sigaretta: in quell'ambiente dall'equilibrio così delicato, era l'equivalente di un atto di ecoterrorismo. Al chiarore della luna che entrava dalle vetrate, mescolato al fumo, il suo viso aveva un che di diabolico.

«Così, stasera, quando è arrivato in Campidoglio e ha scoperto che io ero già lì, lei ha preso una decisione» ricapitolò il direttore dell'OS. «Invece di avvertirmi del suo arrivo, è sceso di soppiatto nel sotterraneo, ha aggredito Trent Anderson e la sottoscritta, correndo un grave rischio personale, dopodiché ha aiutato Langdon a scappare con la piramide e la cuspide.» Sato si accarezzò la spalla ancora dolente. «Una strana decisione.»

Una decisione che riprenderei anche adesso, pensò Bellamy. «Dov'è Peter Solomon?» chiese esasperato.

«Lo chiede a me? Perché dovrei saperlo?» ribatté Sato.

«Visto che sa tutto...» replicò Bellamy stizzito, senza neppure tentare di nascondere che la sospettava di essere in qualche modo responsabile di quel pasticcio. «Sapeva di dover venire al Campidoglio. Sapeva dove trovare Robert Langdon. Sapeva anche che nella borsa di Langdon c'era la cuspide. È chiaro che qualcuno le ha dato un sacco di informazioni riservate.»

Sato fece una risatina sarcastica e gli si avvicinò. «Signor Bellamy, è per questo che mi ha aggredito? Pensa che io sia il nemico? Che stia cercando di portarle via la sua tanto amata piramide?» Fece un tiro dalla sigaretta ed esalò il fumo dal naso. «Mi ascolti bene. Nessuno meglio di me si rende conto di quanto sia importante la segretezza. Anch'io, come lei, sono convinta che ci siano informazioni di cui le masse devono essere tenute all'oscuro. Stanotte, tuttavia, sono all'opera forze che temo lei stia sottovalutando. L'uomo che ha rapito Peter Solomon ha un enorme potere... ma è evidente che lei lo ignora. Mi creda, quel tipo è una mina vagante e potrebbe scatenare una serie di eventi capaci di trasformare radicalmente il mondo così come noi lo conosciamo.»

«Non capisco.» Bellamy si agitò sulla panchina. Le braccia gli dolevano.

«Non è indispensabile che lei capisca. Quello che conta è che obbedisca. La mia unica speranza per evitare la catastrofe è collaborare con quest'uomo... e dargli esattamente quello che vuole. Perciò adesso lei telefonerà al professor Langdon e gli dirà di venire qui con la piramide e la relativa cuspide. A quel punto, io gli farò decifrare l'iscrizione sulla piramide, otterrò le informazioni che quest'uomo desidera e gliele darò.»

Le coordinate della scala a chiocciola che porta agli antichi misteri? «Non posso fare una cosa simile. Ho giurato di mantenere il segreto.»

«Non me ne frega niente di quello che ha giurato!» sbottò Sato. «La sbatterò in prigione, la...»

«Le sue minacce sono inutili» ribatté Bellamy in tono di sfida. «Tanto non le dirò niente.»

Sato prese fiato e, con un sibilo terrificante, disse: «Signor Bellamy, lei non ha la minima idea di quello che stiamo rischiando stasera, vero?».

Il silenzio carico di tensione che seguì si protrasse per un po' , finché fu rotto dallo squillo di un telefono.

Sato si ficcò la mano in tasca e tirò fuori il BlackBerry. «Mi dica» ringhiò e rimase ad ascoltare attentamente. «Dov'è il taxi adesso? Tra quanto? Okay, portateli all'orto botanico. All'entrata secondaria. E portatemi anche quella stramaledetta piramide. E la sua cuspide, mi raccomando.»

Sato chiuse il telefono e si voltò verso Bella y c n un sorriso trionfante sulle labbra.

«Bene, bene... sembra che presto potremo fare a meno di lei.»


Robert Langdon fissava il vuoto, troppo stanco per chiedere al tassista di accelerare. Anche Katherine, seduta al suo fianco, stava in silenzio. La scoraggiava il fatto di non riuscire a capire che cosa rendesse tanto speciale quella piramide. Avevano nuovamente ricapitolato tutto quello che sapevano riguardo alla piramide, alla cuspide e agli strani eventi di quella serata, eppure non erano ancora in grado di orientarsi con quelle indicazioni.

Jeova sanctus unus? Il segreto si cela dentro L'Ordine?

L'uomo misterioso con cui Langdon aveva parlato al telefono poco prima aveva promesso di dare loro delle risposte, se fossero andati da lui "a Roma, a nord del Tevere". Langdon sapeva che la "nuova Roma" dei padri fondatori era stata ben presto ribattezzata Washington, ma alcune tracce di quel sogno utopistico si erano conservate nel tempo: nel Potomac si riversavano le acque del Tiber Creek, i senatori tuttora si riunivano sotto una copia della cupola di San Pietro, e Vulcano e Minerva continuavano a vegliare sulla fiamma ormai estinta della Rotonda.

A quanto pareva le risposte che stavano cercando li aspettavano a pochi chilometri da lì. Northwest Washington, Massachusetts Avenue. La loro destinazione era un luogo a nord del corso d'acqua che portava il nome del fiume di Roma, il Tiber Creek. Langdon desiderò in cuor suo che il tassista accelerasse un po'.

Tutto a un tratto Katherine fece un salto sul sedile, come se all'improvviso le fosse venuta un'idea. «Oh, mio Dio, Robert!» Si voltò, pallidissima, esitò un attimo e poi disse con foga: «Stiamo andando dalla parte sbagliata!».

«Ma no, è giusto!» ribatté Langdon. «Massachusetts Avenue, direzione...»

«No, volevo dire che stiamo andando nel posto sbagliato!»

Langdon era confuso. Aveva spiegato a Katherine come faceva a sapere qual era il luogo cui si riferiva lo sconosciuto della telefonata. Contiene dieci pietre provenienti dal monte Sinai, una venuta direttamente dal cielo e una che reca le sembianze dell'oscuro padre di Luke. C'era un solo edificio al mondo che corrispondeva a quella descrizione. Ed era esattamente là che li stava portando il taxi.

«Katherine, sono sicuro che il posto è giusto.»

«No!» gridò lei. «Non c'è più bisogno che andiamo lì: ho capito il significato della piramide e della cuspide! So di che cosa si tratta!»

Langdon era esterrefatto. «Lo hai capito?»

«Sì! E dobbiamo andare in Freedom Plaza!»

Langdon non riusciva a capacitarsi. Benché fosse nei paraggi, Freedom Plaza a suo avviso non c'entrava affatto.

«Jeova sanctus unus!» esclamò Katherine. «L'unico vero Dio degli ebrei. Il simbolo sacro degli ebrei è la stella di David, il sigillo di Salomone, ed è un simbolo importante anche per i massoni!» Tirò fuori dal portafoglio una banconota da un dollaro. «Prestami la penna.»

Sempre più perplesso, Langdon prese una penna dal taschino.

«Guarda.» Katherine si stese la banconota sulla coscia e gli indicò il Gran Sigillo degli Stati Uniti. «Se sovrapponi il sigillo di Salomone a quello degli Stati Uniti...» Disegnò una stella di David sopra la piramide. «Vedi che cosa si ottiene?»

Langdon guardò prima il disegno e poi Katherine, come se fosse uscita di senno.

«Robert, guarda con più attenzione! Non vedi che cosa ti sto indicando?»

Langdon abbassò di nuovo gli occhi sul disegno.

Dove diavolo vuole andare a parare? Era un gioco che aveva già visto fare, molto diffuso fra i teorici del complotto per "dimostrare" che i massoni avevano esercitato un'influenza segreta


Inscrivendo una stella a sei punte nel Gran Sigillo degli Stati Uniti, la punta in alto coincideva con il vertice della piramide, e l'occhio onniveggente massonico, e le altre cinque, misteriosamente, indicavano le lettere M-A-S-O-N, massone.

«Katherine, è solo una coincidenza! E comunque continuo a non capire cosa c'entri con Freedom Plaza.»

«Guarda qui, per favore!» insistette lei, quasi arrabbiata. «Non stai guardando dove ti dico io! Lì, ecco. Lo vedi?»

Finalmente Langdon capì.


Il capo della squadra operativa della CIA Turner Simkins arrivò davanti al John Adams Building con il telefono premuto all'orecchio, cercando di seguire la conversazione in corso fra i due passeggeri del taxi. È successo qualcosa. I suoi uomini stavano per imbarcarsi sull'elicottero Sikorsky UH-60 modificato per andare a predisporre un posto di blocco in Massachusetts Avenue, ma a quanto pareva la situazione era cambiata all'improvviso.

Pochi secondi prima, Katherine Solomon aveva cominciato a insistere che si stavano dirigendo verso il luogo sbagliato. La spiegazione che aveva dato, e che aveva a che fare con le banconote americane e la stella di David, a lui era sembrata assurda. Anche a Robert Langdon, inizialmente. Adesso, però, il professore sembrava essersi convinto.

«Oh, mio Dio! Hai ragione!» esclamò infatti Langdon in quel momento. «Non l'avevo visto!»

Simkins sentì che bussavano sul divisorio del taxi. L'autista lo aprì e Katherine gridò: «Abbiamo cambiato idea! Ci porti in Freedom Plaza!».

«Freedom Plaza?» ripetè il tassista, nervoso. «Non volevate andare in Massachusetts Avenue?»

«Non più» replicò a gran voce Katherine. «Freedom Plaza! Svolti a sinistra qui! Qui! Qui, le ho detto!»

L'agente Simkins sentì che il taxi affrontava una curva sgommando. Katherine aveva ricominciato a parlare con Langdon, agitatissima, del famoso calco in bronzo del Gran Sigillo che si trovava nella piazza.

«Signora, non sono sicuro di aver capito bene...» intervenne il tassista, teso. «Vi devo portare in Freedom Plaza, all'angolo tra Pennsylvania Avenue e Thirteenth Street?»

«Sì!» rispose Katherine. «Si sbrighi!»

«È vicinissimo. Due minuti e ci siamo.»

Simkins sorrise. Ottimo lavoro, Omar. Poi si precipitò verso l'elicottero gridando: «Li abbiamo in pugno! Freedom Plaza! Sbrighiamoci!».


Freedom Plaza è una mappa.

Si trova all'angolo tra Pennsylvania Avenue e Thirteenth Street e riproduce, con intarsi di marmo di colori diversi, la planimetria originale di Washington concepita da Pierre L'Enfant. È molto frequentata dai turisti, non solo perché è divertente camminare sulle strade di quella città in miniatura, ma anche perché Martin Luther King, cui è dedicata la piazza, scrisse gran parte del famoso discorso I Have a Dream nel vicino hotel Willard.

A Omar Amirana capitava spesso di portare turisti in Freedom Plaza, ma era chiaro che i due passeggeri di quella sera non erano lì per visitare monumenti. Sono ricercati dalla CIA! Gli schizzarono fuori dal taxi non appena accostò al marciapiede.

«Ci aspetti qui!» ordinò l'uomo con la giacca di tweed. «Torniamo subito!»

Omar li guardò correre nella piazza e indicare gridando vari punti. Prese il cellulare dal cruscotto. «Pronto? È ancora lì?»

«Sì, Omar» strillò l'agente, in mezzo a un frastuono terribile. «Dove sono adesso?»

«In mezzo alla piazza, sulla mappa. Sembra che stiano cercando qualcosa.»

«Non li perda di vista» urlò l'agente. «Sto arrivando!»

Omar notò che i due ricercati avevano trovato il famoso Gran Sigillo della piazza, un medaglione di bronzo fra i più grandi del mondo. Lo osservarono un momento, poi cominciarono a indicare in direzione sudovest. L'uomo tornò di corsa verso il taxi e Omar si affrettò a posare il telefono sul cruscotto.

«Da che parte è Alexandria, in Virginia?» domandò l'uomo, ansimando.

«Alexandria?» Omar indicò esattamente la stessa direzione in cui avevano puntato i due ricercati poco prima, sudovest.

«Lo sapevo!» borbottò l'uomo. Si voltò di scatto e gridò alla donna: «Avevi ragione! Alexandria!».

A quel punto lei additò l'insegna illuminata della metropolitana dall'altra parte della piazza. «Prendiamo la linea blu e scendiamo alla fermata di King Street!»

Omar fu preso dal panico. Oh, no!

L'uomo si girò verso di lui e gli mise in mano una cifra esagerata. «Grazie. Tenga pure il resto.» Si sistemò la tracolla e si allontanò di corsa.

«Aspetti! Vi ci posso portare io! Ci vado spesso!»

Ma era troppo tardi. I due avevano già attraversato la piazza e stavano scendendo le scale della stazione della metropolitana.

Omar riprese il cellulare. «Pronto? Sono scesi nella metropolitana! Non sono riuscito a fermarli! Prendono la linea blu per Alexandria.»

«Resti dov'è» gli ordinò l'agente. «Sarò lì fra quindici secondi!»

Omar guardò la mazzetta di banconote che gli aveva lasciato l'uomo. La prima doveva essere quella di cui avevano tanto parlato: sopra il Gran Sigillo c'era una stella di David, tracciata in modo che le punte indicassero le lettere della parola "mason".

All'improvviso sentì un rumore assordante, una vibrazione nell'aria, e per un istante temette che stesse per andargli addosso un autotreno. Alzò lo sguardo, ma la strada era deserta. Il frastuono però era sempre più forte. Un attimo dopo nel cielo notturno comparve un elicottero nero, che andò a posarsi nel bel mezzo della piazza.

Ne scesero alcuni uomini in mimetica nera che si precipitarono verso la stazione della metropolitana. Tutti tranne uno, che corse verso il taxi. Spalancò la portiera del passeggero e chiese: «Omar? È lei Omar?».

Omar annuì, senza parole.

«Hanno detto dov'erano diretti?» chiese l'agente.

«Alexandria! Alla stazione di King Street» rispose Omar. «Mi sono offerto di accompagnarli, ma...»

«Hanno detto dove andavano esattamente, ad Alexandria?»

«No. Hanno guardato il medaglione del Gran Sigillo nella piazza, poi mi hanno chiesto da che parte era Alexandria e mi hanno pagato. Con questo, fra l'altro.» Porse all'agente il biglietto da un dollaro con lo strano diagramma. Mentre l'agente lo osservava, Omar comprese. La massoneria, Alexandria... «Ho capito!» esclamò. «Il George Washington Masonic Memorial ! È proprio di fronte alla stazione di King Street!»

«Giusto» convenne l'agente mentre i suoi colleghi uscivano di corsa dalla stazione e tornavano indietro.

«Li abbiamo persi!» gridò uno degli uomini. «Il treno della linea blu è appena partito! Non ci sono più!»

L'agente Simkins guardò l'orologio. «Quanto ci vuole da qui ad Alexandria in metropolitana?» chiese a Omar.

«Almeno dieci minuti. Forse di più.»

«Omar, lei ha fatto un ottimo lavoro. Grazie.»

«Prego. Ma cosa sta succedendo?»

L'agente Simkins, però, stava già tornando di corsa all'elicottero. «Stazione di King Street!» gridò. «Dobbiamo arrivare là prima di loro!»

Omar, esterrefatto, vide il grosso insetto nero sollevarsi da terra, virare bruscamente in direzione sudovest e sparire nella notte oltre Pennsylvania Avenue.


Intanto, un treno prendeva velocità e si allontanava da Freedom Plaza. Robert Langdon e Katherine Solomon, seduti in uno dei vagoni, riprendevano fiato in silenzio mentre la metropolitana li portava verso la loro meta successiva.


Il ricordo cominciava sempre allo stesso modo: con la caduta.

Precipitava dal burrone all'indietro, verso il fiume ghiacciato. Dall'alto Peter Solomon lo guardava con occhi spietati, la pistola ancora in pugno. Andros cadeva e il mondo, lassù in alto, si allontanava sempre di più. Poi tutto spariva, inghiottito dalla nube di nebbia prodotta dalla cascata più a monte.

Per un attimo tutto diventava bianco come il cielo.

Poi l'impatto con la superficie ghiacciata del fiume.

Freddo. Buio. Dolore.

Andros roteava in un vuoto incredibilmente freddo, travolto da una forza che lo trascinava facendolo sbattere senza pietà contro pietre e massi. I polmoni avevano fame d'aria, ma a contatto con l'acqua gelida i muscoli del torace gli si contraevano con tanta violenza che gli era impossibile inspirare.

Sono prigioniero sotto una lastra di ghiaccio.

Vicino alla cascata il ghiaccio era sottile a causa della turbolenza dell'acqua e Andros cadendo lo aveva sfondato. La corrente lo stava trascinando verso valle sotto una lastra trasparente. Lui cercava di aggrapparvisi con le unghie per spaccarla dal basso e riemergere, ma non ci riusciva. Il dolore lancinante della ferita alla spalla e il bruciore causato dai pallettoni stavano scemando: il freddo gli faceva perdere la sensibilità.

Aveva un bisogno disperato di ossigeno. La corrente lo proiettava oltre un'ansa del fiume e poi in un groviglio di rami, contro il tronco di un albero caduto. Approfittane! Si aggrappava disperatamente a un ramo risalendo verso la superficie, infilava le dita in una crepa e cercava di allargarla. Dopo un paio di tentativi, riusciva a fare un buco nel ghiaccio.

Tenendosi al ramo sommerso, rovesciava la testa all'indietro e avvicinava la bocca alla piccola apertura. L'aria che gli entrava nei polmoni gli pareva calda, pur essendo pieno inverno. Quella boccata di ossigeno gli ridava speranza. Puntava i piedi sul tronco dell'albero e spingeva con forza verso l'alto con le spalle e la schiena. Intorno all'albero il ghiaccio era meno spesso e Andros, facendo forza sulle gambe possenti, riusciva a emergere con la testa e il collo. Ricominciava a respirare e, a furia di scalciare e tirare, usciva dall'acqua e si stendeva sul ghiaccio a riprendere fiato.

Si toglieva il passamontagna e se lo metteva in tasca. Guardava a monte, temendo che Peter Solomon fosse ancora lì, ma l'ansa del fiume gli impediva di vedere. Le ferite ricominciavano a bruciargli. Senza fare rumore, trascinava un ramo sopra il buco per nasconderlo. Durante la notte il ghiaccio si sarebbe riformato e l'indomani mattina non ci sarebbero state tracce del suo passaggio.

Si inoltrava nel bosco barcollando. Nel frattempo si era messo a nevicare. Non aveva idea di quanto avesse camminato prima di uscire dal bosco e arrampicarsi sul ciglio della strada. Delirava, era mezzo assiderato. Dopo un po' la neve cominciava a scendere più fitta. Nel buio comparivano i fari di un veicolo. Andros si sbracciava e il pickup si fermava subito. Ne scendeva un uomo anziano, con una camicia rossa a quadri.

Andros gli andava incontro vacillando e stringendosi le braccia al petto sanguinante. "Mi hanno sparato... Un cacciatore... Devo andare all'ospedale!"

Il vecchio, senza alcuna esitazione, lo aiutava a salire in macchina e alzava il riscaldamento. "Dov'è l'ospedale più vicino?"

Andros non ne aveva idea ma, facendo un vago cenno verso sud, gli diceva: "Fra pochi chilometri". Non aveva nessuna intenzione di farsi portare all'ospedale.

Il giorno dopo veniva denunciata la scomparsa, durante una bufera di neve, di un anziano signore partito dal Vermont al volante del suo pickup, ma nessuno collegava l'episodio all'altra notizia che era sulle prime pagine di tutti i giornali: l'assassinio di Isabel Solomon.

Andros si svegliava in una camera squallida, in un motel malandato chiuso per l'inverno. Ricordava di aver forzato la porta, di essersi fasciato le ferite con dei lenzuoli strappati e poi di essersi raggomitolato nel letto sotto una montagna di coperte che odoravano di muffa. Aveva una fame spaventosa.

Si trascinava fino in bagno e vedeva un mucchietto di pallini da schioppo insanguinati nel lavabo: rammentava vagamente di esserseli estratti dal petto la sera prima. Alzava gli occhi e, guardandosi allo specchio sporco, si toglieva pian piano le bende per valutare i danni. Grazie ai pettorali e agli addominali molto sviluppati, i pallini non erano penetrati in profondità, ma il suo fisico non era più perfetto. Il proiettile sparatogli da Peter Solomon era fuoriuscito dalla spalla, lasciando un foro sanguinolento.

La cosa peggiore, tuttavia, era che Andros non era riuscito a entrare in possesso dell'oggetto per cui aveva fatto tutta quella strada. La piramide. Con lo stomaco che brontolava, usciva zoppicando e andava al pickup nella speranza di trovare qualcosa da mangiare. Vedendo che era coperto di uno spesso strato di neve, si chiedeva quante ore avesse dormito nel vecchio motel. Grazie a Dio mi sono svegliato. Non trovava nulla da mangiare, ma nel vano portaoggetti sotto il cruscotto c'erano degli antidolorifici. Ne prendeva una manciata e li mandava giù con l'aiuto di un po' di neve.

Devo procurarmi del cibo.

Il pickup che partiva dal motel alcune ore più tardi non assomigliava affatto a quello che vi era arrivato due giorni prima. Il telone era sparito, come pure i copriruota, gli adesivi sui paraurti e tutte le rifiniture. Le targhe del Vermont erano state sostituite con quelle di un vecchio camion che Andros aveva trovato parcheggiato accanto al cassonetto in cui aveva buttato i lenzuoli sporchi di sangue, i pallini e tutte le altre tracce del proprio passaggio nel motel.

Non aveva rinunciato alla piramide, ma non poteva ripartire subito alla carica. Doveva trovare un posto in cui nascondersi e curarsi e, prima ancora, aveva bisogno di mangiare. Si fermava in una tavola calda lungo la strada, dove si rimpinzava di uova, pancetta e patate e beveva tre bicchieri di succo d'arancia. Prima di andarsene, ordinava ancora qualcosa da portare via. Poi si rimetteva in viaggio, con l'antiquata autoradio del pickup accesa. Erano giorni che non vedeva la televisione e non leggeva un giornale. La notizia trasmessa da una radio locale lo lasciava esterrefatto.

"Sono tuttora in corso le ricerche, da parte dell'FBI, dell'uomo armato che due giorni fa ha ucciso Isabel Solomon nella sua villa in Potomac. Gli inquirenti ritengono che lo sconosciuto sia caduto nel fiume gelato e che il suo corpo sia stato trascinato in mare dalla corrente."

Andros rimaneva impietrito. Isabel Solomon è morta? Continuava a guidare, sconcertato, e ascoltava in silenzio l'intero servizio.

Doveva fuggire, andare il più lontano possibile.


L'appartamento nell'Upper West Side di New York aveva una splendida vista su Central Park. Andros l'aveva scelto perché quella distesa di verde gli ricordava i panorami di quando viveva nel Mediterraneo. Sapeva che si sarebbe dovuto rallegrare di essere ancora vivo, ma non riusciva a essere felice. Continuava a provare un senso di vuoto e non faceva che pensare alla piramide che non era riuscito a farsi consegnare da Peter Solomon.

Aveva studiato a lungo la leggenda della piramide massonica e, sebbene alcuni dubitassero della sua esistenza, gli esperti erano tutti concordi sul fatto che rappresentava una promessa di saggezza e potere. Esiste veramente, pensava Andros. Io lo so per certo.

Il destino gliel'aveva offerta su un piatto d'argento: ignorarla sarebbe stato come avere un biglietto vincente della lotteria e non andare a incassare. Sono l'unico non massone al mondo a sapere che la piramide esiste veramente... e a sapere anche chi la custodisce.

Erano passati i mesi e le ferite si erano rimarginate, ma Andros non era più l'uomo possente e vigoroso di quando stava in Grecia. Aveva smesso di allenarsi e non si ammirava più nudo allo specchio. Gli sembrava che il suo corpo cominciasse a mostrare i segni dell'età. La pelle, un tempo perfetta, era segnata dalle cicatrici e questo lo deprimeva. Continuava a prendere antidolorifici benché non ne avesse più bisogno e stava rischiando di ricadere nelle cattive abitudini che lo avevano fatto finire nella prigione di Kartal. Ma non gli importava. Il suo corpo non riusciva a farne a meno.

Una sera, al Greenwich Village, aveva comprato della droga da un tizio con una lunga saetta tatuata sull'avambraccio. Incuriosito, Andros gli aveva chiesto spiegazioni e lo spacciatore gli aveva detto che si era fatto fare quel tatuaggio per coprire una cicatrice rimastagli dopo un incidente stradale. "Ogni volta che la vedevo, mi tornava in mente tutto" gli aveva confessato. "Così mi ci sono fatto disegnare sopra un simbolo di potere e ho ripreso il controllo di me stesso."

Quella sera, sotto l'effetto della droga appena comprata, Andros era entrato barcollando in un centro tatuaggi e, togliendosi la camicia, aveva annunciato: "Voglio nascondere queste cicatrici". Voglio riprendere il controllo della mia vita.

"Nasconderle? E con cosa?" aveva replicato il tatuatore.

"Con dei tatuaggi."

"Sì, ma di cosa?"

Andros aveva alzato le spalle. Voleva semplicemente far sparire quei brutti ricordi del suo passato. "Non lo so. Decida lei. "

Il tatuatore aveva scosso la testa e gli aveva mostrato un opuscolo sull'antica pratica religiosa del tatuaggio. "Torni quando sarà pronto."

Andros aveva scoperto che alla biblioteca pubblica di New York c'erano cinquantatré volumi sul tatuaggio. Li aveva letti tutti in pochissimo tempo. Avendo riscoperto così la passione per la lettura, aveva cominciato a prendere in prestito un gran numero di libri e a divorarli nell'appartamento con vista su Central Park.

I libri sull'arte del tatuaggio gli avevano fatto scoprire un mondo di cui fino a quel momento Andros non aveva sospettato neppure l'esistenza: un universo di simboli, misticismo, mitologia e arti magiche. Più leggeva, più si rendeva conto di quanto era stato cieco fino allora. Aveva cominciato a prendere appunti, annotando idee e schizzi, mettendo per iscritto i sogni strani che faceva. Quando non era più riuscito a trovare in biblioteca i volumi che gli interessavano, si era rivolto a commercianti di libri rari e si era procurato alcuni dei testi più esoterici mai pubblicati al mondo.

De praestigii daemonum... Lemegeton... Ars Almadel... Grimorium veruni... Ars notoria... e così via. Li aveva letti tutti, convincendosi sempre di più che il mondo avesse ancora molti tesori da offrirgli. Ci sono segreti che trascendono l'umana comprensione.

Poi era venuto a conoscenza delle opere di Aleister Crowley, il mistico visionario del primo Novecento che secondo la Chiesa era "l'uomo più malvagio mai esistito". Le grandi menti incutono sempre timore negli stolti. Andros aveva scoperto riti e incantesimi e imparato che esistono parole sacre che, se pronunciate correttamente, diventano chiavi per accedere ad altri mondi. C'è un universo parallelo dietro a quello in cui viviamo... un mondo al quale posso attingere potere. Ma sapeva che, per quanto lo desiderasse, c'erano regole da seguire e compiti da portare a termine prima di potervi accedere.

"Devi diventare santo" scriveva Crowley. "Devi consacrarti."

L'antico rito della "consacrazione" era comune a molte culture diverse. Dagli ebrei, che bruciavano le offerte nel tempio, ai maya, che decapitavano vittime sacrificali in cima alle piramidi di Chichén Itzà, a Gesù Cristo, che aveva offerto il proprio corpo sulla croce, tutti i popoli antichi sapevano che Dio richiede sacrifici. Il sacrificio era il rito originale per mezzo del quale gli uomini si assicuravano il favore delle divinità e si "santificavano".

Sacrificare... sacrum facere: rendere sacro, santo.

Ormai i sacrifici non usavano più, ma alcuni mistici moderni, fra cui Aleister Crowley, ne avevano coltivato e perfezionato l'Arte, trasformandosi così, gradualmente, in esseri più evoluti. Andros voleva seguire le loro orme, consapevole che la trasformazione richiedeva un passaggio molto pericoloso.

Fra la luce e le tenebre c'è solo sangue.

Una sera dalla finestra del bagno era entrato in casa un corvo. Andros lo aveva guardato svolazzare per un po' in cerca di una via di fuga, poi l'uccello, forse rassegnatosi a rimanere prigioniero, si era quietato. Andros lo aveva interpretato come un segno: Mi incoraggiano a proseguire.

Aveva preso il corvo e, tenendolo in una mano, lo aveva portato sull'altare improvvisato sul tavolo della cucina, quindi, impugnando un coltello affilatissimo, aveva pronunciato ad alta voce una formula magica imparata a memoria.

"Camiach, Eomiahe, Emial, Macbal, Emoii, Zazean... con i nomi più sacri degli angeli del libro di Assamaian, ti evoco affinché tu mi assista in questa operazione compiuta per opera dell'unico vero Dio."

Poi aveva abbassato il coltello e reciso la grossa vena sull'ala destra dell'uccello terrorizzato, che aveva cominciato a sanguinare. Osservando il fiotto di sangue rosso che cadeva nella coppa di metallo predisposta per raccoglierlo, Andros aveva provato un brivido inaspettato. Aveva continuato lo stesso.

"Onnipotente Adonai, Arathron, Ashai, Elohim, Elohi, Elion, Asher Eheieh, Shaddai... vieni in mio aiuto, affinché questo sangue abbia potere ed efficacia in tutto ciò che desidero e in tutto ciò che chiedo..."

Quella notte aveva sognato volatili... una fenice gigantesca che risorgeva tra le fiamme. Il mattino dopo si era svegliato pieno di un'energia che non sentiva da anni. Aveva corso nel parco, più velocemente e più a lungo di quanto avesse creduto possibile. Alla fine, si era fermato a fare flessioni e addominali. Una serie infinita di esercizi. E non era ancora stanco.

Di nuovo aveva sognato la fenice.


A Central Park era tornato l'autunno e gli animali facevano provviste per l'inverno. Andros detestava il freddo, ma in quel periodo nelle sue trappole mimetizzate con cura finivano topi e scoiattoli a bizzeffe. Li portava a casa nascosti nello zaino e li sacrificava in rituali sempre più complessi.

Emanual, Massiach, Yod, He, Vaud... degnatevi di ascoltarmi.

Quei riti di sangue accrescevano la sua vitalità. Andros si sentiva ringiovanire di giorno in giorno. Aveva continuato a leggere avidamente, anche di notte - antichi testi mistici, poemi epici medievali, i filosofi classici - e più approfondiva lo studio della verità, più si rendeva conto che la situazione dell'uomo moderno era disperata. L'umanità è cieca... vaga senza meta in un mondo a lei incomprensibile.

Andros era ancora un uomo, ma sentiva di aver cominciato un'evoluzione che lo avrebbe trasformato in qualcosa di più grande e più sacro. Il suo fisico robusto si era svegliato dal letargo più potente di prima. Finalmente ne aveva capito lo scopo. Il mio corpo non è che un involucro per contenere il mio tesoro più grande, ovvero la mia mente.

Consapevole di non avere ancora realizzato appieno il proprio potenziale, Andros aveva scavato più in profondità. Qual è il mio vero destino? Tutti i testi antichi parlano del bene e del male, e della necessità che l'uomo scelga tra l'uno e l'altro. Ho compiuto la mia scelta molto tempo fa. Lo sapeva e non provava alcun rimorso. Che cos'è il male, se non una legge di natura? Le tenebre seguono la luce. Il caos segue l'ordine. L'entropia è un dato di fatto. Tutto decade: anche i cristalli dalla struttura più perfetta a lungo andare si trasformano in anarchici granelli di polvere.

C'è chi crea... e chi distrugge.

Tuttavia solo leggendo il Paradiso perduto di John Milton aveva visto materializzarsi davanti a sé il proprio destino. Era venuto a conoscenza della storia del grande angelo caduto... del demone guerriero che combatteva contro la luce... il valoroso... l'angelo di nome Moloch.

Moloch viaggiava per il mondo come un dio. Andros aveva appreso in seguito che il nome dell'angelo, tradotto nella lingua degli antichi, diventava Mal'akh.

Questo sarà il mio nome.

Come tutte le grandi trasformazioni, anche quella doveva cominciare con un sacrificio, ma non di topi o di uccelli. No, quella volta ci voleva un sacrificio vero.

Esiste un solo sacrificio degno di una trasformazione tanto importante.

Vedeva chiaro come non mai il destino che lo attendeva. Aveva disegnato per tre giorni interi, su un grande foglio di carta, elaborando il progetto della propria trasformazione.

Poi aveva appeso al muro il disegno a grandezza naturale e lo aveva ammirato come se fosse uno specchio.

Sono un capolavoro.

L'indomani lo aveva portato al centro tatuaggi.

Era pronto.


Il George Washington Masonic Memorial si trova in cima a Shuter's Hill, ad Alexandria, in Virginia. La torre ha tre livelli di sempre maggiore complessità architettonica - dorico, ionico e corinzio - che rappresentano l'ascesa intellettuale dell'uomo. Ispirata all'antico Faro di Alessandria d'Egitto, è sormontata da una piramide con un ornamento terminale a forma di fiamma.

Nello spettacolare atrio di marmo è collocata una statua di George Washington con gli abiti massonici da cerimonia, con in mano la cazzuola originale che venne usata per la posa della prima pietra del Campidoglio. Oltre all'atrio, il Memorial ha nove piani con nomi quali Caverna, Cripta e Cappella dei Templari. Fra i molti tesori lì conservati vi sono oltre ventimila volumi di scritti massonici, una splendida ricostruzione dell'Arca dell'Alleanza e persino una riproduzione in scala ridotta della sala del trono nel tempio di re Salomone.

Mentre il Sikorsky sorvolava il fiume Potomac, l'agente Simkins controllò l'orologio. Il loro treno arriva fra sei minuti. Sospirò e guardò fuori: il Memorial splendeva all'orizzonte. Non si Poteva negare che la sua torre illuminata fosse grandiosa come i monumenti del National Mall. Non l'aveva mai visitato, e nemmeno quella notte ci sarebbe entrato. Se tutto fosse andato come previsto, Robert Langdon e Katherine Solomon sarebbero stati intercettati appena scesi dal treno.

«Laggiù!» gridò Simkins al pilota, indicandogli la stazione della metropolitana di King Street, di fronte al Memorial. Il pilota effettuò una virata e andò a posarsi in un prato ai piedi di Shuter's Hill.

I passanti, sorpresi, fissarono sbigottiti Simkins e i suoi uomini che scendevano dall'elicottero, armati e vestiti di nero, attraversavano la strada di corsa ed entravano nella stazione. Lungo le scale tutti si fecero da parte appiattendosi contro il muro per lasciarli passare.

La stazione era più grande di quanto Simkins si aspettasse ed era servita da parecchie linee: la blu, la gialla e quella dell'Amtrak. L'agente andò a consultare la mappa affissa al muro: individuò Freedom Plaza e l'itinerario più diretto per King Street.

«Linea blu, direzione sud!» gridò. «Fate sgombrare il binario!»

I suoi uomini partirono a razzo.

Simkins corse alla biglietteria, mostrò il tesserino e gridò all'impiegata: «Il prossimo treno da Metro Center a che ora arriva?».

«Non so esattamente» rispose la donna spaventata. «La linea blu passa ogni undici minuti, ma non c'è un orario fisso.»

«Quando è passato l'ultimo treno?»

«Cinque o sei minuti fa, mi pare. Non di più.»

Turner Simkins fece un rapido calcolo. Perfetto. Il treno successivo doveva essere quello di Langdon.


Katherine Solomon stava scomoda: il sedile di plastica della metropolitana era rigido e la luce al neon le faceva male agli occhi. Si sforzò di resistere alla tentazione di chiuderli anche solo per un attimo. Il vagone era vuoto, a parte lei e Robert Langdon, che le era seduto accanto e guardava assorto la borsa di pelle ai propri piedi. Anche a lui, cullato dal dondolio ritmico del treno, si chiudevano gli occhi.

Katherine pensava ai misteriosi oggetti contenuti nella borsa di Langdon. Perché la CIA vuole questa piramide? Bellamy aveva detto che Sato la cercava perché ne conosceva l'enorme valore. Ma anche se la piramide avesse davvero rivelato dov'erano nascosti gli antichi misteri, Katherine stentava a credere che la CIA fosse interessata a una promessa di sapienza ancestrale.

Non sarebbe stata la prima volta, però, che l'Agenzia si occupava di parapsicologia, con progetti al limite della magia e del misticismo. Nel 1995, con lo scandalo "Stargate/Scannate" era emerso che la CIA stava sperimentando una tecnologia top secret, denominata "remote viewing", per "osservare" a distanza. Consisteva in una sorta di viaggio telepatico grazie al quale si poteva guardare con l'occhio della mente qualsiasi luogo del pianeta senza essere fisicamente presenti. Nulla di nuovo, in realtà: i mistici la chiamavano "proiezione astrale" e gli yogin "esperienza extracorporea". Sfortunatamente, i contribuenti americani, indignati, l'avevano bollata come un"'assurdità", e il progetto era stato abbandonato. Per lo meno in via ufficiale.

Paradossalmente, Katherine vedeva parecchi nessi fra i progetti abortiti della CIA e i risultati dei suoi esperimenti nel campo della noetica.

Avrebbe avuto una gran voglia di chiamare la polizia per sapere se avevano scoperto qualcosa a Kalorama Heights, ma né lei né Langdon avevano più il cellulare, e comunque, non sapendo fino a dove arrivava il potere di Sato, contattare le autorità era sconsigliabile.

Porta pazienza, si disse Katherine. Nel giro di pochi minuti sarebbero stati al sicuro, ospiti di un uomo che aveva promesso loro delle risposte. Katherine sperava che le consentissero di salvare il fratello.

«Robert?» mormorò lanciando un'occhiata alla cartina della metropolitana. «La prossima fermata è la nostra.»

Langdon si riscosse lentamente. «Bene, grazie.» Mentre il treno rallentava entrando in stazione, prese la tracolla e guardò Katherine con espressione incerta. «Speriamo che vada tutto liscio.»


Quando Turner Simkins raggiunse i suoi uomini, la banchina era stata sgombrata e gli agenti stavano prendendo posizione dietro la fila di colonne che andava da un capo all'altro dei binari. Si cominciò a sentire un rombo in lontananza e, poco dopo, dalla galleria uscì una ventata di aria calda.

Non hai scampo, Langdon.

Simkins si rivolse ai due agenti a cui aveva ordinato di posizionarsi accanto a lui. «Tesserino alla mano e armi pronte. I treni sono completamente automatici, ma a bordo c'è un capotreno che comanda l'apertura delle porte. Trovatelo.»

In quel momento, nella galleria comparve il bagliore dei fari e si udì lo stridio dei freni. Il treno fece il suo ingresso in stazione e rallentò. Simkins e gli altri due agenti cominciarono a sbracciarsi, mostrando il tesserino e cercando di incrociare lo sguardo del capotreno prima che questi azionasse l'apertura delle porte.

Le due carrozze di testa sfilarono loro davanti velocemente. Nella terza Simkins vide il capotreno che, con aria stupita, cercava di capire cosa volessero da lui quei tre uomini vestiti di nero che sbandieravano i tesserini. Il treno si stava ormai fermando.

«CIA!» gridò Simkins. «NON apra le porte!» Il convoglio gli passò lentamente davanti e lui gli corse dietro, seguendo il vagone del capotreno e continuando a gridare: «Non apra le porte! Ha capito? Non deve aprire le porte!».

Il treno si fermò del tutto. Il capotreno, che faceva energicamente segno di sì con la testa, si affacciò al finestrino. «Che cosa c'è? Cos'è successo?»

«Non faccia ripartire il treno» ordinò Simkins. «E soprattutto non apra le porte.»

«Okay.»

«Può farci salire sulla prima carrozza?»

Il capotreno annuì. Intimorito, scese chiudendosi subito la porta alle spalle e accompagnò Simkins e i suoi uomini nella prima carrozza, aprendo la porta manualmente.

«La richiuda subito» ordinò Simkins estraendo la pistola. Salì sul vagone illuminato a giorno con i due agenti, mentre il capotreno faceva quanto gli era stato detto.

C'erano solo quattro persone, tre adolescenti e un'anziana signora, che rimasero comprensibilmente spaventate nel veder salire quegli uomini armati. Simkins mostrò il tesserino. «Tranquilli» disse. «Rimanete pure seduti. Non è successo niente.»

A quel punto i tre agenti cominciarono la perlustrazione, procedendo di carrozza in carrozza. Durante l'addestramento a Camp Peary, quella tecnica era soprannominata "spremere il dentifricio". Il treno era semivuoto, e arrivarono quasi a metà senza incontrare nessuno che corrispondesse anche lontanamente alla descrizione di Robert Langdon e Katherine Solomon. Simkins, comunque, non si perse d'animo. I vagoni non offrivano molte possibilità di nascondersi: non c'erano toilette, né vani portabagagli o uscite secondarie. Anche se i due ricercati li avessero visti salire a bordo e fossero scappati verso il fondo del treno, non avrebbero avuto vie di fuga. Aprire le porte a forza era praticamente impossibile, e comunque Simkins aveva piazzato agenti su entrambi i lati della banchina.

È solo una questione di tempo.

Arrivato al penultimo vagone, però, Simkins cominciò a innervosirsi. C'era un solo passeggero, un cinese. Il caposquadra e i due colleghi controllarono che non ci fosse nessuno nascosto. Niente.

«Ultima carrozza» annunciò Simkins sollevando la pistola. Entrarono e si fermarono, esterrefatti.

Come cavolo sono riusciti a sfuggirci? Simkins corse fino in fondo al vagone deserto, guardando dietro tutti i sedili. Poi si voltò verso i suoi uomini, furibondo. «Dove diavolo sono finiti?»


Dodici chilometri a nord di Alexandria, Robert Langdon e Katherine Solomon stavano attraversando con calma un grande prato coperto da un velo di brina.

«Dovresti fare l'attrice» commentò Langdon, ancora colpito dalla prontezza di riflessi e dalla capacità di improvvisazione di Katherine.

«Anche tu sei stato bravo» disse lei sorridendo.

Sulle prime, Langdon era rimasto sconcertato dalla sceneggiata di Katherine sul taxi: tutto a un tratto si era voluta far portare in Freedom Plaza sostenendo di aver avuto una folgorazione che aveva a che fare con la stella di David e il Gran Sigillo degli Stati Uniti. Aveva disegnato su un biglietto da un dollaro uno schema che ricorreva in innumerevoli teorie del complotto e poi aveva insistito perché Langdon guardasse bene quello che lei gli indicava.

Alla fine Langdon aveva capito che Katherine stava cercando di fargli vedere non qualcosa sulla banconota, bensì una spia luminosa dietro il sedile del conducente. La minuscola lampadina era così sporca che Langdon non l'aveva neppure notata. Guardando più da vicino, tuttavia, si era accorto che era accesa ed emanava una fievole luce rossa. E aveva letto la scritta:

INTERFONO ON


Sgomento, si era voltato verso di lei, e Katherine gli aveva fatto cenno di guardare davanti. Langdon aveva obbedito e aveva lanciato un'occhiata furtiva oltre il divisorio. Il cellulare del tassista era sul cruscotto, aperto e con il display illuminato, rivolto verso l'altoparlante dell'interfono. A quel punto Langdon aveva capito la ragione dello strano comportamento di Katherine.

Sanno che siamo su questo taxi... ci stanno spiando!

Langdon non aveva idea di quanto tempo restasse loro prima che il taxi venisse fermato e circondato, ma era evidente che occorreva agire in fretta. Era stato al gioco, intuendo che Katherine voleva andare in Freedom Plaza non perché pensava di trovarvi la soluzione all'enigma della piramide, ma perché lì c'era un'importante stazione della metropolitana - Metro Center - da cui avrebbero potuto prendere le linee rossa, blu o arancione, per un totale di sei possibili direzioni diverse.

Appena scesi dal taxi, dopo una piccola improvvisazione finalizzata a far perdere le proprie tracce e a spedire gli inseguitori al Masonic Memorial di Alexandria, erano corsi a prendere non la linea blu, bensì la rossa, per andare dalla parte opposta.

Erano saliti sul treno che andava in direzione nord ed erano scesi alla sesta fermata, a Tenleytown, un quartiere elegante e tranquillo. La loro meta era un edificio imponente che si stagliava all'orizzonte nei pressi di Massachusetts Avenue, al centro di un grande prato ben curato.

Ora che erano "fuori dagli schermi radar", per usare l'espressione di Katherine, camminavano con relativa calma sull'erba umida. Sulla loro destra c'era un giardino in stile medievale, famoso per i suoi roseti e per il gazebo di pietra detto Shadow House. Lo superarono, proseguendo verso l'edificio che era stato loro indicato. Un luogo che contiene dieci pietre provenienti dal monte Sinai, una venuta direttamente dal cielo e una che reca le sembianze dell'oscuro padre di Luke.

«È la prima volta che vengo qui di notte» disse Katherine alzando gli occhi verso le torri illuminate. «Che spettacolo!»

Langdon ne convenne: aveva dimenticato quanto fosse imponente quel capolavoro in stile neogotico nei pressi del quartiere delle ambasciate. Erano anni che non ci andava, per la precisione da quando aveva scritto un articolo su una rivista per ragazzi nella speranza di suscitare nella gioventù americana un po' di interesse per quel monumento grandioso e incoraggiarla a visitarlo. L'articolo, intitolato "Mose, la luna e Guerre stellari", era diventato un classico della letteratura turistica.

La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, pensò, inaspettatamente emozionato all'idea di rivederla dopo tanti anni. Quale posto migliore per chiedere lumi sull'unico vero Dio?

«Ma davvero nella cattedrale ci sono dieci pietre provenienti dal monte Sinai?» domandò Katherine ammirando i due campanili gemelli.

Langdon annuì. «Sì, vicino all'altare maggiore. Rappresentano i Dieci Comandamenti che Dio diede a Mosè sul monte Sinai.»

«E c'è anche un pezzo di roccia lunare?»

Una pietra che viene direttamente dal cielo. «Sì. Una delle vetrate, la Space Window, è dedicata all'esplorazione dello spazio e ha al centro un frammento di pietra lunare.»

«Okay, ma non dirmi che è vera anche la terza cosa.» Katherine lo guardò di sottecchi con aria scettica. «C'è una statua di... Darth Vader?»

Langdon ridacchiò. «L'oscuro padre di Luke Skywalker? Certo. Darth Vader è uno dei doccioni più famosi della cattedrale.» Indicò le torri sul lato ovest. «Di notte è difficile distinguerlo, ma c'è.»

«Ma come ha fatto un personaggio di Guerre stellari a finire nella cattedrale di Washington?»

«È stato indetto un concorso fra i ragazzi delle scuole per la realizzazione di una gargouille che rappresentasse il volto del male. Ha vinto Darth Vader.»

Arrivarono alla scalinata davanti all'ingresso principale, sormontato da un arco alto venticinque metri decorato da un meraviglioso rosone. Salendo, Langdon ripensò allo sconosciuto che gli aveva telefonato.

Non faccia nomi, per carità. Mi dica, è riuscito a proteggere la mappa che le è stata affidata? Langdon aveva male alla spalla e non vedeva l'ora di poter posare la pesante borsa. Protezione e risposte.

In cima alla scalinata li attendeva un maestoso portone a due battenti.

«Cosa facciamo, bussiamo?» disse Katherine.

Anche Langdon si stava chiedendo la stessa cosa. Un attimo dopo, il portone si socchiuse cigolando.

«Chi è?» domandò una voce fievole. Sulla soglia si affacciò il volto avvizzito di un vecchio vestito da prete e con lo sguardo vitreo, gli occhi velati dalla cataratta.

«Mi chiamo Robert Langdon» rispose. «Sono qui con Katherine Solomon. Abbiamo bisogno di protezione.»

Il vecchio tirò un sospiro di sollievo. «Grazie a Dio. Vi stavo aspettando.»


Warren Bellamy, nella Giungla, intravide un barlume di speranza.

Sato aveva ricevuto una chiamata e si era messa a inveire. "Be', sarà meglio che li ritroviate al più presto" aveva gridato. "Non ci resta più molto tempo!" Aveva chiuso il telefono e adesso camminava avanti e indietro, come indecisa sul da farsi.

Alla fine gli si fermò davanti e disse: «Signor Bellamy, ora le farò una domanda, e gliela farò una volta sola». Lo guardò dritto negli occhi. «Mi risponda solo sì o no. Ha idea di dove possa essere andato Robert Langdon?»

Bellamy ne aveva idea, eccome, ma scosse la testa. «No.»

Sato continuò a fissarlo con i suoi occhi penetranti. «Con il mio lavoro ho imparato a capire quando una persona mente »

Bellamy distolse lo sguardo. «Mi dispiace, ma non posso aiutarla.»

Sato ripartì all'attacco. «Architetto Bellamy, stasera, poco dopo le sette, lei era a cena in un ristorante fuori città quando ha ricevuto una telefonata da un uomo che le ha detto di aver sequestrato Peter Solomon.»

Bellamy rabbrividì e tornò a guardarla in faccia. Come fai a saperlo?

«Costui le ha detto anche di aver mandato Robert Langdon al Campidoglio e di avergli affidato un incarico... un incarico che richiedeva il suo aiuto, architetto» seguitò Sato. «E l'ha avvertita che, se Langdon non fosse riuscito a portarlo a termine, il vostro amico Peter Solomon sarebbe morto. In preda al panico, lei ha chiamato Peter Solomon a tutti i numeri che conosceva, ma non lo ha trovato. Comprensibilmente, a quel punto è corso al Campidoglio.»

Bellamy non riusciva a immaginare come avesse fatto Sato a venire a sapere tutte quelle cose.

«Poi, mentre scappava» continuò implacabile Inoue Sato «ha mandato un messaggio al rapitore di Solomon per informarlo delle difficoltà incontrate.»

Ma dove ha preso tutte queste informazioni? si chiese Bellamy. Nemmeno Langdon sa che ho mandato quell'e-mail. Poco prima di imboccare il tunnel che portava alla Biblioteca del Congresso, Bellamy era entrato nel locale dei quadri elettrici per accendere gli interruttori generali e, in quel breve momento di privacy, aveva deciso di mandare un messaggio al rapitore di Peter Solomon, dicendogli di Sato, ma assicurandogli che lui e Langdon avevano la piramide ed erano pronti a collaborare. Era una bugia, naturalmente, ma Bellamy sperava in tal modo di guadagnare un po' di tempo, nell'interesse sia di Peter Solomon sia della piramide.

«Come fa a sapere che ho mandato un messaggio?» chiese bruscamente.

Inoue Sato lanciò il suo cellulare sulla panchina. «Non c'è voluto molto a scoprirlo.»

Bellamy si era scordato che gli agenti che lo avevano preso gli avevano sequestrato il telefono e le chiavi.

«Per quanto riguarda le altre informazioni riservate di cui sono a conoscenza...» continuò Sato «il Patriot Act mi autorizza a intercettare le telefonate di chiunque io ritenga rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale. E poiché a mio avviso Peter Solomon rientra in questa categoria, ho preso i provvedimenti del caso.»

Bellamy stentava a credere alle proprie orecchie. «Ha messo sotto controllo il telefono di Peter Solomon?»

«Sì. Per questo sapevo che il rapitore le ha telefonato al ristorante. Lei ha chiamato Peter al cellulare e gli ha lasciato un messaggio urgente spiegando che cosa era successo.»

Era andata esattamente così.

«Abbiamo intercettato anche una chiamata da parte di Robert Langdon, confuso e sconcertato nell'apprendere di essere stato attirato a Washington con l'inganno. A quel punto sono corsa subito al Campidoglio. Sono arrivata prima di lei perché mi trovavo nelle vicinanze. Vuole sapere anche come mi è venuta l'idea di controllare la radiografia della borsa di Langdon? Quando ho capito che era coinvolto nella faccenda, ho chiesto ai miei collaboratori di riascoltare la sua telefonata di stamattina all'alba. Nel corso della conversazione, apparentemente innocua, al cellulare di Peter Solomon, il rapitore, fingendo di essere l'assistente di Solomon, convinceva Langdon a venire a Washington per tenere una conferenza e a portare con sé un pacchetto affidatogli tempo fa da Solomon. Dal momento che Langdon è stato reticente in proposito, ho chiesto di vedere la radiografia della sua borsa.»

Bellamy stentava a capacitarsi. Quello che diceva Sato era verosimile... eppure c'era qualcosa che non quadrava. «Come può pensare che Peter Solomon sia un pericolo per la sicurezza nazionale?»

«Mi creda, Peter Solomon è un grave pericolo per la sicurezza nazionale» ribatté secca Sato. «E francamente, signor Bellamy, lo è anche lei.»

Bellamy drizzò la schiena di scatto e le manette gli sfregarono dolorosamente i polsi. «Come, scusi?»

Sato fece un sorriso forzato. «Voi massoni fate un gioco molto pericoloso e custodite segreti perniciosi.»

Gli antichi misteri?

«Per fortuna siete sempre stati molto bravi a tenerli nascosti, ma ultimamente siete diventati imprudenti, e adesso rischiate che il vostro segreto più grande venga pubblicamente svelato. Stanotte. Se non riusciremo a impedire che ciò avvenga, le assicuro che sarà la catastrofe.»

Bellamy la fissava esterrefatto.

«Se lei non mi avesse aggredito» continuò Sato «si sarebbe reso conto che noi due stiamo dalla stessa parte.»

Stiamo dalla stessa parte? A Bellamy venne un dubbio... Ma no, era inconcepibile! Sato è un membro della Stella d'Oriente? L'ordine della Stella d'Oriente - il ramo femminile della massoneria - si basava sugli stessi principi di tolleranza, saggezza, segretezza e filantropia. Stiamo dalla stessa parte? Ma se io sono in manette e tu hai messo sotto controllo il telefono di Peter!

«Deve aiutarmi a fermarlo» disse Sato. «Quell'uomo è in grado di provocare un cataclisma da cui questo paese potrebbe non risollevarsi mai più.» L'espressione del direttore dell'OS era impenetrabile.

«Perché non cercate di capire dov'è nascosto?»

Sato assunse un'espressione incredula. «Crede che non ci abbiamo provato? Il segnale del cellulare di Solomon è sparito prima che riuscissimo a localizzarlo e l'altro numero corrisponde a un cellulare usa e getta, che è irrintracciabile per definizione. Il jet privato di Langdon è stato prenotato dall'assistente di Solomon con una telefonata fatta dal cellulare di Solomon, e pagato con la Marquis Jet Card di Solomon. Nessun indizio su questo fronte, quindi. E, comunque, ormai non ha importanza. Anche se scoprissimo chi è il rapitore, intervenire e cercare di catturarlo a questo punto sarebbe troppo rischioso.»

«Perché?»

«Preferisco non darle spiegazioni, poiché si tratta di informazioni top secret» replicò Sato, visibilmente spazientita. «Le chiedo di fidarsi di me.»

«Be', io invece non mi fido!»

Con occhi di ghiaccio, Inoue Sato si voltò di scatto. «Agente Hartmann!» gridò. «La valigetta, per favore!»

Bellamy sentì il ronzio della porta automatica e nella Giungla entrò un agente con una valigetta di titanio, che posò per terra ai piedi del direttore dell'OS.

«Ci lasci soli» ordinò Sato.

L'agente si allontanò. Si sentì di nuovo il ronzio della porta, quindi scese il silenzio.

Inoue Sato prese la valigetta metallica, se la posò sulle ginocchia e l'aprì. Poi alzò lentamente lo sguardo. «Avrei preferito evitarlo, ma il tempo stringe e lei non mi lascia altra scelta.»

Bellamy guardò la strana valigetta e fu assalito dalla paura. Mi vuole torturare? Si divincolò. «Che cosa c'è lì dentro?»

Sato fece un sorriso sinistro. «Una cosa che la convincerà a considerare la situazione dal mio punto di vista. Glielo garantisco.»


Lo spazio sotterraneo in cui Mal'akh praticava la sua Arte era nascosto in maniera molto ingegnosa. Lo scantinato della sua casa, entrando, sembrava del tutto normale: conteneva una caldaia, un contatore della corrente elettrica, legna da ardere e il solito assortimento di provviste e oggetti vari. Ma questa era solo una parte del sotterraneo. L'altra, destinata alle sue pratiche clandestine, si trovava dietro una parete.

Il luogo più privato di Mal'akh era composto da una serie di piccoli vani, ciascuno dei quali aveva una funzione specifica. Vi si accedeva soltanto attraverso una rampa segreta, praticamente impossibile da scoprire, dietro la parete del salotto.

Quando la scese, quella sera, i simboli tatuati sulla sua pelle parvero prendere vita nel bagliore azzurrognolo prodotto dallo speciale impianto di illuminazione dello scantinato. Mal'akh passò davanti a varie porte chiuse e andò dritto nella stanza più grande, in fondo al corridoio.

Quel "sancta sanctorum", come gli piaceva chiamarlo, era un quadrato perfetto di dodici piedi di lato. Dodici sono i segni dello zodiaco. Dodici sono le ore del giorno e della notte. Dodici sono le porte del cielo. Al centro della stanza c'era un tavolo quadrato di pietra, di sette piedi di lato. Sette sono i sigilli dell'Apocalisse. Sette sono i gradini del tempio. Sopra il tavolo, perfettamente centrata, c'era una lampada programmata in modo da proiettare una gamma preordinata di colori che si alternavano secondo un ciclo di sei ore, in base alla sacra Tavola delle ore planetarie. L'ora di Yanor è azzurra. L'ora di Nasnia è rossa. L'ora di Salam è bianca.

In quel momento era l'ora di Caerra, e pertanto la luce nella stanza aveva assunto una morbida sfumatura violacea. Con indosso soltanto il perizoma, Mal'akh cominciò i suoi preparativi.

Miscelò attentamente le sostanze aromatiche che in seguito avrebbe bruciato per santificare l'aria nella stanza. Quindi piegò la veste di seta vergine che avrebbe indossato successivamente sopra il perizoma. Da ultimo purificò una boccetta d'acqua per consacrare la sua offerta. Quando ebbe finito, dispose tutto su un tavolino.

Poi andò a prendere da uno scaffale una piccola scatola di avorio e la posò accanto agli altri oggetti. Non era ancora il momento di usarla, ma non resistette alla tentazione di sollevare il coperchio e ammirare il tesoro che racchiudeva.

Il coltello.

Dentro la scatola, su un cuscinetto di velluto nero, c'era il coltello sacrificale che da un anno conservava per quella sera. L'aveva comprato al mercato clandestino dell'antiquariato mediorientale per un milione e seicentomila dollari.

Il coltello più famoso della storia.

Antichissimo e da tutti creduto perduto, aveva una lama di ferro e l'impugnatura di osso. Nei secoli era appartenuto a molti personaggi illustri e potenti, ma ultimamente era sparito dalla circolazione e languiva in una collezione privata. Mal'akh aveva fatto di tutto per entrarne in possesso. Sospettava che fossero decenni, se non addirittura secoli, che non veniva usato per compiere un sacrificio. Ma quella stessa notte la sua lama sarebbe stata nuovamente utilizzata allo scopo per il quale era stata creata: versare il sangue di una vittima sacrificale.

Mal'akh sollevò delicatamente il coltello dal cuscino di velluto e lustrò con riverenza la lama con una pezzuola di seta inumidita con l'acqua purificata. Era diventato molto più esperto rispetto a quando faceva i suoi primi rudimentali esperimenti a New York. L'Arte oscura da lui praticata aveva molteplici nomi in una varietà di lingue diverse ma, comunque la si volesse chiamare, era una scienza esatta. Nell'antichità, rappresentava la chiave per varcare i portali del potere, ma in seguito era stata messa al bando, relegata nelle ombre dell'occultismo e della magia. I Pochi che ancora la praticavano erano considerati dei folli, ma Mal'akh sapeva che la verità era un'altra. Quest'Arte non è per gli stolti. Come la scienza moderna, era una disciplina che richiedeva formule precise, ingredienti specifici e una meticolosa attenzione ai tempi.

Ben diversa dall'inutile magia nera praticata spesso al giorno d'oggi con scarsa convinzione da spiriti curiosi, quest'Arte era in grado di scatenare forze smisurate pari a quelle della fisica nucleare. Gli inesperti dovevano fare attenzione. Chi la pratica incautamente rischia di essere annientato.

Finito di ammirare la sacra lama, Mal'akh spostò lo sguardo sulla spessa pergamena stesa sul tavolo. L'aveva ricavata lui stesso dalla pelle di un agnello che, in base al cerimoniale, doveva essere puro, ucciso prima della maturità sessuale. Accanto alla pergamena c'erano un calamo ricavato da una penna di corvo, un piatto d'argento e tre candele accese, disposte intorno a una bacinella di ottone contenente un sottile strato di un denso liquido scarlatto.

Il sangue di Peter Solomon.

Il sangue è la tintura dell'eternità.

Mal'akh posò la mano sinistra sulla pergamena, intinse il calamo nel sangue e tracciò con cura la sagoma della propria mano sul foglio. Poi vi aggiunse i cinque simboli degli antichi misteri, uno su ogni dito.

La corona... a significare il re che diventerò.

La stella... a significare i cieli che hanno scritto il mio destino.

Il sole... a significare l'illuminazione della mia anima.

La lanterna... a significare la luce fioca dell'umana comprensione.

E la chiave... a significare il pezzo mancante, quello di cui stanotte entrerò finalmente in possesso.

Completato il disegno, Mal'akh sollevò la pergamena e ammirò l'opera alla luce delle candele. Aspettò che il sangue asciugasse, poi piegò in tre la pergamena e, recitando un antico incantesimo, l'avvicinò alla terza candela. La pergamena prese fuoco. Mal'akh la posò sul piatto d'argento e la lasciò bruciare. In tal modo il carbonio contenuto nella pelle d'agnello si trasformò in sottile polvere nera. Quando le fiamme si spensero, unì la cenere al sangue rimasto nella bacinella, mescolando con la penna di corvo.

Il liquido si fece di un rosso più cupo, quasi nero.

Mal'akh prese la bacinella con entrambe le mani, la sollevò sopra la testa e intonò l'Eucharistos per il sangue versato. Poi trasferì il liquido in una fiala e la tappò. Quell'inchiostro gli sarebbe servito in seguito per tatuarsi l'ultimo lembo di pelle rimasto vergine e completare così il suo capolavoro.


La cattedrale di Washington è la sesta al mondo in ordine di grandezza. Più alta di un grattacielo di trenta piani, ha oltre duecento vetrate colorate, un carillon composto da cinquantatré campane, un organo a 10.647 canne e può contenere oltre tremila fedeli.

Quella notte, però, era deserta.

Il reverendo Colin Galloway, decano della cattedrale, sembrava essere senza età. Ingobbito e avvizzito, portava un semplice abito talare nero. Fece loro strada nel buio senza dire una parola. Langdon e Katherine lo seguirono in silenzio nella navata centrale, lunga quasi centoquaranta metri e appena incurvata a sinistra per creare un'illusione ottica di maggiore armonia. Quando arrivarono al grande transetto, il decano li guidò oltre il confine simbolico tra la parte riservata al pubblico e lo spazio sacro della chiesa.

Nel presbiterio aleggiava un profumo di incenso. L'unica luce era quella che si rifletteva dai soffitti lavorati. Oltre il coro, decorato da incisioni raffiguranti episodi della Bibbia, erano appese le bandiere dei cinquanta Stati. Il decano Galloway camminava deciso. Evidentemente conosceva il percorso a memoria. Per un attimo Langdon pensò che li stesse portando all'altare maggiore, davanti al quale si trovavano le dieci pietre provenienti dal monte Sinai, invece l'anziano prelato girò a sinistra e, avanzando a tastoni, varcò una porta seminascosta che conduceva negli uffici amministrativi adiacenti alla cattedrale.

Percorso un breve corridoio, arrivarono a una porta con una targa di ottone.

REVERENDO COLIN GALLOWAY
DECANO DELLA CATTEDRALE


Galloway aprì la porta ed ebbe la cortesia di accendere la luce per i suoi ospiti. Dopo averli fatti accomodare, se la richiuse alle spalle.

L'ufficio era piccolo ma elegante, con alte librerie, una scrivania, un armadio finemente intagliato e un bagno privato. Alle pareti erano appesi arazzi cinquecenteschi e vari dipinti di soggetto religioso. L'anziano prelato indicò loro due poltrone di cuoio di fronte alla scrivania. Langdon si sedette, contento di poter finalmente posare a terra la pesante borsa.

Protezione e risposte, pensò, accomodandosi sulla poltrona.

Il decano girò intorno alla scrivania e andò a sedersi sulla sua sedia dallo schienale alto. Poi sospirò stancamente e alzò la testa, fissandoli con gli occhi velati. Quando parlò, fu con voce sorprendentemente chiara e forte.

«So che non ci siamo mai incontrati» esordì «eppure mi sembra di conoscervi già.» Tirò fuori un fazzoletto e se lo passò sulle labbra. «Professor Langdon, conosco i suoi scritti, tra cui quel bell'articolo sul simbolismo di questa cattedrale. E, dottoressa Solomon, Peter e io siamo fratelli massoni da molti anni.»

«Peter è in grave pericolo» disse Katherine.

«L'ho saputo.» Il vecchio sospirò. «E farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi.»

Langdon aveva notato che il decano non portava anelli, ma sapeva che, soprattutto fra gli ecclesiastici, molti preferivano non ostentare la propria affiliazione alla massoneria.

A mano a mano che parlavano, emerse che Galloway era già al corrente di alcuni eventi di quella sera: Warren Bellamy gli aveva lasciato un messaggio in segreteria telefonica. Langdon e Katherine gli riferirono il resto. Il decano li ascoltò con aria sempre più preoccupata.

«E l'uomo che ha rapito Peter le ha chiesto di decifrare la piramide in cambio della vita del nostro comune amico?» chiese Galloway.

«Sì» rispose Langdon. «È convinto che la piramide sia una mappa che lo condurrà al luogo in cui sono nascosti gli antichi misteri.»

Il decano rivolse gli occhi velati verso Langdon. «Mi pare di capire che lei non crede in queste cose.»

Langdon non voleva perdere tempo a discutere delle sue opinioni. «Quello che credo io non conta. L'importante è aiutare Peter. Purtroppo, abbiamo decifrato l'iscrizione sulla piramide, ma non ci ha dato alcuna indicazione.»

Il vecchio si raddrizzò sulla sedia. «Avete decifrato l'iscrizione sulla piramide?»

A quel punto intervenne Katherine e spiegò che aveva aperto il pacchetto, nonostante gli avvertimenti di Bellamy e le raccomandazioni del fratello, pensando che la cosa più importante fosse aiutare Peter. Parlò della cuspide d'oro, del quadrato magico di Albrecht Dürer e di come lei e Langdon avessero decifrato la griglia di sedici lettere, ricavando le parole "Jeova sanctus unus".

«Nient'altro?» chiese il decano. «L'unico vero Dio, e basta?»

«Sì» ammise Langdon. «Sembra che la piramide sia una mappa più metaforica che geografica.»

Il decano tese la mano. «Me la lasci toccare.»

Langdon aprì la borsa, tirò fuori la piramide e la posò delicatamente sulla scrivania davanti al reverendo.

Poi lui e Katherine stettero a guardare, mentre, con le dita tremanti, Galloway esaminava la piramide centimetro per centimetro: la faccia con l'iscrizione, la base liscia e la sommità tronca. Quando ebbe finito, tese di nuovo la mano. «E la cuspide?»

Langdon prese la scatola di pietra, la posò sulla scrivania, estrasse la cuspide e la porse al reverendo, il quale esaminò con grande attenzione anche quella, soffermandosi sull'iscrizione: a quanto pareva non gli era facile leggere al tatto quegli eleganti caratteri molto piccoli.

«"Il segreto si cela dentro L'Ordine"» gli venne in soccorso Langdon. «Con la "L" e la "O" maiuscole.»

Galloway, impenetrabile, posò la cuspide in cima alla piramide e la allineò con le dita. Rimase immobile un momento, come in preghiera, quindi accarezzò più volte la piramide con atteggiamento riverente. Alla fine allungò una mano, cercò la scatola e, quando l'ebbe trovata, la tastò con cura, dentro e fuori.

La posò sulla scrivania e si appoggiò allo schienale della sedia. «Allora, ditemi: perché siete venuti da me?» chiese in tono improvvisamente severo.

La domanda colse Langdon alla sprovvista. «Siamo venuti perché ce l'ha detto lei, padre. E perché Warren Bellamy ci ha assicurato che potevamo fidarci di lei.»

«Voi, però, avete tradito la sua fiducia...»

«Come, scusi?»

Langdon si sentì trapassare dallo sguardo cieco del decano. «Il pacchetto con la cuspide era sigillato. Bellamy vi ha chiesto di non aprirlo e voi lo avete aperto lo stesso. Anche Peter Solomon ve l'aveva raccomandato, ma avete fatto di testa vostra.»

«Solo per aiutare mio fratello» intervenne Katherine. «L'uomo che lo tiene prigioniero vuole che decifr...»

«Ho capito» la interruppe il reverendo. «Ma che cosa avete ottenuto aprendo il pacchetto? Nulla. Il rapitore vuole le coordinate di un luogo: non si accontenterà della risposta "Jeova sanctus unus".»

«Lo so, ma purtroppo la piramide non dice altro» osservò Langdon. «Come accennavo, sembra essere una mappa più in senso metaforico che...»

«Lei si sbaglia, professore» obiettò il decano. «La piramide massonica è una mappa reale che indica un luogo reale. Voi non lo capite perché siete ancora lungi dall'aver decifrato il suo segreto.»

Langdon e Katherine si scambiarono un'occhiata perplessa.

Il decano sfiorò di nuovo la piramide, quasi amorevolmente. «Come gli antichi misteri, questa mappa contiene più livelli di significato. Dovete scoprirne ancora molti.»

«Reverendo, abbiamo esaminato da cima a fondo sia la piramide sia la cuspide» replicò Langdon. «Non c'è nient'altro da decifrare.»

«Non in questa forma, è vero. Ma tutto può mutare.»

«In che senso, scusi?»

«Professore, come lei sa, questa piramide racchiude una promessa di trasformazione. La leggenda vuole che, per rivelare i suoi segreti, essa si trasformi, cambi aspetto. Come la famosa roccia che consentì a re Artù di impadronirsi di Excalibur, la piramide massonica può modificarsi per rivelare il suo segreto a chi ne è degno.»

Langdon pensò che forse l'età avanzata aveva obnubilato la mente del decano. «Mi scusi, sta dicendo che questa piramide può subire una trasformazione fisica nel senso letterale del termine?»

«Professore, se io ora prendessi la piramide e le facessi cambiare aspetto sotto i suoi occhi, lei mi crederebbe?»

Langdon non sapeva cosa rispondere. «Be'... certamente.»

«Benissimo, allora. Lo farò.» Si sfiorò di nuovo le labbra con il fazzoletto. «Le ricordo che un tempo anche le menti più brillanti erano convinte che la terra fosse piatta perché ritenevano che, se fosse stata rotonda, i mari si sarebbero rovesciati. Provi a immaginare quanto avrebbero riso se qualcuno fosse andato a dir loro: "Non solo la terra è una sfera, ma c'è una forza mistica invisibile che trattiene tutto sulla sua superficie"!»

«Tra la forza di gravità e la capacità di trasformare gli oggetti con un semplice tocco della mano c'è una bella differenza» osservò Langdon.

«Lei crede? Non sarà forse che viviamo ancora in un'epoca buia, in cui ci si fa beffe delle forze "mistiche" che non siamo in grado di vedere o capire? Se la storia ci ha insegnato qualcosa, è che le idee bizzarre di cui ridiamo oggi saranno domani verità conclamate. Io sostengo di poter trasformare questa piramide con il tocco delle mie mani, e lei mette in dubbio il mio equilibrio mentale. La storia è piena di saggi e dotti che sostenevano la stessa cosa... convinti che l'uomo possieda facoltà mistiche di cui non è consapevole.»

Langdon sapeva che il decano aveva ragione. Il famoso aforisma ermetico "Non sapete di essere dèi?" era uno dei pilastri degli antichi misteri. Come sopra, così sotto... L'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio... L'apoteosi. Il messaggio ricorrente della natura divina dell'uomo, del suo potenziale nascosto, era il comune denominatore dei testi classici di innumerevoli tradizioni. Persino la Bibbia proclamava, in Salmi 82,6: "Voi siete dèi".

«Professore» prosegui l'anziano sacerdote «mi rendo conto che lei, come molti intellettuali, oscilla tra due mondi, quello spirituale e quello materiale. Il suo cuore anela a credere, ma il suo intelletto non glielo permette. Da serio studioso qual è, farebbe bene a imparare dai saggi del passato.» Fece una pausa e si schiarì la voce. «Se non ricordo male, una delle menti più sublimi che siano mai esistite diceva: "Ciò che a noi sembra impenetrabile esiste veramente. Dietro i segreti della natura c'è qualcosa di sottile, intangibile e inspiegabile. La mia religione venera questa forza che va al di là della nostra capacità di comprensione".» «Chi è stato a dirlo?» chiese Langdon. «Gandhi?» «No» intervenne Katherine. «Albert Einstein.»


Katherine Solomon aveva letto tutto di Einstein ed era rimasta molto colpita dal suo profondo rispetto per la religiosità, oltre che dalla sua convinzione che in futuro anche le masse sarebbero arrivate a pensarla come lui. "La religione del futuro" aveva pronosticato Einstein "sarà una religione cosmica. Trascenderà il Dio personale e lascerà da parte dogmi e teologia."

Robert Langdon stentava ad accettare l'idea avanzata dall'anziano sacerdote. Katherine intuì che era irritato, e lo capiva. In fondo, erano andati lì per avere delle risposte e invece avevano trovato un cieco che sosteneva di poter trasformare gli oggetti con il tocco delle sue mani. Ma l'interesse appassionato di Galloway per quegli argomenti a Katherine ricordava quello del fratello.

«Reverendo Galloway» disse «Peter è in pericolo, siamo inseguiti dalla CIA e Warren Bellamy ha insistito perché venissimo da lei, che ci avrebbe aiutati. Non so quali segreti racchiuda questa piramide, ma se decifrarli è l'unico modo per aiutare Peter, dobbiamo farlo. Bellamy forse avrebbe deciso di sacrificare la vita di mio fratello pur di proteggerla, ma questo oggetto ha portato dolore e tragedie alla mia famiglia. Qualunque sia il suo segreto, stanotte verrà svelato.»

«Lei ha ragione» replicò il decano in tono tetro. «Stanotte verrà svelato. E siete voi gli artefici.» Sospirò. «Spezzando il sigillo di questa piccola scatola, dottoressa Solomon, lei ha messo in moto una serie di eventi inarrestabili, forze che voi neanche immaginate. Non si può più tornare indietro.»

Katherine fissava il reverendo con aria confusa. C'era un che di apocalittico nel suo tono, come se stesse parlando dei sette sigilli dell'Apocalisse o del vaso di Pandora.

«Con tutto il rispetto, reverendo» intervenne Langdon «non capisco come possa una piramide di granito mettere in moto tutto quello che lei dice.»

«È naturale» replicò il vecchio trapassandolo con il suo sguardo cieco. «Lei non capisce, professore, perché ancora non ha occhi per vedere.»


Nell'aria umida della Giungla, l'architetto del Campidoglio sentiva il sudore colargli lungo la schiena. I polsi ammanettati gli facevano male, ma tutta la sua attenzione era concentrata sulla sinistra valigetta di titanio che Inoue Sato aveva appena posato sulla panchina il cui contenuto, gli aveva garantito, lo avrebbe convinto a considerare la situazione dal suo punto di vista.

Sato aveva girato la valigetta in modo che l'interno non fosse visibile e la fantasia di Bellamy si era scatenata. Il direttore dell'OS stava frugando e lui si aspettava che tirasse fuori da un momento all'altro un assortimento di luccicanti e affilatissimi strumenti.

Vide un bagliore improvviso, sempre più intenso, che le illuminava il viso dal basso. Sato continuò ad armeggiare e la luce cambiò colore. Dopo qualche istante, il direttore dell'OS afferrò la valigetta dai lati e la girò in modo che Bellamy vedesse che cosa conteneva.

L'architetto del Campidoglio si ritrovò a strizzare gli occhi abbagliato dallo schermo di un portatile futuristico, con tanto di ricevitore telefonico, due antenne e doppia tastiera. Il senso di sollievo si tramutò ben presto in confusione.

Sullo schermo c'erano il logo della CIA e alcune scritte.

LOGIN RISERVATO

UTENTE: INOUE SATO

LIVELLO DI SICUREZZA: 5

Sotto la finestra di login c'era un'icona che girava lentamente:

ATTENDERE PREGO...

DECRITTAZIONE FILE IN CORSO...


Bellamy alzò lo sguardo. Inoue Sato lo fissò negli occhi. «Non avevo intenzione di mostrarglielo, ma non mi ha lasciato scelta» disse.

Il grado di luminosità del monitor cambiò e Bellamy strinse di nuovo gli occhi. Si stava aprendo un file che occupava per intero lo schermo a cristalli liquidi.

Bellamy guardò, cercando di raccapezzarsi, e quando cominciò a capire impallidì inorridito, senza più riuscire a staccare gli occhi. «Ma è... impossibile!» esclamò. «Come... come può essere?»

«Me lo dica lei, Bellamy. Me lo dica lei» sibilò il direttore dell'os, di pessimo umore.

Atterrito dalle implicazioni di ciò che stava vedendo, l'architetto del Campidoglio si sentì come se gli stesse per cadere il mondo addosso.

Oh, mio Dio! Ho commesso un terribile errore!


Il decano Galloway si sentiva vivo.

Come tutti i mortali, sapeva che anche per lui sarebbe venuto il momento di abbandonare le spoglie terrene, ma non quella notte. Il cuore gli batteva, forte e vigoroso, e aveva la mente lucidissima. Ho una missione da compiere.

Passando le mani deformate dall'artrosi sulle facce lisce della piramide, stentava a credere a ciò che sentiva. Non avrei mai immaginato di vivere questo momento. Per intere generazioni i pezzi del symbolon erano stati prudentemente conservati l'uno lontano dall'altro, ma ora si erano riuniti. Galloway si chiese se non fosse giunta l'ora annunciata dalle profezie.

Stranamente, il destino aveva scelto due profani per ricomporre la piramide. In un certo senso gli sembrava giusto. I misteri stanno per uscire dalla cerchia più ristretta... Dalle tenebre... alla luce.

«Professore» chiese voltandosi dalla parte da cui sentiva provenire il respiro di Langdon. «Peter le spiegò per quale motivo voleva affidare a lei il pacchetto?»

«Mi disse che c'erano persone potenti che glielo volevano rubare» rispose Langdon.

Il decano annuì. «Sì, anche a me disse la stessa cosa.»

«Davvero?» Katherine, alla sua sinistra, sembrava sorpresa. «Ha parlato con mio fratello di questa piramide?»

«Certo» spiegò Galloway. «Suo fratello e io abbiamo parlato di molte cose. Ai tempi in cui ero Venerabilissimo Maestro, ogni tanto mi chiedeva consigli. Circa un anno fa venne da me, profondamente turbato. Si sedette esattamente dove è seduta lei adesso e mi chiese se credevo nelle premonizioni.»

«Premonizioni?» disse Katherine preoccupata. «Nel senso di... visioni?»

«Non proprio. Si riferiva a qualcosa di più viscerale. Percepiva la presenza di una forza oscura, che lo osservava, lo insidiava e voleva fargli del male...»

«Purtroppo, aveva ragione» commentò Katherine. «L'assassino di suo figlio e di nostra madre era venuto a Washington e si era infiltrato fra i suoi fratelli massoni.»

«È vero» convenne Langdon «ma questo non spiega l'intervento della CIA.»

Galloway non pareva molto convinto. «Il potere crea assuefazione e chi lo detiene ne vuole sempre di più.»

«Ma... la CIA?» ribatté Langdon. «Cosa c'entra con i segreti mistici? C'è qualcosa che non quadra.»

«Invece è tutto chiaro» disse Katherine. «La CIA segue da vicino i progressi di scienza e tecnologia e non snobba parapsicologia, remote viewing, deprivazione sensoriale, farmaci capaci di alterare lo stato di coscienza. Lo scopo è sfruttare le potenzialità nascoste della mente umana. Se c'è una cosa che ho imparato da Peter, è questa: scienza e conoscenze mistiche sono strettamente legate, si differenziano solo per l'approccio. L'obiettivo è lo stesso, cambiano i metodi per raggiungerlo.»

«Peter mi ha spiegato che lei è specializzata in una sorta di moderna scienza mistica, giusto?»

«La noetica» ammise Katherine annuendo. «Stiamo cominciando a dimostrare che l'uomo dispone di poteri inimmaginabili.» Indicò una vetrata che raffigurava Gesù con fasci di luce che si irradiavano dalla testa e dalle mani. «Recentemente, con un apparecchio dotato di sensore CCD raffreddato con azoto liquido, ho fotografato le mani di un guaritore all'opera, ottenendo immagini che assomigliano moltissimo al Gesù Cristo di questa vetrata... con flussi di energia che escono dalla punta delle dita.»

Una mente ben addestrata, pensò Galloway trattenendo un sorriso. Come credete che facesse Gesù a curare i malati?

«So benissimo che la medicina moderna si fa beffe di guaritori e sciamani» continuò Katherine «ma io l'ho visto con i miei occhi. I miei apparecchi CCD hanno fotografato chiaramente quest'uomo che emanava un forte campo energetico dalla punta delle dita... e induceva nel paziente cambiamenti a livello della struttura cellulare. Se questa non è potenza divina, non saprei proprio come definirla.»

A quel punto il decano si concesse un sorriso. Katherine era animata dallo stesso entusiasmo del fratello. «Peter una volta ha paragonato gli studiosi di noetica ai primi navigatori, che venivano derisi perché credevano nell'idea eretica che la terra fosse rotonda, ma che da pazzi visionari si trasformarono di colpo in eroi quando scoprirono continenti inesplorati, aprendo nuovi orizzonti all'umanità. Peter è convinto che anche per voi sarà così. Ripone grandi speranze nelle sue ricerche. In fondo, tutte le grandi rivoluzioni filosofiche sono partite da un'idea semplice e coraggiosa.»

Naturalmente, Galloway sapeva che molti già condividevano l'idea ardita alla base della noetica - ovvero che l'uomo fosse dotato di potenzialità nascoste - senza bisogno di dimostrazioni scientifiche. Nella cattedrale si tenevano regolarmente riunioni di preghiera per i malati, e in numerosi casi erano stati ottenuti risultati miracolosi che la medicina non riusciva a spiegare. La questione era non tanto se Dio avesse dato o no all'uomo poteri straordinari, quanto come utilizzarli.

Il decano posò rispettosamente le mani sui lati della piramide massonica. «Amici miei» disse con voce pacata «non so esattamente che cosa ci indichi questa piramide, ma so che esiste un grande tesoro spirituale sepolto chissà dove, un segreto che attende con pazienza nel buio di essere svelato per dare inizio a una nuova era.» Toccò la punta dorata della cuspide e continuò: «Se questa piramide è stata ricomposta, significa che il momento è vicino. Ed è giusto così: le profezie parlano di una profonda trasformazione, dell'illuminazione di tutta l'umanità...».

«Padre» intervenne Langdon in tono di sfida «conosciamo l'Apocalisse di San Giovanni e il significato letterale delle sue rivelazioni, ma la profezia biblica non mi sembra...»

«Oh, santo cielo, il libro dell'Apocalisse è complicatissimo! » esclamò il decano. «Nessuno ci capisce niente. Io stavo parlando di profezie lucide, di pensieri espressi in modo chiaro, da gente come sant'Agostino, Francesco Bacone, Newton, Einstein e molti altri che hanno vaticinato un momento trasformativo verso l'illuminazione. Persino Gesù ha detto: "Non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce".»

«È una previsione piuttosto facile» fece notare Langdon. «La conoscenza cresce a ritmi vertiginosi. Più sappiamo, più riusciamo a imparare e più velocemente le nostre conoscenze si allargano.»

«Sì, in campo scientifico questo è molto evidente» confermò Katherine. «Ogni nuova tecnologia diventa la base per inventare nuove tecnologie, in una sorta di effetto valanga. Ecco perché negli ultimi cinque anni la scienza ha fatto più progressi che nei precedenti cinquemila. La crescita è esponenziale. Più passa il tempo, più la curva del progresso diventa ripida, e i nuovi sviluppi si succedono a una velocità incredibile.»

Nell'ufficio del decano scese il silenzio, e Galloway intuì che i suoi due ospiti continuavano a non capire come la piramide potesse aiutarli a scoprire ancora qualcosa. Per questo il destino vi ha condotti da me, pensò. Ho un ruolo da svolgere.

Per molti anni il reverendo Colin Galloway, insieme ai suoi fratelli massoni, aveva svolto il ruolo di custode. Ora tutto cambiava.

Non sono più un custode... sono una guida.

«Professor Langdon?» disse sporgendosi in avanti. «Mi dia la mano, per favore.»


Robert Langdon, incerto, guardò la mano tesa del decano, seduto dall'altra parte della scrivania.

Stiamo per metterci a pregare?

Per educazione, allungò la destra e la posò sulla palma rugosa del vecchio, che gliela strinse con decisione. Invece di mettersi a pregare, però, gli prese il dito indice e lo guidò verso la scatola di pietra della cuspide.

«Gli occhi l'hanno resa cieco» disse. «Se lei vedesse con il tatto, come me, si sarebbe reso conto che questa piccola scatola ha ancora qualcosa da insegnarle.»

Langdon esplorò scrupolosamente con la punta dell'indice l'interno della scatola, ma non sentì niente. Era perfettamente liscio.

«Continui a cercare» lo esortò Galloway.

Finalmente Langdon sentì qualcosa: un minuscolo cerchio in rilievo, un puntino piccolissimo al centro della base della scatola. Tolse il dito e guardò. Era un cerchietto praticamente invisibile a occhio nudo. Che cos'è?

«Riconosce quel simbolo?» gli domandò Galloway.

«Simbolo?» replicò Langdon. «Riesco a malapena a vederlo.»

«Prema forte.»

Langdon obbedì e premette con forza la punta del dito. Pensa che così lo vedrò meglio?

«Ci tenga il dito ben schiacciato sopra» insistette il decano.

Langdon lanciò un'occhiata a Katherine, che con aria perplessa si sistemò i capelli dietro le orecchie.

Pochi secondi dopo, il decano annuì. «Bene, ora lo tolga. L'alchimia è compiuta.»

Alchimia? Langdon ritrasse la mano e rimase seduto in silenzio, perplesso. Non era cambiato nulla. La scatola era ancora sulla scrivania, esattamente come prima.

«Non è successo niente» commentò.

«Si guardi la punta del dito» replicò il decano. «Dovrebbe vedervi una trasformazione.»

Langdon fece quello che gli era stato detto, ma l'unica differenza che notò era che sul polpastrello era rimasto impresso il segno di un cerchietto con un puntino al centro.

«Lo riconosce?» chiese il decano.


Langdon conosceva quel simbolo, ma più che altro era colpito dal fatto che il decano fosse riuscito a sentire al tatto un particolare tanto minuscolo. Evidentemente, con la pratica si poteva imparare a vedere meglio con il tatto che con gli occhi.

«È un simbolo alchemico» disse Katherine avvicinando la sedia per esaminare il dito di Langdon. «L'antico simbolo dell'oro.»

«Esatto.» Il decano sorrise e batté la mano sulla scatola. «Congratulazioni, professore. È riuscito a ottenere quello che ogni alchimista del passato ha sempre agognato invano: a partire da una sostanza priva di valore, ha creato dell'oro.»

Langdon aggrottò la fronte, per nulla impressionato. Gli sembrava di perdere tempo. «È un'idea interessante, reverendo, ma temo che il punto cerchiato abbia decine di significati diversi. È uno dei simboli più usati al mondo.»

«Ma di che sta parlando?» esclamò il decano, scettico.

Langdon era molto sorpreso del fatto che un massone fosse così poco informato sull'importanza spirituale di quel simbolo. «Il punto cerchiato, padre, ha molteplici significati. Nell'antico Egitto era il simbolo di Ra, il dio del sole, e nell'astronomia moderna è tuttora usato per raffigurare il sole. Nella filosofia orientale rappresenta la conoscenza spirituale del terzo occhio, la rosa divina, ed è il segno dell'illuminazione. I cabalisti lo usano per rappresentare Kether, la prima delle Sephirot, detta anche "la più nascosta di tutte le cose nascoste". Gli antichi mistici lo chiamavano "occhio di Dio" ed è all'origine dell'occhio onniveggente che si trova nel Gran Sigillo degli Stati Uniti. Per i pitagorici, il punto cerchiato simboleggiava la monade, la verità divina, la prisca sapientia, l'unità di mente e anima, e anche...»

«Direi che è abbastanza.» Galloway ora sorrideva. «Grazie professore. Lei ha ragione, naturalmente.»

A quel punto, Langdon capì di essere stato preso in giro. Il decano lo sapeva già.

«Il punto cerchiato è il simbolo per antonomasia degli antichi misteri» proseguì Galloway continuando a sorridere tra sé. «Per questo motivo mi sembra probabile che la sua presenza in questa scatola non sia una semplice coincidenza. La leggenda vuole che i segreti della mappa siano nascosti in dettagli infinitesimali.»

«D'accordo» concesse Katherine. «Supponiamo che questo simbolo vi sia stato messo intenzionalmente: ci serve o no a decifrare la mappa?»

«Poco fa lei ha detto che sul sigillo di ceralacca che ha spezzato c'era l'impronta dell'anello di Peter, vero?»

«Sì.»

«E anche che lo ha con sé. Giusto?»

«Sì.» Langdon estrasse dalla tasca la busta di plastica e tirò fuori l'anello, posandolo davanti al decano.

Galloway lo prese e cominciò a saggiarne la superficie. «Questo anello è un pezzo unico. Fu realizzato insieme alla piramide e, per tradizione, viene portato dal massone incaricato di custodirla. Stasera, quando ho sentito il cerchietto con il puntino al centro sul fondo della scatola, mi sono reso conto che anche l'anello fa parte del symbolon.»

«Lei crede?»

«Ne sono sicuro. Peter è il mio più caro amico e ha portato questo anello per molti anni. Lo conosco bene.» Porse il gioiello a Langdon. «Lo osservi anche lei.»

Langdon lo prese e lo esaminò, facendo scorrere le dita sulla fenice a due teste, sul numero 33, sulle parole ORDO AB CHAO e anche sul motto "Tutto sarà rivelato al trentatreesimo grado". Non trovò nulla. Poi, mentre accarezzava il lato esterno della fascia d'oro, si fermò di colpo. Sorpreso, girò l'anello e ne guardò la parte inferiore.

«L'ha trovato?» chiese Galloway.

«Credo di sì. Sì!» esclamò Langdon.

Katherine avvicinò ancora di più la sedia. «Che cosa?»

«Il segno del grado» rispose Langdon mostrandoglielo. «È così piccolo che quasi non si vede, ma al tatto si sente benissimo. Come una specie di incisione circolare.» Era al centro, nella parte inferiore della fascia e... sembrava proprio della stessa dimensione del simbolo in rilievo che si trovava sul fondo della scatola quadrata.

«Coincidono?» Katherine si avvicinò ancora di più, emozionata.

«C'è un solo modo per scoprirlo.» Langdon prese l'anello, lo mise nella scatola e lo allineò al cerchio. Premette leggermente e il cerchio in rilievo della scatola si incastrò nell'incavo dell'anello. Si sentì un clic, lieve ma distinto.

Trasalirono tutti e tre.

Langdon aspettò, ma non successe nulla.

«Allora?» domandò il decano.

«Niente» rispose Katherine. «L'anello si è incastrato nella scatola. Tutto qui.»

«Nessuna grande trasformazione?» Galloway era perplesso.

Non abbiamo ancora finito, pensò Langdon osservando la decorazione a sbalzo dell'anello, che comprendeva una fenice a due teste e il numero 33. Tutto sarà rivelato al trentatreesimo grado. Pensò a Pitagora, alla geometria sacra, agli angoli e ai triangoli. Si chiese se la parola "grado" non andasse intesa in senso matematico.

Lentamente, ma con il cuore che batteva più in fretta, infilò la mano nella scatola, afferrò l'anello e cominciò a ruotarlo lentamente verso destra. Tutto sarà rivelato al trentatreesimo grado.

Lo ruotò di dieci gradi... venti gradi... trenta gradi...

Quello che successe subito dopo Langdon non avrebbe mai potuto immaginarlo.


Trasformazione.

Galloway sentì, e quindi non ebbe bisogno di vedere.

Seduti di fronte a lui, ammutoliti dallo stupore, Langdon e Katherine stavano senza dubbio guardando il piccolo cubo di pietra che, con un rumore secco, aveva appena cambiato aspetto sotto i loro occhi.

Il decano non potè fare a meno di sorridere. Si aspettava qualcosa del genere e, sebbene ancora non sapesse che ruolo poteva avere quello sviluppo nella soluzione dell'enigma della piramide, era pronto a cogliere al volo l'occasione di insegnare qualcosa a un esperto di simbologia venuto nientemeno che da Harvard. «Professore» disse «pochi sanno che i massoni venerano la forma del cubo. Noi lo chiamiamo ashlar, "pietra squadrata", perché è la rappresentazione tridimensionale di un altro simbolo, molto più antico, bidimensionale.» Non c'era bisogno di chiedere all'illustre accademico se avesse riconosciuto il simbolo che si trovava ora sulla scrivania. Era uno dei più famosi al mondo.


La mente di Robert Langdon era affollata da mille pensieri, mentre osservava il nuovo aspetto della scatola. Non avevo idea... Un attimo prima vi aveva infilato la mano e aveva ruotato delicatamente l'anello massonico. Arrivato a trentatré gradi di rotazione, il cubo si era trasformato all'improvviso sotto i suoi occhi, aprendosi di colpo: le cerniere nascoste che tenevano insieme la scatola si erano sganciate e le facce del cubo erano cadute rumorosamente sul piano della scrivania.


Il cubo è diventato una croce, pensò Langdon. Alchimia spirituale.

Katherine contemplava allibita il cubo disfatto. «La piramide massonica ha a che fare con... il cristianesimo?»

Per un attimo, anche Langdon si era posto quella domanda. In fondo, il crocifisso era un simbolo rispettato nella fratellanza e sicuramente molti massoni erano di fede cristiana. Tuttavia c'erano anche massoni ebrei, musulmani, buddhisti, indù e persino molti per i quali Dio non aveva nome. Gli sembrava strano che quello fosse un simbolo cristiano. Poi si era ricordato del vero significato della croce.

«Non è un crocifisso» disse Langdon alzandosi in piedi. «La croce con in mezzo il punto cerchiato è un simbolo duale: due simboli fusi insieme a formarne uno solo.»

«Cosa stai dicendo?» Katherine lo seguiva con gli occhi mentre camminava per la stanza.

«La croce divenne un simbolo cristiano solo nel quarto secolo» spiegò Langdon. «Prima di allora veniva usata dagli egizi per rappresentare l'incontro fra le due dimensioni: umana e celeste. Come sopra, così sotto. Era una rappresentazione visiva del momento in cui uomo e Dio diventano un tutt'uno.»

«D'accordo.»

«Il punto cerchiato, come sappiamo, ha molteplici significati» continuò Langdon. «Uno dei più esoterici è la rosa, il simbolo alchemico della perfezione. Ma, se si mette una rosa al centro di una croce, si ottiene un simbolo completamente diverso.»

Galloway si appoggiò allo schienale della sedia, sorridendo. «Oh, bene. Ora sì che comincia a ragionare.»

Anche Katherine si alzò in piedi. «Che cosa mi sono persa?»

«La croce con la rosa al centro» spiegò Langdon «è un simbolo diffuso nella massoneria. Nel rito scozzese esiste addirittura il grado di "cavaliere rosa-croce", in onore degli antichi rosacrociani che contribuirono alla filosofia mistica massonica. Forse Peter te ne ha parlato. Decine di grandi scienziati erano rosa-crociani: John Dee, Elias Ashmole, Robert Fludd...»

«Certo» disse Katherine. «Ho letto i Manifesti dei rosacroce, nel corso dei miei studi.»

Tutti gli scienziati dovrebbero leggerli, pensò Langdon.

L'ordine dei rosacroce, a cui si è ispirato l'Antico e Mistico Ordine Rosae Crucis, fu un movimento misterioso che influenzò profondamente la scienza e che aveva singolari analogie con la leggenda degli antichi misteri... tramandata nei secoli e accessibile solo a pochi eletti. L'elenco dei rosacrociani illustri nella storia è una sorta di catalogo di luminari delle epoche passate: Paracelso, Bacone, Fludd, Cartesio, Pascal, Spinoza, Newton, Leibniz.

Secondo la loro dottrina, l'ordine era costruito su "verità esoteriche del passato", verità che dovevano essere tenute nascoste "all'uomo comune", attraverso le quali si poteva giungere a conoscere il "regno spirituale". La rosa fiorita su una croce elaborata, simbolo della fratellanza rosacrociana, era l'evoluzione del molto più semplice simbolo iniziale: una croce con al centro un punto cerchiato, rappresentazione stilizzata della rosa.

«Peter e io discutiamo spesso della filosofia rosacrociana» disse Galloway a Katherine.

Mentre il decano spiegava i rapporti fra massoneria e rosa-crociani, Langdon tornò a rimuginare su un pensiero che lo tormentava. "Jeova sanctus unus." Questa frase ha a che fare con l'alchimia. Non riusciva a ricordare che cosa gli avesse detto Peter in proposito, ma parlare dei rosacroce aveva risvegliato questo tarlo. Forza, Robert, concentrati!

«Sembra che a fondare l'ordine dei rosacroce» stava dicendo Galloway «sia stato un mistico tedesco di nome Christian Rosenkreuz, uno pseudonimo dietro al quale alcuni sostengono si celasse nientemeno che Francesco Bacone, sebbene non esistano...»

«Uno pseudonimo!» esclamò Langdon. «Ci sono! Jeova sanctus Unus è uno pseudonimo!»

«Di cosa stai parlando? Spiegati!» lo incalzò Katherine.

Langdon era in fibrillazione. «È tutta la sera che cerco di farmi venire in mente che cosa mi aveva detto Peter a proposito di Jeova sanctus unus e dell'alchimia. Finalmente me lo sono ricordato! Non si trattava tanto di alchimia, quanto di un alchimista! Un alchimista molto famoso!»

Galloway sorrise ironicamente. «Era ora, professore. L'ho nominato due volte e ho usato anche la parola "pseudonimo".»

Langdon lo fissò incredulo. «Lei lo sapeva?»

«Be', il dubbio mi è venuto quando ha parlato di Jeova sanctus unus, dicendomi che aveva decifrato l'iscrizione grazie al quadrato magico di Dürer. Poi, non appena ha scoperto il simbolo rosacroce, ne ho avuto la certezza. Come probabilmente saprà, fra le carte personali di questo scienziato c'era una copia fittamente annotata dei Manifesti rosacrociani.»

«Ma chi è?» domandò Katherine.

«Uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi!» rispose Langdon. «Alchimista, membro della Royal Society di Londra, rosacrociano, firmò alcuni dei suoi lavori scientifici più riservati con uno pseudonimo: Jeova sanctus unus.»

«L'unico vero Dio?» disse Katherine. «Modesto...»

«Geniale, piuttosto» la corresse Galloway. «Si firmava così perché, come gli antichi adepti, era consapevole della natura divina dell'uomo. Inoltre, le sedici lettere di Jeova sanctus unus, anagrammate, corrispondevano al suo nome in latino: uno pseudonimo perfetto!»

Katherine era piena di stupore. «Jeova sanctus unus è l'anagramma del nome latino di un famoso alchimista?»

Langdon prese dalla scrivania un foglio di carta e una matita e cominciò a scrivere. «In latino le lettere "J" e "I" sono interscambiabili, come pure la "V" e la "U". Ciò significa che Jeova sanctus unus può essere trasposto esattamente a formare il nome di questo scienziato.»

Langdon scrisse le sedici lettere: "Isaacus Neuutonus".

Porse il foglio a Katherine. «Penso che tu l'abbia già sentito nominare.»

«Isaac Newton?» esclamò Katherine guardando il foglio. «Ecco che cosa significa l'iscrizione sulla piramide!»

Per un attimo a Langdon parve di essere di nuovo nell'abbazia di Westminster, davanti alla tomba piramidale di Newton, dove aveva avuto un'analoga illuminazione. Il grande scienziato rispunta anche stasera... Non era una coincidenza, naturalmente: piramidi, misteri, scienza, saperi segreti, tutto era correlato. Chi si occupava di sapienza occulta non poteva non incappare nel nome di Isaac Newton.

«Newton deve avere qualcosa a che fare con la piramide» disse Galloway. «Non riesco a immaginare in che modo, ma...»

«Trovato!» esclamò Katherine spalancando gli occhi. «Ecco come trasformeremo la piramide!»

«Hai capito?» chiese Langdon.

«Sì!» rispose lei. «Non riesco a crederci, avevamo la soluzione sotto il naso! È un processo alchemico semplicissimo. Posso trasformare questa piramide ricorrendo a nozioni di scienza elementare! Scienza newtoniana!»

Langdon si sforzava invano di capire.

«Reverendo Galloway» disse Katherine «sull'anello è scritto...»

«Basta così!» Il decano alzò un dito e le fece cenno di tacere. Inclinò leggermente la testa da una parte, come se fosse in ascolto. «Amici miei, è chiaro che questa piramide ha ancora in serbo dei segreti. Non so dove voglia arrivare la dottoressa Solomon, ma se ha capito qual è il prossimo passo, il mio ruolo finisce qui. Raccogliete le vostre cose e non ditemi altro. Preferisco rimanere all'oscuro e non avere informazioni da rivelare, nel caso i nostri ospiti cercassero di costringermi a parlare.»

«Ospiti?» disse Katherine tendendo l'orecchio. «Io non sento niente.»

«Sentirà fra poco» replicò Galloway andando verso la porta. «Sbrigatevi.»


Dall'altra parte della città, un ripetitore cercava invano il segnale di un cellulare in frantumi lungo Massachusetts Avenue. Dopo un po', trasferì la chiamata alla casella vocale. "Robert!" gridava la voce terrorizzata di Warren Bellamy. "Dove sei? Chiamami appena senti questo messaggio, sta succedendo una cosa terribile!"


Nel bagliore azzurrognolo del suo scantinato, Mal'akh continuava i preparativi davanti al tavolo di pietra. Gli brontolava lo stomaco, ma lui non ci faceva caso: non era più schiavo dei capricci della carne.

La trasformazione richiede sacrificio.

Come molti asceti del passato, si era impegnato a seguire quella strada compiendo il più nobile dei sacrifici della carne. La castrazione era stata meno dolorosa di quanto immaginasse. Ed era molto più diffusa di quanto pensasse: ogni anno migliaia di uomini si sottoponevano alla castrazione chirurgica - orchiectomia, per la precisione -, per motivazioni che andavano dal desiderio di cambiare sesso al tentativo di contrastare le dipendenze sessuali, a radicate convinzioni spirituali. Le ragioni di Mal'akh erano tra le più nobili. Come Attis, la figura mitologica che si era autoevirata, lui sapeva che per conseguire l'immortalità bisogna prendere le distanze dal mondo materiale del maschile e del femminile.

L'androgino è uno.

Al giorno d'oggi gli eunuchi sono considerati un'aberrazione, ma gli antichi comprendevano il potere implicito in questo sacrificio di trasmutazione. I primi cristiani avevano sentito Gesù in persona esaltarne le virtù in Matteo 19,12: "vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre... e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca".

Anche Peter Solomon aveva subito una mortificazione della carne, sebbene perdere una mano fosse poca cosa in un disegno di ben più vaste proporzioni. Prima dell'alba, tuttavia, Solomon avrebbe sacrificato molto, molto di più.

Per creare, devo distruggere.

La natura della polarità era questa.

Peter Solomon, naturalmente, meritava il destino che lo attendeva quella notte. Sarebbe stata una giusta conclusione. Molto tempo prima, aveva avuto un ruolo determinante nel percorso della vita mortale di Mal'akh. E per questo motivo era stato scelto per svolgere un ruolo altrettanto determinante nella sua grande trasformazione. Si era guadagnato tutto l'orrore e il dolore che stava per provare. Peter Solomon non era l'uomo che tutti credevano.

Aveva sacrificato il suo stesso figlio.

Peter Solomon aveva messo suo figlio Zachary davanti a una scelta impossibile: ricchezza o saggezza. E Zachary aveva fatto la scelta sbagliata. Questo aveva dato inizio a una serie di eventi che avevano finito per trascinarlo negli abissi dell'inferno. La prigione di Kartal. Zachary Solomon in quella prigione era morto, tutto il mondo lo sapeva... Ma ciò che il mondo non sapeva era che Peter Solomon avrebbe potuto salvarlo.

Io c'ero, pensò Mal'akh. Ho sentito tutto.

Non aveva mai dimenticato quella sera: la decisione barbara di Solomon era stata la fine per suo figlio Zach, ma per Mal'akh aveva significato un nuovo inizio.

Qualcuno deve morire, perché altri possano vivere.

Quando la luce sopra la sua testa cominciò a cambiare di nuovo colore, Mal'akh si rese conto che era tardi. Terminò i preparativi e risalì la rampa. Era tempo di occuparsi delle faccende terrene.


Tutto sarà rivelato al trentatreesimo grado, pensò Katherine mentre correva. So come fare per trasformare la piramide! La risposta era sempre stata sotto i loro occhi.

Katherine e Langdon correvano lungo sale e corridoi seguendo le indicazioni per il chiostro. Esattamente come aveva detto il decano, sbucarono in un grande cortile circondato da alti muri.

Il chiostro aveva un giardino e una fontana di bronzo postmoderna. Katherine si stupì di quanto sembrasse forte lo scroscio dell'acqua, poi si rese conto che non era la fontana a produrre tutto quel rumore.

«Un elicottero!» gridò. Un fascio di luce squarciò il cielo buio sopra le loro teste. «Nascondiamoci sotto il porticato!»

Una fotoelettrica illuminò a giorno il chiostro nell'attimo stesso in cui Langdon e Katherine si infilavano sotto l'arco gotico che portava dal chiostro al prato esterno. Si appiattirono contro il muro mentre l'elicottero continuava a sorvolare in cerchio la cattedrale.

«Credo che Galloway avesse ragione quando ha detto che aveva sentito arrivare qualcuno» osservò Katherine con ammirazione. I ciechi hanno un udito finissimo. In quel momento, lei sentiva soltanto il battito del proprio cuore.

«Andiamo» disse Langdon incamminandosi e tenendo stretta la borsa.

Il decano aveva dato loro una chiave e istruzioni molto precise. Purtroppo, dopo aver varcato l'arco gotico, si resero conto che un lungo tratto di prato inondato di luce dall'elicottero li separava dalla meta.

«Non possiamo attraversare» fece notare Katherine.

«Aspetta un momento... guarda!» Langdon le indicò un'ombra nera che si allungava sull'erba alla loro sinistra. All'inizio era stata solo una chiazza informe, ma si espandeva rapidamente nella loro direzione. Sempre meglio definita, assunse ben presto la sagoma di un grande rettangolo coronato da due torri lunghissime.

«La facciata della cattedrale ci fa ombra» disse Langdon.

«Stanno atterrando davanti alla chiesa!»

Langdon prese per mano Katherine. «Corri!»

Nella cattedrale, il decano camminava con un'energia che non provava da anni. Attraversò il transetto, percorse la navata principale e andò verso il nartece e le porte.

Sentiva il rombo dell'elicottero e immaginò la luce che in quel momento doveva entrare dal rosone della facciata colorando l'interno della cattedrale. Ripensò all'epoca in cui ancora vedeva i colori. Paradossalmente, però, da quando il suo mondo era privo di luce gli sembrava di vedere più chiaro.

Galloway aveva sentito la vocazione da giovane e per tutta la vita aveva amato moltissimo la Chiesa. Al pari di tanti colleghi che, come lui, si erano dedicati interamente a Dio, adesso era stanco. Da troppo tempo combatteva per farsi sentire in mezzo al clamore dell'ignoranza.

Che cosa mi aspettavo?

Dalle crociate all'inquisizione, fino alla politica americana, il nome di Gesù era stato strumentalizzato per lotte di potere di ogni tipo. Fin dall'inizio dei tempi, gli ignoranti avevano sempre fatto la voce grossa, trascinando le masse ingenue e piegandole alla propria volontà. Difendevano i desideri terreni citando Scritture che non capivano, andavano fieri della loro intolleranza. A poco a poco, l'umanità era riuscita a erodere completamente tutta la bellezza che avvolgeva la figura di Gesù.

Quella sera, l'aver ritrovato il simbolo rosacroce aveva riempito Galloway di grandi speranze, ricordandogli le profezie contenute nei Manifesti rosacrociani che aveva letto infinite volte in passato e che conosceva quasi a memoria.

Capitolo Uno: "Jehova redimerà l'umanità rivelando quei segreti che in precedenza riservava solo agli eletti".

Capitolo Quattro: "Il mondo diventerà come un unico libro e tutte le contraddizioni della scienza e della teologia si risolveranno".

Capitolo Sette: "Prima della fine del mondo, Dio illuminerà gli spiriti e allevierà le sofferenze dell'umanità".

Capitolo Otto: "Prima della rivelazione, il mondo dovrà smaltire l'ebbrezza, essendosi abbeverato al calice venefico della falsa teologia".

Galloway sapeva che la Chiesa si era smarrita da molto tempo e aveva dedicato tutta la sua vita a cercare di rimetterla in carreggiata. Quella sera si rese conto che il momento era molto vicino.

L'ora più buia è quella prima dell'alba.


Quando il Sikorsky si posò sul prato gelato, l'agente della CIA Turner Simkins era già pronto a scendere. Saltò giù, seguito dai suoi uomini, e fece immediatamente cenno al pilota di rialzarsi in volo per sorvegliare dall'alto tutte le uscite.

Nessuno lascerà questa chiesa.

Mentre l'elicottero riprendeva quota, Simkins e la sua squadra salirono di corsa la scalinata che portava all'ingresso della cattedrale. Ancora prima di avere il tempo di decidere a quale delle sei grandi porte bussare, se ne spalancò una.

«Sì?» disse una voce calma nell'ombra.

Simkins riuscì a malapena a distinguere la figura curva, in abito talare, che aveva parlato.

«Il reverendo Galloway?»

«Sono io» confermò il vecchio.

«Sto cercando Robert Langdon. Lo ha visto?»

Il vecchio si fece avanti e, fissando nel vuoto oltre le spalle di Simkins con gli occhi velati, rispose: «Questo sì che sarebbe un miracolo».


Il tempo stringe...

L'analista della CIA Nola Kaye era già abbastanza agitata, e il terzo caffè le stava facendo venire i nervi a fior di pelle.

Sato non si è più fatta sentire.

Finalmente il telefono squillò e lei si affrettò a rispondere. «Office of Security. Nola Kaye.»

«Ciao, Nola, sono Rick Parrish della sicurezza dei sistemi informatici.»

Nola si scoraggiò: sperava che fosse Sato. «Ciao, Rick. Cosa posso fare per te?»

«Ti chiamo per dirti che il nostro dipartimento potrebbe avere informazioni relative alle ricerche che hai condotto in queste ore.»

Nola posò il caffè. E come fa il tuo dipartimento a sapere quali ricerche sto facendo? «Come hai detto?»

«Scusa, dimenticavo: è il nuovo programma di IC che stiamo collaudando» spiegò Parrish. «Continua a segnalarci la tua postazione.»

Nola capì: la CIA stava testando un nuovo software di "interazione collaborativa" finalizzato a inviare segnalazioni in tempo reale ai dipartimenti che stavano elaborando gli stessi campi dati. In quel periodo di lotta al terrorismo, spesso per prevenire un disastro bastava segnalare che qualcun altro stava analizzando proprio i dati che interessavano a te. Nola riteneva che quel software fosse soprattutto motivo di distrazione. Secondo lei, più che per "interazione collaborativa", IC stava per "interruzione continua".

«Ah, già, dimenticavo» disse. «E cosa ti risulta?» Era abbastanza sicura che nessuno dei suoi colleghi fosse al corrente della crisi in corso e non credeva affatto che qualcun altro ci stesse lavorando. L'unica volta che Nola aveva usato il computer quella sera era per la ricerca richiesta da Sato su temi massonici ed esoterici. Ma non poteva mandare Parrish a quel paese.

«Mah, non sarà niente, però stasera abbiamo bloccato un hacker, e il software di IC continua a segnalarmi che ti devo informare.»

«Un hacker?» Nola bevve un altro sorso di caffè. «Va bene, racconta.»

«Sì. Abbiamo beccato un certo Zoubianis che cercava di accedere a un file dei nostri database interni. Ha detto che stava lavorando su commissione e che non aveva la più pallida idea che si trovasse nel server della CIA né del perché al suo cliente interessasse quel particolare file.»

«Capito.»

«L'abbiamo interrogato: è a posto. Ma la cosa strana è che quello stesso file era stato richiamato anche su un motore di ricerca interno. Pare che un software gli avesse delegato la ricerca di una serie di parole chiave. Il fatto è che sono parole piuttosto strane. Una in particolare viene segnalata dall'IC come massima allerta: è solo sui nostri dataset.» Dopo un attimo di silenzio, Parrish aggiunse: «Tu sai che diavolo è un... symbolon?».

Nola fece un salto sulla sedia, rovesciando il caffè sulla scrivania.

«Ma anche le altre parole chiave sono a dir poco inconsuete» continuò Parrish. «Piramide, portale...»

«Rick, vieni subito nel mio ufficio!» ordinò Nola pulendo la scrivania con un fazzoletto di carta. «E porta tutto quello che hai.»

«Vuoi dire che è un'informazione importante?»

«Corri!»


Il Cathedral College, un elegante edificio che ricorda un castello, sorge nei pressi della cattedrale. Il Collegio dei Predicatori, come era stato originariamente concepito dal primo vescovo episcopale di Washington, fu fondato allo scopo di fornire istruzione ai religiosi anche dopo la loro ordinazione. Oggi, il college offre un'ampia gamma di corsi di studio su teologia, spiritualità, giustizia globale e guarigione spirituale.

Langdon e Katherine si erano lanciati di corsa attraverso il prato, ed erano appena entrati servendosi della chiave di Galloway quando l'elicottero tornò a sorvolare la cattedrale, illuminandola a giorno con i suoi fari. Una volta dentro, si fermarono ansanti a osservare l'atrio. Dalle finestre entrava chiarore sufficiente, e Langdon ritenne più prudente non accendere le luci per evitare di tradire la loro presenza lì. Imboccarono il corridoio centrale e oltrepassarono una serie di sale conferenze, aule e aree comuni. A Langdon quel luogo ricordava gli edifici neogotici dell'università di Yale, grandiosi all'esterno ma sorprendentemente funzionali all'interno grazie alle modifiche apportate agli eleganti saloni per renderli adatti al viavai giornaliero di insegnanti e studenti.

«Laggiù» disse Katherine indicando l'estremità opposta del corridoio. Non aveva parlato a Langdon della sua intuizione a proposito della piramide, ma evidentemente era stato il riferimento a Isaacus Neuutonus a innescarla. Gli aveva detto soltanto che la piramide poteva essere trasformata con l'aiuto della scienza più elementare. Era convinta di riuscire a trovare tutto ciò di cui aveva bisogno in quell'edificio. Langdon non aveva idea di cosa servisse a Katherine, né di come intendesse trasformare un blocco di granito e d'oro ma, considerato che aveva appena assistito al mutamento di un cubo in un simbolo rosacrociano, era disposto a crederle.

Quando arrivarono in fondo al corridoio, Katherine si fermò di colpo, perplessa. Non aveva trovato ciò che cercava. «Hai detto che in questo edificio ci sono dei dormitori?»

«Sì, per docenti e studenti che risiedono qui.»

«Dunque, da qualche parte dev'esserci anche una cucina, giusto?»

«Hai fame?»

Lei lo guardò con aria di disapprovazione. «No, ho bisogno di un laboratorio.»

Ovvio. Langdon individuò una scala che scendeva contrassegnata da un simbolo che faceva ben sperare. Il pittogramma più amato d'America.


La cucina nel seminterrato era di dimensioni industriali ma senza finestre, tutta acciaio inossidabile e grandi pentoloni, evidentemente studiata per rispondere alle esigenze di gruppi numerosi. Katherine chiuse la porta e accese le luci. Immediatamente entrarono in azione anche le ventole di aspirazione.

Katherine cominciò a frugare sotto i piani di lavoro alla ricerca di ciò che le serviva. «Robert, ti dispiacerebbe mettere la piramide sul bancone?»

Langdon fece ciò che gli era stato ordinato, sentendosi come un giovane aiuto cuoco agli ordini di un grande chef. Prese la piramide dalla borsa e vi posò sopra la cuspide d'oro. Quando ebbe finito, Katherine stava già riempiendo un pentolone d'acqua calda.

«Per favore, mettilo sul fornello.»

Langdon prese il pentolone mentre Katherine accendeva il fornello e alzava la fiamma al massimo.

«Aragosta, stasera?» disse lui con espressione ironica.

«Molto divertente. No, un po' di alchimia. E, tanto per essere precisi, questa è una pentola per cuocere la pasta, non l'aragosta.» Così dicendo, indicò il colapasta in acciaio che aveva posato accanto alla piramide.

Che sciocco! «E cuocere un po' di pasta ci aiuterà a decifrare la piramide?»

Katherine ignorò la battuta. «Sicuramente saprai che c'è una ragione storica e simbolica per cui i massoni hanno scelto il trentatreesimo come massimo grado.»

«Certo» convenne Langdon. Ai tempi di Pitagora, sei secoli prima della nascita di Cristo, la tradizione della numerologia aveva proclamato il 33 il più nobile di tutti i numeri maestri. Era la cifra più sacra, simbolo della verità divina. La tradizione era poi proseguita con la massoneria, e non solo. Non era un caso che per i cristiani Gesù fosse stato crocifisso all'età di trentatré anni, nonostante non esistessero riscontri storici a conferma di questo, e che Giuseppe avesse trentatré anni quando sposò la Vergine Maria, o che Gesù avesse compiuto trentatré miracoli, o ancora che il nome di Dio venisse menzionato trentatré volte nella Genesi, o che per l'islam tutti coloro che stanno in paradiso avessero sempre trentatré anni.

«Il 33» disse Katherine «è un numero sacro per molte tradizioni mistiche.»

«Giusto.» Langdon ancora non capiva cosa c'entrasse tutto questo con una pentola per la pasta.

«Dunque, non dovrebbe sorprenderti che anche uno dei primi alchimisti, un rosacroce e un mistico come Isaac Newton, considerasse speciale il numero 33.»

«Infatti, non mi sorprende» convenne Langdon. «Newton era appassionato di numerologia, astrologia e divinazione. Ma questo che cosa...»

«Tutto sarà rivelato al trentatreesimo grado.»

Langdon prese dalla tasca l'anello di Peter e osservò l'iscrizione. «Scusa, ma non ti seguo.»

«Robert, poche ore fa eravamo convinti che il "trentatreesimo grado" si riferisse al grado massonico, ma, quando abbiamo ruotato l'anello di trentatré gradi, il cubo si è trasformato in una croce. In quel momento abbiamo capito che la parola "grado" era usata in un altro senso.»

«Sì, i gradi di rotazione.»

«Precisamente. Ma "grado" ha anche un terzo significato.»

Langdon guardò la pentola sul fornello. «La temperatura.»

«Proprio così! Abbiamo avuto l'anello davanti agli occhi per tutta la sera. "Tutto sarà rivelato al trentatreesimo grado." Se scaldiamo questa piramide fino alla temperatura di trentatré gradi... forse potrebbe rivelarci qualcosa.»

Pur sapendo che Katherine Solomon era molto intelligente, Langdon sospettava che le fosse sfuggito un particolare essenziale. «Se non sbaglio, trentatré gradi è quasi la temperatura di congelamento. Non dovremmo metterla nel freezer, invece?»

Katherine sorrise. «No, se vogliamo seguire la ricetta del grande alchimista e rosacroce che firmava i suoi scritti con "jeova sanctus unus".»

Isaacus Neuutonus scriveva ricette?

«Robert, la temperatura è il fondamentale catalizzatore alchemico e non è sempre stata espressa in gradi Fahrenheit e Celsius. Vi sono scale di misurazione ben più antiche, una delle quali è stata creata da Isaac...»

«La scala Newton!» esclamò Langdon rendendosi conto che Katherine aveva ragione.

«Già. Isaac Newton elaborò un sistema di misurazione della temperatura basato soltanto su fenomeni naturali. Il punto di partenza era la temperatura di scioglimento della neve, che lui chiamò "grado zero del calore".» Katherine fece una pausa. «Prova a immaginare che grado assegnò all'acqua che bolle, il più importante dei processi alchemici.»

«Trentatré.»

«Esatto! Sulla scala Newton la temperatura a cui bolle l'acqua è indicata dal 33. Ricordo che una volta ho chiesto a mio fratello come mai Newton avesse scelto proprio quel numero. Mi sembrava preso a caso. L'acqua che bolle è il più fondamentale processo alchemico e lui sceglie il 33 ? Perché non il 100? Perché non qualcosa di più elegante? Peter mi ha spiegato che, per un mistico come Isaac Newton, non poteva esistere numero più elegante.»

Tutto sarà rivelato al trentatreesimo grado. Langdon guardò prima la pentola, poi la piramide. «Katherine, la piramide è di granito e d'oro. Pensi davvero che l'acqua bollente sia sufficiente a provocare una trasformazione?»

Il sorriso sul volto di lei gli fece capire che sapeva qualcosa che lui ignorava. Con movimenti sicuri, Katherine si avvicinò al bancone, prese la piramide di granito sormontata dalla cuspide d'oro e la mise nel colapasta. Poi lo calò con cura nell'acqua che bolliva. «Lo scopriremo presto.»


In alto, sopra la cattedrale di Washington, il pilota della CIA teneva l'elicottero in volo a punto fisso osservando il perimetro e la zona intorno all'edificio. Nessun movimento. Il dispositivo di imaging a infrarossi non era in grado di attraversare i muri di pietra della cattedrale per rilevare tracce termiche, quindi lui non poteva sapere cosa stesse succedendo all'interno, ma se qualcuno avesse cercato di uscire non gli sarebbe sfuggito.

Sessanta secondi dopo, il sistema emise un segnale acustico. Un sensore, che operava secondo lo stesso principio dei sistemi di sicurezza antintrusione, aveva rilevato un forte differenziale di temperatura. Di solito questo indicava un corpo in movimento attraverso uno spazio più freddo, ma quella comparsa sul monitor era piuttosto una macchia di calore, una nuvola di aria calda che si spostava al di sopra del prato. Il pilota ne identificò la provenienza: una bocchetta di ventilazione sul lato del Cathedral College.

Probabilmente non è nulla, pensò. Quel tipo di interferenza era molto comune. Sarà qualcuno che cucina o che fa il bucato. Stava per tornare indietro quando si accorse che qualcosa non quadrava. Il parcheggio era deserto e l'edificio completamente immerso nel buio.

Osservò a lungo le immagini sul monitor, poi si mise in contatto radio con il caposquadra. «Simkins, probabilmente è un falso allarme, ma...»


«Un indicatore di incandescenza!» Langdon doveva ammettere che era geniale.

«E semplice scienza» disse Katherine. «Le diverse sostanze diventano incandescenti a temperature differenti. Noi le chiamiamo indicatori termici. La scienza vi fa continuamente ricorso.»

Langdon guardò la piramide e la cuspide immerse nella pentola dalla quale cominciavano a levarsi nuvole di vapore.

Non nutriva molte speranze. Lanciò uno sguardo all'orologio e il suo cuore prese a battere più forte: 11.45. «Credi davvero che qualcosa diventerà luminescente scaldandosi?»

«Non luminescente, Robert. Incandescente. C'è una grande differenza. L'incandescenza è causata dal calore e si verifica a partire da una determinata temperatura. Per esempio, quando i fabbricanti d'acciaio temprano le travi vi spruzzano sopra della vernice trasparente che alla temperatura desiderata diventa incandescente. In questo modo sanno quando le travi sono pronte. Pensa a quegli anelli che cambiano colore a seconda dell'umore. Te lo metti al dito e quello reagisce al calore del corpo.»

«Katherine, la piramide è stata costruita nell'Ottocento! Capisco che un artigiano potesse ideare un meccanismo di apertura segreto per una scatola di pietra, ma applicare uno strato di vernice trasparente...»

«Assolutamente fattibile» ribatté lei lanciando uno sguardo fiducioso verso la piramide sommersa. «I primi alchimisti usavano spesso fosfori organici come indicatori termici. I cinesi realizzavano fuochi d'artificio colorati, e persino gli egizi...» Katherine si interruppe, lasciando la frase a metà. Fissava l'acqua in ebollizione.

«Cosa c'è?» Langdon seguì il suo sguardo, ma non notò nulla.

Katherine si sporse sulla pentola per vedere meglio, poi si voltò di colpo e corse alla porta.

«Cosa stai facendo?» le gridò Langdon.

Katherine si fermò in scivolata accanto a un interruttore. La luce e la ventola si spensero, facendo piombare la cucina nell'oscurità e nel silenzio.

Langdon si voltò a guardare la cuspide nascosta dall'acqua e dal vapore. Quando Katherine tornò al suo fianco, lui stava fissando sbalordito la pentola.

Proprio come Katherine aveva previsto, una piccola parte della cuspide stava cominciando a risplendere dentro l'acqua. Erano comparse delle lettere, e diventavano sempre più visibili a mano a mano che la temperatura dell'acqua saliva.

«Una scritta!» mormorò Katherine.

Langdon annuì, esterrefatto. Le parole si stavano materializzando proprio sotto l'iscrizione incisa sulla cuspide. Sembravano solo tre e, sebbene non riuscisse ancora a leggerle, non potè fare a meno di domandarsi se avrebbero svelato tutto. "La piramide massonica è una mappa reale" aveva detto loro Galloway "che indica un luogo reale."

Poi Katherine spense il fornello e l'acqua smise di bollire. Ora la cuspide era ben visibile sotto la superficie.

E si leggevano chiaramente tre parole.


Chini sulla pentola nell'oscurità della cucina del Cathedral College, Langdon e Katherine osservavano la cuspide immersa nell'acqua. Su un lato era comparso un messaggio a lettere brillanti.

Langdon lo lesse, ancora incredulo. Certo, si diceva che la piramide avrebbe rivelato un luogo preciso... ma lui non avrebbe mai immaginato che fosse cosi preciso.

OTTO FRANKLIN SQUARE


«Un indirizzo» sussurrò sbalordito.

Katherine era meravigliata quanto lui. «Non so cosa ci sia a quell'indirizzo. E tu?»

Langdon scosse la testa. Sapeva che Franklin Square era una delle zone più antiche di Washington, ma non conosceva quell'indirizzo. Guardò la punta della cuspide e lesse il messaggio completo, dall'alto verso il basso.

Il segreto si cela
dentro L'Ordine
Otto Franklin Square


C'è la sede di qualche ordine in Franklin Square? C'è un edificio in cui si cela l'accesso a una lunga scala a chiocciola? Langdon non aveva idea di che cosa potesse nascondersi a quell'indirizzo.

La cosa più importante, a quel punto, era che lui e Katherine avevano decifrato la piramide e ora erano in possesso delle informazioni necessarie a trattare la liberazione di Peter.

Appena in tempo.

Secondo le lancette luminose dell'orologio di Topolino restavano meno di dieci minuti.

«Fa' quella telefonata» disse Katherine riaccendendo la luce e indicando un telefono sulla parete della cucina. «Svelto!»

La rivelazione era stata così improvvisa che Langdon esitò.

«Sei sicura?»

«Certo.»

«Non ho intenzione di dirgli nulla finché non sapremo che Peter è al sicuro.»

«Ovvio. Ricordi il numero, vero?»

Annuendo, Langdon andò al telefono. Sollevò il ricevitore e compose il numero di cellulare dell'uomo. Katherine gli si avvicinò, accostando la testa alla sua per poter sentire. Quando il telefono dall'altra parte cominciò a squillare, Langdon si preparò all'inquietante sussurro dell'uomo che quella sera lo aveva attirato a Washington con l'inganno.

Finalmente qualcuno rispose.

Ma non si sentì alcun "pronto". Nessuna voce. Solo il respiro di una persona.

Langdon attese qualche istante, poi si decise a parlare. «Ho le informazioni che cerchi. Ma se le vuoi dovrai prima consegnarci Peter.»

«Chi parla?» chiese una voce di donna.

Langdon trasalì. «Robert Langdon» rispose istintivamente. «Chi è lei?» Per un momento temette di aver sbagliato numero.

«Il suo nome è Langdon?» La donna sembrava sorpresa. «Qui c'è una persona che chiede di lei.»

Cosa? «Scusi, chi parla?»

«Sono l'agente Paige Montgomery della Preferred Security.» La donna aveva una voce tremante. «Forse lei può aiutarci. Circa un'ora fa la mia collega ha risposto a una chiamata del 911... una persona tenuta in ostaggio a Kalorama Heights. Non sono più riuscita a mettermi in contatto con lei, così ho chiamato rinforzi e sono venuta a controllare di persona. Abbiamo trovato la collega morta in giardino. Il proprietario non c'era e abbiamo forzato la porta. Un cellulare stava squillando, sul tavolo, e io...»

«Lei è all'interno della casa?» chiese Langdon.

«Sì, e la segnalazione al 911 era... attendibile» farfugliò la donna. «Scusi, sono un po' sconvolta, ma la mia collega è morta e abbiamo trovato un uomo trattenuto qui contro la sua volontà. È malridotto e ci stiamo occupando di lui. Continua a chiedere di due persone... un certo Langdon e una certa Katherine.»

«È mio fratello!» esclamò Katherine, premendo la testa contro quella di Langdon. «Sono stata io a chiamare il 911 ! Sta bene?»

«Veramente, signora, è...» La voce della donna si incrinò. «Non sta bene. È senza una mano e...»

«La prego» insistette Katherine. «Voglio parlargli!»

«In questo momento si stanno occupando di lui. Alterna stati di lucidità a stati d'incoscienza. Ma se lei si trova in zona, farebbe meglio a venire...»

«Siamo a pochi minuti di macchina» disse Katherine.

«Allora le suggerisco di fare in fretta.» Si udì un rumore soffocato in sottofondo. «Mi scusi, hanno bisogno di me. Parleremo quando sarà qui.»

La telefonata si interruppe.


All'interno del Cathedral College, Langdon e Katherine si precipitarono su per le scale verso l'uscita. Non si sentiva più il rumore dell'elicottero sopra di loro e Langdon sperava che potessero abbandonare l'edificio senza essere visti per andare subito da Peter a Kalorama Heights.

L'hanno trovato. È vivo.

Appena dopo aver parlato con l'agente del servizio di vigilanza, Katherine era corsa a togliere la piramide e la cuspide dall'acqua. Erano ancora gocciolanti quando le aveva infilate nella borsa di Langdon. Adesso lui sentiva il calore che si irradiava attraverso la pelle.

L'eccitazione per il ritrovamento di Peter aveva per il momento fatto passare in secondo piano qualunque riflessione sul messaggio della cuspide - Otto Franklin Square -, ma per quello ci sarebbe stato tempo dopo.

Mentre svoltavano l'angolo in cima alle scale, Katherine si fermò di colpo indicando una saletta sull'altro lato del corridoio. Attraverso la finestra a bovindo, Langdon vide un elicottero nero affusolato fermo all'esterno. Il pilota era lì accanto e parlava alla radio dando loro le spalle. Parcheggiato vicino c'era anche un SUV Escalade nero con i finestrini oscurati.

Restando nell'ombra, Langdon e Katherine entrarono nella saletta per sbirciare dalla finestra alla ricerca degli altri componenti della squadra. Grazie al cielo, il grande prato davanti alla cattedrale era deserto.

«Devono essere dentro la chiesa» ipotizzò Langdon.

«Sbagliato» disse una voce alle sue spalle.

Langdon e Katherine si voltarono di scatto per vedere chi avesse parlato. Dalla soglia della saletta due figure vestite di nero li tenevano sotto il tiro di fucili dotati di mirini laser. Langdon vide un puntino rosso luminoso danzargli sul petto.

«Che piacere rivederla, professore» continuò la voce roca e familiare. Gli agenti si scostarono e la figura minuscola del direttore Sato scivolò tra loro, puntando dritta verso Langdon e andando a fermarsi a pochi centimetri da lui. «Questa sera, lei ha commesso una serie di errori.»

«La polizia ha trovato Peter Solomon» annunciò Langdon, risoluto. «È conciato male, ma sopravvivrà. È finita.»

Sebbene la notizia del ritrovamento di Peter l'avesse sorpresa, Sato non lo diede a vedere. La sua espressione si mantenne impassibile. «Professore, le assicuro che non è affatto finita. E se ora è coinvolta anche la polizia, la faccenda è diventata ancora più seria. Come le ho detto qualche ora fa, la situazione è estremamente delicata. Lei non sarebbe dovuto fuggire con quella piramide.»

«Signora» la interruppe Katherine «io devo assolutamente vedere mio fratello. Lei può prendersi la piramide, ma deve lasciarci...»

«Devo?» ribatté Sato voltandosi verso Katherine. «La dottoressa Solomon, immagino.» La fissò con occhi di fuoco, poi tornò a girarsi verso Langdon. «Metta la borsa sul tavolo.»

Langdon guardò il puntino luminoso sul petto, poi posò la borsa di pelle sul tavolino. Un agente si avvicinò con circospezione, fece scorrere la cerniera della borsa e l'aprì. Da dentro si levò un soffio di vapore. L'uomo puntò la torcia all'interno, osservò il contenuto con aria sconcertata, poi fece un cenno con il capo in direzione di Sato.

Sato si avvicinò e guardò dentro la borsa. La piramide e la cuspide ancora umide scintillavano alla luce della torcia. La donna si chinò per osservare più da vicino la cuspide d'oro che, Langdon capì, aveva visto soltanto nell'immagine a raggi X eseguita al controllo di sicurezza.

«Questa iscrizione, "Il segreto si cela dentro L'Ordine", significa qualcosa per voi?» chiese seccamente Sato.

«Non ne siamo sicuri, signora.»

«Come mai la piramide è calda?»

«L'abbiamo immersa nell'acqua bollente» rispose Katherine senza la minima esitazione. «Era necessario per decifrare il codice. Le diremo tutto ma, la prego, ci lasci andare da mio fratello. Ne ha passate tante...»

«Avete bollito la piramide?» chiese Sato.

«Spenga la torcia» disse Katherine. «Guardi la cuspide. Probabilmente si vede ancora.»

L'agente spense la torcia e Sato si piegò sulle ginocchia davanti alla cuspide. Dal punto in cui si trovava, Langdon vide che l'iscrizione brillava ancora debolmente.

«Otto Franklin Square?» disse Sato meravigliata.

«Sì, signora. Il messaggio era scritto con una lacca o una vernice termosensibile. Il trentatreesimo grado, in realtà, era...»

«E l'indirizzo?» la interruppe Sato. «È questo che vuole quell'uomo?»

«Sì» rispose Langdon. «È convinto che la piramide sia una mappa che gli indicherà la posizione di un grande tesoro, la chiave per svelare gli antichi misteri.»

Sato guardò di nuovo la cuspide con espressione incredula. «Avete già contattato quell'uomo?» chiese con voce venata di paura. «Gli avete rivelato questo indirizzo?»

«Ci abbiamo provato.» Langdon le spiegò cos'era successo quando avevano chiamato il numero di cellulare dell'uomo.

Sato lo ascoltò, passandosi la lingua sui denti ingialliti. Nonostante sembrasse sul punto di esplodere per la rabbia, si voltò verso uno dei suoi agenti e gli ordinò con voce bassa e controllata: «Fatelo entrare. È nel suv».

L'agente annuì e disse qualcosa nella ricetrasmittente.

«Chi deve entrare?» chiese Langdon.

«L'unica persona che può cercare di porre rimedio al maledetto pasticcio che lei ha combinato!»

«Quale pasticcio?» ribatté Langdon. «Ora che Peter è salvo, è tutto a...»

«Cristo santo!» sbottò Sato. «Qui non si tratta di Peter! Ho cercato di spiegarglielo quando eravamo al Campidoglio, professore, ma lei ha preferito lavorare contro di me anziché con me! distrutto il suo cellulare, che, per la cronaca, noi tenevamo sotto. Ci ha messo in una situazione impossibile! Quando ha distrutto il suo cellulare, che, per la cronaca, noi tenevamo sotto controllo, lei ha troncato ogni possibilità di comunicazione con quell'uomo! E questo indirizzo che avete scoperto, qualunque cosa sia, era la nostra unica chance per catturare quel pazzo. Lei doveva stare al gioco, fornirgli l'indirizzo in modo che noi sapessimo dove diavolo beccarlo!»

Prima che Langdon potesse ribattere, Sato scaricò il resto della sua collera su Katherine.

«E lei, dottoressa Solomon! Lei sapeva dove vive questo pazzo. Perché non me l'ha detto? Ha mandato un agente della sorveglianza privata a casa sua? Non capisce che ha vanificato ogni possibilità che avevamo di prenderlo? Sono felice che suo fratello sia salvo, ma, lasci che glielo dica, questa sera ci troviamo di fronte a una crisi le cui conseguenze vanno ben oltre la sua famiglia e si ripercuoteranno sul mondo intero. L'uomo che ha rapito suo fratello è molto potente, e noi dobbiamo catturarlo subito.»

Mentre la donna concludeva la sua invettiva, la figura alta ed elegante di Warren Bellamy emerse dall'oscurità ed entrò nel salotto. Pareva scosso, stravolto... come se avesse visto l'inferno.

«Warren!» esclamò Langdon, alzandosi in piedi. «Stai bene? »

«No» rispose lui. «Non molto.»

«Hai sentito? Peter è salvo!»

Bellamy annuì, ma aveva un'aria inebetita, come se non gli importasse più di nulla. «Sì, ho ascoltato la vostra conversazione. Ne sono felice.»

«Warren, cosa diavolo succede?»

Sato intervenne. «Ve lo racconterete fra un minuto. Ora il signor Bellamy si metterà in contatto con questo pazzo e gli parlerà. Come ha continuato a fare per tutta la sera.»

Langdon si sentì mancare la terra sotto i piedi. «Bellamy non ha parlato con lui, stasera! Quello non sa neppure che Bellamy è coinvolto!»

Sato si voltò verso Bellamy inarcando le sopracciglia.

«Robert» disse Bellamy con un sospiro «temo di non essere stato del tutto sincero con te, stasera.»

Langdon era senza parole.

«Io credevo di fare la cosa giusta...» aggiunse Bellamy con aria spaventata.

«Bene» disse Sato «ora farà sicuramente la cosa giusta, e preghiamo Dio che funzioni.»

Quasi a sottolineare il tono solenne di Sato, l'orologio sulla mensola cominciò a battere le ore.

Sato prese dalla borsa un sacchetto trasparente pieno di oggetti e lo lanciò a Bellamy. «Ecco le sue cose. Il suo cellulare funziona anche come macchina fotografica?»

«Sì, signora.»

«Bene. Prenda la cuspide e la tenga sollevata.»


Il messaggio che Mal'akh aveva appena ricevuto proveniva dal suo contatto, Warren Bellamy, il massone che lui aveva inviato al Campidoglio quella sera perché aiutasse Robert Langdon. Bellamy, come Langdon, voleva Peter Solomon vivo e gli aveva assicurato che avrebbe aiutato Langdon a recuperare e decifrare la piramide. Quella sera, Mal'akh aveva continuato a ricevere da lui per posta elettronica aggiornamenti che venivano automaticamente trasferiti sul suo cellulare.

Questo dovrebbe essere interessante, pensò Mal'akh aprendo il messaggio.

Da: Warren Bellamy

Sono stato separato da Langdon ma finalmente ho le informazioni. Allego prova. Chiami per il pezzo mancante, WB -1 allegato (jpeg) -


Chiami per il pezzo mancante? Perplesso, Mal'akh aprì l'allegato.

Era una foto.

Quando la vide, si lasciò sfuggire un'esclamazione di meraviglia e il suo cuore prese a battere più forte per l'eccitazione. Quella che stava guardando era una piccola piramide d'oro. La leggendaria cuspide! L'elaborata iscrizione trasmetteva un messaggio promettente: "Il segreto si cela dentro L'Ordine".

Più sotto, Mal'akh vide qualcosa che lo lasciò di sasso. Era come se la cuspide fosse illuminata dal basso. Incredulo, osservò la scritta scintillante e capì che la leggenda era vera. Alla lettera. La piramide massonica si trasforma per svelare i suoi segreti a chi ne è degno.

Mal'akh ignorava come fosse avvenuta quella magica trasformazione e comunque non gli interessava. Le parole luccicanti rimandavano a un luogo preciso del Distretto di Columbia, proprio come profetizzato. Franklin Square. Purtroppo, la foto comprendeva anche l'indice di Warren Bellamy, strategicamente posizionato sulla cuspide per nascondere un elemento importantissimo dell'informazione.


Chiami per il pezzo mancante. In quel momento Mal'akh capì il significato dell'oscura richiesta di Bellamy.

Per tutta la sera l'architetto del Campidoglio si era dimostrato collaborativo, ma ora aveva scelto di giocare una partita molto pericolosa.


Langdon, Katherine e Bellamy attendevano con Sato nella saletta del Cathedral College, sotto lo sguardo vigile di alcuni agenti della CIA armati fino ai denti. Sul tavolino davanti a loro era posata la borsa di Langdon aperta, da cui faceva capolino la punta della cuspide. Ormai le parole "Otto Franklin Square" erano scomparse senza lasciare traccia.

Katherine aveva implorato Sato di lasciarla andare dal fratello, ma la donna si era limitata a scuotere la testa, continuando a fissare il cellulare di Bellamy posato sul tavolino. Non aveva ancora squillato.

Perché Bellamy non mi ha detto la verità? continuava a chiedersi Langdon. A quanto pareva l'architetto del Campidoglio si era tenuto in contatto con il rapitore di Peter per tutta la sera, informandolo dei suoi progressi, nel tentativo di guadagnare tempo per salvare Peter. In realtà, Bellamy stava facendo tutto il possibile per intralciare chiunque fosse vicino a svelare il segreto della piramide. Adesso, però, sembrava aver cambiato fazione: lui e Sato erano pronti a mettere a repentaglio il segreto della piramide pur di catturare quell'uomo.

«Toglietemi le mani di dosso!» urlò una voce di anziano dal corridoio. «Sono cieco, non invalido! So come muovermi dentro il mio college!»

Il reverendo Galloway stava ancora protestando vivamente quando un agente della CIA lo scortò in sala e lo fece sedere su una poltrona.

«Chi c'è qui?» chiese Galloway puntando davanti a sé gli occhi spenti. «Siete in parecchi, si direbbe. Quanti uomini ci vogliono per tenere a bada un vecchio? Insomma!»

«Siamo in sette» rispose Sato. «Compreso Robert Langdon, Katherine Solomon e il suo confratello Warren Bellamy.»

Galloway si abbandonò sulla poltrona. Ogni traccia di spavalderia era scomparsa.

«Stiamo bene» disse Langdon. «E abbiamo appena saputo che Peter è salvo. È un po' malconcio, ma la polizia è con lui, adesso.»

«Grazie al cielo!» esclamò Galloway. «E la...»

Un rumore sordo e prolungato fece trasalire tutti i presenti. Il cellulare di Bellamy si era messo a vibrare sul tavolino. Nessuno fiatò.

«Bene, signor Bellamy» disse Sato. «Veda di non tradirsi. Lei conosce la posta in gioco.»

L'architetto inspirò a fondo, poi allungò la mano verso il telefono e premette il tasto di risposta. «Parla Bellamy» disse a voce alta, rivolto verso l'apparecchio.

La voce che uscì dall'altoparlante era un sussurro lieve e familiare. Pareva che la chiamata fosse fatta col vivavoce, a bordo di un'automobile. «È mezzanotte passata, signor Bellamy. Stavo per porre fine alle sofferenze di Peter.»

Nella stanza c'era un silenzio carico di tensione. «Mi faccia parlare con lui.»

«Impossibile» rispose l'uomo. «Sto guidando e Solomon è nel bagagliaio, legato.»

Langdon e Katherine si scambiarono un'occhiata, poi cominciarono a scuotere la testa come per dire di no. Sta bluffando! Peter non è più con lui!

Sato fece cenno a Bellamy di insistere.

«Io voglio una prova che Peter è vivo» insistette Bellamy. «Non le darò il resto della...»

«Il suo Venerabilissimo Maestro ha bisogno di un dottore. Non perda tempo con queste trattative. Mi dica il numero di Franklin Square e io le consegnerò Peter là.»

«Gliel'ho detto, io voglio...»

«Adesso!» urlò l'uomo. «Altrimenti mi fermo e lo uccido in questo istante!»

«Mi ascolti» disse Bellamy con veemenza «se vuole il resto dell'indirizzo dovrà giocare secondo le mie regole. Ci vediamo a Franklin Square. Dopo che lei mi avrà consegnato Peter vivo, io le dirò il numero civico.»

«Come faccio a sapere che non chiamerà la polizia?»

«Perché non posso rischiare. La vita di Peter non è l'unica carta che lei ha in mano. Io so qual è la posta in gioco questa notte.»

«Lei si rende conto» proseguì l'uomo al telefono «che se mi viene anche solo il minimo sospetto che in Franklin Square ci sia qualcun altro oltre a lei, tirerò dritto e non troverete mai più neppure un capello di Peter Solomon? E ovviamente... questo sarà il minore dei vostri problemi.»

«Verrò da solo» replicò cupo Bellamy. «Quando mi consegnerà Peter, le darò tutto ciò che vuole.»

«Al centro della piazza. Ci metterò almeno venti minuti per arrivare là. Le suggerisco di aspettarmi per tutto il tempo che ci vorrà.»

La conversazione si interruppe.

Immediatamente la sala si animò. Sato cominciò a impartire ordini, e alcuni agenti presero le radio e si diressero verso la porta. «Presto! Presto!»

Nella confusione, Langdon guardò Bellamy nella speranza di capire cosa stesse succedendo quella notte, ma gli agenti stavano già spingendo l'architetto verso la porta.

«Io voglio vedere mio fratello!» urlò Katherine. «Lei deve lasciarci andare!»

Sato le si avvicinò. «Io non devo fare proprio nulla, dottoressa Solomon. Sono stata chiara?»

Katherine non si fece intimorire e la fissò dritto negli occhi.

«Dottoressa Solomon, la mia priorità adesso è catturare quell'uomo a Franklin Square, e lei resterà qui con uno dei miei agenti finché non avrò portato a termine la missione. Allora, e solo allora, ci occuperemo di suo fratello.»

«Lei non capisce!» disse Katherine. «Io so dove vive quel tizio! Abita a Kalorama Heights, a cinque minuti di macchina da qui, e a casa sua troverete prove che potrebbero esservi utili! E poi lei ha detto di voler tenere segreta questa faccenda. Chissà cosa potrebbe rivelare Peter alla polizia una volta che si sarà ripreso.»

Sato serrò le labbra, riflettendo sulle parole di Katherine. Fuori, le pale dell'elicottero ripresero a girare. Sato aggrottò la fronte, poi si voltò verso uno dei suoi uomini e gli ordinò a bassa voce: «Hartmann, tu prendi l'Escalade e accompagna la dottoressa Solomon e il signor Langdon a Kalorama Heights. Peter Solomon non deve parlare con nessuno. Intesi?»

«Sì, signora» rispose l'agente.

«Chiamami quando arrivi e dimmi cos'hai trovato. E non perdere di vista questi due.»

Con un secco cenno del capo, l'agente Hartmann prese le chiavi dell'Escalade e si diresse verso la porta. Katherine lo seguì da vicino.

Sato si voltò verso Langdon . «A più tardi, professore. So che lei pensa che io sia il nemico, ma le assicuro che non è così. Vada subito da Peter. Non è ancora finita.»

Il reverendo Galloway se ne stava seduto in silenzio davanti al tavolino, di fianco a Langdon. Le sue dita avevano trovato la piramide nella borsa posata lì sopra e ne accarezzavano la superficie tiepida.

«Reverendo, viene con noi da Peter?» gli chiese Langdon.

«Vi farei soltanto perdere tempo.» Il decano tolse le mani dalla borsa e richiuse la cerniera. «Resterò qui a pregare per la guarigione di Peter. Ci sentiremo più tardi. Ma... quando farà vedere la piramide a Peter, potrebbe riferirgli una cosa da parte mia, per favore?»

«Certamente.» Langdon si mise la borsa a tracolla.

«Gli dica questo.» Galloway si schiarì la voce. «La piramide massonica ha sempre custodito il suo segreto... sinceramente.»

«Non capisco.»

Il decano ammiccò a Langdon. «Lei si limiti a riferirgli queste parole. Lui capirà.»

Detto questo, il reverendo Galloway chinò il capo e cominciò a pregare.

Langdon, perplesso, lo lasciò lì e corse fuori. Katherine era già a bordo del SUV, sul sedile anteriore, e dava istruzioni all'agente. Lui salì dietro e non fece quasi in tempo a chiudere la portiera che il gigantesco veicolo stava già attraversando il prato a tutta velocità, diretto a Kalorama Heights.


Franklin Square, la piazza delimitata da K Street e Thirteenth Street, si trova nel quadrante nordovest del centro di Washington. Ospita molti edifici storici, tra i quali la Franklin School, dalla quale nel 1880 Alexander Graham Bell inviò il primo messaggio vocale senza fili.

Un elicottero Sikorsky si avvicinò veloce da ovest. Aveva coperto la distanza dalla cattedrale di Washington a Franklin Square in pochissimi minuti. Più che in tempo, rifletté Sato osservando la piazza sotto di loro. Era fondamentale che i suoi uomini riuscissero a prendere posizione senza essere visti prima dell'arrivo del loro obiettivo. Ha detto che non sarebbe arrivato prima di venti minuti.

Su ordine di Sato, il pilota effettuò un volo a punto fisso sul tetto della costruzione più alta prospiciente la piazza, il famoso One Franklin Square, un prestigioso edificio di dodici piani adibito a uffici e sormontato da due torri con il pinnacolo dorato. La manovra era illegale, ovviamente, ma l'elicottero rimase sospeso sul tetto solo pochi secondi e i pattini sfiorarono appena il lastrico solare. Quando tutti furono saltati giù, il pilota si risollevò immediatamente, virando verso est e portandosi a una quota di sicurezza per fornire appoggio senza essere visto.

Sato attese che la sua squadra raccogliesse l'attrezzatura e preparasse Bellamy per il compito che lo attendeva. L'architetto pareva ancora frastornato dopo aver visto il file sul laptop protetto di Sato. Come ho detto... è una questione di sicurezza nazionale.

Bellamy aveva capito al volo ciò che la dorma stava dicendo e adesso cooperava pienamente.

«È tutto pronto, signora» disse l'agente Simkins.

A un segnale di Sato, gli agenti accompagnarono Bellamy oltre la porta che dava sulla tromba delle scale, diretti al pianterreno, dove avrebbero preso posizione.

Sato si avvicinò al parapetto e guardò giù. Il giardino, una distesa alberata di forma rettangolare, occupava l'intera piazza. Abbiamo tutta la copertura che vogliamo. I suoi uomini avevano pienamente compreso l'importanza di agire senza essere visti. Se il loro obiettivo avesse avvertito una presenza e deciso di allontanarsi... Sato non voleva neppure pensarci.

Sul tetto soffiava a raffiche un vento freddo. Sato si strinse le braccia intorno al busto e puntò forte i piedi per evitare di essere spinta oltre il parapetto. Da lassù Franklin Square sembrava più piccola di come la ricordava, e con meno edifici. Si chiese quale di essi corrispondesse al numero otto. Era quella l'informazione che aveva chiesto alla sua collaboratrice, Nola, dalla quale aspettava una risposta da un momento all'altro.

Bellamy e gli agenti comparvero in strada, piccoli come formiche, e si sparpagliarono nell'area verde. Simkins posizionò Bellamy in uno spiazzo vicino al centro del giardino, a quell'ora deserto, quindi lui e la sua squadra si mimetizzarono nell'ambiente circostante. Nel giro di pochi secondi Bellamy si ritrovò solo e cominciò a camminare avanti e indietro, infreddolito, alla luce di un lampione vicino al centro del giardino.

Sato non provava la minima pietà.

Si accese una sigaretta e tirò una lunga boccata, assaporando il calore che le si diffondeva nei polmoni. Accertatasi che giù tutto fosse a posto, si allontanò dal parapetto in attesa delle due telefonate che aspettava, da Nola e dall'agente Hartmann che aveva mandato a Kalorama Heights.


Rallenta! Langdon si aggrappò al sedile dell'Escalade mentre il veicolo affrontava una curva a tutta velocità, minacciando di ribaltarsi. O l'agente Hartmann voleva dar prova a Katherine della sua abilità di pilota, oppure aveva ricevuto ordini di arrivare da Peter Solomon prima che questi si riprendesse e facesse qualche dichiarazione scomoda alle autorità.

Il folle gioco a "bruciare i semafori" nella zona delle ambasciate era stato già abbastanza angosciante, ma ora stavano attraversando a velocità allucinante il quartiere residenziale di Kalorama Heights. Katherine, che era stata a casa dell'uomo quel pomeriggio, urlava istruzioni.

A ogni curva, la borsa di pelle posata per terra davanti ai piedi di Langdon rotolava avanti e indietro. Lui sentiva il rumore della cuspide che evidentemente si era staccata dalla piramide e adesso si spostava libera sul fondo. Temendo che potesse danneggiarsi, Langdon frugò nella borsa finché non la trovò. Era ancora tiepida, ma le parole scintillanti adesso erano scomparse: restava soltanto l'incisione.

Il segreto si cela dentro L'Ordine.

Langdon stava per infilarsela in tasca quando si accorse che la superficie era coperta di minuscoli pallini bianchi. Sconcertato, tentò di toglierli con il polpastrello, ma erano incollati e duri al tatto... come se fossero di plastica. Cosa diavolo...? Vide che anche la superficie della piramide di pietra ne era ricoperta. Con l'unghia ne tolse uno e lo appallottolò tra le dita.

«Cera?» disse a voce alta.

Katherine si voltò verso di lui. «Come?»

«La piramide e la cuspide sono coperte di pallini di cera. Non capisco. Da dove verrà?»

«Dalla tua borsa, forse?»

«Non penso.»

Mentre uscivano da una curva, Katherine indicò una casa e si voltò verso l'agente Hartmann. «Eccola! Ci siamo.»

Langdon alzò lo sguardo e vide le luci lampeggianti di un'auto civetta parcheggiata lungo il vialetto. Il cancello era aperto e l'agente entrò con il suv dentro la proprietà senza rallentare.

La porta di quella villa spettacolare era spalancata e all'interno tutte le luci erano accese. Cinque o sei auto erano posteggiate con scarsa cura nel vialetto e sul prato. Evidentemente erano arrivate in tutta fretta. Alcune avevano ancora il motore e i fari accesi e quasi tutte avevano il muso rivolto verso la casa, tranne una, messa di traverso, che praticamente li accecò mentre si avvicinavano.

L'agente Hartmann si fermò con una sbandata sul prato accanto a una berlina bianca con una scritta a colori vivaci: PREFERRED SECURITY. I lampeggianti e gli abbaglianti puntati verso di loro rendevano quasi impossibile vedere oltre.

Katherine scese immediatamente dal suv e corse verso la casa. Langdon prese la borsa, se la mise a tracolla senza richiudere la cerniera e seguì Katherine. Da dentro provenivano delle voci. L'agente Hartmann chiuse le portiere con il telecomando e si mise a correre per raggiungerli.

Katherine salì di corsa la scalinata che conduceva al porticato, varcò la soglia e scomparve all'interno. Langdon entrò subito dopo di lei e vide che aveva già attraversato l'ingresso e imboccato un corridoio da cui provenivano le voci. Più avanti, verso il fondo, si vedeva un tavolo da pranzo a cui era seduta di spalle una donna in uniforme.

«Guardia!» gridò Katherine correndo. «Dov'è Peter Solomon?»

Langdon si precipitò dietro di lei, ma un movimento inaspettato attirò la sua attenzione. Alla sua sinistra, attraverso la finestra del soggiorno, vide che il cancello si stava chiudendo automaticamente. Strano. Poi qualcos'altro lo insospettì... qualcosa che non aveva visto prima perché abbagliato dalla luce dei lampeggianti e dei fari accesi. Le auto parcheggiate a casaccio nel vialetto non assomigliavano affatto a macchine della polizia o a veicoli d'emergenza.

Una Mercedes...? Un Hummer...? Una Tesla Roadster?

In un attimo, Langdon capì anche che le voci provenivano da un televisore acceso in sala da pranzo.

«Katherine, aspetta!» gridò Langdon girandosi al rallentatore.

Quando si fu voltato, però, vide che Katherine Solomon non stava più correndo.

Stava volando.


Katherine Solomon capì che stava cadendo... ma non sapeva perché.

Correva lungo il corridoio verso la guardia seduta al tavolo da pranzo quando, all'improvviso, i suoi piedi erano rimasti impigliati in un ostacolo invisibile e lei era stata scagliata in avanti, per aria.

Adesso stava tornando sulla terra... per l'esattezza su un parquet.

Katherine atterrò a pancia in giù e rimase senza fiato. Sopra di lei, un attaccapanni vacillò in equilibrio precario e poi le cadde quasi addosso, mancandola per un pelo. Sollevò la testa, ancora in apnea, sorpresa nel vedere che la donna non aveva mosso un muscolo. Fatto ancora più strano, alla base dell'attaccapanni caduto era legato un filo sottile teso di traverso nel corridoio.

Perché mai qualcuno dovrebbe... ?

«Katherine!» stava urlando Langdon. Quando lei si girò sulla schiena e guardò verso di lui, le si gelò il sangue nelle vene. Robert! Dietro di te! Cercò di urlare, ma era ancora senza fiato per la caduta. Non potè fare altro che restare a fissare, come in un ralenti dell'orrore, Langdon che correva lungo il corridoio per aiutarla, del tutto ignaro che alle sue spalle l'agente Hartmann stava barcollando sulla soglia, con le mani strette intorno alla gola. Il sangue gli schizzava attraverso le dita e lui cercava di afferrare il manico di un lungo cacciavite che gli spuntava dal collo.

Mentre Hartmann cadeva in avanti, il suo aggressore uscì allo scoperto. Doveva essersi nascosto nell'ingresso.

Oh, mio Dio... No!

L'uomo gigantesco, nudo tranne che per uno strano indumento che sembrava un perizoma, aveva il corpo muscoloso interamente coperto di strani tatuaggi. La porta d'ingresso si stava chiudendo e lui si lanciò lungo il corridoio verso Langdon.

L'agente Hartmann cadde a terra nello stesso istante in cui la porta si richiuse con un tonfo. Langdon, sorpreso, si voltò di scatto, ma l'uomo tatuato gli saltò addosso e gli puntò uno strano oggetto nella schiena. Ci fu un bagliore, seguito dal rumore di una scarica elettrica; Katherine vide Langdon irrigidirsi e poi accasciarsi a terra con gli occhi spalancati, paralizzato. Crollò sopra la borsa e la piramide rotolò fuori, sul pavimento.

Senza neppure degnare di uno sguardo la sua vittima, l'uomo tatuato scavalcò Langdon e si diresse verso di lei. Katherine, che stava già arretrando verso la sala da pranzo, andò a sbattere contro una sedia.

La guardia di sicurezza che c'era seduta sopra vacillò e cadde a terra, in una posa scomposta. La donna aveva uno straccio infilato in bocca e nel suo sguardo senza vita era rimasto impresso un terrore infinito.

Prima che Katherine avesse il tempo di reagire, l'uomo gigantesco l'aveva già raggiunta. Il suo volto, non più coperto dal trucco, era uno spettacolo terrificante. La afferrò per le spalle con una forza inverosimile e lei si sentì girare a pancia in giù come una bambola di pezza. L'aggressore le puntò un ginocchio contro la schiena e, per un attimo, lei pensò che l'avrebbe spezzata in due. Le afferrò le braccia e gliele immobilizzò dietro.

Con la testa voltata di lato e la guancia premuta contro il pavimento, Katherine vide il corpo di Langdon tremare, scosso dalle contrazioni. Dietro di lui, l'agente Hartmann giaceva immobile nell'ingresso.

Del metallo freddo le pizzicò i polsi e Katherine capì che l'uomo glieli stava legando con del filo. Terrorizzata, cercò di divincolarsi, ma il movimento le causò un dolore lancinante alle mani.

«Questo filo taglia se ti muovi» disse l'uomo finendo di bloccarle i polsi e passando, con spaventosa efficienza, alle caviglie.

Katherine gli mollò un calcio e lui la colpì con un pugno fortissimo alla natica destra, paralizzandole la gamba. Nel giro di pochi secondi anche le caviglie erano bloccate.

«Robert!» gridò lei ritrovando la voce.

Langdon si lamentava steso nel corridoio. Giaceva scomposto sopra la borsa, con la piramide di pietra per terra, a pochi centimetri dalla sua testa. Katherine capì che quella piramide era la sua ultima speranza.

«Abbiamo decifrato la piramide!» disse al suo aggressore. «Ti dirò tutto!»

«Sono certo che lo farai.» Con quelle parole, l'uomo tolse lo straccio dalla bocca della donna uccisa e lo infilò con forza in quella di Katherine.

Sapeva di morte.


Quel corpo non era il suo. Robert Langdon giaceva a terra, intorpidito e immobile, con la guancia premuta contro il parquet. Aveva sentito parlare degli storditori elettrici abbastanza per sapere che immobilizzavano le vittime mandando temporaneamente in tilt il sistema nervoso centrale. Questo provocava involontarie quanto violente contrazioni dei muscoli. Era come essere colpiti da un fulmine. Il dolore lancinante pareva pervadere ogni molecola del suo corpo. In quel momento, nonostante si sforzasse di muoversi, i muscoli si rifiutavano di obbedire ai comandi che lui inviava loro.


Paralizzato, a faccia in giù sul pavimento, Langdon faceva respiri brevi e superficiali, incapace di inspirare normalmente. Non aveva visto l'uomo che lo aveva aggredito, ma scorgeva l'agente Hartmann a terra, in una pozza di sangue che si allargava sempre più. Langdon aveva sentito Katherine lottare e protestare, ma qualche attimo prima la sua voce si era attutita, come se l'uomo l'avesse imbavagliata.

Alzati, Robert! Devi aiutarla!

Adesso le sue gambe erano percorse da un doloroso formicolio: stavano recuperando sensibilità, ma si rifiutavano ancora di collaborare. Muoviti! Le braccia si contrassero mentre la sensibilità cominciava a tornare, insieme a quella del collo e del viso. Con uno sforzo sovrumano riuscì a ruotare la testa, sfregando la guancia contro il legno mentre si voltava a guardare verso la sala da pranzo. C'era qualcosa che gli impediva la vista: la piramide di pietra che, rotolata fuori dalla borsa, si era fermata su un lato, con la base a pochi centimetri dal suo naso.

Per un istante, Langdon non capì cosa stesse guardando. Il quadrato di pietra davanti ai suoi occhi era senza dubbio la base della piramide, però adesso pareva diversa. Molto diversa. Sempre quadrata, sempre di pietra... ma non più piatta e liscia. Era coperta di incisioni. Com'è possibile? La osservò per qualche secondo, chiedendosi se stesse avendo un'allucinazione. Ho guardato la base della piramide almeno una decina di volte... e non c'erano incisioni!

Poi capì.

Il riflesso della respirazione tornò e lui inspirò una boccata d'aria, rendendosi conto che la piramide massonica aveva ancora dei segreti da rivelare. Ho assistito a un'altra trasformazione.

In un lampo, Langdon comprese il significato di ciò che Galloway aveva chiesto di dire a Peter: La piramide massonica ha sempre custodito il suo segreto... sinceramente. Prima quelle parole gli erano sembrate strane, ma adesso comprese che il decano stava mandando a Peter un messaggio in codice. Ironia della sorte, quello stesso messaggio in codice era stato il colpo di scena in un thriller mediocre che Langdon aveva letto anni prima.

Sin-cera.

Fin dai tempi di Michelangelo, gli scultori avevano l'abitudine di nascondere i difetti delle loro opere colando cera fusa nelle fessure e poi coprendola con polvere di marmo. Il metodo era considerato un inganno e, quindi, qualunque scultura "senza cera" - letteralmente sine cera - era considerata un'opera d'arte autentica. L'espressione aveva preso piede; ancora oggi a volte firmiamo le lettere "sinceramente" per rassicurare l'altra persona che abbiamo scritto "senza cera" e che quindi le nostre parole sono vere.

Le incisioni sulla base della piramide erano state nascoste con lo stesso metodo. Quando Katherine aveva seguito le indicazioni della cuspide e aveva "bollito" la piramide, la cera si era sciolta rivelando la scritta sulla base. Evidentemente Galloway, nella sala del college, aveva sentito con le dita le incisioni sul fondo.

Osservando l'incredibile assortimento di simboli, per un istante Langdon dimenticò tutti i pericoli che minacciavano lui e Katherine. Non aveva idea del loro significato, né di cosa avrebbero svelato alla fine, ma di una cosa era certo. La piramide massonica ha ancora dei segreti da rivelare. "Otto Franklin Square" non è la risposta finale.

Langdon non avrebbe saputo dire se fosse merito dell'adrenalina mandata in circolo da quell'illuminazione o dei secondi trascorsi, ma a un tratto sentì che stava riacquistando il controllo del proprio corpo.

Lottando con il dolore, strisciò un braccio di lato per spingere via la borsa che gli impediva di vedere la sala da pranzo.

Con suo grande orrore, si rese conto che Katherine era stata immobilizzata e le era stato infilato in bocca un grosso pezzo di stoffa. Langdon flettè i muscoli, cercando di mettersi in ginocchio, ma un attimo dopo rimase impietrito, totalmente incredulo. Sulla soglia della sala da pranzo era comparsa una visione agghiacciante... una figura umana come mai ne aveva viste.

In nome di Dio, cosa diavolo...?

Langdon rotolò di lato, scalciando nel tentativo di arretrare, ma il gigante lo afferrò, lo girò sulla schiena e gli si mise a cavalcioni sul petto. Gli puntò le ginocchia sui bicipiti, inchiodandolo al suolo. Sul suo torace era tatuata una fenice a due teste increspata dalla fascia muscolare. Il collo, il volto e la testa rasata erano coperti da un incredibile assortimento di simboli intricati, usati negli oscuri rituali di magia.

Prima che Langdon potesse elaborare un altro pensiero, l'uomo gli afferrò la testa prendendola tra le mani, la sollevò da terra e, con una forza incredibile, la sbatté contro il pavimento.

Poi diventò tutto buio.


Mal'akh si rialzò e contemplò la carneficina intorno a sé. La casa pareva un campo di battaglia.

Robert Langdon giaceva ai suoi piedi privo di sensi.

Katherine Solomon era legata e imbavagliata sul pavimento della sala da pranzo.

A terra accanto a lei c'era il cadavere della guardia di sicurezza, crollata dalla sedia su cui lui l'aveva sistemata. La donna, nel tentativo di avere salva la vita, aveva fatto esattamente come Mal'akh le aveva ordinato: con un coltello puntato alla gola, aveva risposto al cellulare di Mal'akh, mentendo per attirare lì con l'inganno Langdon e Katherine. Non c'era nessuna collega e Peter non stava certo bene. Non appena la donna aveva concluso la sua performance, Mal'akh l'aveva strangolata in silenzio.

Per completare l'illusione di non essere a casa, Mal'akh aveva telefonato a Bellamy usando il vivavoce da una delle sue auto. "Sto guidando" aveva detto a lui e a tutti quelli che erano in ascolto "e Solomon è nel bagagliaio." Mal'akh stava realmente guidando, ma solo tra il garage e il giardino, dove aveva lasciato alcune delle sue numerose automobili parcheggiate con il motore e i fari accesi.

L'inganno aveva funzionato alla perfezione.

Quasi.

L'unica piccola pecca era il cadavere dell'uomo in mimetica nera, pugnalato al collo con un cacciavite, sul pavimento dell'ingresso. Mal'akh lo perquisì e non potè fare a meno di sorridere quando trovò una sofisticata ricetrasmittente e un cellulare con il logo della CIA. Evidentemente anche loro sono consapevoli del mio potere. Tolse le batterie e fracassò entrambi gli apparecchi con un pesante fermaporta di bronzo.

Mal'akh sapeva di dover agire in fretta, specialmente adesso che era entrata in gioco anche la CIA. Tornò da Langdon. Il professore era privo di sensi e lo sarebbe rimasto per un po'. Il suo sguardo si spostò con trepidazione sulla piramide di pietra a terra, accanto alla borsa aperta. Trattenne il respiro e il suo cuore cominciò a battere più forte.

Ho  aspettato per anni...

Si chinò a raccogliere la piramide massonica con mani tremanti. Facendo scorrere lentamente le dita sulle incisioni, fu preso da un timore reverenziale per la promessa in esse contenuta. Prima di farsi prendere troppo dal suo fascino, rimise la piramide nella borsa di Langdon, insieme alla cuspide, e chiuse la cerniera.

Le riunirò presto... in un luogo più sicuro.

Si gettò la borsa a tracolla e provò a caricarsi Langdon sulle spalle, ma il professore aveva un fisico atletico e pesava molto più del previsto. Mal'akh decise di afferrarlo sotto le braccia e trascinarlo. Non gli piacerà la sistemazione che ho in mente per lui.

Mentre trasportava il corpo di Langdon, la tivù continuava a trasmettere a tutto volume. Quel vociare era stato un elemento determinante della messinscena e Mal'akh non aveva ancora spento il televisore. Adesso un telepredicatore guidava i fedeli nella recita del Paternoster. Mal'akh si chiese se qualcuno degli spettatori ipnotizzati avesse idea della vera provenienza di quella preghiera.

«"... come in cielo, così in terra..."» salmodiavano i fedeli.

Sì, pensò Mal'akh. Come sopra, così sotto.

«"...e non ci indurre in tentazione..."»

Aiutaci a dominare la debolezza della carne.

«"... liberaci dal male..."» imploravano in coro.

Mal'akh sorrise. Sarà difficile. Le tenebre avanzano. Ma doveva rendere loro onore al merito: se non altro ci provavano. Nel mondo moderno, gli uomini che parlavano a forze invisibili e chiedevano il loro aiuto erano una razza in via di estinzione.

Mal'akh era ormai arrivato in soggiorno quando i fedeli conclusero la preghiera con un "Amen!".

Amon, li corresse mentalmente Mal'akh. L'Egitto è la culla della vostra religione. Il dio Amon era l'archetipo di Zeus, di Giove e di ogni altro volto moderno di Dio. Ancora oggi, tutte le religioni del mondo pronunciano una variante del suo nome. Amen! Amin! Aum!

Il predicatore cominciò a citare versetti della Bibbia sulle gerarchie di angeli, demoni e spiriti che governavano in cielo e all'inferno. «Proteggete le vostre anime dalle forze del male!» esortò. «Levate i vostri cuori in preghiera! Dio e i suoi angeli vi ascolteranno!»

È vero. Ma come loro anche i demoni.

Mal'akh aveva imparato molto tempo prima che mediante la giusta applicazione dell'Arte, un cultore poteva aprire un portale sul regno dello spirito. Le forze invisibili che vi abitavano, assai simili all'uomo, si presentavano sotto molte forme, sia buone sia malvagie. Quelle della Luce guarivano, proteggevano e cercavano di portare ordine nell'universo. Quelle delle Tenebre agivano in senso contrario... portando caos e distruzione.

Evocate nel modo giusto, le forze invisibili potevano essere persuase a compiere il volere di chi si rivolgeva loro... infondendogli un potere all'apparenza soprannaturale. In cambio del loro aiuto, queste forze chiedevano offerte: preghiere e lodi quelle della Luce... sacrifici con il sangue quelle delle Tenebre.

Più grande è il sacrificio, maggiore è il potere conferito. Mal'akh aveva cominciato praticando sacrifici di animali. Con il tempo, però, le sue scelte si erano fatte più ardite. Questa notte compirò l'ultimo passo.

«Attenti!» gridò il predicatore, ricordando ai fedeli l'imminente Apocalisse. «Presto verrà combattuta l'ultima battaglia per le anime degli uomini!»

Proprio così, pensò Mal'akh. E io diventerò il più grande guerriero.

Quella battaglia, ovviamente, era cominciata molto tempo prima. Nell'antico Egitto, coloro che avevano perfezionato l'Arte erano diventati i grandi adepti della storia, emergendo dalle masse per essere i veri cultori della Luce. Si muovevano come dèi sulla terra. Costruivano grandi templi verso i quali i neofiti arrivavano da ogni parte del mondo per essere iniziati e condividere la conoscenza. Ne era nata una genia di uomini superiori. Per un breve lasso di tempo, l'umanità era parsa pronta a elevarsi e a trascendere i suoi vincoli terreni.

L'età d'oro degli antichi misteri.

Ma l'uomo, essendo fatto di carne, era facile preda del peccato: superbia, odio, intolleranza, avarizia. Con il tempo, c'erano stati alcuni che avevano corrotto l'Arte, snaturandola e abusando del suo potere per trarne vantaggi personali. Avevano cominciato a usare quella versione corrotta per invocare forze oscure. Si era sviluppata un'Arte diversa... più potente, immediata, esaltante.

La mia Arte.

La mia opera più grande.

Gli adepti illuminati e le loro esoteriche confraternite avevano assistito all'ascesa del male e si erano accorti che l'uomo non utilizzava il nuovo sapere per il bene della propria specie. Così avevano nascosto la loro sapienza per proteggerla dagli occhi delle persone non degne, finché essa si era persa del tutto.

Questo aveva provocato la grande caduta dell'uomo.

E un lungo periodo di tenebre.

Fino a quel momento, i nobili discendenti degli adepti avevano resistito, brancolando nel buio alla ricerca della Luce, dei poteri smarriti del loro passato, per tenere a bada le tenebre. Erano i sacerdoti e le sacerdotesse delle chiese e dei templi di tutte le religioni della terra. Il tempo aveva cancellato i ricordi... separandoli dal loro passato. Non conoscevano più la Fonte da cui era sgorgato un tempo il loro sapere. Quando li si interrogava sui misteri divini dei loro progenitori, i nuovi custodi della fede li rinnegavano a gran voce, condannandoli come eresie.

Hanno davvero dimenticato? si chiese Mal'akh.

Echi dell'antica Arte risuonavano ancora in ogni angolo del globo: dai cabalisti dell'ebraismo ai sufi dell'islam. Ne restavano tracce anche negli arcani rituali del cristianesimo: nell'eucarestia, nella gerarchia di santi, angeli e demoni, nel salmodiare e nelle formule sacre, nelle origini astrologiche del calendario liturgico, nelle vesti consacrate e nella promessa della vita eterna. Ancora oggi i preti scacciavano gli spiriti malvagi facendo oscillare incensieri fumanti, suonando campane sacre, spargendo acqua benedetta. I cristiani praticavano ancora l'antica arte dell'esorcismo che richiedeva la capacità non solo di scacciare i demoni, ma anche di evocarli.

E non riescono a vedere il loro passato?

In nessun luogo il passato mistico della Chiesa era più evidente che al suo epicentro. Nella Città del Vaticano, in mezzo a piazza San Pietro, si ergeva il grande obelisco egizio. Scolpito più di milletrecento anni prima della nascita di Cristo, quel magico monumento non aveva alcun nesso con il moderno cristianesimo. Eppure era lì, al centro della Chiesa di Cristo. Un faro di pietra che urlava per essere ascoltato. Un memento per i pochi saggi che ancora ricordavano dove tutto era iniziato. Quella Chiesa, nata dal ventre degli antichi misteri, ne portava ancora riti e simboli.

Uno sopra tutti.

Adornava gli altari, le vesti, i campanili, le Scritture: era il simbolo stesso della cristianità, quello di un prezioso essere umano sacrificato. Il cristianesimo più di ogni altra religione comprendeva il potere trasfigurante del sacrificio. Ancora oggi, per onorare quello di Gesù Cristo, i suoi seguaci offrivano i loro piccoli sacrifici personali: digiuni, rinunce, elemosine.

Tutti questi sacrifici, ovviamente, sono vani. Senza sangue non esiste vero sacrificio.

Le forze delle Tenebre avevano da tempo adottato il sacrificio di sangue, diventando così potenti che le forze della Luce erano costrette a lottare per tenerle a bada. Presto la Luce sarebbe stata completamente estinta e i cultori delle Tenebre si sarebbero impadroniti della mente dell'uomo.


«Il numero otto di Franklin Square deve esistere» insistette Sato. «Controlla di nuovo!»

Nola Kaye, seduta alla sua postazione, si sistemò la cuffia. «Direttore, ho controllato ovunque. Nel Distretto di Columbia questo indirizzo non esiste.»

«Ma io sono sul tetto dell'One Franklin Square» disse Sato. «Se c'è un uno, dev'esserci anche un otto!»

Il direttore Sato su un tetto? «Un momento.» Nola avviò un'altra ricerca.

Stava riflettendo se raccontare o no al suo capo di quell'hacker, ma al momento Sato sembrava interessata soltanto a quell'indirizzo. Inoltre, Nola non era ancora in possesso di tutte le informazioni. E dov'è finito quel maledetto sistemista?

«Okay» disse Nola con gli occhi fissi sullo schermo. «Ho capito. One Franklin Square è il nome dell'edificio, non l'indirizzo, che è 1301 K Street.»

Quell'informazione parve confondere ulteriormente Sato. «Nola, non ho tempo per spiegare... la piramide indica chiaramente un indirizzo, il numero otto di Franklin Square.»

Nola si drizzò a sedere di scatto. La piramide indica un luogo specifico?

«L'iscrizione» proseguì Sato «dice: "Il segreto si cela dentro L'Ordine... Otto Franklin Square".»

Nola non riusciva più a raccapezzarsi. «Un ordine tipo... un ordine massonico o una confraternita?»

«Suppongo di sì» rispose Sato.

Nola rifletté un istante, poi cominciò a battere sulla tastiera. «Forse i numeri nella piazza sono cambiati nel corso degli anni. Voglio dire, se questa piramide è antica come vuole la leggenda, magari quando è stata realizzata la numerazione stradale in Franklin Square era diversa. Sto facendo una ricerca senza il numero otto... per "l'ordine"... "Franklin Square"... e "Washington, DC"... così possiamo renderci conto se c'è...» Si interruppe di colpo vedendo i risultati comparsi sullo schermo.

«Cos'hai trovato?» chiese Sato.

Nola guardò la prima occorrenza dell'elenco, una spettacolare immagine della Grande piramide d'Egitto, che faceva da sfondo alla home page dedicata a un edificio di Franklin Square. Era diverso da tutti gli altri della piazza.

E dì tutta Washington, se è per questo.

Ciò che l'aveva sorpresa, tuttavia, non era tanto la bizzarra architettura dell'edificio, quanto la descrizione del suo scopo. Secondo il sito web, l'insolita costruzione era stata in origine un tempio sacro, progettato da e per... un antico ordine segreto.


Quando Robert Langdon riprese i sensi, aveva un mal di testa terrificante.

Dove sono?

Ovunque si trovasse, era un posto buio. Molto buio e mortalmente silenzioso.

Era supino, con le braccia stese lungo i fianchi. Confuso, provò a muovere le dita delle mani e dei piedi e si accorse con sollievo che ci riusciva senza sentire dolore. Cos'è successo? A parte il mal di testa e l'oscurità assoluta, sembrava essere tutto piuttosto normale.

Quasi tutto.

Langdon si rese conto di essere sdraiato su una superficie dura e insolitamente liscia come una lastra di vetro. Cosa ancora più strana, sentì che la superficie era a diretto contatto con la sua pelle... spalle, schiena, natiche, cosce, caviglie. Sono nudo? Perplesso, si passò le mani sul corpo.

Dove diavolo sono i miei vestiti?

A poco a poco la nebbia nella sua mente si diradò e comparvero dei flash... ricordi confusi, istantanee spaventose... un agente della CIA morto... una faccia tatuata... la sua testa sbattuta per terra. Le immagini si susseguirono sempre più veloci, compresa quella di Katherine legata e imbavagliata sul pavimento della sala da pranzo.

Mio Dio!

Langdon si tirò su a sedere di scatto e, così facendo, sbatté la fronte contro qualcosa che si trovava sospeso pochi centimetri sopra di lui. Il dolore gli esplose nella testa e ricadde all'indietro, rischiando di perdere di nuovo i sensi. Stordito, allungò le mani sopra di sé, cercando a tastoni l'ostacolo. Ciò che trovò non aveva senso. Pareva che il soffitto di quella stanza si trovasse a meno di trenta centimetri dal suo capo. Cosa diavolo...? Quando allargò le mani nel tentativo di girarsi, queste andarono a sbattere contro delle pareti.

Di colpo la verità si fece strada nella sua mente. Non si trovava in una stanza.

Sono dentro una scatola!

Nel buio di quel piccolo contenitore simile a una bara, Langdon cominciò a battere furiosamente con i pugni. Urlò e urlò, chiedendo aiuto. Il terrore che lo attanagliava si fece sempre più profondo con il passare dei minuti, fino a diventare insostenibile.

Sono stato sepolto vivo.

Il coperchio della strana bara si rifiutava di cedere, nonostante lui spingesse con tutte le forze, puntando braccia e gambe, in preda a un folle panico. Da quanto riusciva a capire, la scatola era fatta di spessa fibra di vetro. Ermetica. Insonorizzata. Completamente buia. A prova di fuga.

Morirò soffocato qui dentro.

Ripensò al pozzo profondo in cui era caduto da bambino e alla terribile notte che aveva passato cercando di tenersi a galla, da solo, nell'oscurità di un buco senza fine. Il trauma aveva lasciato una ferita profonda nella sua psiche, un'ostinata fobia per gli spazi chiusi.

Quella notte, sepolto vivo, Robert Langdon stava vivendo il suo peggiore incubo.


Katherine Solomon giaceva in silenzio, tremante, sul pavimento della sala da pranzo. Il filo tagliente che le serrava polsi e caviglie le aveva già inciso la pelle, e il minimo movimento sembrava soltanto aumentare la morsa.

L'uomo tatuato aveva brutalmente stordito Robert sbattendogli la testa per terra, poi aveva trascinato via il suo corpo inerte, portando con sé anche la borsa con la piramide. Katherine non aveva idea di dove fossero andati. L'agente che li aveva accompagnati lì era morto. Non sentendo alcun rumore da parecchi minuti, lei si chiese se Robert e l'uomo tatuato fossero ancora in casa. Aveva cercato di gridare per chiedere aiuto, ma a ogni tentativo lo straccio che l'uomo le aveva infilato in bocca scendeva sempre più verso la trachea.

Sentì un rumore di passi che si avvicinavano e voltò la testa, augurandosi l'impossibile, sperando che stesse arrivando qualcuno a salvarla. La figura imponente del suo carceriere si materializzò in corridoio. Katherine trasalì al ricordo di lui in casa di sua madre dieci anni prima.

Ha ucciso la mia famiglia.

L'uomo venne verso di lei a passo veloce, si accucciò, l'afferrò per la vita e se la caricò brutalmente sulle spalle. Il filo metallico le affondò ancora di più nei polsi, mentre il pezzo di stoffa che aveva in bocca soffocava le sue urla di dolore. L'uomo percorse il corridoio diretto in soggiorno dove, poche ore prima, aveva preso il tè con Katherine.

Dove mi sta portando?

Attraversato il soggiorno, l'uomo si fermò dinanzi al grande dipinto a olio delle Tre Grazie che lei aveva ammirato quel pomeriggio.

«Sono felice che questo quadro ti piaccia» sussurrò l'uomo sfiorandole un orecchio con le labbra. «Potrebbe essere l'ultima cosa bella che vedrai.»

Poi allungò una mano e premette con le dita il lato destro della cornice. Il dipinto rientrò nella parete, ruotando su un cardine centrale come una porta girevole. Un passaggio nascosto.

Katherine tentò di liberarsi, ma l'uomo la teneva stretta. Dopo che ebbero superato il varco, il dipinto tornò al suo posto. Katherine vide che il retro era rivestito da uno spesso strato isolante. Evidentemente nessun rumore doveva uscire da lì dentro.

Lo spazio dietro il quadro era angusto, più simile a un corridoio che a una stanza. L'uomo la portò in fondo e aprì una pesante porta di metallo che dava su un piccolo pianerottolo. Katherine si ritrovò a guardare giù per una stretta rampa che conduceva a uno scantinato. Inspirò per urlare, ma lo straccio la stava soffocando.

La rampa era ripida, le pareti di cemento erano lambite da una luce azzurrognola che pareva provenire dal basso. L'aria che saliva era tiepida e acre, carica di una strana miscela di odori... quello pungente di sostanze chimiche, quello dolce dell'incenso, quello muschiato del sudore umano e, dominante sopra tutti, l'odore inconfondibile della paura. Una paura viscerale, animale.

«La tua scienza mi ha colpito» sussurrò l'uomo quando arrivarono in fondo alla rampa. «Spero che la mia colpisca te.»


L'agente della CIA Turner Simkins, appostato nell'oscurità del giardino di Franklin Square, teneva gli occhi puntati su Warren Bellamy. Nessuno aveva ancora abboccato all'amo, ma era presto.

La ricetrasmittente emise un bip e lui l'attivò, sperando che uno dei suoi uomini avesse visto qualcosa. Invece era Sato, con nuove informazioni.

Simkins rimase in ascolto, condividendo la sua preoccupazione. «Un momento» disse. «Vedo se riesco a trovare un punto di osservazione.» Strisciò fuori dai cespugli tra i quali si era nascosto e si voltò a guardare nella direzione da cui era entrato nella piazza. Dopo qualche contorsione, finalmente riuscì ad avere la visuale libera.

Oh, merda.

Si ritrovò a guardare un edificio che sembrava un'antica moschea. La facciata moresca, stretta fra due costruzioni molto più alte, era coperta di piastrelle lucide di terracotta disposte a formare complessi motivi colorati. Sopra i tre grandi archi, due ordini di finestre a ogiva davano l'illusione che da un momento all'altro arcieri arabi potessero lanciare una pioggia di frecce su chiunque si fosse avvicinato.

«Lo vedo» disse Simkins.

«Qualche movimento?»

«Niente.»

«Bene. Devi cambiare posizione e sorvegliarlo. L'Almas Shrine Temple è la sede di un ordine mistico.»

Simkins lavorava da molto tempo nella zona di Washington, ma non conosceva quel tempio né gli risultava che in Franklin Square ci fosse la sede di qualche antico ordine mistico.

«L'edificio» proseguì Sato «appartiene a un gruppo chiamato Antico ordine arabo dei nobili del mistico velo.»

«Mai sentiti nominare.»

«Io credo di sì» disse Sato. «Sono un'emanazione della massoneria, più comunemente noti come Shriners.»

Simkins lanciò un'occhiata perplessa in direzione dell'edificio riccamente decorato. Gli Shriners? Quelli che costruiscono ospedali per bambini? Non riusciva a immaginare un "ordine" meno sinistro di quello, una confraternita di filantropi che partecipavano alle parate con piccoli fez rossi.

In ogni caso, le preoccupazioni di Sato erano fondate. «Direttore, se il nostro uomo si rende conto che questo edificio è "L'Ordine" in Franklin Square, non avrà più bisogno dell'indirizzo. Non si presenterà all'appuntamento e andrà direttamente nel posto giusto.»

«Lo penso anch'io. Tieni d'occhio l'ingresso.»

«Sì, capo.»

«Notizie dall'agente Hartmann?»

«No, capo. Aveva istruzioni di chiamare lei.»

«Be', non l'ha fatto.»

Strano, pensò Simkins guardando l'orologio. È in ritardo.


Robert Langdon giaceva nudo e tremante nell'oscurità più assoluta. Paralizzato dalla paura, adesso non urlava più, non tempestava più di pugni le pareti. Aveva chiuso gli occhi e si sforzava di controllare il respiro affannoso e il battito impazzito del cuore.

Sei sdraiato sotto un immenso cielo notturno, si disse cercando di convincersi. Sopra di te non c'è altro che una vasta distesa di spazio aperto.

Questa immagine rassicurante, insieme a una tripla dose di Valium, gli aveva di recente permesso di sopravvivere a una risonanza magnetica. Quella notte, però, non funzionava.


Il pezzo di stoffa che Katherine Solomon aveva in bocca era scivolato verso la trachea e minacciava di soffocarla. L'uomo l'aveva portata giù di peso per una stretta rampa e lungo un corridoio sotterraneo immerso nel buio. In fondo, Katherine aveva intravisto una strana luce violacea, ma non erano arrivati fin lì. L'uomo si era fermato prima, davanti a una stanzetta, era entrato e l'aveva fatta sedere su una sedia di legno, con le braccia dietro lo schienale in modo che non si potesse muovere.

Adesso Katherine sentiva il filo metallico affondarle sempre più nei polsi, ma il dolore era niente in confronto al panico crescente causato dalla sensazione di non riuscire più a respirare. Il pezzo di stoffa si spostava sempre più indietro e, di riflesso, le venne un conato. Le si oscurò la vista.

Alle sue spalle, l'uomo tatuato chiuse la porta della stanza e accese la luce. A Katherine lacrimavano gli occhi e non riusciva più a distinguere gli oggetti. Ci vedeva doppio.

Le apparve l'immagine distorta di un corpo dipinto e batté le palpebre: ebbe l'impressione di essere sul punto di svenire. Un braccio coperto di scaglie le strappò via lo straccio dalla bocca. Katherine inspirò a fondo, tossendo e boccheggiando mentre i polmoni si riempivano di aria preziosa. Lentamente, la vista si schiarì e lei si ritrovò davanti il volto di un demone. C'era poco di umano in quella faccia. Il collo, il viso e la testa rasata erano coperti da una stupefacente composizione di tatuaggi raffiguranti strani simboli. Sembrava che ogni centimetro del corpo fosse tatuato, a parte un piccolo cerchio sulla sommità del capo. Un'enorme fenice a due teste la guardava minacciosa con gli occhi in corrispondenza dei capezzoli, simile a un avvoltoio famelico in paziente attesa della sua morte.

«Apri la bocca» sussurrò l'uomo.

Katherine fissò il mostro provando una violenta repulsione. Cosa?

«Apri la bocca» ripetè l'uomo. «Altrimenti ti rimetto lo straccio in gola.»

Tremando, Katherine dischiuse le labbra. L'uomo allungò l'indice carnoso e tatuato e glielo ficcò in bocca. Quando le sfiorò la lingua, lei fu lì lì per vomitare. Poi lui lo estrasse, lo avvicinò alla sommità del capo e, chiudendo gli occhi, se lo passò ripetutamente sul cerchio non tatuato.

Katherine distolse lo sguardo, schifata.

La stanza sembrava un locale caldaia: tubazioni alle pareti, gorgogli, luci al neon. Prima di riuscire a farsi un'idea del luogo in cui si trovava, però, le cadde lo sguardo su qualcosa per terra accanto a lei. Era una pila di vestiti: un maglione dolcevita, una giacca di tweed, dei mocassini, un orologio di Topolino.

«Mio Dio!» Voltò la testa verso l'animale tatuato di fronte a lei. «Cos'hai fatto a Robert?»

«Ssh» sussurrò l'uomo. «Piano, altrimenti ti sente.» L'uomo si scostò di lato e indicò un punto dietro di sé.

Ma Langdon non c'era. Katherine vide solo un grosso contenitore nero di fibra di vetro chiuso da due robusti ganci di metallo. La forma aveva un'inquietante somiglianza con le casse in cui vengono rimpatriati i corpi dei soldati morti in guerra.

«È lì dentro?» esclamò Katherine. «Ma... soffocherà!» «No» ribatté l'uomo indicando una serie di tubi trasparenti che correvano lungo la parete e si infilavano nella cassa. «Però arriverà ad augurarselo.»


Nell'oscurità più totale, Langdon si sforzava di decifrare le vibrazioni attutite che gli giungevano dall'esterno. Voci? Cominciò a battere contro la cassa e a gridare con quanto fiato aveva in corpo. «Aiuto! Mi sentite?»

In lontananza, una voce gridò: «Robert! Mio Dio, no! No!».

Conosceva quella voce. Era Katherine, e sembrava terrorizzata. Ciò nonostante, quel suono lo risollevò. Langdon inspirò a fondo per chiamarla, ma si bloccò, avvertendo un'inaspettata sensazione alla nuca. Sembrava che dal fondo della scatola arrivasse una debole brezza. Com'è possibile? Rimase immobile per valutare meglio la situazione. Sì, è proprio così. I capelli erano accarezzati da una corrente d'aria.

Istintivamente, Langdon cominciò a tastare il fondo della cassa cercando il punto da cui entrava l'aria. Impiegò solo un attimo a localizzarlo. C'è una bocchetta! Al tatto la piccola apertura era simile allo scarico di un lavandino o di una vasca, con la differenza che da essa entrava un flusso d'aria costante.

Sta pompando dentro aria. Non vuole che soffochi.

Il sollievo, tuttavia, durò poco. Dai forellini della bocchetta gli giunse un rumore terrificante: l'inconfondibile gorgoglio di un liquido... che scorreva verso di lui.


Katherine osservava incredula la colonna di liquido trasparente che scendeva progressivamente in uno dei tubi collegati alla cassa di Langdon. La scena ricordava il set di uno spettacolo di magia. Una magia perversa.

Sta pompando acqua nella cassa?

Katherine cercò di liberarsi, ignorando il dolore provocato dal filo metallico che le incideva la carne dei polsi, ma non potè fare altro che restare a guardare in preda al panico. Sentiva Langdon che batteva disperato contro le pareti però, quando il livello dell'acqua si avvicinò al coperchio, il rumore cessò. Ci fu un momento di atterrito silenzio, poi i colpi ripresero con rinnovata disperazione.

«Fallo uscire!» implorò Katherine. «Ti prego! Non puoi fare questo!»

«Annegare è un modo terribile di morire, sai?» L'uomo parlava in tono pacato, girandole attorno. «La tua assistente, Trish, potrebbe confermartelo.»

Katherine udiva le sue parole ma non riusciva a elaborarle razionalmente.

«Ricordi? Anch'io ho rischiato di annegare, una volta» sussurrò l'uomo. «È successo al ponte di Zach, nella tenuta della tua famiglia, in Potomac. Tuo fratello mi sparò e io caddi nel fiume ghiacciato.»

Katherine gli rivolse uno sguardo carico d'odio. La notte in cui hai ucciso mia madre.

«Quella notte gli dèi mi hanno protetto» disse lui. «E mi hanno indicato la via... per diventare uno di loro.»


L'acqua che entrava gorgogliando nel contenitore, sotto la testa di Langdon, era tiepida... a temperatura corporea. Il livello del liquido era di parecchi centimetri e aveva già sommerso tutta la parte posteriore del suo corpo. Quando cominciò a lambire la cassa toracica, Langdon non potè più ignorare la cruda realtà.

Sto per morire.

Assalito da una nuova ondata di panico, riprese a battere furiosamente contro le pareti.


«Devi farlo uscire!» supplicò Katherine piangendo. «Faremo tutto quello che vuoi!» Sentiva Langdon battere sempre più forte a mano a mano che il livello dell'acqua saliva.

L'uomo tatuato si limitò a sorridere. «Con te è più facile che con tuo fratello. Sapessi cosa ho dovuto fare per convincerlo a rivelarmi i suoi segreti...»

«Dov'è?» chiese lei. «Dov'è Peter? Dimmelo! Noi abbiamo fatto tutto quello che ci hai chiesto! Abbiamo decifrato la piramide e...»

«No, voi non avete decifrato la piramide. Avete tentato la sorte. Mi avete taciuto delle informazioni, oltre a portare un agente governativo in casa mia. Non posso certo premiarvi per questo.»

«Non avevamo altra scelta» ribatté lei ricacciando indietro le lacrime. «La CIA ti sta cercando. Ci hanno costretti a venire qui con un agente. Ti dirò tutto purché tu faccia uscire Robert!» Sentiva che dentro la cassa lui urlava e batteva contro le pareti; vedeva l'acqua che scorreva attraverso il tubo. Capì che non gli restava molto tempo.

«Immagino che ci siano degli agenti ad attendermi in Franklin Square» disse con calma l'uomo tatuato sfregandosi il mento. Adesso le stava di fronte.

Visto che Katherine non rispondeva, l'uomo le posò le mani sulle spalle e, lentamente, la tirò verso di sé. Con le braccia bloccate dietro lo schienale, le spalle si tesero, rischiando di lussarsi e provocandole un dolore lancinante.

«Sì!» disse Katherine. «In Franklin Square ci sono degli agenti!»

Lui tirò ancora più forte. «Qual è l'indirizzo sulla cuspide?»

Le fitte ai polsi e alle spalle erano insopportabili, ma lei non fiatò.

«O me lo dici adesso, Katherine, oppure prima ti spezzo le braccia e poi te lo chiedo di nuovo.»

«Otto!» Katherine era senza fiato per il dolore. «Il numero mancante è l'otto! Sulla cuspide c'è scritto: "Il segreto si cela dentro L'Ordine, Otto Franklin Square". Lo giuro. Non so cos'altro dirti! Otto Franklin Square!»

L'uomo non mollò la presa.

«Io non so altro!» disse Katherine. «L'indirizzo è quello! Lasciami andare e fa' uscire Robert da quella vasca!»

«Lo farei...» replicò l'uomo «ma c'è un problema. Non posso andare in Franklin Square perché mi prenderebbero. Dimmi, cosa c'è a quell'indirizzo?»

«Non lo so!»

«E i simboli sulla base della piramide? Sai cosa significano?»

«Quali simboli?» Katherine non aveva la minima idea di cosa stesse parlando. «Sulla base non ci sono simboli. È pietra liscia!»

Del tutto indifferente alle grida di aiuto che giungevano soffocate da quella specie di bara, l'uomo si avvicinò con calma alla borsa di Langdon e prese la piramide di pietra, quindi tornò da Katherine e la tenne alzata davanti ai suoi occhi, in modo che lei potesse vederne la base.

Quando Katherine scorse i simboli incisi, si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore. Ma... è impossibile!


Il fondo della piramide era interamente coperto di strane incisioni. Prima non c'era nulla! Ne sono sicura! Non aveva idea di cosa potessero significare quei simboli. Sembravano presi da varie tradizioni mistiche, ma alcuni le erano del tutto sconosciuti.

Il caos totale.

«lo... non ho idea di cosa significhino.»

«Neppure io» disse il suo aguzzino. «Fortunatamente abbiamo a disposizione uno specialista.» Lanciò un'occhiata in direzione della cassa. «Chiediamolo a lui, cosa ne dici?» Si avvicinò con la piramide in mano.

Per un attimo, Katherine si illuse che Robert sarebbe stato liberato. Invece l'uomo si sedette tranquillo sulla cassa e fece scorrere un piccolo pannello, scoprendo una finestrella di plexiglas nella parte alta del coperchio.


Luce!

Langdon si coprì gli occhi per proteggerli dal raggio che entrava dall'alto. Quando si furono adattati, la speranza si trasformò in sconcerto. Stava guardando attraverso una specie di finestrella nel coperchio della cassa. Si vedevano un soffitto bianco e una luce al neon.

La faccia tatuata apparve sopra di lui senza alcun preavviso.

«Dov'è Katherine?» urlò Langdon. «Fammi uscire!»

L'uomo sorrise. «La tua amica Katherine è qui con me» disse. «Io posso risparmiarle la vita. E anche a te. Ma non ti resta molto tempo, quindi ti suggerisco di ascoltare attentamente.»

Langdon lo sentiva appena attraverso il vetro, e l'acqua era più alta, adesso. Gli arrivava sopra il petto.

«Tu sai che ci sono dei simboli sulla base della piramide?» chiese l'uomo.

«Sì!» urlò Langdon. Aveva visto quello strano mosaico di simboli quando la piramide era finita a terra davanti al suo naso, al piano di sopra. «Ma non ho idea di cosa significhino. Devi andare al numero otto di Franklin Square! La risposta è là! È questo che dice la cuspide...»

«Professore, io e te sappiamo benissimo che la CIA mi sta aspettando lì e non ho nessuna intenzione di cadere in una trappola. E poi il numero civico non mi serve. Sulla piazza c'è un solo edificio di qualche interesse storico, l'Almas Shrine Temple.» Fece una pausa e guardò Langdon. «L'Antico ordine arabo dei nobili del mistico velo.»

Langdon era disorientato. Conosceva l'Almas Temple, ma aveva dimenticato che si trovasse in Franklin Square. Gli Shiners sono... "L'Ordine"? Il loro tempio si trova in cima a una scala segreta? Storicamente non aveva alcun senso, però in quel momento Langdon non era nella posizione di abbandonarsi a disquisizioni storiche. «Sì!» urlò. «Dev'essere quello! Il segreto si cela dentro L'Ordine!»

«Conosci l'edificio?»

«Sicuro!» Langdon sollevò la testa per tenere le orecchie fuori dal liquido che saliva velocemente. «Io posso aiutarti! Fammi uscire!»

«Dunque sei convinto di sapermi dire cosa c'entra questo tempio con i simboli sulla base della piramide?»

«Sì. Fammi dare un'occhiata!»

«D'accordo. Vediamo cosa riesci a scoprire.»

Presto! Mentre il liquido continuava a salire, Langdon spinse il coperchio, pregando che l'uomo lo sbloccasse. Fa' presto! Ti prego! Ma il coperchio non si alzò. Invece, comparve improvvisamente la piramide, sospesa sopra la finestrella di plexiglas.

Langdon la guardò, in preda al panico.

«Spero che sia abbastanza vicina» disse l'uomo tenendola tra le mani coperte di tatuaggi. «Pensa in fretta, professore. A occhio e croce direi che ti restano meno di sessanta secondi.»


Robert Langdon aveva sentito dire spesso che un animale messo alle strette è capace di atti di incredibile forza. Tuttavia, quando spinse con tutte le sue energie contro il coperchio della cassa, questo non cedette di un millimetro. Intorno a lui il liquido continuava a salire a ritmo regolare e ormai gli restavano non più di quindici centimetri di spazio per respirare. Langdon aveva sollevato la testa nella sacca d'aria e adesso si trovava con la faccia premuta contro la finestrella di plexiglas, gli occhi vicinissimi alle misteriose incisioni sulla base della piramide di pietra sospesa sopra di lui.

Non so proprio cosa significhino.

Nascosta per più di un secolo sotto una mistura indurita di cera e polvere di marmo, l'ultima iscrizione della piramide massonica adesso era stata svelata.

L'incisione era una griglia perfettamente quadrata di simboli tratti da ogni tradizione immaginabile: alchimia, astrologia, araldica, steganografia, magia, numerologia, caratteri greci e latini.

Considerata nel suo insieme, era un'anarchia di simboli, un incomprensibile guazzabuglio di segni provenienti da lingue, culture e periodi diversi.

Il caos.

Neppure facendo riferimento alle sue più astruse interpretazioni accademiche, Robert Langdon, esperto di simbologia, riusciva a capire come decifrare quell'incomprensibile griglia.

Ordine da quel caos? Impossibile.


Ormai il liquido gli arrivava oltre il pomo d'Adamo e con il livello aumentava anche il terrore. Continuò a battere sul coperchio. La piramide lo fissava con aria di scherno.

Disperato, concentrò tutte le sue energie mentali sulla griglia. Cosa diavolo potrebbe significare? Purtroppo, l'assortimento di simboli era così disparato che non riusciva neppure a capire da dove cominciare. Vengono persino da epoche storiche diverse!

Da fuori gli giungevano attutite ma ancora udibili le suppliche di Katherine, che implorava l'uomo di liberarlo. Nonostante non riuscisse a intravedere una soluzione, pareva che la prospettiva di morire spingesse ogni cellula del suo corpo a impegnarsi per risolvere l'enigma. Non si era mai sentito così lucido. Rifletti! Studiò la griglia alla ricerca di un indizio - uno schema, una parola nascosta, una particolare icona, qualunque cosa - ma continuava a vedere solo un insieme di simboli non correlati fra loro. Il caos.

A ogni secondo che passava, Langdon si sentiva sempre più in preda a uno strano torpore. Era come se il suo corpo si stesse preparando a proteggere la mente dal dolore della morte. L'acqua adesso minacciava di entrargli nelle orecchie e lui sollevò la testa più che potè, premendola contro il coperchio. Immagini spaventose cominciarono a balenargli davanti agli occhi. Un bambino nel New England che lottava per restare a galla in fondo a un pozzo buio. Un uomo a Roma intrappolato con uno scheletro sotto un sarcofago rovesciato.

Le urla di Katherine si facevano sempre più disperate. Da quanto Langdon riusciva a sentire, stava cercando di far ragionare quel pazzo, insistendo nel dire che non poteva aspettarsi che lui decifrasse la piramide senza visitare l'Almas Temple. «È evidente che il pezzo mancante di questo rompicapo si trova in quell'edificio! Come può Robert decifrare la piramide senza tutte le informazioni?»

Pur apprezzando i suoi sforzi, Langdon era certo che "Otto Franklin Square" non indicasse l'Almas Temple. Non combaciano i tempii. Secondo la leggenda, la piramide massonica era stata creata intorno alla metà dell'Ottocento, decine e decine di anni prima della fondazione dell'ordine degli Shriners. Anzi, probabilmente ancora prima che la piazza venisse chiamata Franklin Square. Era impossibile che la cuspide indicasse un edificio non ancora costruito, a un indirizzo inesistente. A qualunque cosa si riferisse "Otto Franklin Square", questa doveva già esistere nel 1850.

Purtroppo, Langdon non riusciva a cavare un ragno dal buco.

Frugò negli angoli più remoti della memoria alla ricerca di qualcosa che potesse coincidere con quel periodo. Otto Franklin Square? Qualcosa che esisteva già nel 1850? Non trovò nulla. Adesso il liquido cominciava a entrargli nelle orecchie. Cercando di tenere a bada il terrore, osservò la griglia di simboli sospesa sulla finestrella. Non capisco il nesso! In un agghiacciante parossismo, la sua mente cominciò a buttar fuori tutte le associazioni che riusciva a generare, anche le più improbabili.

Otto Franklin Square... square come quadrato... la griglia di simboli è un quadrato... square come squadra... la squadra e il compasso sono simboli massonici... gli altari massonici sono quadrati... i quadrati hanno angoli di novanta gradi. Il livello del liquido continuava a salire, ma Langdon lo ignorò. Otto Franklin... otto... questa griglia è otto per otto... Franklin ha otto lettere... 8 è il simbolo ruotato di infinito: . otto è il numero della distruzione in numerologia...

Langdon non capiva.

Fuori, Katherine continuava a implorare ma, con l'acqua che gli sciabordava intorno alla testa, Langdon non sentiva quasi più.

«... impossibile senza sapere... evidentemente il messaggio della cuspide... il segreto si cela dentro...»

Poi più nulla.

L'acqua gli entrò nelle orecchie, soffocando le ultime parole di Katherine. Langdon si sentì avvolgere da un silenzio improvviso e ovattato e capì che sarebbe morto.

Il segreto si cela dentro...

Le ultime parole gli echeggiarono in testa nel silenzio della sua tomba.

Il segreto si cela dentro...

Stranamente Langdon si rese conto di aver sentito quelle esatte parole molte altre volte prima di quella sera.

Il segreto si cela... dentro...

Pareva che gli antichi misteri si facessero beffe di lui anche in quel momento. "Il segreto si cela dentro" era il principio dei misteri, quello che spingeva l'umanità a cercare Dio non in cielo ma piuttosto dentro se stessi. "Il segreto si cela dentro" era il messaggio di tutti i grandi maestri mistici.

Il regno di Dio è dentro di voi, diceva Gesù Cristo.

Conosci te stesso, diceva Pitagora.

Non sapete di essere dèi, diceva Ermete Trismegisto.

Quella folgorazione fu per Langdon l'ultima ironia della sorte. Adesso, con gli occhi rivolti al cielo come tutti gli uomini ciechi che lo avevano preceduto, Robert Langdon vide improvvisamente la luce.

La rivelazione lo colpì come un fulmine dal cielo.

Il segreto si cela
dentro L'Ordine
Otto Franklin Square


In un attimo capì.

In un attimo il messaggio della cuspide gli fu chiaro come il sole. Lo aveva avuto davanti agli occhi per tutta la sera. L'iscrizione sulla cuspide, come pure quella sulla base della piramide massonica, era un symbolon - un codice spezzato -, un messaggio composto da più parti. Il suo significato era mimetizzato in maniera così semplice che Langdon non riusciva a capire come lui e Katherine non lo avessero individuato.

Cosa ancora più stupefacente, Langdon comprese che il messaggio sulla cuspide rivelava effettivamente come decifrare la griglia di simboli incisi sulla base della piramide. Era così semplice! Proprio come gli aveva detto Peter Solomon, la cuspide d'oro era un potente talismano in grado di trarre ordine dal caos.

Langdon ricominciò a battere sul coperchio e a urlare. «Lo so! Lo so!»

La piramide si sollevò e sparì. Al suo posto ricomparve l'agghiacciante faccia tatuata che lo osservava attraverso la finestrella.

«L'ho risolto!» urlò Langdon. «Fammi uscire!»

Quando l'uomo parlò, le orecchie di Langdon non udirono nulla: erano sommerse dall'acqua. Ma gli occhi riuscirono a leggere le labbra. «Dimmelo.»

«Sì, te lo dirò!» urlò Langdon, con l'acqua che gli arrivava quasi agli occhi. «Fammi uscire! Ti spiegherò tutto!» È così semplice.

Le labbra dell'uomo si mossero di nuovo. «Dimmelo adesso... o morirai.»

Quando ormai gli rimanevano pochi centimetri di spazio per respirare, Langdon rovesciò la testa all'indietro per tenere la bocca al di sopra del livello dell'acqua. Così facendo, il liquido tiepido gli entrò negli occhi, annebbiandogli la vista. Inarcò la schiena e premette le labbra contro la finestrella.

Poi rivelò il segreto per decifrare i simboli sulla piramide.

Mentre finiva di parlare, il liquido raggiunse la bocca. Istintivamente, Langdon fece un ultimo respiro e serrò le labbra. Un attimo dopo, il liquido lo ricoprì completamente arrivando al coperchio della sua tomba e contro il plexiglas.


Ce l'ha fatta, pensò Mal'akh. Langdon ha scoperto come decifrare la piramide.

La risposta era così semplice. Così ovvia.

Sotto la finestrella, il volto sommerso di Robert Langdon lo fissava con occhi disperati, supplici.

Mal'akh scosse la testa e lentamente pronunciò le parole: «Grazie, professore. Goditi l'aldilà».


Da nuotatore provetto, Robert Langdon si era spesso domandato cosa si provasse ad annegare. Adesso si rese conto che lo avrebbe scoperto. Pur essendo in grado di trattenere il fiato più a lungo di tanti, sentiva già il corpo reagire alla mancanza d'aria. L'anidride carbonica si stava accumulando nel suo sangue, portando con sé l'istintivo bisogno di inalare. Non respirare! Il desiderio però cresceva sempre di più con il passare dei secondi. Lui sapeva che si stava avvicinando il momento in cui non sarebbe più riuscito a rimanere in apnea.

Apri il coperchio! L'impulso era di continuare a battere e a lottare, ma Langdon sapeva di non dover sprecare ossigeno prezioso. Non poteva fare altro che guardare in su, attraverso l'acqua, e sperare. Adesso il mondo esterno era un rettangolo sfocato di luce oltre la finestrella di plexiglas. Cominciò ad avvertire un bruciore ai muscoli del tronco e capì che stava subentrando l'ipossia.

All'improvviso comparve un volto bellissimo e spettrale, che guardava in giù verso di lui. Era Katherine. I suoi lineamenti dolci parevano quasi eterei attraverso lo strato di liquido. I loro sguardi si incontrarono e, per un istante, Langdon pensò di essere salvo. Katherine! Poi sentì le sue urla soffocate di terrore e capì che era trattenuta lì dal loro rapitore. Quel mostro tatuato la costringeva a guardare quanto stava per accadere.

Katherine, mi dispiace...

In quello strano luogo oscuro, intrappolato sott'acqua, Langdon si sforzava di accettare che quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti di vita. Presto avrebbe cessato di esistere... tutto ciò che era... o era mai stato... o sarebbe stato... stava finendo. Quando il suo cervello fosse morto, tutti i ricordi contenuti nella materia grigia, insieme alle conoscenze acquisite, si sarebbero semplicemente dissolti in una sequenza di reazioni chimiche.

In quel momento Langdon comprese la profonda futilità del proprio essere nell'universo. Era la sensazione più triste e avvilente che avesse mai provato. Fu quasi grato quando capì di non riuscire più a trattenere il respiro.

Il momento era arrivato.

I polmoni di Langdon espulsero il contenuto ormai impoverito, collassando, pronti a inalare. Ma lui si trattenne ancora un istante. Il suo ultimo istante di vita. Poi, come un naufrago aggrappato a uno scoglio, si abbandonò al proprio destino.

Il riflesso condizionato ebbe la meglio sulla ragione. Le sue labbra si aprirono.

I polmoni si espansero. E il liquido entrò.

Il dolore che gli riempì il petto era più forte di quanto potesse immaginare. Penetrando nei polmoni, il liquido gli causò un forte bruciore. Immediatamente la fitta arrivò al cervello e Langdon ebbe l'impressione che gli stessero stringendo la testa in una morsa. Sentì un gran rimbombo nelle orecchie e, sopra questo, Katherine Solomon che urlava.

Poi un lampo di luce abbagliante.

E il buio.

Per Robert Langdon era arrivata la fine.


È finita.

Katherine Solomon aveva smesso di gridare. L'annegamento a cui aveva appena assistito l'aveva lasciata catatonica, praticamente paralizzata per lo shock e la disperazione.

Sotto la finestrella di plexiglas, gli occhi spenti di Langdon fissavano il vuoto. Il suo volto irrigidito esprimeva dolore e rimpianto. Le ultime bollicine d'aria sfuggirono dalle labbra immobili e poi, quasi si fosse rassegnato a lasciar andare la sua anima, il professore di Harvard scivolò verso il fondo della vasca... e lì scomparve nell'ombra.

Se n'è andato. Katherine era come inebetita.

L'uomo tatuato allungò la mano e, con un gesto tanto spietato quanto definitivo, chiuse il pannello sulla finestrella.

«Allora, procediamo?» chiese sorridendole.

Prima che Katherine potesse rispondere, se la caricò in spalla, spense la luce e la portò fuori. Con poche, lunghe falcate arrivò in fondo al corridoio, in un locale ampio immerso in una luce rossastra tendente al viola. La stanza odorava di incenso. Lui la scaricò senza troppe cerimonie su un tavolo quadrato posto al centro, lasciandola senza fiato. La superficie era ruvida e fredda. Pietra?

Katherine non aveva avuto neppure il tempo di vedere dove si trovava che l'uomo le tolse il legaccio di fil di ferro dai polsi e dalle caviglie. Istintivamente lei tentò di opporre resistenza, ma le braccia e le gambe intorpidite non reagivano. Lui cominciò a legarla al tavolo con pesanti lacci di cuoio, stringendone uno sulle ginocchia e poi un secondo all'altezza del bacino, con il quale le bloccò anche le braccia lungo i fianchi. Poi fissò l'ultimo di traverso sullo sterno, proprio sopra il seno.

Questione di pochi secondi e Katherine si ritrovò di nuovo immobilizzata. Il sangue riprese progressivamente a circolare negli arti, causandole ondate di dolore a polsi e caviglie.

«Apri la bocca» sussurrò l'uomo passandosi la lingua sulle labbra tatuate.

Katherine strinse i denti in un moto di repulsione.

L'uomo allungò il dito indice e se lo passò lentamente intorno alle labbra, facendole accapponare la pelle. Katherine serrò ancora di più i denti. Lui si lasciò sfuggire una risatina, poi con l'altra mano trovò un punto di pressione sul collo e strinse forte. La mascella le si spalancò all'istante. Katherine sentì il dito entrarle in bocca e scorrerle sulla lingua. Fu assalita da un conato di vomito e cercò di morderlo, ma lui l'aveva già estratto. Continuando a sorridere, l'uomo sollevò il dito all'altezza degli occhi, li chiuse e si massaggiò con la sua saliva il cerchio di pelle non tatuata sulla sommità del capo.

Dopodiché sospirò, sollevò lentamente le palpebre e, con una calma inquietante, si voltò e uscì dalla stanza.

Nel silenzio improvviso, Katherine sentì il battito impazzito del proprio cuore. Sopra di lei, una strana serie di luci passava dal violetto al rosso scuro, illuminando il soffitto basso. Quando lo guardò meglio, Katherine rimase a bocca aperta. Ogni centimetro era coperto di disegni. Quell'impressionante composizione raffigurava la volta celeste. Stelle, pianeti e costellazioni misti a simboli astrologici, carte e formule. C'erano frecce che determinavano la posizione di orbite ellittiche, simboli geometrici che indicavano angoli di ascensione, creature dello zodiaco che guardavano in basso verso di lei. Era come se uno scienziato pazzo si fosse scatenato nella Cappella Sistina.

Katherine distolse lo sguardo, voltando la testa, ma la parete alla sua sinistra non era meno sconvolgente. Una serie di candele su piedistalli medievali spandevano una luce fioca e tremolante su una parete completamente ricoperta di testi e immagini. Alcune pagine parevano di papiro o di pergamena, forse strappate da libri antichi; altre erano chiaramente recenti. C'erano poi fotografie, disegni, mappe, schemi. Parevano incollati alla parete con grande precisione. Fissata con puntine da disegno c'era una ragnatela di fili che collegava le singole immagini in illimitati e caotici incroci.

Katherine girò la testa dall'altra parte.

Purtroppo, l'aspettava la vista più terrificante di tutte.

Vicino alla lastra di pietra su cui era immobilizzata, c'era un piccolo ripiano che immediatamente le ricordò il carrello degli strumenti di una sala operatoria. Sopra vi era disposta una serie di oggetti, tra cui una siringa, una fialetta di liquido scuro... e un grosso coltello con il manico d'osso e la lama di ferro incredibilmente lucida.

Mio Dio... cos'ha intenzione di farmi?


Quando Rick Parrish, l'esperto in sicurezza dei sistemi informatici, entrò finalmente nell'ufficio di Nola Kaye, aveva in mano un solo foglio.

«Perché ci hai messo tanto?» chiese lei. Ti avevo detto di scendere immediatamente!

«Scusa» si giustificò lui sistemandosi sul naso gli occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia. «Stavo cercando di recuperare più informazioni, ma...»

«Fammi vedere cos'hai trovato.»

Parrish le porse la stampata. «È un riassunto, ma il succo si capisce lo stesso.»

Nola scorse velocemente il foglio, stupita.

«Sto ancora cercando di capire come abbia fatto a entrare quell'hacker» disse Parrish «ma pare che uno spider delegato abbia acquisito i contenuti di uno dei nostri...»

«Lascia perdere!» sbottò Nola alzando gli occhi dalla pagina. «Cosa diavolo se ne fa la CIA di un file segreto su piramidi, antichi portali e symbolon?»

«È per questo che ci ho messo così tanto. Stavo cercando di capire quale documento era stato preso di mira, e così ho tracciato il percorso del file.» Parrish si interruppe e si schiarì la voce. «È saltato fuori che questo documento si trova in un archivio riservato al direttore della CIA in persona.»

Nola si girò di scatto, incredula. Il capo di Sato ha un file sulla piramide massonica? Sapeva che l'attuale direttore, come molti altri pezzi grossi della CIA, era un massone di grado elevato, ma non riusciva a credere che custodisse segreti della massoneria in un computer della CIA.

D'altro canto, considerato quello che era successo nelle ultime ventiquattr'ore, tutto era possibile.


L'agente Simkins, appostato fra i cespugli di Franklin Square, teneva lo sguardo incollato sull'ingresso dell'Almas Temple. Dentro non si erano accese luci e nessuno si era avvicinato alla porta. Si voltò a guardare Bellamy. L'uomo camminava al centro del parco, solo e infreddolito. Molto infreddolito. Simkins vide che tremava.

Il suo cellulare si mise a vibrare. Era Sato.

«Quanto ha di ritardo il nostro obiettivo?» chiese lei.

Simkins guardò il cronografo. «Aveva detto venti minuti... e ne sono passati quasi quaranta. C'è qualcosa che non va.»

«Non verrà» disse Sato. «È finita.»

Simkins sapeva che il suo capo aveva ragione. «Notizie da Hartmann?»

«No, non ha ancora chiamato. E non riesco a mettermi in contatto con lui.»

Simkins si irrigidì. Qualcosa doveva essere andato storto.

«Ho appena chiamato il supporto operativo» aggiunse Sato. «E neanche loro riescono a trovarlo.»

Oh, merda! «Il GPS ha trasmesso la posizione dell'Escalade?»

«Sì. È in una strada residenziale di Kalorama Heights» rispose Sato. «Raduni i suoi uomini. Ce ne andiamo.»


Sato chiuse la comunicazione e osservò il maestoso skyline della capitale. Un vento gelido si insinuava sotto la sua giacca leggera e lei si strinse le braccia intorno al corpo per scaldarsi. Il direttore Inoue Sato non era tipo da avere freddo... né paura. In quel momento, però, li provava entrambi.


Vestito soltanto con il perizoma di seta, Mal'akh corse su per la rampa, oltrepassò la porta di metallo e, attraverso il passaggio nascosto dietro il dipinto, sbucò nel soggiorno. Devo prepararmi in fretta. Lanciò un'occhiata all'agente morto all'ingresso. Questa casa non è più sicura. Con la piramide di pietra stretta in una mano, andò direttamente nello studio al pianterreno e si sedette al computer. Mentre lo avviava, pensò a Langdon, di sotto, chiedendosi quanti giorni - o magari settimane - sarebbero passati prima che il cadavere sommerso venisse ritrovato nello scantinato segreto. Non aveva importanza. A quel punto lui sarebbe sparito da tempo.

Langdon ha fatto la sua parte... magnificamente.

Non solo aveva riunito i pezzi della piramide massonica, ma aveva anche capito come decifrare l'enigmatica griglia di simboli incisi sulla base. A una prima occhiata parevano incomprensibili... eppure la risposta era semplice... lì, davanti ai loro occhi.

Il laptop di Mal'akh si accese e sullo schermo comparve la stessa e-mail che aveva ricevuto prima: la fotografia di una cuspide dorata, parzialmente coperta dal dito di Warren Bellamy.


"Otto Franklin Square" gli aveva detto Katherine. Aveva anche ammesso che gli agenti della CIA sorvegliavano la piazza nella speranza di catturarlo e di scoprire a quale ordine facesse riferimento la piramide. I massoni? Gli Shriners? I rosacroce?

Nessuno di questi, adesso Mal'akh lo sapeva. Langdon aveva capito la verità.

Dieci minuti prima, con la faccia quasi completamente immersa nel liquido, il professore di Harvard aveva scoperto la chiave per decifrare la piramide. "Quadrato di Franklin!" aveva urlato, con gli occhi pieni di terrore. "Il segreto si cela dentro il quadrato di Franklin di ordine otto!"

Inizialmente Mal'akh non aveva capito cosa volesse dire.

"Square non si riferisce a una piazza! È un quadrato!" urlava Langdon, con la bocca premuta contro la finestrella di plexiglas. "Il quadrato di Franklin di ordine otto è un quadrato magico!" Poi aveva aggiunto qualcosa a proposito di Albrecht Dürer... e del fatto che il primo messaggio della piramide era solo una chiave per comprendere l'ultimo.

Mal'akh conosceva i quadrati magici, i kameas, come li chiamavano i primi mistici. L'antico testo De occulta philosophia descriveva nel dettaglio il potere mistico dei quadrati magici e i metodi per creare potenti sigilli basati sulle griglie magiche di numeri. Quindi Langdon gli stava dicendo che la chiave per decifrare la piramide si trovava in un quadrato magico?

"Devi cercare un quadrato magico di ordine otto!" gridava il professore, completamente sommerso a parte le labbra. "I quadrati magici sono classificati secondo il numero di celle. Uno di tre per tre è di 'ordine tre', uno di quattro per quattro è di 'ordine quattro'! A te ne serve uno di 'ordine otto'!"

Il liquido stava per sommergerlo completamente quando Langdon aveva fatto un ultimo respiro e urlato qualcosa a proposito di un famoso massone, un padre della patria americana, uno scienziato, mistico, matematico, inventore... oltre che creatore del magico kamea che ancora oggi portava il suo nome.

Franklin.

In un lampo, Mal'akh aveva capito che Langdon aveva ragione.

In quel momento, senza fiato per l'eccitazione, Mal'akh sedeva al computer. Lanciò una rapida ricerca in rete e trovò decine di occorrenze. Ne scelse una e cominciò a leggere.


IL QUADRATO DI FRANKLIN DI ORDINE OTTO

Uno dei quadrati magici più noti della storia è il quadrato di ordine otto pubblicato nel 1769 dallo scienziato americano Benjamin Franklin, diventato famoso perché includeva anche le somme sulle linee diagonali a freccia mai considerate fino allora. L'interesse di Franklin per questa forma di arte mistica molto probabilmente nasceva dalla frequentazione di importanti alchimisti e mistici del suo tempo, oltre che dalla sua personale fede nell'astrologia, che furono i fondamenti delle predizioni del suo Almanacco del povero Richard.


Mal'akh osservò la famosa creazione di Franklin - una composizione unica dei numeri da 1 a 64 - la cui somma in ogni riga, in ogni colonna e in ogni diagonale a freccia dava sempre la stessa magica costante. Il segreto si cela dentro il quadrato di Franklin di ordine otto.

Mal'akh sorrise. Con mani tremanti per l'eccitazione, prese la piramide di pietra e la rovesciò, esaminandone la base.

Quei sessantaquattro simboli dovevano essere semplicemente riorganizzati secondo la sequenza definita dai numeri del quadrato magico di Franklin. Pur non riuscendo a immaginare come quella caotica griglia potesse acquisire un significato se disposta con ordine diverso, lui aveva fiducia nell'antica promessa.

Ordo ab chao.


Con il cuore che gli batteva forte, prese un foglio di carta e a rapidi tratti disegnò una griglia vuota di ordine otto. Poi cominciò a inserire i simboli, l'uno dopo l'altro, nelle nuove posizioni definite. Con suo grande stupore la griglia cominciò quasi subito ad assumere un senso.

Ordine dal caos!

Terminata la decrittazione, osservò incredulo il risultato. Era comparsa un'immagine schematica. La griglia era stata trasformata... riorganizzata... e, sebbene non riuscisse ancora ad afferrare il significato di tutto il messaggio, aveva capito abbastanza per sapere esattamente dove andare.

La piramide indica la via.

La griglia indicava uno dei grandi luoghi mistici del mondo. Incredibilmente, era lo stesso luogo in cui Mal'akh aveva sempre sognato di completare il suo viaggio.

Quando si dice il destino.


Katherine sentiva il freddo del tavolo di pietra sotto la schiena.

Nella mente le turbinavano senza sosta le immagini terribili della morte di Robert, insieme al pensiero di suo fratello. Sarà morto anche Peter? Come se non bastasse, l'insolito coltello appoggiato su un tavolo lì vicino continuava a farle venire dei flash di quello che probabilmente sarebbe capitato anche a lei.

Sarà davvero questa la fine?

Per quanto strano, si ritrovò d'un tratto a riflettere sulla sua ricerca... sulle scienze noetiche... e sui recenti progressi. Tutto perso... finito in fumo. Non avrebbe mai avuto la possibilità di condividere con il mondo quello che aveva imparato. La sua scoperta più scioccante era avvenuta solo qualche mese prima, e le conseguenze avrebbero potuto ridefinire l'attitudine degli esseri umani nei confronti della morte. Si stupì del fatto che ripensare in quel momento ai suoi esperimenti le procurasse un inaspettato sollievo.

Da giovane, Katherine si era spesso posta la domanda se ci fosse una vita dopo la morte. Esiste il paradiso? Cosa succede quando moriamo? Maturando, gli studi scientifici avevano rapidamente cancellato ogni nozione fantasiosa di paradiso, inferno e aldilà, e lei era giunta alla conclusione che il concetto di "vita dopo la morte" fosse una creazione umana, una favola destinata ad alleviare la terribile verità della nostra condizione mortale.

O almeno così credevo...

Un anno prima, Katherine e Peter avevano discusso una delle questioni più controverse della filosofia, l'esistenza dell'anima, e in particolare se gli esseri umani possedessero o no una specie di coscienza in grado di sopravvivere al di fuori del corpo.

Entrambi avevano la sensazione che l'anima umana extracorporea probabilmente esistesse, e la maggior parte delle filosofie antiche avallava quell'ipotesi. La tradizione buddhista e brahmanica ammetteva la metempsicosi, cioè la trasmigrazione dell'anima in un nuovo corpo dopo la morte; i platonici definivano il corpo "una prigione" dalla quale l'anima fuggiva e gli stoici chiamavano l'anima "apospasma tou theu" - una particella di Dio - e credevano che fosse reclamata da Dio dopo la morte.

L'esistenza dell'anima umana, aveva notato Katherine con una certa frustrazione, era con ogni probabilità un concetto che non sarebbe mai stato scientificamente dimostrato. Sostenere che la coscienza sopravvivesse al di fuori del corpo dopo la morte era come esalare uno sbuffo di fumo e sperare di ritrovarlo anni dopo.

In seguito alla loro discussione, a Katherine era venuta una strana idea. Suo fratello aveva menzionato il libro della Genesi e la descrizione che lì si faceva dell'anima come Neshemah: una specie di "intelligenza" spirituale separata dal corpo. Le era venuto in mente che la parola "intelligenza" suggeriva la presenza del "pensiero". Le scienze noetiche ipotizzavano esplicitamente che i pensieri fossero dotati di massa, quindi c'era ragione di credere che anche l'anima ne avesse una.

Posso pesare un'anima umana?

L'idea era impossibile, naturalmente... era sciocco persino concepirla.

Tre giorni dopo, però, Katherine si era svegliata di soprassalto da un sonno profondo e si era seduta di scatto sul letto. Si era alzata, era andata in auto al laboratorio e si era messa immediatamente al lavoro per progettare un esperimento che era al tempo stesso incredibilmente semplice... e terribilmente audace.

Non aveva la minima idea se avrebbe funzionato e aveva quindi deciso di non parlarne con Peter finché non l'avesse portato a termine. C'erano voluti quattro mesi, ma alla fine Katherine aveva invitato suo fratello al Cubo. Aveva tirato fuori una grossa macchina su rotelle che teneva nascosta nel locale di alimentazione.

"L'ho progettata e costruita da sola" aveva detto a Peter mostrandogli la sua invenzione. "Indovina cos'è..."

Suo fratello aveva guardato la strana apparecchiatura. "Un'incubatrice?"

Katherine aveva riso e scosso la testa, anche se era un'ipotesi plausibile. Il congegno assomigliava davvero abbastanza alle incubatrici trasparenti per i neonati prematuri che si vedono in ospedale. Quella, però, era di dimensioni adatte per accogliere un adulto: una lunga capsula di plastica trasparente a tenuta stagna, simile a una specie di bozzolo futuristico per dormire, montata sopra un grosso dispositivo elettronico.

"Vediamo se questo ti aiuta a indovinare" gli aveva detto Katherine infilando la spina in una presa elettrica. Si era acceso un display digitale, con i numeri che impazzivano mentre lei calibrava alcuni quadranti.

Quando tutto era a posto, sul display si leggeva:

0,0000000000 kg


"Una bilancia?" le aveva chiesto Peter.

"Ma non una bilancia qualunque." Katherine aveva preso un minuscolo foglietto di carta da un ripiano lì vicino e l'aveva posato delicatamente sulla capsula. I numeri sul display erano impazziti un'altra volta e poi si erano assestati su una nuova lettura:

0,0008194325 kg


"Una microbilancia d'alta precisione" gli aveva spiegato. "La risoluzione arriva fino a qualche microgrammo."

Peter era sembrato perplesso. "Hai costruito una bilancia di precisione per... gli uomini?"

"Esattamente." Katherine aveva sollevato il coperchio trasparente della macchina. "Una persona dentro questa capsula, con il coperchio abbassato, si trova in un sistema completamente sigillato. Non può entrare e non può uscire niente. Né gas, né liquido, né particelle di polvere. Nulla può sfuggire... non le esalazioni del respiro, né il sudore che evapora, né i fluidi corporei."

Peter si era passato una mano tra i folti capelli grigi, un gesto nervoso ricorrente che era tipico anche di Katherine. "Mmh... ovviamente una persona morirebbe nel giro di pochissimo tempo."

Lei aveva annuito. "Più o meno in sei minuti, a seconda del ritmo del respiro."

Peter si era voltato a guardarla. "Non capisco."

Katherine aveva sorriso. "Capirai."

Voltando le spalle alla macchina, Katherine aveva preceduto il fratello nella sala controllo e lo aveva fatto sedere davanti alla parete al plasma. Aveva cominciato poi a battere sulla tastiera per richiamare una serie di file video archiviati nei drive olografici. Quando lo schermo si era acceso con un guizzo, le immagini che avevano iniziato a scorrere sotto i loro occhi sembravano riprese fatte con una videocamera amatoriale.

Nel filmato, l'obiettivo faceva una panoramica su una stanza modesta con un letto disfatto, flaconi di medicinali, un respiratore e un monitor cardiaco. Peter era sembrato sempre più perplesso mentre la videocamera terminava la carrellata soffermandosi, più o meno al centro della stanza, sul congegno di Katherine.

Peter aveva sbarrato gli occhi. "Ma che...?"

Il coperchio trasparente della capsula era sollevato e dentro era sdraiato un uomo molto anziano con una mascherina per l'ossigeno. In piedi accanto alla macchina c'erano la moglie, anche lei in là con gli anni, e un'infermiera. Il respiro dell'uomo era difficoltoso e lui aveva gli occhi chiusi.

"L'uomo nella capsula era un mio professore di scienze a Yale" aveva spiegato Katherine. "Ci siamo tenuti in contatto nel corso degli anni. È molto malato ed è sempre stato un suo desiderio donare il proprio corpo alla scienza, così quando gli ho spiegato la mia idea per questo esperimento ha voluto subito prenderne parte."

Peter era ammutolito per lo stupore mentre guardava la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi.

L'infermiera a quel punto si era rivolta alla moglie. "È arrivato il momento. Lui è pronto."

L'anziana donna si era asciugata gli occhi pieni di lacrime e aveva annuito, calma ma decisa: "Va bene".

Con un gesto delicato, l'infermiera aveva allungato una mano nella capsula per togliere la mascherina all'uomo, che si era agitato un attimo, senza aprire gli occhi. Poi l'infermiera aveva spostato da un lato il respiratore e gli altri macchinari, lasciando l'anziano nella capsula totalmente isolato al centro della stanza.

La moglie si era avvicinata al marito in fin di vita, si era chinata e gli aveva baciato delicatamente la fronte. Lui, senza aprire gli occhi, aveva mosso le labbra, in un accenno di sorriso affettuoso.

Senza la mascherina per l'ossigeno, il respiro dell'uomo si era fatto rapidamente più difficoltoso. Era chiaro che la fine era vicina. Con una forza e una calma ammirevoli, la moglie aveva abbassato lentamente il coperchio trasparente della capsula per sigillarla, esattamente come le aveva spiegato Katherine.

Peter si era agitato sulla sedia, preoccupato. "Per l'amor di Dio, Katherine... cosa...?"

"È tutto sotto controllo" gli aveva sussurrato lei. "C'è aria a sufficienza nella capsula." Aveva visto quel video decine di volte, ormai, ma le faceva ancora accelerare il battito cardiaco. Aveva indicato la bilancia sotto la capsula con dentro l'uomo morente. I numeri digitali segnavano:

51,4534644 kg


"Quello è il peso corporeo" aveva detto Katherine.

Il respiro dell'uomo diventava più superficiale, e Peter si era sporto in avanti, impietrito.

"È quello che desiderava lui" aveva sussurrato Katherine. "Guarda cosa succede."

La moglie nel frattempo aveva fatto un passo indietro, si era seduta sul letto e lo guardava in silenzio insieme all'infermiera.

Nel corso dei sessanta secondi successivi, il ritmo della respirazione superficiale dell'anziano professore aveva accelerato; poi, a un tratto, come se lui stesso avesse scelto il momento, l'uomo aveva esalato l'ultimo respiro. Tutto si era fermato.

Era finita.

La moglie e l'infermiera si consolavano sottovoce a vicenda.

Non succedeva nient'altro.

Dopo qualche secondo, Peter aveva guardato Katherine con un'espressione chiaramente confusa.

Aspetta, aveva pensato lei invitandolo a fissare di nuovo il display digitale della capsula, ancora acceso a indicare il peso dell'uomo appena morto.

E poi era successo.

Quando Peter se n'era accorto, aveva fatto un balzo all'indietro, cadendo quasi dalla sedia. "Ma... quello è..." Si era coperto la bocca scioccato. "Non posso..."

Succedeva raramente che il grande Peter Solomon rimanesse senza parole. Anche Katherine aveva avuto la stessa reazione la prima volta che aveva visto quello che era accaduto.

Qualche istante dopo la morte dell'uomo, i numeri sulla bilancia erano cambiati. Lui era diventato più leggero subito dopo avere esalato l'ultimo respiro. La variazione di peso era minima, ma misurabile... e le implicazioni erano decisamente inconcepibili.

Katherine si ricordava che, mentre guardava il video nel laboratorio, aveva scritto i suoi appunti con mano tremante: "Sembra esserci un 'materiale' invisibile che esce dal corpo umano al momento della morte. Ha massa quantificabile, non ostacolata da barriere fisiche. Devo ipotizzare che si muova in una dimensione che non riesco ancora a percepire".

Dall'espressione scioccata sul volto del fratello, Katherine aveva capito che anche lui comprendeva il significato di ciò che aveva visto. "Katherine..." aveva balbettato sbarrando gli occhi grigi come per sincerarsi di non sognare. "Penso che tu abbia appena pesato l'anima umana."

C'era stato un lungo silenzio.

Katherine avvertiva che Peter stava cercando di elaborare tutte le implicazioni gravi e meravigliose. Ci vorrà tempo. Se ciò a cui avevano assistito era davvero ciò che sembrava - e cioè la prova che l'anima, o la coscienza, o la forza vitale, potesse esistere oltre i limiti del corpo -, allora si era appena gettata una nuova luce sorprendente su innumerevoli questioni mistiche: la trasmigrazione, la coscienza cosmica, le esperienze ai confini della morte e quelle extracorporee, l'osservazione a distanza, il sogno lucido e così via. Le riviste di medicina erano piene di storie di pazienti che erano morti sul tavolo operatorio, avevano visto il proprio corpo dall'alto e poi erano stati riportati in vita.

Peter era silenzioso, e in quel momento Katherine si era accorta che aveva le lacrime agli occhi. Lo capiva: anche lei aveva pianto. Peter e Katherine avevano perso delle persone care e, per chiunque in quella situazione, il minimo accenno alla possibilità che lo spirito umano continuasse a vivere dopo la morte portava un barlume di speranza.

Sta pensando a Zachary, si era detta Katherine riconoscendo la profonda malinconia negli occhi di suo fratello. Per anni Peter aveva sopportato il fardello di avere la responsabilità della morte di suo figlio. Aveva confessato a Katherine innumerevoli volte che lasciare Zachary in prigione era stato il peggiore errore che avesse fatto in vita sua e che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi.

Una porta che sbatteva attirò l'attenzione di Katherine e di colpo lei si ritrovò di nuovo nello scantinato, sdraiata su un freddo tavolo di pietra. La porta metallica in cima alla rampa si era chiusa rumorosamente e l'uomo tatuato stava scendendo. Lo sentì entrare in una stanza lungo il corridoio, armeggiare là dentro e poi continuare verso quella in cui si trovava lei. Quando lo vide, si accorse che stava spingendo qualcosa davanti a sé. Qualcosa di pesante... su ruote. Lo guardò sbalordita. L'uomo tatuato stava spingendo una persona su una sedia a rotelle.

Razionalmente il cervello di Katherine riconobbe quella persona, ma dal punto di visto emotivo la sua mente non riusciva ad accettarlo.

Peter?

Non sapeva se essere felice che suo fratello fosse vivo... oppure inorridita. Il corpo di Peter era stato completamente rasato. I suoi folti capelli grigi non c'erano più, come pure le sopracciglia, e la pelle glabra luccicava quasi fosse stata spalmata d'olio. Indossava una veste di seta nera e, nel punto dove si sarebbe dovuta trovare la sua mano destra, c'era soltanto un moncherino, fasciato in un bendaggio appena rifatto. Gli occhi addolorati di Peter cercarono quelli della sorella, pieni di rammarico e dispiacere.

«Peter!» gridò Katherine.

Lui cercò di parlare, ma gli uscirono solo suoni gutturali e smorzati e Katherine si accorse che era stato legato alla sedia a rotelle e imbavagliato.

L'uomo tatuato allungò una mano e accarezzò delicatamente la testa rasata di Peter. «Ho preparato tuo fratello per un grande evento. Lui ha un ruolo da svolgere questa sera.»

Katherine si irrigidì. No...

«Tra un momento io e Peter ce ne andremo, ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere dirgli addio.»

«Dove lo stai portando?» gli chiese con un filo di voce.

Lui sorrise. «Noi due dobbiamo fare un viaggio alla montagna sacra. È lì che si trova il tesoro. La piramide massonica ha rivelato l'ubicazione. Il tuo amico Langdon è stato molto utile in tal senso.»

Katherine guardò il fratello negli occhi. «Ha ucciso... Robert.»

Sul volto di Peter si dipinse un'espressione angosciata e lui cominciò a scuotere la testa violentemente, come se non riuscisse più a sopportare altro dolore.

«Su, su, Peter» gli disse l'uomo accarezzandogli di nuovo la testa. «Non lasciare che ciò rovini questo momento. Saluta la tua sorellina. Sarà la vostra ultima riunione familiare.»

Katherine si sentì travolgere dalla disperazione. «Perché ci stai facendo questo?» gridò. «Che cosa ti abbiamo fatto? Perché odi così tanto la nostra famiglia?»

L'uomo tatuato le si avvicinò e le parlò con le labbra attaccate all'orecchio. «Ho le mie ragioni, Katherine.» Poi andò al tavolino e prese lo strano coltello. Glielo accostò alla faccia e fece scorrere la lama lucida lungo la sua guancia. «Questo è probabilmente il più famoso coltello della storia.»

Katherine non sapeva niente di coltelli, ma quello sembrava antico e carico di presagi. La lama pareva affilata come un rasoio.

«Non ti preoccupare» le disse. «Non ho intenzione di sprecare il suo potere su di te. Lo riservo a un sacrificio più degno... in un luogo più sacro.» Si rivolse a Peter. «Tu riconosci questo coltello, vero?»

Gli occhi di Peter erano sbarrati per la paura, mescolata all'incredulità.

«Sì, Peter, questo antico manufatto esiste ancora. Entrarne in possesso mi è costato un occhio della testa... e l'ho tenuto in serbo per te. Finalmente noi due possiamo terminare insieme il nostro doloroso viaggio.»

Detto questo, avvolse il coltello con cura in un panno insieme a tutti gli altri suoi oggetti cerimoniali - incenso, fiale contenenti dei liquidi, stoffe di seta bianca... -, che poi infilò nella borsa in pelle di Langdon insieme alla piramide massonica e alla cuspide.

Katherine lo guardò impotente mentre chiudeva la cerniera e tornava a rivolgersi a suo fratello.

«Ti dispiace tenerla tu, Peter?» Gli mise in grembo la pesante borsa.

Poi si avvicinò a un cassetto e cominciò a rovistarci dentro. Katherine sentiva dei piccoli oggetti di metallo che tintinnavano. Quando tornò da lei, le prese il braccio destro tenendoglielo fermo. Katherine non riusciva a vedere che cosa stesse facendo, invece Peter a quanto pareva sì, a giudicare da come aveva cominciato ad agitarsi.

Katherine d'un tratto avvertì un pizzico acuto nell'incavo del braccio e si sentì pervadere da uno strano calore. Peter stava emettendo mugolii incomprensibili e cercava invano di alzarsi dalla pesante sedia a rotelle. Katherine provò una sensazione di freddo intorpidimento che le si diffondeva nell'avambraccio fino ai polpastrelli.

Quando l'uomo tatuato si spostò, lei si rese conto del motivo per cui suo fratello era così inorridito. L'uomo le aveva infilato un ago in vena, come per prelevarle il sangue. L'ago, però, non era collegato a nessun tubicino e il suo sangue scorreva liberamente fuori... colandole lungo il gomito, l'avambraccio e finendo sul tavolo di pietra.

«Una clessidra umana» disse l'uomo tatuato rivolgendosi a Peter. «Fra poco, quando ti chiederò di interpretare il tuo ruolo, voglio che ti immagini Katherine... che muore qui da sola, al buio.»

L'espressione di Peter comunicava tutto il suo tormento.

«Resterà in vita per un'ora, più o meno» gli spiegò. «Se coopererai con me senza tante storie, mi rimarrà abbastanza tempo per tornare a salvarla. Naturalmente, se opporrai resistenza... tua sorella morirà.»

Peter mugugnò qualcosa di incomprensibile attraverso il bavaglio.

«Lo so, lo so che per te è difficile» disse l'uomo tatuato posando una mano sulla spalla di Peter. «Ma in fondo non dovrebbe esserlo poi tanto. Dopotutto, non è la prima volta che abbandoni un membro della tua famiglia.» Fece una pausa, poi si chinò e gli sussurrò all'orecchio: «Ovviamente sto pensando a tuo figlio Zachary, nella prigione di Kartal».

Peter strattonò i legacci ed emise un altro grido, attutito dal bavaglio sulla bocca.

«Smettila!» urlò Katherine.

«Mi ricordo bene quella notte» proseguì l'uomo mentre finiva di raccogliere le cose che gli servivano. «Ho sentito tutto. La guardia ti ha proposto di lasciare libero tuo figlio, invece tu hai preferito dare una bella lezione a Zachary... abbandonandolo. E il tuo ragazzo l'ha imparata la lezione, vero?» L'uomo sorrise. «Morte sua... vita mia.»

Prese poi una pezza di lino e la infilò in profondità nella bocca di Katherine.

«La morte» le sussurrò «dovrebbe essere tranquilla.»

Peter si dibatté violentemente. Senza dire altro, l'uomo tatuato fece indietreggiare la sedia a rotelle e uscì dalla stanza, lasciando che Peter desse una lunga occhiata alla sorella.

Katherine e Peter si fissarono per l'ultima volta, poi lui sparì.

Katherine li udì allontanarsi lungo il corridoio, oltre la porta di metallo. Sentì l'uomo tatuato chiudere a chiave dall'esterno e poi proseguire oltre il quadro delle Tre Grazie. Qualche minuto dopo, udì un motore che si avviava.

Poi il palazzo sprofondò nel silenzio.

Da sola al buio, Katherine rimase sdraiata a dissanguarsi.


La mente di Langdon si librava sopra un abisso infinito.

Nessuna luce. Nessun suono. Nessuna sensazione.

Solo un vuoto immenso e silenzioso.

Ovattato.

Senza peso.

Il suo corpo lo aveva abbandonato. Era libero.

Il mondo fisico aveva cessato di esistere, come pure il tempo.

Lui adesso era pura coscienza... un essere senziente incorporeo, sospeso nel nulla del vasto universo.


Il Sikorsky passò rasente la distesa di tetti di Kalorama Heights, seguendo le coordinate fornite dalla squadra d'appoggio. L'agente Simkins fu il primo a individuare l'Escalade nero parcheggiato in qualche modo sul prato di fronte a un palazzo. Il cancello del vialetto era chiuso, la casa silenziosa, le luci erano spente.

Sato diede il segnale di scendere.

L'elicottero fece un atterraggio di fortuna sul prato di fronte alla casa, in mezzo ad altri veicoli tra cui una berlina con un lampeggiante sul tettuccio.

Simkins e il resto della squadra scesero con un balzo, armi in pugno, e si precipitarono verso il porticato. Trovarono la porta dell'ingresso principale chiusa, così Simkins appoggiò le mani a coppa sul vetro di una finestra e guardò all'interno. L'atrio era buio, ma lui riuscì a intravedere ugualmente la sagoma indistinta di un corpo a terra.

«Merda» sussurrò. «È Hartmann.»

Uno dei suoi agenti prese una sedia dal porticato e la scagliò contro il bovindo. Il rumore dei vetri infranti si udì appena, sovrastato dal rombo dell'elicottero dietro di loro. Qualche secondo più tardi, erano tutti dentro. Simkins corse nell'atrio e si inginocchiò vicino a Hartmann per sentirgli il polso. Niente. C'era sangue dappertutto. Poi vide il cacciavite piantato nella gola del collega.

Cristo. Si alzò e fece cenno ai suoi uomini di perlustrare la casa.

Gli agenti si sparpagliarono in tutte le stanze del pianterreno, i mirini laser delle armi fendevano il buio della lussuosa abitazione. In soggiorno e nello studio non trovarono niente, ma in sala da pranzo, con grande sorpresa, scoprirono una guardia di sicurezza, una donna, strangolata. Simkins stava rapidamente perdendo ogni speranza di ritrovare vivi Robert Langdon e Katherine Solomon. Era evidente che quel killer brutale aveva teso loro una trappola; se era riuscito a uccidere un agente della CIA e una guardia di sicurezza armata, pareva evidente che un professore e una scienziata non avrebbero avuto alcuna possibilità di cavarsela.

Dopo aver perlustrato il pianterreno, Simkins mandò due agenti a controllare di sopra mentre lui scendeva nello scantinato da una scala vicino alla cucina. Arrivato in fondo, accese la luce. Il locale era spazioso e immacolato, come se non venisse mai usato. Caldaia, muri spogli, qualche scatola. Qui non c'è proprio niente. Simkins risalì in cucina nel momento in cui i suoi uomini tornavano dal piano di sopra, scuotendo la testa.

La casa era deserta.

Non c'era nessuno e non si vedevano altri cadaveri.

Simkins comunicò via radio a Sato il cessato allarme e il triste bilancio.

Arrivando nell'atrio, Simkins si accorse che Sato stava già salendo le scale del porticato. Warren Bellamy era visibile dietro di lei, seduto solo e confuso nell'elicottero, con la valigetta in titanio di Sato ai suoi piedi. Il computer portatile consentiva al direttore dell'OS di accedere al sistema informatico della C I A da ogni parte del mondo, attraverso collegamenti satellitari criptati. Quella sera l'aveva usato per mostrare a Bellamy alcune informazioni che l'avevano sconvolto al punto di convincerlo a collaborare. Simkins non aveva la minima idea di quello che aveva visto Bellamy, ma, qualunque cosa fosse, l'architetto era parso visibilmente scioccato e dava l'idea di non essersi ancora ripreso.

Quando Sato entrò nell'atrio, si soffermò un attimo con la testa china per guardare il cadavere di Hartmann, poi alzò gli occhi e fissò Simkins. «Nessuna traccia di Langdon o Katherine? O di Peter Solomon?»

Simkins scosse la testa. «Se sono ancora vivi, li ha portati via con sé.»

«Ha trovato un computer in casa?»

«Sì, direttore. Nello studio.»

«Me lo mostri.»

Simkins fece strada a Sato in soggiorno. La morbida moquette era ricoperta di schegge di vetro della finestra del bovindo. Passarono davanti a un caminetto, a un grande dipinto e a diverse librerie prima di arrivare alla porta dello studio. Entrarono nella stanza rivestita di legno, dove c'era una scrivania antica con sopra un grosso monitor. Sato girò intorno alla scrivania per dare un'occhiata e subito si accigliò.

«Maledizione» disse sottovoce.

Anche Simkins fece il giro e guardò lo schermo. Era spento. «Cosa c'è che non va?»

Sato indicò una docking station vuota sul piano. «Usa un portatile e l'ha preso con sé.»

Simkins non riusciva a seguirla. «Ha delle informazioni che lei vuole vedere?»

«No» rispose Sato. «Ha delle informazioni che nessuno deve vedere.»


Di sotto, nella parte segreta dello scantinato, Katherine Solomon aveva sentito il rumore dell'elicottero seguito dall'infrangersi dei vetri e dai passi pesanti sul soffitto sopra di lei. Aveva cercato di gridare per chiedere aiuto, ma la pezza in bocca gliel'aveva impedito. Riusciva a malapena a emettere qualche debole suono. E più ci provava, più il sangue scorreva veloce lungo il suo gomito.

Faceva fatica a respirare e le girava la testa.

Sapeva che doveva calmarsi. Ragiona, Katherine. Con tutta la sua buona volontà, cercò di costringersi a raggiungere uno stato meditativo.

La mente di Langdon galleggiava nel vuoto dello spazio. Scrutava nel nulla infinito, cercando qualche punto di riferimento. Non ne trovò.

Buio totale. Silenzio totale. Pace totale.

Non c'era nemmeno la forza di gravità a indicargli quale fosse l'alto.

Il suo corpo non c'era più.

Questa dev'essere la morte.

Il tempo sembrava deformarsi, allungandosi e comprimendosi come se non riuscisse a orientarsi in quel luogo. Langdon aveva perso la nozione di quanto ne fosse passato.

Dieci secondi? Dieci minuti? Dieci giorni?

D'un tratto, però, come violente esplosioni lontane, in una galassia sperduta, cominciarono a materializzarsi i ricordi, che fluttuavano verso di lui come onde d'urto che si propagassero in un nulla immenso.

E di colpo cominciò a ricordare. Le immagini lo avvolsero... vivide e inquietanti. Lui stava guardando un volto coperto di tatuaggi. Due mani forti gli sollevavano la testa e gliela sbattevano a terra.

Uno scoppio di dolore... e poi solo oscurità.

Una luce grigia.

Pulsante.

Una manciata di ricordi. Langdon, ancora semincosciente, veniva trascinato giù, sempre più giù. Il suo aguzzino stava cantando qualcosa.

Verbum significatium... Verbum omnificum... Verbum perdo.


Sato, da sola nello studio, era in piedi ad aspettare che la divisione immagini satellitari della CIA esaminasse la sua richiesta. Uno dei privilegi di lavorare nell'area della capitale era la copertura fornita dai satelliti. Con un po' di fortuna, uno di essi avrebbe potuto essere posizionato favorevolmente e aver scattato delle foto a quella casa nelle ore precedenti... e magari sorpreso un veicolo che si allontanava da lì una mezz'ora prima.

«Mi dispiace, direttore» le disse un tecnico dalla centrale. «Nessuna copertura di queste coordinate, stasera. Vuole fare una richiesta di riposizionamento?»

«No, grazie. Troppo tardi.»

Sato sbuffò, non avendo la minima idea di come fare per scoprire dove fosse andato il loro obiettivo. Si diresse verso l'atrio, dove i suoi uomini avevano già infilato in un sacco il corpo dell'agente Hartmann e lo stavano portando verso l'elicottero. Sato aveva ordinato all'agente Simkins di radunare la squadra e prepararsi per tornare a Langley, ma vide che lui in quel momento era carponi sulla moquette del soggiorno. Sembrava quasi che stesse male.

«Tutto bene?»

Simkins alzò lo sguardo, con una strana espressione in viso. «Ha visto questo?» Indicò la folta moquette.

Sato si avvicinò e la esaminò con attenzione, poi scosse il capo.

«Si inginocchi» le disse Simkins. «Guardi il pelo della moquette.»

Lei obbedì e dopo qualche istante se ne accorse: sembrava che le fibre fossero state schiacciate... appiattite lungo due linee rette come se qualche aggeggio pesante a due ruote fosse stato spinto in quella stanza.

«La cosa davvero strana» spiegò Simkins «è dove vanno a finire i solchi.» Indicò con un dito.

Sato seguì con lo sguardo le leggere linee parallele che attraversavano la moquette del soggiorno. I solchi sembravano sparire dietro un grande quadro che occupava in altezza tutta la parete di fianco al caminetto. Ma che diavolo...?

Simkins si avvicinò al dipinto e cercò di staccarlo dalla parete. Non si mosse. «È fissato» disse facendo scorrere le dita sulla cornice. «Aspetti, qui sotto c'è qualcosa.» I polpastrelli sfiorarono una levetta nel bordo inferiore e si udì un clic.

Sato fece un passo avanti quando Simkins spinse il quadro, che ruotò lentamente sul suo asse centrale, come una porta girevole.

Simkins alzò la torcia elettrica e illuminò lo spazio buio al di là.

Sato socchiuse gli occhi. Ecco fatto.

Alla fine di un breve corridoio c'era una pesante porta di metallo.


Così com'erano venuti, i ricordi che avevano fluttuato nella mente ottenebrata di Langdon se n'erano andati. Nella loro scia turbinava adesso una fila di scintille incandescenti, accompagnate dal solito sussurro distante e misterioso.

Verbum    significatium... Verbum omnificum... Verbum perdo...

Come il borbottare monotono di voci in un cantico medievale.

Verbum significatium... Verbum omnificum... Le parole ora rimbalzavano attraverso il vuoto, mentre tutto intorno a lui si succedevano gli echi di voci nuove.

Apocalisse...    Franklin... Apocalisse... Verbum... Apocalisse...

Senza alcun preavviso, una campana a lutto cominciò a suonare in lontananza. I rintocchi si fecero via via più frenetici, come se sperassero che Langdon capisse, quasi volessero incitare la sua mente a seguirli.


I rintocchi della campana nella torre dell'orologio echeggiarono per tre minuti buoni, facendo vibrare il lampadario di cristallo sospeso sulla testa di Langdon. Qualche decennio prima, lui aveva frequentato le lezioni in quell'aula magna alla Phillips Exeter Academy, a cui era molto affezionato. Quel giorno, invece, era andato lì per ascoltare il discorso agli studenti tenuto da un caro amico. Mentre le luci si abbassavano, Langdon prese posto vicino alla parete di fondo, sotto un pantheon di ritratti dei rettori.

Un mormorio serpeggiò fra i presenti.

Nel buio più assoluto, una sagoma alta attraversò il palco e salì sul podio. "Buongiorno" sussurrò nel microfono la voce senza volto.

Tutti allungarono il collo cercando di vedere chi fosse a parlare.

Un proiettore si accese rivelando una sbiadita fotografia seppiata: un favoloso castello con la facciata di arenaria rossa, alte torri squadrate e decorazioni gotiche.

L'ombra prese di nuovo la parola. "Chi sa dirmi dove si trova questo castello?"

"In Inghilterra!" esclamò una ragazza nell'oscurità. "La facciata contiene elementi di stile pregotico e tardo romanico, dai quali si deduce che si tratta di un tipico castello normanno, costruito in Inghilterra intorno al dodicesimo secolo."

"Uau" rispose la voce senza volto. "Qualcuno qui la sa lunga in fatto di architettura."

Mormorii sommessi tutt'intorno.

"Peccato" aggiunse l'ombra "che lei abbia sbagliato di quasi cinquemila chilometri e di oltre mezzo millennio."

La sala si rianimò.

Sulla parete venne proiettata una fotografia recente, a colori, dello stesso castello, ripreso da una diversa angolazione. Le torri in arenaria di Seneca Creek dominavano l'immagine in primo piano, ma sullo sfondo, incredibilmente vicina, si stagliava la maestosa cupola bianca a colonnati del Campidoglio.

"Aspetti un attimo!" saltò su la ragazza. "A Washington c'è un castello normanno?"

"Dal 1855" rispose la voce. "L'epoca in cui è stata scattata la prossima foto."

Apparve una nuova diapositiva, in bianco e nero, che ritraeva un'immensa sala da ballo con il soffitto a volta, arredata con scheletri di animali, vetrinette con esposti strumenti scientifici, vasi di vetro contenenti campioni biologici, reperti archeologici e calchi in gesso di rettili preistorici.

"Questo meraviglioso castello" spiegò la voce "è stato il primo vero museo di scienze in America. Fu donato agli Stati Uniti da un ricco scienziato britannico che, come i nostri padri fondatori, era convinto di una cosa: il nostro paese, che muoveva allora i primi passi, sarebbe potuto diventare una terra illuminata. Lasciò in eredità ai nostri padri un'incredibile fortuna e chiese loro di costruire nel cuore della nostra nazione 'un'istituzione per la crescita e la diffusione del sapere'." Ci fu una lunga pausa. "Chi sa dirmi il nome di questo generoso scienziato?"

Una timida voce nelle prime file azzardò una risposta. "James Smithson?"

Un sussurro di approvazione serpeggiò tra i presenti.

"Proprio lui" rispose l'uomo sul podio. Peter Solomon a quel punto fece un passo avanti, in una zona illuminata, e gli occhi grigi si guardarono intorno divertiti. "Buongiorno, mi chiamo Peter Solomon e sono il segretario generale dello Smithsonian Institution."

Gli studenti gli fecero un caloroso applauso.

Nella penombra, Langdon guardava ammirato Peter che catturava l'attenzione di quelle giovani menti con un tour fotografico degli albori dello Smithsonian. Lo show cominciava con lo Smithsonian Castle, i suoi laboratori scientifici nel seminterrato, i reperti in mostra nei corridoi, un salone pieno di molluschi, scienziati che si definivano "curatori di crostacei" e persino una vecchia foto dei due abitanti più famosi del castello: una coppia di gufi ormai defunti che si chiamavano Diffusione e Progresso. La proiezione di diapositive durava mezz'ora e terminava con un'impressionante foto satellitare del National Mall, lungo il quale oggi si allineavano importanti musei dello Smithsonian.

"Come ho detto all'inizio" affermò Solomon in conclusione "James Smithson e i nostri padri fondatori prefiguravano il nostro grande paese come una terra illuminata. Credo che oggi ne sarebbero orgogliosi. Il loro famoso Smithsonian Institution, situato proprio nel centro nevralgico della nazione, rappresenta il simbolo della scienza e del sapere. È un tributo vivente, pulsante e attivo, al sogno dei nostri padri di un'America fondata sui principi della conoscenza, della saggezza e della scienza."

Nell'istante in cui Solomon spense il proiettore, dal pubblico partì un applauso scrosciante. Nell'aula magna si alzarono le luci, insieme a decine di mani che fremevano per porre domande.

Solomon diede la parola a un giovane, piccolo e con i capelli rossi, al centro dell'uditorio.

"Professor Solomon" esordì il ragazzo in tono perplesso "lei ha detto che i nostri padri fondatori fuggirono dalle repressioni religiose in Europa per fondare una nazione basata sul progresso scientifico."

"Esatto."

"Ma... io ho sempre pensato che i nostri padri fondatori fossero persone devote e religiose, che hanno creato l'America ispirandola ai principi di una nazione cristiana."

Solomon sorrise. "Amici miei, non fraintendetemi: i nostri padri fondatori erano persone profondamente religiose, però erano deisti, uomini che credevano in Dio, ma in un modo antidogmatico e mentalmente aperto. L'unico ideale religioso che propugnavano era la libertà di religione. " Prese il microfono dal piedistallo e si avvicinò al bordo del palco. "I padri fondatori dell'America perseguivano un'utopia spiritualmente illuminata nella quale libertà di pensiero, educazione delle masse e progresso scientifico avrebbero rimpiazzato l'oscurantismo delle superstizioni religiose ormai datate."

Una ragazza bionda nelle ultime file alzò la mano.

"Sì?"

"Professore" disse la giovane tenendo in alto il cellulare "ho cercato il suo nome in internet, e su Wikipedia c'è scritto che lei è un illustre massone."

Solomon mostrò il suo anello massonico. "Avrei potuto risparmiarle il costo del collegamento."

Gli studenti si misero a ridere.

"Sì, be'" insistette la ragazza, più titubante "lei ha appena accennato alle 'superstizioni religiose datate', però mi sembra che se c'è qualcuno responsabile di diffondere superstizioni datate, questi sono proprio i massoni."

Solomon non parve turbato da quell'osservazione. "Ah, sì? E in che modo?"

" Be', ho letto molto sulla massoneria e so che avete un sacco di strani rituali e credenze. C'è addirittura un articolo online dove si dice che i massoni credono nel potere di un qualche antico sapere magico... che può elevare gli uomini al rango di dèi."

Tutti si girarono a guardare la ragazza come se fosse impazzita.

"In effetti" ammise Solomon "lei ha ragione."

Gli studenti tornarono a voltarsi di scatto verso il palco, con gli occhi sgranati.

Solomon soffocò un sorriso. «Il suo articolo offre qualche altra perla di wiki-saggezza su questi saperi magici, signorina?»

Adesso la giovane sembrava a disagio, però cominciò lo stesso a citare dal sito web: " Per assicurarsi che di queste straordinarie conoscenze non abusassero persone indegne, i primi adepti le trascrissero in codice... rivestendo quella grande verità con un linguaggio metaforico fatto di simboli, miti e allegorie. Ancora oggi questo sapere criptato ci circonda... nascosto nella nostra mitologia, nell'arte e nei testi occulti di tutte le epoche. Sfortunatamente, l'uomo moderno ha perso la capacità di decifrare questo complesso intreccio di simbolismi... e la grande verità è andata perduta'".

Solomon aspettò. "Tutto qui?"

La ragazza si agitò sulla sedia. "In effetti, ci sarebbe dell'altro. "

"Vorrei ben sperare. La prego... vada avanti."

La studentessa parve esitare, ma dopo un attimo si schiarì la voce e continuò: '"Secondo la leggenda, i saggi che in un lontano passato trascrissero in codice gli antichi misteri lasciarono una specie di chiave... una password che poteva essere usata per decifrare i segreti criptati. Si dice che questa parola magica, nota come verbum significatium, abbia il potere di sconfiggere le tenebre e svelare gli antichi misteri, mettendoli a disposizione dell'umana comprensione'".

Solomon sorrideva con aria meditabonda. "Ah, sì... il verbum significatium." Fissò per un momento nel vuoto, poi abbassò di nuovo lo sguardo sulla ragazza bionda. "E dove sarebbe, adesso, quella meravigliosa parola?"

La giovane ora sembrava in ansia, ed era chiaro che si era pentita di aver provocato l'ospite. Finì di leggere. '"Secondo la leggenda il verbum significatium è sepolto sottoterra, dove attende pazientemente il momento storico opportuno... in cui l'umanità non potrà più sopravvivere senza la verità, le conoscenze e la saggezza dei secoli. In questo oscuro frangente, l'umanità disseppellirà finalmente la Parola e proclamerà una nuova epoca meravigliosa di illuminismo.'"

La ragazza chiuse il telefono e si rincantucciò nella sua sedia.

Dopo un lungo silenzio, un altro studente alzò la mano. "Professor Solomon, lei non ci crede davvero, giusto?"

Solomon sorrise. "E perché no? Le nostre mitologie hanno una lunga tradizione di parole magiche che assicurano la conoscenza e i poteri divini. Ancora oggi i bambini gridano 'abracadabra' nella speranza di far materializzare qualcosa dal nulla. Ovviamente, nessuno si ricorda più che questa parola non è uno scherzo; ha radici nell'antico misticismo aramaico: Avrah KaDabra, che significa 'creerò mentre parlo'."

Silenzio.

"Ma, professore" insistette il ragazzo "lei non può davvero credere che una singola parola... questo verbum significatium... qualunque cosa sia... abbia il potere di svelare antiche conoscenze e illuminare il mondo intero..."

Il volto di Peter Solomon era una maschera di impassibilità. "Quello che credo io non dovrebbe preoccuparla. Dovrebbe importarle invece che questa profezia di una prossima rivelazione si ritrova praticamente in tutte le tradizioni religiose e filosofiche della terra. Gli induisti la chiamano Krita-Yuga, l'età della verità, gli astrologi l'età dell'Acquario, gli ebrei descrivono la venuta del messia, i teosofi la definiscono new age, i cosmologi convergenza armonica, e ne predicono la data esatta."

"Il 21 dicembre 2012?" gridò qualcuno.

" Sì, vicino in modo inquietante... se credete nella matematica maya."

Langdon sorrise ripensando a come Solomon, dieci anni prima, avesse correttamente previsto l'attuale invasione di speciali televisivi che profetizzavano la fine del mondo nell'anno 2012.

"A parte ogni previsione temporale" riprese Solomon "trovo meraviglioso il fatto che, nel corso della nostra storia, le più disparate dottrine filosofiche elaborate dall'uomo abbiano concordato tutte su una cosa: che sta arrivando il momento di una grande rivelazione. In ogni cultura, in ogni epoca, in ogni angolo del mondo il sogno umano si è focalizzato sempre sullo stesso concetto: l'imminente apoteosi dell'uomo... l'incombente trasformazione della mente umana secondo le sue vere potenzialità." Sorrise. "In che modo si potrebbe spiegare un tale sincronismo di credenze?"

"La verità" disse piano una voce tra il pubblico.

Solomon si girò. "Chi ha parlato?"

La mano che si alzò apparteneva a un esile ragazzo asiatico i cui lineamenti delicati suggerivano un'origine nepalese o tibetana. "Magari c'è una verità universale nascosta nella nostra anima. Forse noi tutti abbiamo la stessa storia sepolta dentro, come una costante condivisa del nostro DNA. Forse questa verità collettiva è responsabile del percorso simile delle nostre storie. "

Solomon, raggiante, giunse le mani e con riverenza accennò un inchino al ragazzo. "Grazie."

Nessuno fiatava.

"La verità" ripetè Solomon. "La verità è potente. Se noi tutti gravitiamo verso idee simili, forse lo facciamo perché queste idee sono vere... incise in profondità dentro di noi. E quando ascoltiamo la verità, anche se non la capiamo, la sentiamo risuonare in noi... vibrare all'unisono con la nostra saggezza inconscia. Forse non apprendiamo la verità, piuttosto la ri-chiamiamo... la ri-cordiamo... la ri-conosciamo... per quella che già esisteva in noi. "

Nella sala regnava un silenzio assoluto.

Solomon lasciò che quel concetto sedimentasse per qualche secondo, poi disse pacatamente: "In conclusione, mi sento in dovere di avvertirvi che svelare la verità non è mai facile. Nel corso della storia, ogni periodo di illuminazione è stato accompagnato dall'oscurantismo, che preme nella direzione opposta. Tali sono le leggi della natura e dell'equilibrio. E se consideriamo l'oscurità che si diffonde nel mondo oggi, dobbiamo renderci conto che esiste anche una luce equivalente che cresce. Stiamo entrando in un grande periodo di illuminazione e voi... tutti noi... siamo profondamente fortunati a vivere in questo momento cruciale della storia. Fra tutte le persone che sono vissute su questa terra, in tutte le epoche... proprio noi esistiamo in questo breve intervallo di tempo durante il quale saremo testimoni della nostra rinascita finale. Dopo millenni di tenebre, assisteremo a come le nostre scienze, le nostre menti e persino le nostre religioni sveleranno la verità".

Solomon stava per ricevere uno scroscio di applausi quando alzò una mano per chiedere silenzio.

"Signorina?" Indicò senza indugi la biondina polemica con il cellulare, nelle ultime file. "Mi rendo conto che io e lei non siamo molto d'accordo, ma vorrei comunque ringraziarla. La sua passione è un importante catalizzatore per i cambiamenti che avverranno. L'oscurantismo si nutre di apatia... e la convinzione è il nostro antidoto più potente. Continui a studiare la sua religione. Studi la Bibbia." Sorrise. "Soprattutto le pagine finali."

"L'Apocalisse?"

"Certamente. L'Apocalisse è un esempio vibrante della nostra verità condivisa. L'ultimo libro della Bibbia racconta una storia identica a quella di innumerevoli altre tradizioni. Tutte predicono l'imminente rivelazione di grandi conoscenze."

"Ma l'Apocalisse non riguarda la fine del mondo?" chiese qualcun altro. «Cioè, l'Anticristo, Armageddon, la battaglia finale tra il bene e il male..."

Solomon rise. «Chi studia il greco qui?»

Parecchie mani si alzarono.

"Che cosa significa letteralmente la parola 'apocalisse'?"

"Significa..." iniziò a dire uno studente, poi si interruppe, come stupito. "Apokalyptein in greco significa 'svelare'... o 'rivelare'."

Solomon fece al ragazzo un cenno di approvazione. "Esatto. L'Apocalisse è letteralmente una rivelazione. Chiamato anche Libro della Rivelazione, predice appunto il disvelamento di una grande verità e di un sapere inimmaginabile. L'Apocalisse non è la fine del mondo, ma piuttosto la fine del mondo come noi lo conosciamo. La profezia dell'Apocalisse è solo uno dei meravigliosi messaggi della Bibbia che sono stati travisati." Si avvicinò al fronte del palco. "Credetemi, l'Apocalisse sta arrivando... e non sarà per niente uguale a come ce l'hanno insegnata."

In alto, sopra la sua testa, la campanella cominciò a suonare.

Gli studenti, un po' sconcertati, scoppiarono in un applauso entusiasta e fragoroso.


Katherine Solomon stava quasi per perdere conoscenza quando fu riscossa dall'onda d'urto di un'esplosione assordante.

Qualche istante dopo, sentì odore di fumo.

Le fischiavano le orecchie.

C'erano voci smorzate. Distanti. Grida. Passi. D'un tratto si accorse che respirava meglio. Qualcuno le aveva tolto lo straccio di bocca.

«È salva» le sussurrò una voce di uomo. «Tenga duro.»

Si aspettava che lui le sfilasse l'ago dal braccio, invece stava gridando ordini.

«Portate la borsa medica... attaccate una flebo all'ago... iniettatele del Ringer lattato... prendetele la pressione.» Mentre l'uomo cominciava a controllarle i parametri vitali, le chiese: «Signora Solomon, chi le ha fatto questo... dov'è andato?».

Katherine si sforzò di parlare, ma non ci riuscì.

«Signora Solomon» ripetè la voce. «Dov'è andato?»

Quando Katherine cercò di aprire gli occhi, si sentì svenire.

«Abbiamo bisogno di sapere dov'è andato» insistette l'uomo.

In risposta, lei sussurrò tre parole, benché sapesse che non avevano senso. «La... montagna... sacra...»


Sato scavalcò la porta d'acciaio divelta e scese una rampa che portava in uno scantinato.

Un agente la aspettava in fondo. «Direttore, credo che le interesserà vedere una cosa.»

Sato lo seguì in una stanzetta a cui si accedeva dallo stretto corridoio. Il locale era illuminato a giorno e spoglio, a parte un mucchio di vestiti per terra. Lei riconobbe la giacca di tweed e i mocassini di Langdon.

L'agente indicò un grosso contenitore, simile a una bara, appoggiato alla parete di fronte.

Ma che diavolo è?

Sato si accostò al contenitore e si accorse che era alimentato da un tubo di plastica trasparente che correva lungo il muro. Guardinga, si avvicinò ancora di più e vide che sul coperchio c'era uno sportellino scorrevole. Lo fece scivolare da un lato e scoprì una finestrella simile a un oblò.

Sato fece un balzo indietro.

Sotto il plexiglas... ondeggiava il volto sommerso e inanimato del professor Langdon.


Luce!

Il vuoto infinito in cui era sospeso Langdon fu d'un tratto riempito da un sole accecante. Raggi di luce bianca incandescente si diffondevano nell'oscurità dello spazio, perforandogli la mente.

La luce era dappertutto.

All'improvviso, tra le nuvole raggianti davanti a lui, apparve una silhouette. Era un viso... sfocato e indistinto... due occhi che lo fissavano attraverso il vuoto. Il volto era circondato da raggi di luce, e Langdon si domandò se stesse per caso guardando in faccia Dio


Sato continuava a fissare nel contenitore e intanto si chiedeva se il professor Langdon avesse idea di quello che era successo. Ne dubitava. Dopotutto, il disorientamento era lo scopo principale di quella tecnologia.

Le vasche di deprivazione sensoriale erano in circolazione fin dagli anni Cinquanta ed erano tuttora una popolare forma di evasione per i ricchi appassionati di new age. Il "galleggiamento", come veniva chiamato, permetteva di sperimentare un ritorno trascendentale alla vita intrauterina... una specie di stimolo alla meditazione che rallenta l'attività del cervello eliminando tutte le sollecitazioni sensoriali: luci, suoni, contatti, persino la forza di gravità. Nelle vasche tradizionali, la persona galleggiava supina in una soluzione ipersatura di solfato di magnesio che consentiva di tenere la testa a pelo dell'acqua per respirare.

In anni più recenti, però, la tecnologia di queste vasche aveva fatto un incredibile balzo in avanti.

Fluorocarbonio ossigenato liquido.

La nuova tecnologia, nota come "ventilazione liquida totale", era così avanzata che pochi credevano alla sua esistenza.

Liquido respirabile.

Questo tipo di liquido era una realtà già nel 1966, quando Leland C. Clark era riuscito a tenere in vita un topo immerso per diverse ore nel fluorocarbonio ossigenato liquido. Nel 1989 la tecnologia della ventilazione liquida aveva fatto la sua sensazionale comparsa nel film Abyss, benché pochi si fossero resi conto che si trattava di vera scienza.

La ventilazione liquida totale era nata dai tentativi della medicina moderna di aiutare i neonati prematuri a respirare, riportandoli alla condizione uterina di immersione completa in un liquido, alla quale i polmoni umani, dopo avere trascorso nove mesi nell'utero, sono abituati. Il fluorocarbonio ossigenato all'inizio era troppo viscoso per poter essere respirato agevolmente, ma i progressi della scienza l'avevano reso più simile, come consistenza, all'acqua.

I ricercatori del dipartimento di Scienza e tecnologia della CIA - i "maghi di Langley", come sono soprannominati all'interno della comunità dell'intelligence - hanno condotto esperimenti su vasta scala con il fluorocarbonio ossigenato per sviluppare tecnologie utili all'esercito americano. I sommozzatori della marina militare operanti negli abissi oceanici hanno trovato che respirare un liquido ossigenato, invece dei soliti heliox o trimix, dà loro la possibilità di immergersi a profondità assai maggiori senza il rischio di sindrome nervosa da alta pressione. Allo stesso modo la NASA e l'aeronautica militare hanno verificato che i piloti equipaggiati con autorespiratori a ossigeno liquido, anziché quelli tradizionali, possono resistere meglio alla forza gravitazionale perché il liquido, rispetto al gas, distribuisce più uniformemente questa forza sugli organi interni.

Sato aveva sentito dire che esistevano "laboratori di esperienze estreme" in cui si potevano provare queste vasche di ventilazione liquida totale... o "macchine per meditare", come venivano chiamate. La vasca che lei aveva davanti agli occhi probabilmente era stata installata per gli esperimenti privati del proprietario, anche se l'aggiunta di robusti chiavistelli provvisti di serratura lasciava pochi dubbi sulle applicazioni assai più sinistre di quel contenitore... una tecnica inquisitoria con cui la CIA aveva grande familiarità.

Gli ignobili interrogatori che fanno ricorso al waterboarding, cioè a un annegamento simulato, sono molto efficaci perché la vittima crede davvero di affogare. Sato era a conoscenza di parecchie operazioni segrete nelle quali vasche di deprivazione sensoriale come quella erano state usate per aumentare la sensazione fino ad arrivare a livelli terrificanti. Una vittima immersa in un liquido respirabile poteva letteralmente essere "affogata". Il panico derivante dalla sensazione di annegare di solito impediva alle persone torturate di rendersi conto che il liquido che stavano respirando era leggermente più viscoso dell'acqua. Quando il liquido invadeva i polmoni, le vittime spesso svenivano per la paura e poi si risvegliavano in quella "cella di isolamento" estrema.

Anestetici, farmaci paralizzanti e allucinogeni venivano mescolati al liquido ossigenato caldo per dare al prigioniero la sensazione di essere completamente separato dal proprio corpo. Quando la sua mente impartiva il comando di muovere un arto, non succedeva niente. L'impressione di essere "morto" era già agghiacciante di per sé, ma il vero disorientamento derivava dal processo di "rinascita", che, grazie all'aiuto di luci accecanti, aria fredda e rumori assordanti, poteva essere estremamente traumatico e doloroso. Dopo un ciclo di annegamenti e successive rinascite, il prigioniero era così frastornato che non sapeva nemmeno più se fosse morto o vivo... e avrebbe detto qualunque cosa a chi lo stava interrogando.

Sato si chiese se dovesse aspettare un medico per tirare fuori Langdon dalla vasca, ma si rendeva conto di non avere molto tempo. Devo scoprire che cosa sa.

«Spegnete le luci» ordinò. «E trovatemi delle coperte.»


Il sole accecante era svanito.

Anche la faccia era scomparsa.

Era tornata l'oscurità, ma Langdon adesso riusciva a sentire sussurri lontani che echeggiavano attraverso gli anni luce dello spazio vuoto. Voci smorzate... parole incomprensibili. Avvertiva delle vibrazioni, come se il mondo stesse per collassare.

Poi accadde.

Senza alcun preavviso, l'universo fu spezzato in due. Un enorme baratro si aprì nel vuoto... come se lo spazio stesso si fosse strappato nelle cuciture. Una nebbia grigiastra si riversò dall'oblò e Langdon ebbe una visione terribile: mani che non sapeva a chi appartenessero si allungarono verso di lui e lo afferrarono, cercando di tirarlo fuori dal suo mondo.

No! Tentò di opporre resistenza, ma non aveva braccia... non aveva pugni. Oppure sì? All'improvviso sentì il proprio corpo materializzarsi intorno alla mente. La carne era tornata e in quel momento veniva afferrata da mani forti che lo sollevavano verso l'alto. No, per favore!

Ma ormai era troppo tardi.

Il dolore gli oppresse il petto mentre lo tiravano fuori dall'apertura. Gli sembrava di avere i polmoni pieni di sabbia. Non riesco a respirare! Subito dopo si ritrovò supino sulla superficie più fredda e più dura che potesse immaginare. Qualcosa gli faceva pressione sul petto, sempre più forte, pesante e doloroso. Stava sputando fuori il calore.

Voglio tornare là dentro.

Si sentiva come un bambino appena uscito dall'utero materno.

Aveva le convulsioni e tossendo espelleva del liquido. Il petto e il collo continuavano a fargli male, un dolore folle. Aveva la gola in fiamme. Le persone intorno a lui parlavano a bassa voce, eppure facevano un rumore assordante. Aveva la vista appannata, e tutto ciò che riusciva a scorgere erano sagome confuse. La pelle era insensibile come cuoio.

Avvertiva una sensazione sempre più opprimente al petto... una forte pressione. Non respiro!

Tossendo buttò fuori ancora un po' di liquido e un insopprimibile riflesso faringeo lo indusse a prendere fiato. L'aria fredda gli si riversò nei polmoni e lui si sentì come un bambino appena nato che inala il suo primo respiro sulla terra. Questo mondo era atroce. Langdon desiderava solo tornare nell'utero.

Non aveva idea dì quanto tempo fosse passato. Si rendeva conto di essere sdraiato su un fianco, su una superficie dura, avvolto in asciugamani e coperte. Un viso familiare lo stava fissando dall'alto... ma i raggi di luce gloriosa non c'erano più. Nella sua testa sentiva ancora l'eco di quei canti lontani.

Verbum significatium... Verbum omnificum...

«Professor Langdon?» gli sussurrò una voce. «Sa dove si trova?»

Langdon annuì piano, ancora tossendo.

Cosa ancora più importante, cominciava a capire ciò che stava succedendo quella sera.


Infagottato nelle coperte di lana, Langdon era in piedi, con le gambe che gli tremavano, e guardava la vasca aperta piena di liquido. Aveva ritrovato il suo corpo, anche se desiderava che così non fosse. Gli bruciavano la gola e i polmoni. Questo mondo gli sembrava duro e crudele.

Sato aveva appena finito di spiegargli il funzionamento delle vasche di deprivazione sensoriale... e aveva aggiunto che, se lei non lo avesse tirato fuori, sarebbe morto di inedia o peggio. Langdon era quasi sicuro che anche Peter avesse dovuto sopportare una simile esperienza. Il signor Solomon non è né di qua né di là, gli aveva detto l'uomo tatuato quella sera. E' in purgatorio... l'Hamistagan. Nel caso fosse stato costretto a subire più di uno di quei processi di rinascita, Langdon non si sarebbe sorpreso se Peter avesse rivelato al suo carceriere tutto quello che voleva sapere.

Sato fece un cenno a Langdon di seguirla e lui obbedì, trascinandosi lentamente giù per uno stretto corridoio e addentrandosi in quella tana bizzarra che vedeva ora per la prima volta. Entrarono in una stanza quadrata con un tavolo di pietra e un'illuminazione spettrale. Katherine era lì, e Langdon tirò un sospiro di sollievo. Malgrado ciò, la scena che aveva davanti era spaventosa.

II pavimento era coperto di asciugamani inzuppati di sangue e un agente della CIA reggeva in alto una flebo collegata al braccio di Katherine, distesa supina sul tavolo.

Lei singhiozzava sommessamente

«Katherine!» esclamò Langdon con voce strozzata, facendo fatica a parlare.

Lei voltò la testa, sul viso un'espressione disorientata e confusa. «Robert?» Sgranò gli occhi per l'incredulità e la gioia. «Ma io... ti ho visto annegare!»

Lui si avvicinò al tavolo.

Katherine si sollevò a sedere, incurante della flebo e delle proteste dell'agente. Allungò le braccia e strinse forte il corpo di Robert ancora avvolto nelle coperte. «Grazie a Dio sei vivo» gli sussurrò, baciandogli la guancia. Poi gli diede un altro bacio, stringendolo come se non riuscisse a credere che fosse reale. «Io non capisco... come...?»

Sato cominciò a dire qualcosa a proposito di vasche di deprivazione sensoriale e fluorocarbonio ossigenato, ma era evidente che Katherine non la stava ascoltando. Era tutta concentrata ad abbracciare Langdon.

«Robert» gli disse poi «Peter è vivo.» Con voce tremante gli raccontò il terribile incontro con suo fratello. Gli descrisse le sue condizioni fisiche, la sedia a rotelle, lo strano coltello, l'allusione a un "sacrificio", e come quell'uomo l'avesse lasciata lì a dissanguarsi, una clessidra umana per convincere Peter a decidersi a collaborare in fretta.

Langdon non riusciva quasi a parlare. «Hai idea... di dove... siano andati?»

«Ha detto che portava Peter alla montagna sacra.»

Langdon si sciolse dall'abbraccio e la guardò.

Katherine aveva gli occhi pieni di lacrime. «Ha detto di essere riuscito a decifrare la griglia sulla base della piramide, che indicava di andare alla montagna sacra.»

«Professore» lo incalzò Sato «ha qualche significato per lei?»

Langdon scosse la testa. «Nessuno.» Ciò nonostante, sentì risorgere la speranza. «Però, se lui ha trovato quell'informazione sulla base della piramide, possiamo scoprirla anche noi.» Gli ho spiegato io come risolverla.

Questa volta fu Sato a scuotere la testa. «La piramide è andata. Abbiamo controllato: se l'è portata via.»

Langdon rimase qualche secondo in silenzio, poi chiuse gli occhi e cercò di ricordare quello che aveva visto sulla base. La griglia di simboli era stata una delle ultime immagini che aveva osservato prima di "annegare", e le esperienze traumatiche incidono a fondo i ricordi nella memoria. Riusciva a visualizzare alcuni particolari della griglia, anche se non tutti, ma potevano bastare...

Si rivolse a Sato e le disse d'un fiato: «Forse mi ricordo abbastanza, ma ho bisogno che lei cerchi una cosa in internet».

Sato tirò fuori il suo BlackBerry.

«Faccia una ricerca con "quadrato di Franklin di ordine otto".»

Sato gli lanciò un'occhiata perplessa, ma cominciò a digitare senza fare domande.

Langdon aveva la vista ancora un po' annebbiata e cominciava solo in quel momento a capire in che strano posto si trovasse. Si rese conto che il tavolo di pietra al quale si appoggiava era coperto di macchie di sangue coagulato e che la parete alla sua destra era interamente rivestita di pagine scritte, fotografie, disegni, cartine, con una gigantesca ragnatela di fili che li collegavano.

Mio Dio.

Si avvicinò allo strano collage, tenendosi sempre ben strette le coperte intorno al corpo. Fissata al muro c'era una strampalata raccolta di informazioni: pagine di testi antichi che andavano dalla magia nera alle Sacre Scritture, disegni di simboli e sigilli, stampate di siti sulla teoria del complotto e foto satellitari di Washington scarabocchiate con annotazioni e punti di domanda. Su un foglio c'era un lungo elenco di parole in diverse lingue. Ne riconobbe alcune: parole sacre massoniche, altre appartenenti ad antiche formule magiche, altre ancora tratte da incantesimi rituali.

È questo che sta cercando?

Una parola?

Tutto qui?

L'inveterato scetticismo di Langdon riguardo alla piramide massonica si basava in gran parte su ciò che questa, in teoria, avrebbe dovuto rivelare: l'ubicazione degli antichi misteri. La scoperta avrebbe comportato il ritrovamento di un enorme antro pieno di migliaia e migliaia di volumi, in qualche modo sopravvissuti alle antiche biblioteche perdute da tempo di cui una volta facevano parte. Un antro così grande? Sotto Washington? Ora, però, il ricordo della conferenza di Peter alla Phillips Exeter, corroborato da quella lista di parole magiche, gli aveva fatto intravedere un'altra possibilità sorprendente.

Langdon decisamente non credeva al potere delle parole magiche... eppure era ormai piuttosto evidente che l'uomo tatuato la pensasse in modo diverso. Il suo battito accelerò mentre osservava di nuovo le annotazioni scarabocchiate sulle cartine, i testi, le stampate, tutti i fili che li collegavano e i Post-it.

Certo che c'era un tema ricorrente.

Mio Dio, sta cercando il verbum significatium... la Parola perduta. Langdon lasciò che quel pensiero prendesse forma, richiamando frammenti del discorso di Peter. Sta cercando la Parola perduta! È quella che crede sia sepolta qui a Washington.

Sato gli arrivò di fianco. «È questo che cercava?» gli chiese porgendogli il BlackBerry.

Langdon guardò la griglia di otto numeri per otto sullo schermo. «Precisamente.» Prese un foglietto di carta. «Mi serve una penna.»

Sato ne tirò fuori una di tasca e gliela diede. «Faccia in fretta, per favore.»


Nell'ufficio del dipartimento di Scienza e tecnologia, Nola Kaye stava ancora studiando il documento segretato che le aveva portato Rick Parrish, l'esperto in sicurezza dei sistemi informatici. Cosa diavolo se ne fa la CIA di un file segreto su piramidi, antichi portali e symbolon?

Prese il telefono e compose un numero.

Sato rispose immediatamente, e il tono sembrava agitato. «Nola, stavo proprio per chiamarti.»

«Ho nuove informazioni per lei» disse Nola. «Non so quanto c'entri, però ho scoperto che c'è un documento...»

«Lascia perdere, qualunque cosa sia» la interruppe Sato. «Non abbiamo più tempo. Non siamo riusciti a catturare l'obiettivo, e ho tutte le ragioni di credere che stia per dare seguito alla sua minaccia.»

Nola rabbrividì.

«La buona notizia è che sappiamo esattamente dove sta andando.» Sato fece un respiro profondo. «Quella brutta è che si è portato dietro un computer.»


A quindici chilometri di distanza, Mal'akh rimboccò le coperte a Peter Solomon e lo spinse attraverso un parcheggio illuminato dalla luna fino all'ombra proiettata da un imponente edificio con trentatré colonne esterne... ciascuna alta esattamente trentatré piedi. A quell'ora il posto era deserto e nessuno li avrebbe visti. Non che gli importasse. Da lontano, nessuno si sarebbe insospettito vedendo un uomo alto dall'aspetto gentile, con indosso un lungo cappotto nero, che accompagnava un invalido calvo a fare una passeggiata serale.

Quando raggiunsero l'ingresso sul retro, Mal'akh spinse Peter vicino al tastierino di sicurezza. Questi lo fissò con aria di sfida, e si capiva che non aveva intenzione di inserire il codice.

Mal'akh si mise a ridere. «Pensi che ti abbia portato qui per aiutarmi a entrare? Hai già dimenticato che sono uno dei tuoi fratelli?» Allungò una mano e digitò il codice di accesso che gli era stato comunicato dopo la sua iniziazione al trentatreesimo grado.

La pesante porta si aprì con un clic.

Peter emise un lamento e cominciò ad agitarsi sulla sedia a rotelle.

«Peter, Peter» lo riprese Mal'akh in tono affettuoso. «Pensa a Katherine. Cerca di collaborare e lei vivrà. Tu puoi salvarla. Ti do la mia parola.»

Mal'akh accompagnò il suo prigioniero all'interno e chiuse la porta dietro di sé. Il cuore gli batteva forte all'idea di ciò che lo aspettava. Spinse la sedia a rotelle lungo una serie di corridoi fino a un ascensore. Quando furono saliti, si assicurò che Peter vedesse quello che faceva e premette il bottone più in alto.

Il viso già tormentato di Peter si contrasse per il terrore.

«Ssh...» sussurrò Mal'akh, accarezzando dolcemente la testa rasata di Peter mentre le porte si chiudevano. «Lo sai bene... il segreto è come si muore.»


Non riesco a ricordarmi tutti i simboli!

Langdon chiuse gli occhi, sforzandosi di ricostruire l'esatta collocazione dei simboli sulla base della piramide, ma persino la sua memoria eidetica non arrivava a tanto. Trascrisse i pochi che riusciva a visualizzare, sistemandoli ognuno nella posizione indicata dal quadrato magico di Franklin.

Fino a quel momento, però, non vedeva niente che avesse un senso.


«Guarda!» esclamò Katherine. «Devi essere sulla strada giusta. La prima riga è composta da lettere greche... i simboli simili sono sistemati vicini.»

Anche Langdon l'aveva notato, però non riusciva a farsi venire in mente nessuna parola greca che corrispondesse a quella disposizione di lettere e spazi. Mi serve la prima lettera. Guardò di nuovo il quadrato magico, cercando di ricordare il simbolo nella penultima casella in basso a sinistra, la numero uno. Concentrati!

Chiuse gli occhi, tentando di visualizzare la base della piramide. La fila in basso... la penultima casella a sinistra... che lettera c'era?

Per un istante, a Langdon sembrò di essere tornato nella vasca, impietrito dal terrore mentre fissava la base della piramide attraverso il plexiglas.

E all'improvviso la vide. Spalancò gli occhi, respirando a fatica. «La prima lettera è una "H"!»

La inserì nella griglia. La parola era ancora incompleta, ma lui aveva indizi sufficienti. Di colpo capì quale potesse essere.


Con il cuore che gli batteva forte, fece una nuova ricerca con il BlackBerry. Digitò l'equivalente in caratteri romani di quella famosissima parola greca. Il primo risultato che comparve era la voce di un'enciclopedia. La lesse e capì che doveva aver fatto centro.

HEREDOM (n.) - Parola importante nell'"alto grado" della massoneria, derivata dai rituali dei rosacroce francesi, che si riferisce a una mitica montagna in Scozia, il sito leggendario del primo di tali capitoli. Dal greco , che origina da Hieros domos, il cui significato è "casa santa".


«Ecco!» esclamò Langdon incredulo. «È qui che sono andati!» Sato aveva letto da sopra la sua spalla e sembrava disorientata.

«Su una mitica montagna in Scozia?»

Langdon scosse la testa. «No, in un edificio a Washington il cui nome in codice è Heredom.»


La House of the Temple - conosciuta nella fratellanza come Heredom - era sempre stata il fiore all'occhiello del rito scozzese massonico in America. Con il suo ripido tetto piramidale, l'edificio prendeva il nome da un'immaginaria montagna in Scozia. Tuttavia Mal'akh sapeva che non c'era assolutamente nulla di immaginario nel tesoro nascosto lì.

È questo il posto. La piramide massonica mi ha indicato la via.

Mentre il vecchio ascensore saliva lentamente fino al secondo piano, Mal'akh tirò fuori il foglietto su cui aveva riorganizzato la griglia di simboli usando il quadrato di Franklin. Tutte le lettere greche adesso si erano spostate nella prima fila in alto... insieme a un semplice simbolo.


Il messaggio non avrebbe potuto essere più chiaro.

Sotto la House of the Temple.

Heredom

La Parola perduta è qui... da qualche parte.

Anche se Mal'akh non sapeva ancora esattamente come localizzarla, era fiducioso che la risposta fosse celata nei rimanenti simboli della griglia. Per fortuna quando si trattava di spiegare i segreti della piramide massonica e di quell'edificio, nessuno era più indicato di Peter Solomon per aiutarlo.

Il Venerabilissimo Maestro in persona.

Peter continuava a dimenarsi sulla sedia a rotelle, emettendo suoni soffocati a causa del bavaglio.

«So che sei preoccupato per Katherine» gli disse Mal'akh «ma è quasi finita.»

A Mal'akh pareva che la fine fosse giunta troppo in fretta. Dopo tutti gli anni di dolore e di pianificazione, di ricerca e di attesa... il momento era arrivato.

L'ascensore cominciò a rallentare e lui sentì un fremito di eccitazione.

La cabina si fermò con un sobbalzo.

Le porte di bronzo si spalancarono e Mal'akh guardò la sontuosa sala che si apriva davanti a lui. L'enorme stanza quadrata era adornata di simboli e immersa nel chiarore lunare che entrava da un lucernario al centro del soffitto, in alto sopra la sua testa.

Ho chiuso il cerchio, pensò Mal'akh.

La Sala del Tempio era lo stesso luogo in cui Peter Solomon e gli altri fratelli avevano stoltamente iniziato Mal'akh, elevandolo al loro rango. Ora il più sublime segreto dei massoni, di cui la maggior parte dei fratelli negava persino l'esistenza, stava per essere riportato alla luce.


«Non troverà nulla» disse Langdon, ancora provato e disorientato, mentre seguiva Sato e gli altri su per la rampa uscendo dallo scantinato. «Non esiste una vera parola. È tutta una metafora: un simbolo degli antichi misteri.»

Katherine camminava dietro di lui, sorretta da due agenti.

Mentre il gruppo scavalcava con cautela la porta di acciaio distrutta e oltrepassava il dipinto girevole, arrivando in soggiorno, Langdon spiegò a Sato che la Parola perduta era uno dei simboli più longevi della massoneria: un'unica parola, scritta in un linguaggio arcano che l'uomo non riusciva più a comprendere. La Parola, come i misteri stessi, prometteva di svelare i propri poteri nascosti solo a chi fosse abbastanza illuminato da decifrarla. «Dicono» concluse «che se possiedi e capisci la Parola perduta... allora gli antichi misteri saranno tuoi di diritto.»

Sato gli lanciò un'occhiata. «Quindi lei crede che quest'uomo stia cercando una parola?»

Langdon doveva ammettere che l'ipotesi era apparentemente assurda, eppure dava una risposta a diverse questioni. «Senta, io non sono un esperto in magia rituale» rispose «ma dai documenti sulla parete dello scantinato... e dalla descrizione di Katherine del punto non tatuato sulla sommità della sua testa... direi che lui spera di trovare la Parola e di scriverla sul suo corpo.»

Sato guidò il gruppo verso la sala da pranzo. Fuori, l'elicottero si preparava al decollo e le pale giravano sempre più vorticosamente.

Langdon continuava a parlare, pensando ad alta voce. «Se questo tizio è davvero convinto che fra poco dischiuderà il potere degli antichi misteri, nella sua mente nessun simbolo sarebbe più efficace della Parola perduta. Se riuscisse a trovarla e a scriversela sulla testa, già un luogo sacro di per sé, allora potrebbe senza dubbio considerarsi perfettamente adorno e pronto dal punto di vista ritualistico per...» Fece una pausa vedendo Katherine sbiancare al pensiero del destino di Peter.

«Ma, Robert» disse lei con un filo di voce, appena udibile a causa del rumore dell'elicottero «questa è una bella notizia, no? Se vuole trascrivere la Parola perduta sulla sua testa prima di sacrificare Peter, allora abbiamo ancora tempo. Non lo ucciderà finché non avrà trovato la Parola. E se non esiste...»

Mentre un agente aiutava Katherine a sedersi, Langdon cercò di sembrare speranzoso. «Purtroppo, Peter crede che tu sia qui a dissanguarti. Pensa che l'unico modo per salvarti sia collaborare con questo pazzo... probabilmente aiutandolo a trovare la Parola perduta.»

«E anche se fosse?» insistette lei. «Se la Parola non esiste...»

«Katherine» replicò Langdon guardandola negli occhi. «Se io pensassi che tu stai morendo, e se qualcuno mi promettesse che potrei salvarti trovando la Parola perduta, rivelerei a quest'uomo una parola... qualsiasi parola... e poi pregherei Dio che lui mantenga la sua promessa.»


«Direttore Sato!» gridò un agente dalla stanza accanto. «Venga qui!»

Sato corse fuori dalla sala da pranzo e vide uno dei suoi agenti sulle scale che scendeva dal piano di sopra. Aveva in mano una parrucca bionda. Ma che diavolo...?

«È di quel tizio» disse l'agente porgendogliela. «L'ho trovata nel guardaroba. La guardi bene da vicino.»

La parrucca era molto più pesante di quanto Sato si aspettasse. La calotta sembrava fatta di un materiale gelatinoso e, stranamente, dall'interno usciva un cavo.

«Batterie al gel che si adattano allo scalpo» spiegò l'agente. «Alimentano una minuscola videocamera a fibre ottiche nascosta nei capelli.»

«Cosa?» Sato toccò la parrucca finché trovò la piccola lente sistemata nella frangia bionda in modo che non si notasse. «Questo affare è una telecamera nascosta?»

«Una videocamera» la corresse l'agente. «Archivia le immagini in questa scheda a stato solido.» Le indicò un quadratino di silicio grande come un francobollo incorporato nella calotta della parrucca. «Probabilmente è azionata dal movimento.»

Cristo santo, pensò Sato. Ecco come c'è riuscito.

Quella versione di lusso della classica telecamera nascosta nel "fiore all'occhiello" aveva giocato un ruolo chiave nella crisi che il direttore dell'OS stava affrontando quella sera. Sato la osservò ancora per qualche istante, poi la riconsegnò all'agente.

«Continuate a perquisire la casa» disse. «Voglio che troviate anche la minima informazione su questo tizio. Sappiamo che manca il suo portatile, e voglio scoprire esattamente in che modo pensa di connettersi mentre è fuori. Cercate nel suo studio manuali, cavi, qualsiasi cosa che possa darci un indizio sull'hardware che ha installato.»

«Va bene, direttore.» L'agente corse via.

È ora di andare. Sato sentiva il sibilo delle pale dell'elicottero che giravano a pieno regime. Si affrettò a tornare nella sala da pranzo, dove nel frattempo Warren Bellamy era stato accompagnato da Simkins, che gli stava chiedendo ragguagli sull'edificio verso il quale credevano fosse diretto il loro bersaglio.

La House of the Temple.

«Le porte sul davanti sono chiuse dall'interno» stava dicendo Bellamy, avvolto in una coperta isotermica. Tremava ancora visibilmente per il freddo accumulato in Franklin Square. «L'unico ingresso da cui potete entrare è quello sul retro. Ha un tastierino di sicurezza con un codice di accesso noto solo ai membri della fratellanza.»

«Qual è il codice?» chiese Simkins prendendo appunti.

Bellamy si sedette, troppo debole per reggersi in piedi. Battendo i denti, comunicò il proprio codice di accesso e poi aggiunse: «L'indirizzo è il civico 1733 di Sixteenth Street, ma sarà meglio che arriviate dal parcheggio dietro l'edificio. è un po' più difficile da trovare ma...».

«So esattamente dov'è» disse Langdon. «Ve lo mostrerò quando saremo in zona.»

Simkins scosse la testa. «Lei non viene, professore. Questa è una missione militare e...»

«Scordatevelo!» sbottò Langdon. «Là dentro c'è Peter! E quel palazzo è un labirinto. Senza qualcuno a guidarvi, ci metterete dieci minuti per trovare la Sala del Tempio!»

«Ha ragione» confermò Bellamy. «è un vero intrico. C'è un ascensore, d'accordo, ma è vecchio e rumoroso, e si apre direttamente sulla Sala del Tempio. Se volete arrivare inosservati, dovete salire a piedi.»

«Vi perderete sicuramente» li avvertì Langdon. «Dall'ingresso sul retro dovete attraversare la Sala delle Insegne, la Galleria d'Onore, andare nell'atrio al piano rialzato, salire la Grande Scalinata e...»

«Basta così» lo interruppe Sato. «Langdon viene con noi.»


L'energia stava aumentando.

Mal'akh la sentiva pulsare dentro di sé, gli attraversava il corpo mentre lui spingeva Peter Solomon verso l'altare. Uscirò da questo edificio molto più potente di quando sono entrato. Ormai doveva solo individuare l'ultimo ingrediente.

«Verbum significatium» sussurrò tra sé. «Verbum omnificum.»

Mal'akh spinse la sedia a rotelle di Peter accanto all'altare, poi vi girò intorno e aprì la cerniera della pesante borsa che gli aveva appoggiato in grembo. Tirò fuori la piramide di pietra, che sollevò al chiarore lunare proprio davanti agli occhi di Peter, per fargli vedere la griglia di simboli incisa sulla base.

«Per tutti questi anni» lo rimproverò «non hai mai saputo che la piramide conservava il suo segreto.» Mal'akh posò delicatamente la piramide sull'altare, in un angolo, e tornò alla borsa. «E questo talismano» aggiunse estraendo la cuspide dorata «ha davvero rimesso ordine nel caos, esattamente come promesso.» Posizionò con cura la cuspide in cima alla piramide di pietra, poi fece un passo indietro perché Peter riuscisse a vederla bene. «Guarda, il tuo symbolon è completo.»

Il volto di Peter si contrasse, e lui cercò invano di parlare.

«Bene, vedo che hai qualcosa da dirmi.» Mal'akh gli strappò il bavaglio con un gesto brusco.

Peter Solomon tossì e ansimò per parecchi secondi prima di riuscire finalmente a parlare. «Katherine...»

«Katherine ha i minuti contati. Se davvero vuoi salvarla, ti suggerisco di fare quanto ti dico.» Mal'akh aveva il sospetto che lei fosse già morta, o in fin di vita. Non faceva alcuna differenza. Era stata fortunata a vivere abbastanza a lungo per dare l'ultimo saluto al fratello.

«Ti prego» lo supplicò Peter, con la voce spezzata. «Manda un'ambulanza...»

«è proprio quello che farò, ma prima tu devi dirmi come si accede alla scala segreta.»

Sul volto di Peter si dipinse un'espressione incredula. «Cosa?»

«La scala. La leggenda massonica parla di una scala che scende per decine di metri fino al luogo segreto dove è sepolta la Parola perduta.»

Ora Peter sembrava in preda al panico.

«Conosci la leggenda» lo imbeccò Mal'akh. «Una scala celata sotto una pietra.» Indicò l'altare al centro della sala, un grosso blocco di marmo nero con un'iscrizione dorata in ebraico. Dio DISSE: "SIA LA LUCE!". E LA LUCE FU. «Ovviamente, questo è il luogo giusto. L'accesso alla scala dev'essere nascosto in uno dei piani sotto di noi.»

«Non c'è nessuna scala segreta in questo edificio!» gridò Peter.

Mal'akh sorrise paziente e fece un cenno verso l'alto. «Questo edificio è a forma di piramide.» Indicò il soffitto quadrato a volta che si restringeva fino al lucernario centrale, anch'esso quadrato.

«Certo, la House of the Temple è una piramide, ma cosa...»

«Peter, io ho tutta la notte a disposizione.» Mal'akh si lisciò la veste di seta bianca sul corpo perfetto. «Katherine, invece, temo di no. Se vuoi che lei viva, devi dirmi come si arriva alla scala.»

«Te lo ripeto, non c'è una scala segreta in questo edificio!» esclamò Peter.

«No?» Mal'akh, con tutta calma, tirò fuori il foglietto su cui aveva riorganizzato la griglia di simboli alla base della piramide. «Questo è il messaggio finale della piramide massonica. Il tuo amico Robert Langdon mi ha aiutato a decifrarlo.»

Gli mise il foglietto davanti agli occhi. Quando lo vide, il Venerabilissimo Maestro trattenne il fiato. Non solo i sessantaquattro simboli erano stati risistemati in gruppi dal chiaro significato... ma dal caos si era materializzata anche una vera immagine.

L'immagine di una scala... sotto una piramide.

Peter Solomon guardò incredulo la griglia di simboli che aveva davanti. La piramide massonica aveva conservato il suo segreto per generazioni, ma ora, all'improvviso, era stato svelato. Avvertì una stretta allo stomaco, come una gelida premonizione.

Il codice finale della piramide.

A una prima occhiata, il significato recondito di quei simboli rimaneva un mistero per Peter, eppure capì immediatamente perché l'uomo tatuato fosse convinto di quello che gli aveva detto.

Lui pensa che ci sia una scala nascosta sotto la piramide chiamata Heredom.

Ha frainteso questi simboli.


«Dov'è?» lo incalzò l'uomo tatuato. «Dimmi come si fa a trovare la scala, e io salverò Katherine.»

Vorrei poterlo fare, pensò Peter. Ma la scala non è reale. Il mito della scala era puramente simbolico... faceva parte della grande allegoria della fratellanza. La scala a chiocciola, come veniva chiamata, appariva nelle tavole architettoniche del secondo grado e rappresentava l'ascesa intellettuale dell'uomo verso la verità divina. Come la scala di Giacobbe, la scala a chiocciola era il simbolo della via per il paradiso... il viaggio dell'uomo verso Dio... il collegamento fra il regno terreno e quello spirituale. I suoi gradini simboleggiavano le molte virtù della mente.

Lui dovrebbe saperlo, pensò Peter. Ha seguito tutti i riti di iniziazione.

Ogni iniziato massone veniva messo al corrente della scala simbolica che poteva salire per essere in grado di "partecipare ai misteri dell'umana scienza". La massoneria, come le scienze noetiche e gli antichi misteri, venerava il potenziale non ancora sfruttato della mente umana, e molti dei simboli massonici si riferivano alla fisiologia umana.

La mente sta come una cuspide dorata sul corpo fisico. La pietra filosofale. Attraverso la scala della spina dorsale, l'energia sale e scende, circola, collegando la mente divina con il corpo fisico.

Peter sapeva che non era una coincidenza il fatto che la spina dorsale fosse costituita esattamente di trentatré vertebre. Trentatré sono i gradi della massoneria. La base della spina dorsale è l'osso sacro. Il corpo è davvero un tempio. L'"umana scienza" che i massoni veneravano era il sapere antico che spiegava come usare quel tempio per i suoi scopi più efficaci e nobili.

Purtroppo, spiegare la verità a quell'uomo non avrebbe aiutato affatto Katherine.

Peter osservò di nuovo la griglia di simboli ed emise un sospiro di sconfitta. «Hai ragione» mentì. «Esiste davvero una scala segreta sotto questo edificio. E non appena manderai qualcuno ad aiutare Katherine, ti ci porterò.»

L'uomo con i tatuaggi si limitò a fissarlo.

Solomon sostenne il suo sguardo, con aria di sfida. «O salvi mia sorella e scopri la verità... oppure uccidi entrambi e rimarrai per sempre ignorante!»

L'uomo abbassò piano il foglietto e scosse la testa. «Non sono contento di te, Peter. Hai fallito la tua prova e mi prendi ancora per uno sciocco. Sei davvero convinto che io non abbia capito cosa sto cercando? Credi ancora che io non abbia afferrato il mio vero potenziale?»

Detto ciò, si voltò e si sfilò la veste. Mentre la seta bianca frusciava sul pavimento, Peter vide per la prima volta il lungo tatuaggio che gli copriva la spina dorsale.

Buon Dio...

Attorcigliandosi a partire dal perizoma bianco, un'elegante scala a chiocciola si innalzava al centro della sua schiena muscolosa. Ogni gradino era posato su una vertebra. Senza parole,

Peter seguì con gli occhi la scala che saliva verso l'alto fino alla base del cranio.

Non riusciva a distogliere lo sguardo.

L'uomo tatuato a quel punto inclinò all'indietro il capo rasato per mostrare il cerchio di pelle nuda in cima alla testa. La pelle vergine era bordata da un unico serpente, avvolto in cerchio, che divorava se stesso.

Ridiventare un tutt'uno.

Lentamente l'uomo rialzò la testa e tornò a fissare Peter. La massiccia fenice a due teste sul suo petto guardava con occhi ciechi. «Io sto cercando la Parola perduta» gli disse. «Hai intenzione di aiutarmi... oppure vuoi morire insieme a tua sorella?»


Tu sai come trovarla, pensò Mal'akh. Sai qualcosa che non vuoi dirmi.

Peter Solomon aveva rivelato sotto interrogatorio cose di cui adesso forse neppure si ricordava. Le ripetute sessioni dentro e fuori dalla vasca di deprivazione lo avevano lasciato delirante e remissivo. Incredibilmente, quando aveva vuotato il sacco, tutto ciò che aveva raccontato a Mal'akh era coerente con la leggenda della Parola perduta.

La Parola perduta non è una metafora... è reale. È scritta in un antico linguaggio... ed è rimasta nascosta per secoli. La Parola è in grado di conferire un potere insondabile a chiunque afferri il suo vero significato. È nascosta ancora oggi... e la piramide massonica ha la facoltà di rivelarla.

«Peter» riprese Mal'akh fissando negli occhi il suo prigioniero «quando hai guardato la griglia di simboli... hai visto qualcosa. Hai avuto una rivelazione. Quella griglia ha un significato per te. Dimmelo.»

«Non ti dirò niente finché non manderai qualcuno ad aiutare Katherine!»

Mal'akh sorrise. «Credimi, in questo momento la prospettiva di perdere tua sorella è la minore delle tue preoccupazioni.» Senza aggiungere altro, cominciò a togliere dalla borsa di Langdon gli oggetti che vi aveva infilato nello scantinato. Poi iniziò a disporli meticolosamente sull'altare.

Un panno di seta ripiegato. Di un bianco immacolato.

Un incensiere d'argento. Mirra egiziana.

Una fiala del sangue di Peter. Mescolato a cenere.

La penna di un corvo nero. Il suo stilo sacro.

Il coltello sacrificale. Forgiato con il ferro di una meteorite caduta nel deserto di Canaan.

«Pensi che io abbia paura di morire?» gridò Peter, la voce rotta dall'angoscia. «Se Katherine muore, a me non resta più niente! Hai ucciso tutta la mia famiglia! Mi hai portato via tutto!»

«Non proprio tutto» replicò Mal'akh. «Non ancora.» Infilò una mano nella borsa ed estrasse il laptop. Lo accese e lanciò un'occhiata al prigioniero. «Temo che tu non abbia ancora afferrato in pieno le difficoltà della situazione in cui ti trovi.»


Langdon sentì un vuoto allo stomaco quando l'elicottero della CIA decollò dal prato della casa di Mal'akh, effettuò una virata vertiginosa e accelerò più in fretta di quanto lui credesse possibile.

Katherine e Bellamy erano rimasti, in attesa di riprendersi, mentre uno degli agenti della CIA continuava a perquisire l'abitazione aspettando la squadra d'appoggio.

Prima che Langdon se ne andasse, Katherine l'aveva baciato sulla guancia e gli aveva sussurrato: "Sii prudente, Robert".

Ora lui si teneva stretto con tutte le sue forze mentre l'elicottero militare si metteva in assetto di volo e puntava a tutta velocità verso la House of the Temple.

«Si diriga verso Dupont Circle! Atterreremo là.» Seduta accanto al pilota, Sato gridava per sovrastare il rumore assordante.

Sorpreso, Langdon si voltò verso di lei. «Dupont? Ma è lontano qualche isolato dalla House of the Temple. Possiamo atterrare benissimo nel parcheggio del tempio.»

Sato scosse la testa. «Dobbiamo entrare nell'edificio senza dare nell'occhio. Se il nostro uomo ci sente arrivare...»

«Ma non abbiamo tempo!» ribatté Langdon. «Questo pazzo sta per ammazzare Peter... Forse il rumore dell'elicottero lo fermerà!»

Sato lo fissò con espressione glaciale. «Come le ho già spiegato, la salvezza di Peter Solomon non è il mio obiettivo principale. Credevo di essere stata chiara.»

Langdon non era dell'umore adatto per un'altra ramanzina sulla sicurezza nazionale. «Ascolti, io sono l'unico, qui, che sa come muoversi in quell'edificio...»

«Stia attento, professore» lo avvertì Sato. «Lei è qui come membro della mia squadra e deve assicurarmi la sua completa collaborazione.» Fece una pausa di qualche secondo, poi aggiunse: «In effetti, forse è il caso che la informi sulla gravità della crisi che stiamo affrontando stasera».

Allungò una mano sotto il sedile e tirò fuori una sottile valigetta di titanio. Dentro c'era un computer dall'aspetto insolitamente complicato. Quando lo accese, apparve il logo della CIA insieme a una finestra per il login. Mentre si registrava, gli chiese: «Professore, ricorda la parrucca bionda che abbiamo trovato a casa dell'uomo?».

«Sì.»

«Bene, dentro quella parrucca c'era una minuscola videocamera a fibre ottiche... nascosta nella frangia.»

«Una videocamera nascosta? Non capisco.»

Sato aveva un'aria torva. «Capirà.» Lanciò un file video sul portatile.

ATTENDERE PREGO...

DECRITTAMENTO FILE...


Si aprì una finestra a tutto schermo di un programma per la riproduzione video. Sato sollevò la valigetta e l'appoggiò sulle gambe di Langdon per offrirgli una visuale migliore.

Sullo schermo si materializzò un'immagine insolita.

Langdon si tirò indietro stupito. Ma che diamine...?

Il filmato, scuro e confuso, riprendeva un uomo incappucciato. Era vestito alla foggia di un eretico medievale condotto alla forca: un cappio al collo, il calzone sinistro arrotolato sopra il ginocchio, la manica destra rimboccata fino al gomito e la camicia aperta che metteva in mostra il petto nudo.

Langdon rimase a fissare incredulo. Aveva letto abbastanza sui rituali massonici da capire a cosa stesse assistendo.

Un iniziato massone... che si prepara a entrare al primo grado.

L'uomo era alto e muscoloso, con una familiare parrucca bionda e la pelle molto abbronzata. Langdon riconobbe subito i suoi lineamenti. Probabilmente aveva nascosto i tatuaggi con del cerone o con un trucco pesante. Era in piedi davanti a uno specchio a figura intera e riprendeva il proprio riflesso grazie alla videocamera nascosta nella frangia.

Ma... perché?

Lo schermo diventò nero.

Apparvero nuove immagini. Una stanzetta rettangolare, fiocamente illuminata. Un pavimento a scacchiera di piastrelle bianche e nere, di un certo effetto. Un basso altare di legno, fiancheggiato su tre lati da piccole colonne, in cima alle quali ardevano candele tremolanti.

Langdon provò una certa apprensione.

Oh, mio Dio.

Con le riprese discontinue e frammentarie tipiche di un videoamatore, l'obiettivo ora faceva una panoramica lungo le pareti della stanza, mostrando un gruppetto di uomini, tutti vestiti con abiti rituali da massoni, che osservavano l'iniziato. Al buio, Langdon non riusciva a distinguere le loro facce, ma non aveva dubbi sul luogo in cui si stava svolgendo quel rito.

L'aspetto di quella stanza era un classico, si sarebbe potuta trovare in qualsiasi altra loggia del mondo, ma il timpano triangolare azzurro polvere sopra il trono del maestro rivelava che si trattava della più antica loggia massonica di Washington - la Potomac Lodge No. 5 -, di cui avevano fatto parte George Washington e i padri fondatori massoni che avevano posto la pietra angolare della Casa Bianca e del Campidoglio.

La loggia era ancora attiva.

Peter Solomon, oltre a presiedere la House of the Temple, era anche maestro della sua loggia locale, ed era sempre in sedi come quelle che cominciava il percorso di un massone: era lì che sosteneva l'iniziazione ai primi tre gradi della massoneria.

"Fratelli" dichiarava la voce familiare di Peter Solomon nel video "in nome del Grande Architetto dell'Universo, apro questa loggia per la pratica della massoneria al primo grado!"

Risuonarono forti colpi di martelletto.

Langdon osservò sbigottito mentre il filmato proseguiva presentando una rapida sequenza di dissolvenze in cui Peter Solomon veniva ritratto in alcuni dei momenti più intensi del rituale.

Mentre tiene un pugnale luccicante puntato contro il petto nudo dell'iniziato... lo minaccia di venire impalato nel caso lui dovesse "rivelare in un luogo inadeguato i misteri della massoneria"... descrive il pavimento bianco e nero come rappresentazione "dei vivi e dei morti"... elenca le punizioni, che includono "il taglio della gola, la lingua strappata alla radice, essere sepolti nella ruvida sabbia del mare...".

Langdon fissava lo schermo. Sto davvero vedendo queste scene? I riti di iniziazione massonici erano rimasti avvolti nella segretezza per secoli. Le uniche descrizioni provenivano da una manciata di fratelli espulsi. Langdon aveva letto quei resoconti, naturalmente, però vedere una cerimonia d'iniziazione con i propri occhi era tutta un'altra storia.

Specialmente con le scene montate in questo modo. Langdon aveva capito subito che quel video era un esempio di propaganda sleale, in quanto ometteva tutti i nobili aspetti del rito per sottolineare solo quelli più sconcertanti. Se fosse stato messo in circolazione, sapeva che nel giro di una notte sarebbe diventato un successo sensazionale su internet. I teorici del complotto antimassonico se ne approfitterebbero come squali. L'istituzione massonica, e in special modo Peter Solomon, sarebbe stata travolta da un vortice di polemiche e di sforzi disperati per limitare i danni... sebbene il rituale fosse innocuo e puramente simbolico.

Il video includeva anche un riferimento biblico al sacrificio umano che faceva venire i brividi... "la sottomissione di Abramo alla volontà dell'Essere Supremo con l'offerta di Isacco, il suo primogenito". Langdon pensò a Peter e desiderò che l'elicottero volasse più veloce.

L'inquadratura cambiò.

Stessa stanza. Un'altra sera. Un gruppo più nutrito di massoni. Peter Solomon osservava dal trono del maestro. Era il secondo grado e l'atmosfera era più intensa. Inginocchiarsi all'altare... giurare di "tenere segreti per sempre gli enigmi esistenti all'interno della massoneria"... accettare la punizione di "farsi aprire il petto e strappare il cuore ancora pulsante per gettarlo sulla superficie della terra come frattaglie per le bestie fameliche"...

Anche il cuore di Langdon pulsava all'impazzata mentre la scena cambiava di nuovo. Un pubblico molto più numeroso. Una "tavola da tracciare" a forma di bara sul pavimento.

Il terzo grado.

Quello era il rituale della morte - il più rigoroso dei tre gradi -, il momento in cui l'iniziato era costretto "ad affrontare la sfida finale di estinzione personale". L'interrogatorio snervante al quale veniva sottoposto era infatti all'origine del popolare modo di dire "fare il terzo grado". E, sebbene Langdon avesse ben presenti i resoconti accademici su quel rito, non era affatto preparato a ciò che adesso gli toccava vedere.

L'omicidio.

Con montaggi incrociati rapidi e violenti, il filmato mostrava un'agghiacciante descrizione, dal punto di vista della vittima, del brutale assassinio dell'iniziato. Venivano simulati colpi in testa, persino con un maglio da massone. Nel frattempo, un diacono raccontava mestamente la storia del "figlio della vedova", Hiram Abif, il maestro architetto del tempio di re Salomone che preferì morire piuttosto di rivelare le conoscenze segrete in suo possesso.

L'aggressione era mimata, ovviamente, eppure l'effetto nel filmato era terrificante. Dopo il colpo di grazia, l'iniziato - ormai "morto il suo io precedente" - era calato in una bara simbolica, dove gli venivano chiusi gli occhi e incrociate le braccia come a un cadavere. I fratelli massoni si alzavano e circondavano la bara, mentre un organo a canne suonava una marcia funebre.

La scena era profondamente macabra e inquietante.

Ma non era finita lì.

Mentre i massoni si raccoglievano intorno al loro fratello ucciso, l'obiettivo nascosto inquadrava chiaramente le loro facce. Langdon si rese conto in quel momento che Solomon non era l'unica persona famosa nella stanza. Uno degli uomini che fissavano l'iniziato nella bara si poteva vedere quasi ogni giorno in televisione.

Un importante senatore degli Stati Uniti.

Mio Dio...

La scena cambiò di nuovo. All'esterno, adesso... notte... le stesse riprese a scatti... l'uomo cammina lungo una via cittadina... ciocche di capelli biondi ballano davanti all'obiettivo... svolta un angolo... la ripresa si abbassa su qualcosa in mano all'uomo... una banconota da un dollaro... un primo piano del Gran Sigillo... l'occhio onniveggente... la piramide incompleta... e poi, bruscamente, un campo lungo per mostrare una sagoma simile in lontananza... un massiccio edificio piramidale... con i lati inclinati che salgono fino alla sommità tronca.

La House of the Temple.

Un terrore profondo si impadronì di Langdon.

Il video continuava... L'uomo adesso corre verso l'edificio... sale la scalinata... fino al gigantesco portone di bronzo... tra le due sfingi di diciassette tonnellate che montano la guardia.

Un neofita che entra nella piramide per l'iniziazione.

Buio.

Un potente organo a canne suonava in lontananza... e una nuova immagine si materializzava.

La Sala del Tempio.

Langdon deglutì a fatica.

Sullo schermo, quello spazio cavernoso vibrava di una tensione palpabile. Sotto il lucernario, l'altare di marmo nero splendeva al chiarore della luna. Riunito lì intorno, su sedie in pelle di cinghiale conciata a mano, un cupo consesso di importanti massoni del trentatreesimo grado era in attesa, per testimoniare. L'obiettivo iniziò una carrellata sui loro volti con deliberata lentezza.

Langdon guardava inorridito.

Anche se non se lo sarebbe minimamente aspettato, ciò a cui stava assistendo aveva un senso. Un'adunata di massoni nella città più potente della terra doveva ovviamente comprendere molti personaggi influenti. E infatti, seduti intorno all'altare, adornati con i loro lunghi guanti di seta, i grembiuli massonici e i gioielli luccicanti, c'erano alcuni degli uomini più illustri e autorevoli della nazione.

Due giudici della Corte suprema...

Il segretario alla Difesa...

Lo Speaker della Camera...

Langdon si sentì male mentre l'obiettivo continuava la carrellata sui volti dei presenti.

Tre importanti senatori... compreso il leader della maggioranza... Il segretario per la Sicurezza interna...

E...

Il direttore della CIA...

Langdon voleva distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva. Quella scena lo aveva completamente ipnotizzato, inquietante persino per lui. In un attimo aveva compreso la causa dell'angoscia e della preoccupazione di Sato.

Sullo schermo, l'inquadratura sfumò in una singola immagine scioccante.

Un teschio umano... pieno di un liquido rosso scuro. Il celebre caput mortuum veniva offerto all'iniziato dalle mani affusolate di Peter Solomon, e il suo anello d'oro brillò alla luce delle candele. Il liquido rosso era vino... eppure luccicava come sangue. L'effetto era terribile.

La quinta libagione, comprese Langdon, avendo letto i racconti su quel sacramento nel libro di John Quincy Adams Letters on the Masonic Institution. Anche così, guardare mentre succedeva... vedervi presenziare senza battere ciglio gli uomini più potenti d'America... era una delle scene più impressionanti a cui Langdon avesse mai assistito.

L'iniziato prese il teschio fra le mani e il suo volto venne riflesso nella calma superficie del vino. "Possa il vino che sto per bere trasformarsi in mortale veleno se mai violerò il mio giuramento, consapevolmente o inconsapevolmente."

Com'era ovvio, quell'iniziato aveva avuto intenzione di violare il giuramento fin dal principio.

Langdon non riusciva nemmeno a immaginare che cosa sarebbe successo se quel video fosse stato reso pubblico. Nessuno capirebbe. Al governo sarebbe scoppiato il finimondo. L'etere sarebbe stato invaso dagli strepiti dei gruppi antimassonici, dei fondamentalisti e dei teorici del complotto, che avrebbero sputato il loro odio e la loro paura, lanciando una nuova caccia alle streghe.

La verità verrà travisata. Langdon lo sapeva. Come succede sempre quando ci sono di mezzo i massoni.

La verità era che l'interesse provato dalla fratellanza per la morte era in realtà una forte celebrazione della vita. I rituali massonici erano tesi a risvegliare l'uomo assopito dentro ogni persona, facendolo alzare dall'oscura bara della sua ignoranza, elevandolo alla luce e dandogli occhi per vedere. Solo attraverso l'esperienza della morte l'uomo può veramente capire la sua esperienza di vita. Solo comprendendo che la sua permanenza sulla terra non è infinita riesce ad afferrare l'importanza di vivere quei giorni con onore e integrità, al servizio dei suoi simili.

I riti iniziatici massonici erano inquietanti perché avevano il fine di trasformare. I giuramenti massonici erano spietati perché intendevano ricordare all'uomo che l'onore e la propria "parola" sono tutto ciò che può ottenere da questo mondo. Gli insegnamenti massonici erano arcani perché intendevano essere universali... trasmessi attraverso un linguaggio comune fatto di simboli e metafore che trascendono le religioni, le culture e le razze... creando una "coscienza globale" omogenea di amore fraterno.

Per un istante, Langdon sentì accendersi la speranza. Cercò di convincersi che anche se quel video fosse venuto alla luce, la gente avrebbe reagito con mente aperta e tollerante capendo che tutti i rituali spirituali includono aspetti apparentemente terrificanti se estrapolati dal loro contesto: le rappresentazioni della crocifissione, i riti di circoncisione ebraici, il battesimo dei morti dei mormoni, l'esorcismo dei cattolici, il niqab islamico, le trance di guarigione degli sciamani, la cerimonia ebraica del Kaparot, persino il cibarsi simbolicamente del corpo e del sangue di Cristo.

Sono un illuso. Questo video creerà il caos. Poteva immaginare che cosa sarebbe successo se i massimi leader della Russia o del mondo islamico fossero apparsi in un video mentre puntavano coltelli su petti nudi, declamavano giuramenti violenti, rappresentavano falsi omicidi, giacevano in bare simboliche e bevevano da teschi umani. Lo scalpore sarebbe stato immediato e assordante.

Che Dio ci aiuti...

Inquadrato sullo schermo, l'iniziato si portava il teschio alle labbra, lo inclinava... e beveva fino all'ultima goccia il vino rosso sangue suggellando così il suo giuramento. Poi abbassava il teschio e osservava i presenti riuniti intorno a lui. Gli uomini più fidati e più potenti d'America annuivano in segno di accettazione.

"Benvenuto, fratello" diceva Peter Solomon.

Mentre le immagini sfumavano e lo schermo diventava nero, Langdon si accorse che aveva smesso di respirare.

Senza una parola, Sato allungò una mano, chiuse la valigetta e gliela tolse dalle gambe. Langdon si voltò verso di lei per dire qualcosa, ma non trovò le parole. Non importava: dalla sua espressione si capiva che aveva compreso. Sato aveva ragione. Quella sera era in atto una crisi di sicurezza nazionale... di proporzioni inimmaginabili.


Con indosso solo il perizoma, Mal'akh camminava avanti e indietro accanto alla sedia a rotelle su cui si trovava Peter Solomon. «Peter» sussurrò godendosi ogni istante di orrore del suo prigioniero «hai dimenticato che io ho una seconda famiglia... i tuoi fratelli massoni. E distruggerò anche loro... a meno che tu non mi aiuti.»

Alla luce del laptop appoggiato sulle sue gambe, Solomon sembrava quasi catatonico. «Ti prego» riuscì infine a balbettare «se questo video diventa pubblico...»

«Se?» Mal'akh rise. «Se diventa pubblico?» Indicò il piccolo modem cellulare infilato in una presa USB del suo computer. «Sono collegato con il mondo.»

«Non vorrai...»

Lo voglio, pensò Mal'akh, assaporando il suo sgomento. «Tu hai il potere di fermarmi. E di salvare tua sorella. Però devi dirmi quello che voglio sapere. La Parola perduta è nascosta da qualche parte, Peter, e so che la griglia rivela dov'è esattamente questo posto.»

Peter guardò di nuovo i simboli, e i suoi occhi non lasciarono trasparire nulla.

«Forse questo ti aiuterà a trovare l'ispirazione.» Mal'akh allungò una mano sopra la spalla di Peter e premette qualche tasto sul laptop.

Sullo schermo si aprì un programma di posta elettronica, e Peter si irrigidì visibilmente.

Il monitor mostrava un'e-mail che Mal'akh aveva preparato qualche ora prima: un file video da inviare a un lungo elenco di importanti network.

Mal'akh sorrise. «Penso che sia ora di condividere quello che sappiamo, non credi?»

«Non farlo!»

Mal'akh premette il pulsante di invio. Peter si dimenò per quanto gli consentivano i lacci, cercando, senza riuscirci, di far cadere il laptop a terra.

«Rilassati, Peter» gli sussurrò Mal'akh. «è un file pesante. Ci metterà qualche minuto.» Indicò la barra di avanzamento.

INVIO MESSAGGIO: 2% COMPLETATO


«Se mi dici quello che voglio sapere, interromperò l'invio e nessuno vedrà mai questo video.»

Peter divenne livido vedendo che la percentuale aumentava.

INVIO MESSAGGIO: 4% COMPLETATO


Mal'akh sollevò il computer dalle gambe di Peter e lo appoggiò su una sedia di pelle di cinghiale lì vicino, voltando lo schermo in modo che lui potesse seguire lo stato di avanzamento dell'invio. Poi tornò di fianco a Peter e gli mise in grembo il foglio dei simboli. «Le leggende narrano che la piramide massonica svelerà la Parola perduta. Questo è il codice finale della piramide. Io credo che tu sappia interpretarlo.»

Mal'akh lanciò uno sguardo al computer.

INVIO MESSAGGIO: 8% COMPLETATO


Tornò a osservare Peter. Anche lui lo stava fissando, e i suoi occhi grigi ora mandavano lampi di odio.

Odiami pure, pensò Mal'akh. Più grande è l'emozione, maggiore sarà l'energia che verrà rilasciata quando il rituale sarà completato.


A Langley, Nola Kaye si premette il telefono contro l'orecchio, riuscendo appena a sentire Sato sopra il rumore dell'elicottero. «Dicono che è impossibile fermare il trasferimento del file!» gridò. «Per chiudere l'ISP locale ci vorrebbe almeno un'ora, e se lui ha accesso a un provider wireless, questo non gli impedirebbe comunque di inviare l'e-mail.»

Ormai fermare il flusso di informazioni digitali era diventato pressoché impossibile. C'erano troppi router di accesso a internet. Fra linee fisse, punti WI-FI, modem cellulari, telefoni satellitari, smartphone e palmari dotati di programmi di posta elettronica, l'unico modo per isolare una potenziale fuga di dati era distruggere l'apparecchio all'origine.

«Ho controllato i dati tecnici dell'elicottero su cui lei sta volando» aggiunse Nola «e pare sia dotato di EMP.»

Le EMP, armi a impulsi elettromagnetici, erano ormai comuni tra le forze dell'ordine, che le usavano da una distanza di sicurezza soprattutto negli inseguimenti d'auto. Sparando un impulso di radiazioni elettromagnetiche ad alta concentrazione si potevano distruggere i congegni elettronici del bersaglio: auto, cellulari, computer. Secondo quanto aveva letto Nola, il Sikorsky UH-60 aveva montato sul telaio un magnetron da sei gigahertz, con sistema di puntamento laser, e un'antenna Horn di guadagno cinquanta decibel, che lanciava un impulso da dieci gigawatt. Scaricato direttamente su un computer portatile, l'impulso avrebbe bruciato la scheda madre e cancellato all'istante il disco fisso.

«L'EMP non ci servirà a niente» rispose Sato gridando. «Il bersaglio è dentro un edificio di pietra. Non c'è visuale ed è schermato dalle onde elettromagnetiche. Hai saputo se il video è già stato inviato?»

Nola controllò un secondo monitor, che continuava a fare ricerche per trovare notizie recenti sui massoni. «Non ancora, direttore. Ma se viene reso pubblico, lo sapremo nel giro di qualche secondo.»

«Tienimi aggiornata.»


Langdon trattenne il fiato mentre l'elicottero si abbassava in picchiata verso Dupont Circle. Una manciata di pedoni si disperse mentre il velivolo scendeva attraverso un'apertura tra gli alberi e atterrava non troppo delicatamente sul prato, appena a sud della famosa fontana a due piani progettata dagli stessi due uomini che avevano ideato il Lincoln Memorial.

Trenta secondi dopo, Langdon sfrecciava lungo New Hampshire Avenue su un suv Lexus guidato da Simkins e requisito d'autorità, diretto verso la House of the Temple.

Peter Salomon cercava disperatamente di trovare una soluzione, ma riusciva a pensare solo a Katherine che si stava dissanguando in quello scantinato... e al video che aveva appena visto.

Girò lentamente la testa verso il computer sulla sedia di pelle di cinghiale, a qualche metro di distanza. La barra di avanzamento era quasi a un terzo.

INVIO MESSAGGIO: 29% COMPLETATO


L'uomo tatuato adesso stava girando intorno all'altare quadrato, facendo oscillare un incensiere acceso e salmodiando tra sé. Nuvole dense di fumo bianco salivano a spirale verso il lucernario. Aveva gli occhi sbarrati e sembrava essere in una trance demoniaca. Peter rivolse lo sguardo all'antico coltello che attendeva sul panno di seta bianca steso sull'altare.

Peter Solomon non aveva dubbi che quella notte sarebbe morto nel tempio. Il problema era come. Sarebbe riuscito a trovare il modo di salvare sua sorella e la fratellanza... o sarebbe morto invano?

Osservò di nuovo la griglia di simboli. Quando l'aveva guardata la prima volta, lo shock del momento lo aveva accecato, impedendo alla sua vista di squarciare il velo del caos... per cogliere la verità sorprendente. Ormai, però, il vero significato di quei simboli aveva assunto una chiarezza cristallina per lui. Aveva visto la griglia sotto una luce completamente diversa.

Lui sapeva esattamente che cosa doveva fare.

Prendendo un respiro profondo, guardò la luna attraverso il lucernario sopra di sé. Poi cominciò a parlare.


Tutte le grandi verità sono semplici.

Mal'akh l'aveva imparato molto tempo prima.

La soluzione che Peter Solomon gli stava rivelando era così pura e leggiadra che non poteva non essere vera. Ne era sicuro. Incredibilmente, l'interpretazione del codice finale della piramide era di gran lunga più semplice di quanto si fosse aspettato.

La Parola perduta era proprio davanti ai miei occhi.

In un istante, un luminoso raggio di luce aveva perforato l'oscurità della storia e del mito che circondavano la Parola perduta. Come promesso, era davvero scritta in un antico linguaggio e possedeva un potere mistico in tutte le filosofie, le religioni e le scienze note all'uomo. Alchimia, astrologia, cabala, cristianesimo, buddhismo, rosacroce, massoneria, astronomia, fisica, noetica...

In piedi in quella camera di iniziazione in cima alla grande piramide di Heredom, Mal'akh guardò il tesoro che aveva cercato per tutti quegli anni e capì che non avrebbe potuto prepararsi meglio.

Presto sarò completo.

La Parola perduta è stata ritrovata.


A Kalorama Heights, l'unico agente della CIA rimasto si trovava in piedi in mezzo al mare di spazzatura che aveva svuotato dai bidoni trovati in garage.

«Signora Kaye?» disse parlando al telefono con l'analista a Langley. «Bella pensata quella di cercare nella spazzatura. Penso di avere appena trovato qualcosa.»


All'interno della casa, Katherine si sentiva sempre più in forze a ogni minuto che passava. La flebo di Ringer lattato aveva contribuito ad aumentare la pressione e a calmarle il mal di testa. Ora si stava riposando, seduta in sala da pranzo, dopo che le era stato tassativamente ordinato di rimanere tranquilla. Ma aveva i nervi a fior di pelle ed era sempre più in ansia per le sorti del fratello.

Dove sono finiti tutti? La squadra della Scientifica non era ancora arrivata e l'agente rimasto era sempre fuori a perlustrare la proprietà. Bellamy era stato lì con lei per un po', avvolto nella coperta isotermica, ma poi anche lui si era allontanato per cercare informazioni che avrebbero potuto aiutare la CIA a salvare Peter.

Non riuscendo più a stare ferma, Katherine si alzò in piedi e barcollando avanzò lentamente verso il soggiorno. Trovò Bellamy nello studio. L'architetto era in piedi di spalle davanti a un cassetto aperto e, a quanto pareva, era troppo concentrato sul suo contenuto per sentirla entrare.

Gli si avvicinò da dietro. «Warren?»

L'uomo ebbe un sussulto e si voltò, affrettandosi a chiudere il cassetto con il fianco. Aveva la faccia sconvolta per lo shock e il dolore e le guance rigate di lacrime.

«Che cosa c'è?» Katherine lanciò un'occhiata al cassetto. «Cos'hai trovato lì dentro?»

Sembrava che Bellamy non riuscisse a parlare. Aveva l'espressione di chi abbia appena visto qualcosa che non avrebbe voluto mai vedere.

«Cosa c'è nel cassetto?» chiese lei di nuovo.

Per qualche istante carico di angoscia, Bellamy la fissò con gli occhi pieni di lacrime, poi parlò. «Io e te ci chiedevamo perché... perché quest'uomo odiasse la tua famiglia.»

Katherine aggrottò la fronte. «Allora?»

«Be'...» La voce di Bellamy si incrinò. «Ho appena trovato la risposta.»


Nella sala all'ultimo piano della House of the Temple, in piedi davanti al grande altare, l'uomo che si era dato il nome Mal'akh si massaggiava delicatamente la cute vergine sulla sommità del capo. Verbum significatium, salmodiava in preparazione di ciò che lo attendeva. Verbum omnificum. Finalmente l'ultimo elemento era stato trovato.

I tesori più preziosi sono spesso i più semplici.

Sopra l'altare fluttuavano le volute profumate che si alzavano dall'incensiere. I fumi si arrampicavano sul raggio di luce della luna, aprendo un canale verso il cielo lungo il quale un'anima liberata avrebbe potuto viaggiare senza ostacoli.

Era arrivato il momento.

Mal'akh afferrò la fiala che conteneva il sangue di Peter e la stappò. Sotto lo sguardo del suo prigioniero, intinse la penna di corvo nel liquido cremisi e poi la avvicinò al sacro cerchio sulla propria testa. Rimase immobile per un momento, pensando a tutto il tempo trascorso in attesa di quella notte. La sua grandiosa trasformazione era ormai vicinissima. Quando la Parola perduta verrà scritta sulla mente dell'uomo, egli sarà pronto a ricevere un potere inimmaginabile. Era quella l'antica promessa dell'apoteosi. Fino a quel momento l'umanità non era stata in grado di adempiere a quella promessa, e Mal'akh aveva fatto tutto ciò che aveva potuto perché le cose restassero così.

Con mano ferma, posò il pennino sulla cute. Non aveva bisogno di uno specchio né di aiuto: gli bastavano il senso del tatto e l'occhio della sua mente. Con lentezza e diligenza, cominciò a tracciare la Parola perduta all'interno dell'uroboro sullo scalpo.

Peter Solomon guardava con un'espressione piena di orrore.

Conclusa l'operazione, Mal'akh chiuse gli occhi, posò la penna ed espirò tutta l'aria che aveva trattenuto nei polmoni. Provava una sensazione che non aveva mai sperimentato in tutta la sua vita.

Sono completo.

Sono intero.

Mal'akh aveva lavorato per anni sull'opera d'arte che era il suo corpo e ora, mentre si avvicinava il momento della trasformazione suprema, riusciva ad avvertire ogni linea tracciata sulla carne. Sono un autentico capolavoro. Perfetto e completo.

«Ti ho dato quello che volevi» si intromise la voce di Solomon. «Manda qualcuno ad aiutare Katherine. E blocca quel file.»

Mal'akh aprì gli occhi e sorrise. «Io e te non abbiamo ancora finito.» Si voltò verso l'altare e prese in mano il coltello sacrificale, passando un dito sulla lucida lama di ferro. «Questo coltello venne forgiato su ordine di Dio perché fosse usato in un sacrificio umano. Lo avevi riconosciuto, vero?»

Gli occhi grigi di Peter erano come pietre. «È un pezzo unico. E sono al corrente della leggenda.»

«Leggenda? Il racconto è nelle Sacre Scritture. Tu non credi che sia vero?»

Peter si limitò a fissarlo.

Mal'akh aveva speso una fortuna per rintracciare e poi per ottenere quell'oggetto. Noto come il "coltello dell'aqedah", era stato forgiato più di tremila anni prima utilizzando una meteorite ferrosa caduta sulla terra. Ferro dal cielo, come lo definivano gli antichi mistici. Si riteneva che quello fosse il coltello usato da Abramo nell'aqedah - il quasi sacrificio del figlio Isacco sul monte Moria -, così come descritto nella Genesi. Nella stupefacente storia di quell'arma figurava anche il possesso da parte di papi, mistici nazisti, alchimisti europei e collezionisti privati.

Loro lo proteggevano e lo ammiravano, pensò Mal'akh. Ma nessuno ha mai osato servirsene per il suo vero scopo, liberandone tutto il potere. Quella notte il coltello dell'aqedah avrebbe realizzato il suo destino.

L'aqedah era sempre stato considerato sacro nel rituale massonico. Al primissimo grado, i massoni celebravano "il più augusto dono mai offerto a Dio... la sottomissione di Abramo alla volontà dell'Essere Supremo con l'offerta di Isacco, il suo primogenito..."

Il peso della lama sulla mano dava una sensazione esaltante a Mal'akh, che si chinò e utilizzò il coltello, affilato da poco, per tagliare le corde che legavano Peter alla sedia a rotelle. I legacci caddero sul pavimento.

Peter Solomon fece una smorfia di dolore tentando di muovere gli arti anchilosati. «Perché mi stai facendo questo? Cosa pensi di ottenere?»

«Tu, fra tutti, dovresti capirlo» rispose Mal'akh. «Studi le antiche tradizioni. Sai che il potere dei misteri si basa sul sacrificio... sulla liberazione di un'anima dal corpo. E stato così fin dall'inizio.»

«Tu non sai niente di sacrificio» ribatté Peter, la voce che ribolliva di dolore e odio.

Eccellente, pensò Mal'akh. Alimenta il tuo odio, renderà tutto più facile.

Con lo stomaco che gorgogliava, prese a camminare davanti al suo prigioniero. «C'è un enorme potere nel versare sangue umano. Tutti se ne sono sempre resi conto, dagli antichi egizi ai druidi celtici, dai cinesi agli aztechi. C'è magia nel sacrificio umano, ma l'uomo moderno è diventato debole, troppo timoroso per compiere autentici sacrifici, troppo fragile per offrire quella vita che viene richiesta per la trasformazione spirituale. Eppure gli antichi testi sono chiari: solo offrendo ciò che è più sacro, l'uomo può raggiungere il potere definitivo.»

«E tu consideri me un'offerta sacra?»

Mal'akh scoppiò a ridere. «Non hai ancora capito, vero?»

Peter lo guardò confuso.

«Sai perché a casa mia ho una vasca di deprivazione sensoriale?» Mal'akh si mise le mani sui fianchi ed esibì il corpo dalle decorazioni elaborate, tuttora coperto solo dal perizoma. «Io mi sono allenato... preparato... in vista del momento in cui sarò solo mente... quando mi sarò liberato di questo guscio mortale... quando avrò offerto questo corpo stupendo in sacrificio agli dèi. Io sono il prezioso! Io sono l'agnello puro e bianco!»

La bocca di Solomon si spalancò, ma non ne uscì alcun suono.

«Sì, Peter: un uomo deve offrire agli dèi ciò che ha di più caro. La sua colomba bianca più pura... il suo omaggio più degno e prezioso. E tu non sei affatto prezioso per me. Tu non sei un'offerta degna.» Mal'akh fissò il suo prigioniero. «Non capisci? Non sei tu il sacrificio, Peter... sono io. Mia è la carne che deve essere offerta. Io sono il dono. Guardami: mi sono preparato, ho reso me stesso degno del mio ultimo viaggio. Io sono il dono!»

Peter era senza parole.

«Il segreto è come si muore» continuò Mal'akh. «I massoni se ne rendono conto.» Indicò l'altare. «Voi riverite le antiche verità e tuttavia siete dei codardi. Comprendete il potere del sacrificio, però vi tenete a distanza di sicurezza dalla morte, celebrando i vostri finti omicidi e innocui rituali di morte. Questa sera il tuo altare simbolico sarà testimone del suo vero potere... e del suo più autentico scopo.»

Mal'akh si chinò, afferrò la mano sinistra di Peter Solomon e gli premette sulla palma il manico del coltello. La mano sinistra è al servizio del buio. Anche quel particolare era stato programmato. Solomon non avrebbe avuto scelta. Mal'akh non riusciva a immaginare sacrificio più potente e simbolico di quello che sarebbe stato celebrato su quell'altare, da quell'uomo, con quel coltello conficcato nel cuore di un'offerta la cui carne mortale era avvolta come un dono in un sudario di simboli mistici.

Con quell'offerta di sé, Mal'akh avrebbe stabilito il suo rango nella gerarchia dei demoni. Il vero potere era nel buio e nel sangue. Gli antichi lo sapevano e gli adepti sceglievano da che parte schierarsi a seconda della propria natura individuale. Mal'akh aveva scelto con saggezza. Il caos era la legge naturale dell'universo. L'indifferenza il motore dell'entropia. E l'apatia dell'uomo rappresentava il terreno fertile nel quale gli spiriti dell'oscurità coltivavano i semi che avevano piantato.

Io li ho serviti e loro mi accoglieranno come un dio.

Immobile, Peter fissava il coltello che stringeva nella mano

«Io te lo impongo» disse Mal'akh. «Io sono la vittima volontaria del sacrificio. Il tuo ruolo finale è stato scritto. Tu mi trasformerai. Mi libererai dal mio corpo. Lo farai, oppure perderai tua sorella. E anche la tua fratellanza. Resterai davvero solo.» Fece una pausa, sorridendo al suo prigioniero. «Considerala la tua punizione conclusiva.»

Peter alzò lentamente lo sguardo fino a incontrare quello di Mal'akh. «Uccidere te una punizione? E tu credi che esiterò? Hai ammazzato mio figlio. Mia madre. Tutta la mia famiglia.»

«No!» Mal'akh esplose con una violenza che sorprese perfino lui stesso. «Ti sbagli! Non sono stato io a uccidere la tua famiglia! Sei stato tu! Sei stato tu a decidere di lasciare Zachary in prigione! Ed è stato in quel momento che tutto si è messo in moto. Tu hai ucciso la tua famiglia, Peter, non io!»

Solomon stringeva il coltello con tale rabbia che le nocche erano diventate bianche. «Tu non sai niente del perché ho lasciato Zachary in prigione.»

«Io so tutto! Io c'ero. Dicevi che volevi aiutarlo. Stavi cercando di aiutarlo quando gli hai chiesto di scegliere tra ricchezza e saggezza? Stavi cercando di aiutarlo quando gli hai dato l'ultimatum perché entrasse nella massoneria? Che razza di padre è quello che costringe il figlio a scegliere tra "ricchezza e saggezza" e si aspetta che lui sappia decidere? Che razza di padre è quello che lascia suo figlio in galera invece di riportarlo a casa al sicuro?» Mal'akh si piazzò davanti a Peter, si chinò e avvicinò la faccia tatuata a pochi centimetri da quella del suo prigioniero. «Ma, soprattutto, che razza di padre è quello che può guardare suo figlio negli occhi... anche se dopo tanti anni... senza riconoscerlo?»

Le parole di Mal'akh echeggiarono a lungo nella sala di pietra.

Poi, silenzio.

In quella quiete improvvisa, Peter Solomon sembrò riscuotersi di colpo dalla sua trance. Il viso ora era congelato in un'espressione di assoluta incredulità.

Sì, padre. Sono io. Erano anni che Mal'akh aspettava quel momento... per vendicarsi dell'uomo che lo aveva abbandonato... per guardare in quegli occhi grigi e affermare la verità che era rimasta sepolta per tutti quegli anni. Adesso il momento era arrivato, e Mal'akh parlò con lentezza, ansioso di vedere l'anima di Peter Solomon schiacciata a poco a poco dal peso delle sue parole. «Dovresti essere felice, padre. Il tuo figliol prodigo è tornato.»

Il viso di Solomon era di un pallore cadaverico.

Mal'akh assaporava ogni istante. «È stato il mio stesso padre a decidere di lasciarmi in prigione... e in quell'istante ho giurato a me stesso che sarebbe stata l'ultima volta che mi respingeva. Non ero più suo figlio. Zachary Solomon non esisteva più.»

Due lacrime scintillanti riempirono gli occhi di Peter, e Mal'akh pensò che erano la cosa più bella che avesse mai visto.

Peter ricacciò indietro le lacrime e guardò il viso di Mal'akh come se lo vedesse per la prima volta.

«Tutto ciò che voleva il direttore del carcere era denaro» continuò Mal'akh. «Ma tu hai rifiutato di darglielo. Però non ti è mai passato per la mente che i miei dollari erano verdi esattamente come i tuoi. E al direttore non interessava da chi li avrebbe avuti, gli importava solo essere pagato. Quando gli ho offerto una grossa cifra, lui ha scelto un detenuto malato più o meno della mia corporatura, gli ha fatto indossare i miei vestiti e lo ha pestato fino a renderlo irriconoscibile. Le fotografie che hai visto... e la bara sigillata che hai sepolto... non erano mie. Erano di un estraneo.»

La faccia di Peter, rigata di lacrime, si contorse in una smorfia di angoscia e di incredulità. «Oh, mio Dio... Zachary.»

«Non più. Quando Zachary è uscito da quella prigione, era già trasformato.»

Aveva riempito il suo giovane corpo di anabolizzanti e di ormoni della crescita mutando drasticamente il suo fisico da adolescente e il viso infantile. Perfino le corde vocali si erano modificate, rendendo la sua voce di ragazzo un costante sussurro.

Zachary era diventato Andros.

Andros era diventato Mal'akh.

E quella sera... Mal'akh si sarebbe evoluto nella sua incarnazione più gloriosa.


In quel momento, a Kalorama Heights, Katherine Solomon era in piedi davanti al cassetto aperto della scrivania e osservava ciò che poteva essere descritto solo come una collezione feticista di fotografie e vecchi articoli di giornali.

«Non capisco» disse voltandosi verso Bellamy. «Questo pazzo evidentemente era ossessionato dalla mia famiglia, ma...»

«Continua a guardare» la sollecitò Bellamy mettendosi a sedere. Sembrava ancora molto scosso.

Katherine frugò tra gli articoli, tutti relativi alla famiglia Solomon: i numerosi successi di Peter, le ricerche che lei stava svolgendo, il terribile omicidio della madre Isabel, l'uso di droghe di Zachary Solomon, ampiamente pubblicizzato, e il brutale omicidio del ragazzo in un carcere turco.

La fissazione di quell'uomo per la famiglia Solomon andava oltre il fanatismo, e tuttavia Katherine non vedeva nulla che potesse suggerirle il perché.

Fu in quel momento che vide le fotografie. Nella prima Zachary era al mare, nell'acqua azzurra che gli arrivava al ginocchio, in una spiaggia punteggiata di case imbiancate a calce. Grecia? Quella foto, pensò Katherine, poteva essere stata scattata solo durante i giorni della droga di Zach in Europa. Stranamente, però, suo nipote sembrava più sano di quanto fosse apparso negli scatti dei paparazzi, che mostravano un ragazzo emaciato che si godeva lo sballo con la sua combriccola di drogati. Qui Zach sembrava più in forma, in un certo senso più forte, più maturo. Katherine non ricordava di averlo mai visto con un aspetto così sano.

Perplessa, notò la data sulla foto.

Ma... è impossibile.

La fotografia risaliva a quasi un anno dopo la morte di Zachary in carcere.

Katherine cominciò a frugare disperatamente nel mucchio. Le immagini erano tutte di Zachary Solomon... sempre più adulto. La collezione sembrava essere una specie di autobiografia fotografica, la cronaca di una lenta trasformazione. Gli scatti andavano avanti nel tempo, e a un certo punto Katherine notò un mutamento graduale e spettacolare. Guardò con orrore il corpo di suo nipote che cominciava a cambiare, i muscoli che si gonfiavano, i lineamenti del viso che si modificavano per l'evidente uso massiccio di anabolizzanti. La mole del corpo appariva raddoppiata e negli occhi si era insinuata una ferocia ossessiva.

Non riesco a riconoscere quest'uomo!

Un uomo che non aveva nulla di ciò che ricordava del suo giovane nipote.

Quando arrivò alla fotografia in cui Zach compariva con la testa rasata, sentì che le ginocchia cominciavano a cederle. Poi vide l'immagine del corpo nudo... decorato con le prime tracce di tatuaggi.

Il cuore quasi le si fermò. «Oh, mio Dio...»


«Svolti a destra!» gridò Langdon dal sedile posteriore del suv Lexus requisito.

Simkins si immise in S Street e spinse l'auto a tutta velocità attraverso un quartiere residenziale dalle strade alberate. Quando furono quasi all'incrocio con Sixteenth Street, la House of the Temple si stagliò sulla destra come una montagna.

Simkins alzò gli occhi su quella struttura massiccia: faceva pensare a una piramide costruita in cima al colonnato del Pantheon di Roma. L'agente fece per girare a destra nella Sixteenth, in direzione della facciata del palazzo.

«No!» ordinò Langdon. «Vada dritto! Resti sulla S!»

Simkins obbedì e continuò lungo il lato est dell'edificio.

«Quando arriviamo alla Fifteenth, volti a destra!»

L'agente seguì le indicazioni del suo navigatore e, qualche istante dopo, Langdon gli aveva già mostrato la strada d'accesso, non asfaltata e quasi invisibile, che tagliava a metà il giardino dietro la House of the Temple. Simkins si immise nel sentiero e puntò a tutta velocità verso il retro del palazzo.

«Guardi!» esclamò Langdon indicando un solitario veicolo accanto all'entrata posteriore. Si trattava di un grosso furgone. «Sono qui.»

Simkins fermò il SUV e spense il motore. In silenzio, scesero dal veicolo e si prepararono a entrare. L'agente alzò gli occhi sulla struttura monolitica. «Ha detto che la Sala del Tempio è su in cima?»

Langdon annuì, indicando il pinnacolo dell'edificio.

«Quell'area piatta sulla sommità della piramide in realtà è un lucernario.»

Simkins si voltò di scatto. «Nella Sala del Tempio c'è un lucernario?»

Langdon lo guardò perplesso. «Naturalmente. Un occhio sul cielo... proprio sopra l'altare.»

Il Sikorsky se ne stava immobile con il motore acceso in Dupont Circle.

Sul sedile del passeggero, Sato si mangiava le unghie e aspettava notizie dalla sua squadra.

Finalmente, la voce di Simkins gracchiò dalla radio: «Direttore?».

«Sì, parla Sato.»

«Stiamo entrando nell'edificio, ma ho un'altra notizia per lei.»

«Dimmi.»

«Il professor Langdon mi ha appena informato che nella sala in cui probabilmente si trova il nostro obiettivo c'è un lucernario di grandi dimensioni.»

Sato rifletté per diversi secondi su quell'indicazione. «Ricevuto. Grazie.»

Simkins chiuse la comunicazione.

Sato sputò un'unghia e si voltò verso il pilota: «Portami su».


Come qualsiasi genitore che abbia perso un figlio, Peter Solomon aveva spesso immaginato come sarebbe stato il suo ragazzo a quell'età... che aspetto avrebbe avuto... e cosa sarebbe diventato.

Adesso aveva tutte le risposte.

La massiccia creatura tatuata davanti a lui aveva iniziato la propria vita come un minuscolo, prezioso neonato... poi il piccolo Zach rannicchiato nella culla di vimini... Zach che faceva i primi passi incerti nello studio di Peter... Zach che imparava a pronunciare le prime parole. Il fatto che il male potesse scaturire da un bimbo innocente cresciuto in una famiglia affettuosa restava uno dei paradossi dell'animo umano.

Da molto tempo ormai Solomon era stato costretto ad accettare l'idea che, nonostante nelle vene di Zachary scorresse il suo stesso sangue, il cuore che pompava quel sangue era soltanto di suo figlio. Unico e irripetibile... come scelto a caso nell'universo.

Mio figlio... ha ucciso mia madre, ha ucciso il mio amico Robert e forse ha ucciso anche mia sorella.

Sentì il cuore pervaso da una gelida insensibilità mentre cercava negli occhi del figlio un contatto qualsiasi... qualcosa di familiare. Ma gli occhi di quell'uomo, anche se grigi come i suoi, erano gli occhi di uno sconosciuto, pieni di un odio e di un desiderio di vendetta quasi ultraterreni.

«Sei abbastanza forte?» domandò Mal'akh guardando il coltello dell'aqedah che Peter stringeva nella mano. «Sei in grado di finire ciò che hai cominciato tanti anni fa?»

«Figlio mio...» Solomon quasi non riconosceva la propria voce. «Io... io ti volevo bene.»

«Tu hai cercato di uccidermi per ben due volte. Mi hai abbandonato in prigione. Mi hai sparato sul ponte di Zach. Adesso finisci quello che hai iniziato!»

Per un istante Solomon ebbe la sensazione di fluttuare al di fuori del proprio corpo. Non si riconosceva più. Era privo di una mano e completamente calvo, indossava una veste nera, sedeva su una sedia a rotelle e impugnava un coltello antico.

«Finiscimi!» gridò di nuovo l'uomo, facendo increspare i tatuaggi sul petto nudo. «L'unico modo per salvare Katherine è uccidere me... l'unico modo per salvare la tua fratellanza!»

Lo sguardo di Solomon si spostò sul laptop e sul modem cellulare sulla poltrona di pelle di cinghiale.

INVIO MESSAGGIO: 92% COMPLETATO


Non riusciva a scacciare dalla mente l'immagine di Katherine che si dissanguava... e il pensiero dei suoi fratelli massoni.

«Sei ancora in tempo» sussurrò Mal'akh. «Tu sai che è l'unica scelta possibile. Liberami dal mio guscio mortale.»

«Ti prego... non farmi...»

«Sei stato tu a fare tutto!» sibilò l'uomo. «Tu hai costretto tuo figlio a una scelta impossibile! Ricordi quella sera? Ricchezza o saggezza? è stato quello il momento in cui mi hai allontanato per sempre. Ma io sono tornato, padre... e questa sera tocca a te scegliere. Zachary o Katherine? Quale dei due? Ucciderai tuo figlio per salvare tua sorella? Ucciderai tuo figlio per salvare la tua fratellanza? Il tuo paese? Oppure aspetterai finché sarà troppo tardi? Finché Katherine sarà morta... finché il video verrà diffuso... finché dovrai vivere il resto della tua vita sapendo che avresti potuto impedire queste tragedie? Il tempo sta per scadere. Tu sai cosa devi fare.»

Il cuore di Peter era stretto in una morsa di dolore. Tu non sei Zachary, si disse. Zachary è morto molto, molto tempo fa. Chiunque tu sia... e da qualunque luogo tu provenga... non sei parte di me. Sebbene non credesse nemmeno lui alle sue stesse parole, Peter Solomon sapeva di dover compiere una scelta.

Ormai non c'era più tempo.

Trova la Grande Scalinata!

Robert Langdon sfrecciava lungo i corridoi in penombra diretto verso il centro dell'edificio, seguito da vicino da Turner Simkins. Come aveva sperato, si ritrovò di colpo nell'atrio principale del palazzo.

Dominato da otto colonne doriche di granito verde, l'atrio faceva pensare a un sepolcro - un ibrido greco-romano-egizio -con statue di marmo nero, lampadari a forma di braciere, croci teutoniche, medaglioni con la fenice bicefala e candelabri a muro con la testa di Ermes.

Langdon si voltò e corse verso la scalinata di marmo in fondo all'atrio. «Porta direttamente alla Sala del Tempio» sussurrò a Simkins, mentre salivano insieme il più in fretta e silenziosamente possibile.

Arrivati al primo pianerottolo, Langdon si ritrovò faccia a faccia con il busto in bronzo dell'eminente massone Albert Pike e con la sua frase più famosa, incisa sul piedistallo:

CIÒ CHE ABBIAMO FATTO SOLO PER NOI STESSI MUORE CON NOI.
CIÒ CHE ABBIAMO FATTO PER GLI ALTRI E PER IL MONDO RESTA ED È IMMORTALE


Mal'akh aveva percepito un cambiamento palpabile nell'atmosfera della Sala del Tempio, come se le frustrazioni e i dolori provati da Peter Solomon in tutta la sua vita adesso stessero salendo ribollenti in superficie... per concentrarsi come un raggio laser su di lui.

Sì... è l'ora.

Peter Solomon si era alzato dalla sedia a rotelle e adesso era in piedi con il coltello in pugno, rivolto verso l'altare.

«Salva Katherine» lo sollecitò suadente Mal'akh camminando all'indietro fino all'altare, dove poi si distese sul sudario bianco che aveva predisposto. «Fai ciò che è necessario.»

Come muovendosi in un incubo, Peter avanzò lentamente.

Mal'akh si adagiò sulla schiena e, attraverso il lucernario, guardò la fredda luna invernale. Il segreto è come si muore. Il momento non avrebbe potuto essere più perfetto. Adorno della Parola perduta dei secoli, io offro me stesso tramite la mano sinistra di mio padre.

Fece un respiro profondo.

Accoglietemi demoni, perché questo è il mio corpo, ed è il mio corpo che vi viene offerto.

In piedi accanto a Mal'akh, Peter Solomon stava tremando. Gli occhi gonfi di lacrime luccicavano di disperazione, di indecisione e di angoscia. Lanciò un ultimo sguardo al modem e al laptop sull'altro lato della sala.

«Deciditi» gli sussurrò Mal'akh. «Liberami dalla carne. Dio lo vuole. Tu lo vuoi.» Distese le braccia lungo i fianchi e arcuò il corpo per offrire il petto e la sua magnifica fenice a due teste. Aiutami a liberarmi del corpo che riveste la mia anima.

Con gli occhi pieni di lacrime, Peter adesso sembrava guardare attraverso Mal'akh, senza neppure vederlo.

«Io ho ucciso tua madre. Ho ucciso Robert Langdon. Sto uccidendo tua sorella e distruggendo la tua fratellanza! Fai quello che devi!»

Il viso di Peter Solomon si contorse in una maschera di dolore e rimorso. Gettò indietro la testa e, mentre alzava il coltello, liberò un urlo di angoscia.


Robert Langdon e l'agente Simkins arrivarono senza fiato davanti alla porta della Sala del Tempio nel preciso istante in cui all'interno risuonava un grido raccapricciante. Era la voce di Peter. Langdon ne era certo.

L'urlo di Solomon era di assoluta agonia.

Sono arrivato troppo tardi!

Ignorando Simkins, Langdon afferrò le maniglie e spalancò le porte. La scena orribile che si trovò davanti gli confermò le sue peggiori paure. Al centro della sala fiocamente illuminata, accanto al grande altare, si stagliava la sagoma di un uomo dalla testa rasata. Indossava una veste nera e impugnava un grosso coltello.

Prima che Langdon potesse muoversi, l'uomo stava già calando il coltello sul corpo disteso sull'altare.


Mal'akh aveva chiuso gli occhi.

Così bello. Così perfetto.

L'antica lama dell'aqedah aveva scintillato al chiarore della luna mentre si alzava tracciando un arco sopra di lui. E nell'aria si erano sollevate a spirale volute di fumo profumato, aprendo un sentiero per la sua anima che di lì a poco sarebbe stata liberata. Il grido di tormento e disperazione del suo uccisore stava ancora echeggiando nello spazio consacrato quando il coltello si abbassò.

Sono imbrattato del sangue di un sacrificio umano e delle lacrime del padre.

Mal'akh si irrigidì nell'attesa dell'impatto glorioso.

Il momento della trasformazione era arrivato.

Incredibilmente, non provò alcun dolore.

Una vibrazione tonante gli scosse il corpo, profonda e assordante. La sala iniziò a tremare e una splendente luce bianca lo accecò dall'alto. I cieli ruggivano.

E Mal'akh comprese che era accaduto.

Esattamente come aveva programmato.


Langdon non ricordava di essere scattato verso l'altare nello stesso momento in cui compariva l'elicottero sopra la sua testa. Né ricordava di essersi lanciato in avanti con le braccia tese... scagliandosi verso l'uomo con la veste nera... cercando disperatamente di gettarlo a terra prima che potesse calare il coltello una seconda volta.

I corpi si scontrarono mentre una luce abbagliante attraversava il lucernario e si riversava sull'altare. Langdon si era aspettato di vedervi il corpo insanguinato di Peter Solomon, ma il petto nudo che sembrava risplendere alla luce non era affatto coperto di sangue... bensì da un arazzo di tatuaggi. Accanto all'uomo c'era il coltello, spezzato: a quanto pareva, non era stato conficcato nella carne, ma calato con forza sull'altare di pietra.

Mentre crollava insieme all'uomo in nero sul duro pavimento, Langdon notò il moncherino bendato all'estremità del braccio destro e si rese conto con stupore di avere appena placcato Peter Solomon.

I due scivolarono insieme per terra, illuminati dall'alto dai fari accecanti dell'elicottero che si abbassò tuonando, i pattini che quasi sfioravano la grande lastra di vetro.

Sul muso dell'elicottero ruotò una specie di mitra dall'aspetto strano, che poi puntò in basso attraverso il vetro. Il raggio rosso del mirino laser penetrò attraverso il lucernario e danzò sul pavimento, direttamente verso Langdon e Solomon.

No!

Ma dall'alto non arrivò alcun colpo d'arma da fuoco... solo il rumore delle pale dell'elicottero.

Langdon non sentì niente, a eccezione di un inspiegabile rivolo di energia che sembrò pervadergli tutte le cellule del corpo. Dietro di lui, sulla poltrona di pelle di cinghiale, il laptop emise un sibilo strano. Si voltò appena in tempo per vedere lo schermo diventare improvvisamente nero. Purtroppo, l'ultimo messaggio visibile era stato molto chiaro.

INVIO MESSAGGIO: 100% COMPLETATO


Tirati su! Maledizione! Vai su!

Il pilota del Sikorsky spinse i rotori in overdrive, cercando di evitare che i pattini toccassero un punto qualsiasi del grande lucernario. Sapeva che i duemilasettecento chili della spinta di sollevamento provocata dai rotori stavano già sollecitando il vetro fin quasi al punto di rottura. Sfortunatamente l'inclinazione della piramide sottostante deviava di lato la spinta, riducendo la capacità di sollevamento del velivolo.

Vai su! Ora!

Il pilota inclinò il muso dell'elicottero cercando di allontanarsi, ma il pattino sinistro colpì il centro del vetro. Solo per un istante, però fu più che sufficiente.

Il massiccio lucernario della Sala del Tempio esplose in un turbine di vetri e vento... riversando una cascata di frammenti taglienti nella stanza sottostante.


Stelle che cadono dal cielo.

Mal'akh, che fissava quella bella luce bianca, vide un velo di gioielli scintillanti fluttuare verso di lui... sempre più velocemente... quasi precipitandosi per avvolgerlo nel loro splendore.

Poi, all'improvviso, ci fu dolore.

Ovunque.

Pugnalate. Tagli. Squarci. Coltelli affilati come rasoi che penetravano nella carne. Nel petto, nel collo, nelle cosce, in faccia. Il corpo si irrigidì di colpo, cercando di ritrarsi. Piena di sangue, la bocca urlò per il dolore che stava strappando a forza l'uomo dalla sua trance. Poi la luce bianca si trasformò e d'un tratto, come per magia, sopra dì lui si materializzò un elicottero le cui pale ruggenti spingevano un vento freddo in basso, nella Sala del Tempio, raggelandolo fino al midollo e disperdendo le volute di incenso agli angoli della stanza.

Mal'akh voltò la testa e vide di fianco a sé il coltello dell'aqedah spezzato, frantumato sull'altare di marmo, ora coperto da un lenzuolo di vetri infranti. Perfino dopo tutto quello che gli ho fatto... Peter Solomon ha deviato il coltello. Si è rifiutato di versare il mio sangue.

Con crescente orrore, Mal'akh sollevò la testa e si guardò il corpo, quell'opera d'arte vivente che avrebbe dovuto essere la sua grande offerta. Era rovinata, a brandelli, fradicia di sangue, e dalla carne spuntavano enormi pezzi di vetro.

Posò di nuovo il capo sull'altare e guardò attraverso l'apertura nel tetto. L'elicottero se n'era andato. Al suo posto c'era solo una luna silenziosa e fredda.

Con gli occhi sbarrati, Mal'akh boccheggiava, respirando a fatica... tutto solo sul grande altare.


Il segreto è come si muore.

Mal'akh sapeva che era andato tutto storto. Nessuna luce splendente. Nessuna accoglienza stupefacente. Solo oscurità e un dolore lancinante. Dolore anche negli occhi. Non riusciva a vedere nulla, però percepiva movimento intorno a sé. C'erano voci... voci umane... una delle quali, incredibilmente, apparteneva a Robert Langdon. Com'è possibile?

«Sta bene» continuava a ripetere Langdon. «Katherine sta bene, Peter. è tutto okay.»

No, pensò Mal'akh. Katherine è morta. Non può essere viva.

Mal'akh non vedeva più e non era neppure in grado di dire se i suoi occhi fossero aperti o chiusi, comunque sentì l'elicottero allontanarsi. Una calma improvvisa scese sulla Sala del Tempio. Lui aveva la sensazione che i ritmi armoniosi della terra stessero diventando irregolari... come se una tempesta sempre più violenta turbasse le naturali maree dell'oceano.

Chao ab ordo.

C'erano anche voci sconosciute che gridavano e parlavano in tono concitato con Langdon del laptop e del file video. È troppo tardi, Mal'akh lo sapeva. Il danno è stato fatto. Ormai il video si stava diffondendo come un incendio incontrollato, raggiungendo ogni angolo di un mondo scioccato e distruggendo il futuro della fratellanza. Coloro che più sono in grado di divulgare la saggezza devono essere distrutti. Era l'ignoranza dell'umanità a favorire il caos. Ed era l'assenza della Luce sulla terra a nutrire le Tenebre che attendevano Mal'akh.

Ho compiuto azioni grandiose e presto verrò accolto come un re.

Mal'akh percepì la presenza di una persona che gli si era avvicinata in silenzio. Sapeva chi era: sentiva il profumo delle essenze sacre che aveva frizionato sul corpo depilato di suo padre.

«Non so se puoi sentirmi» gli sussurrò all'orecchio Peter Solomon. «Ma voglio che tu sappia una cosa.» Sfiorò con un dito il cerchio consacrato al centro del cranio di Mal'akh. «Ciò che hai tracciato qui...» Fece una pausa. «Non è la Parola perduta.»

Certo che lo è, pensò Mal'akh. Mi hai convinto della sua autenticità al di là di ogni dubbio.

In base alla leggenda, la Parola perduta era scritta in una lingua talmente antica e arcana che l'umanità aveva dimenticato come decifrarla. Quel misterioso linguaggio, aveva rivelato Peter, era in effetti il più antico del mondo.

Il linguaggio dei simboli.

Nell'idioma dei simboli, uno solo regnava sovrano sopra ogni altro. Era il più antico e il più universale e fondeva tutte le antiche tradizioni in un'unica immagine; rappresentava l'illuminazione del dio sole egizio, il trionfo dell'oro alchemico, la saggezza della pietra filosofale, la purezza della rosa dei rosacroce, il momento della creazione, il Tutto, il dominio del sole astrologico e, addirittura, l'occhio onnisciente che, sospeso sopra la piramide incompiuta, tutto vede.

Il punto cerchiato. Il simbolo della Fonte. L'origine di tutte le cose.

Era questo che Mal'akh si era sentito spiegare da Peter pochi minuti prima. All'inizio era stato scettico, ma poi aveva guardato di nuovo la griglia e si era reso conto che l'immagine della piramide puntava direttamente a quel simbolo solitario: un cerchio con un punto al centro. La piramide massonica è una mappa, aveva pensato Mal'akh ricordando la leggenda, una mappa che indica la Parola perduta. A quanto pareva, suo padre dopotutto gli stava dicendo la verità.

Tutte le grandi verità sono semplici.

La Parola perduta non è una parola... è un simbolo.

Con impazienza, Mal'akh aveva tracciato il simbolo grandioso del punto cerchiato sul proprio cranio e, mentre lo faceva, aveva avvertito crescere dentro di sé un senso di potere e di soddisfazione. Il mio capolavoro e la mia offerta sono completi.

Adesso le forze delle Tenebre lo stavano aspettando. Sarebbe stato ricompensato per il suo lavoro. Quello sarebbe stato il suo momento di gloria...

Invece, all'ultimo istante, era andato tutto terribilmente storto.

Ancora dietro di lui, Peter gli stava sussurrando in quel momento parole di cui riusciva a malapena ad afferrare il significato. «Ti ho mentito» gli stava dicendo. «Non mi hai lasciato scelta. Se ti avessi rivelato la vera Parola perduta, non mi avresti creduto. E non avresti capito.»

La Parola perduta... non è il punto cerchiato?

«La verità» riprese Solomon «è che la Parola perduta è nota a tutti... ma viene riconosciuta solo da pochissimi.»

Le parole echeggiarono nella mente di Mal'akh.

«Sei ancora incompleto» proseguì Peter posando delicatamente la mano sulla testa di suo figlio. «Il tuo lavoro non è finito. Ma, ovunque tu stia andando, sappi che... sei stato amato.»

Per qualche ragione, a Mal'akh sembrò che il tocco gentile della mano di suo padre gli bruciasse in tutto il corpo, come un potente catalizzatore che avesse scatenato una reazione chimica all'interno dell'organismo. Poi, senza alcun segno premonitore, Mal'akh sentì un'ondata di energia rovente sollevarsi dentro di sé e superare il suo involucro fisico, come se ogni cellula del corpo si stesse dissolvendo.

In un istante, tutto il suo dolore terreno svanì.

Trasformazione. Sta avvenendo.


Sto guardando me stesso dall'alto, un ammasso di carne sanguinolenta sulla sacra lastra di pietra. Mio padre è inginocchiato dietro di me e mi tiene la testa con l'unica mano che gli resta.

Provo una rabbia crescente... e confusione.

Questo non è il momento della compassione... è il momento della vendetta, della trasformazione... e tuttavia mio padre rifiuta ancora di sottomettersi, rifiuta di adempiere al suo ruolo, rifiuta di convogliare tutta la sua rabbia e il suo dolore nella lama del coltello e poi dentro il mio cuore.

Sono intrappolato qui, sospeso... vincolato da un filo al mio involucro terreno.

Mio padre mi passa la mano sul viso per chiudermi gli occhi spenti.

Sento spezzarsi il filo che mi trattiene.

Intorno a me si materializza un velo agitato dal vento che indebolisce e offusca la luce, nascondendo il mondo alla vista. D'improvviso il tempo accelera e io sprofondo in un abisso buio, più buio di quanto abbia mai ritenuto possibile. Qui, in questo nulla spoglio, sento un sussurro... percepisco una forza sempre più intensa. Diventa via via più potente, a un ritmo spaventoso, e mi circonda. Sinistra e possente. Oscura e dominatrice.

Non sono da solo qui.

Questo è il mio trionfo, è la grande accoglienza che mi deve essere riservata. Eppure, per qualche ragione, non mi sento colmo di gioia, bensì di una paura infinita.

Non è affatto come mi aspettavo.

La forza adesso sta come ribollendo e vortica intorno a me con una violenza tale che minaccia di farmi a pezzi. Di colpo, senza alcun preavviso, il buio si coagula in una sorta di enorme bestia preistorica e si rizza sulle zampe posteriori davanti a me

Sono di fronte a tutte le anime buie che se ne sono andate prima di me.

Sto gridando il mio terrore infinito... mentre l'oscurità mi inghiotte completamente.


Il reverendo Galloway avvertì uno strano cambiamento nell'aria all'interno della cattedrale. Non sapeva bene perché, però aveva la sensazione che un'ombra spettrale si fosse dissolta... che un peso fosse stato sollevato ed eliminato... da qualche parte, lontano, ma anche lì nella chiesa. Seduto alla scrivania, rimase immerso nei suoi pensieri. Non avrebbe saputo dire quanti minuti fossero passati quando squillò il telefono. Era Warren Bellamy.

«Peter è vivo» gli annunciò il fratello massone. «Ho appena appreso la notizia. Ero certo che volessi saperlo subito. Sta bene.»

«Grazie a Dio.» Galloway sospirò sollevato. «Dov'è ora?»

Il decano ascoltò lo straordinario racconto di ciò che era successo dopo che Bellamy e gli altri se ne erano andati dal Cathedral College.

«Ma state tutti bene?»

«Sì, ci stiamo riprendendo» rispose Bellamy «C'è una cosa, però...» Fece una pausa.

«Sì?»

«La piramide massonica... forse Langdon l'ha risolta.»

Il decano non potè fare a meno di sorridere. Per una qualche ragione, non era sorpreso. «E dimmi: Langdon ha scoperto se la piramide ha mantenuto la sua promessa? Ha rivelato ciò che, secondo la leggenda, doveva rivelare?»

«Non lo so ancora.»

Lo rivelerà, pensò Galloway. «Adesso hai bisogno di riposare.»

«Anche tu» disse Bellamy

No, io ho bisogno di pregare.


Le porte dell'ascensore si aprirono sulla Sala del Tempio, illuminata a giorno.

Nonostante si sentisse ancora le gambe deboli e insicure, Katherine Solomon si precipitò a cercare suo fratello. Nell'enorme salone l'aria era fredda e odorava di incenso. La scena che le si presentò davanti agli occhi la immobilizzò di colpo.

Al centro della sala sontuosa, sopra un basso altare di pietra, giaceva un cadavere tatuato, sporco di sangue e trafitto da schegge di vetro. In alto, nel soffitto, una voragine si apriva sul cielo.

Mio Dio. Katherine distolse immediatamente lo sguardo e riprese a cercare Peter. Lo vide seduto all'altro lato della sala: stava parlando con Langdon e il direttore Sato, mentre un medico gli prestava le prime cure.

«Peter!» lo chiamò correndo verso di lui. «Peter!»

Suo fratello alzò gli occhi e l'espressione del viso si distese, sollevata. Scattò subito in piedi per andarle incontro. Indossava una semplice camicia bianca e un paio di pantaloni scuri, capi che probabilmente qualcuno era andato a prendere nel suo ufficio al piano di sotto. Il braccio destro era infilato in una benda triangolare e l'abbraccio tra i due fratelli risultò un po' goffo. Katherine quasi non se ne accorse. Una sensazione familiare di sicurezza e conforto l'avvolse in un guscio protettivo, come accadeva sempre, fin dall'infanzia, quando suo fratello maggiore la stringeva.

Rimasero lì abbracciati in silenzio.

Poi Katherine mormorò: «Stai bene? Cioè... bene sul serio?». Si staccò dal fratello, guardò la benda e poi la fasciatura dove un tempo c'era stata la mano destra. Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Mi dispiace.»

Peter alzò le spalle, come se la cosa non avesse importanza. «è solo carne mortale. Il corpo non dura per sempre. La cosa importante è che tu stia bene.»

La semplice risposta di Peter riempì Katherine di un'emozione profonda, ricordandole tutti i motivi per cui voleva così bene a suo fratello. Gli accarezzò la testa, avvertendo i legami indissolubili della famiglia... il sangue comune che scorreva nelle loro vene.

Katherine, però, non poteva ignorare la tragica presenza di un terzo Solomon in quella sala. Il cadavere sull'altare attirò di nuovo la sua attenzione e lei rabbrividì cercando di non pensare alle foto che aveva visto.

Distolse lo sguardo e incontrò quello di Robert Langdon. Lesse compassione in quegli occhi, profonda e sensibile, quasi che lui avesse capito perfettamente cosa stava pensando. Peter sa. Katherine si sentì sopraffare da emozioni violente: sollievo, pietà, disperazione. Sentì anche che il corpo di suo fratello cominciava a tremare come quello di un bambino. Era qualcosa a cui non aveva mai assistito in vita sua.

«Lasciati andare» sussurrò. «Non c'è niente di male. Sfogati.»

Il tremito di Peter si fece più accentuato.

Katherine lo abbracciò di nuovo e gli accarezzò la nuca. «Peter, sei sempre stato tu il più forte... c'eri sempre quando mi trovavo in difficoltà. Questa volta, invece, sei tu ad avere bisogno di me. Va tutto bene. Io sono qui.»

Katherine appoggiò delicatamente la testa di suo fratello sulla propria spalla... e il grande Peter Solomon scoppiò a piangere tra le sue braccia.


Il direttore Sato si allontanò per rispondere a una telefonata.

Era Nola Kaye. E le sue notizie, una volta tanto, erano buone.

«Ancora nessun segnale di diffusione, capo.» La giovane sembrava ottimista. «Sono convinta che ormai avremmo visto qualcosa. Sembra proprio che lei sia riuscita a contenere i danni.»

Grazie a te, Nola, pensò Sato abbassando gli occhi sul laptop che Langdon aveva visto completare la trasmissione. Ci è mancato un pelo.

Dietro suggerimento di Nola, l'agente che aveva perquisito l'abitazione a Kalorama Heights aveva controllato anche i bidoni dei rifiuti e aveva trovato l'imballo di un modem cellulare, acquistato di recente. Avendo in mano l'esatto numero di modello, Nola era riuscita a effettuare una ricerca sulle celle per individuare il più probabile nodo d'accesso del laptop: un piccolo trasmettitore all'angolo tra Sixteenth Street e Corcoran Street, a tre isolati dalla House of the Temple.

Nola aveva immediatamente trasmesso l'informazione a Sato, a bordo dell'elicottero. Durante l'avvicinamento alla House of the Temple, il pilota aveva effettuato un passaggio a bassa quota e colpito il nodo di instradamento con una scarica di radiazioni elettromagnetiche, mettendolo fuori combattimento solo qualche secondo prima che il laptop completasse il trasferimento del file.

«Hai fatto un lavoro splendido questa sera» disse Sato. «Adesso vai a dormire. Te lo sei meritato.»

«Grazie, direttore.» disse Nola, con una nota di esitazione nella voce.

«C'è dell'altro?»

Nola rimase in silenzio per qualche istante, incerta se parlare o no. «Niente che non possa aspettare fino a domattina, capo. Buonanotte.»


Nel silenzio di un elegante bagno al pianterreno della House of the Temple, Robert Langdon si guardava allo specchio mentre il lavandino si riempiva di acqua calda. Perfino in quella luce soffusa aveva un aspetto... completamente sfinito.

Sulla spalla aveva di nuovo la sua borsa, molto più leggera ora, dato che conteneva soltanto qualche effetto personale e gli appunti per la conferenza, ormai stropicciati. Gli venne da sorridere suo malgrado. La visita a Washington per tenere un discorso si era rivelata più estenuante di quanto avesse previsto.

In ogni caso, aveva molto di cui essere grato.

Peter è vivo.

E il video è stato bloccato.

Si spruzzò l'acqua calda sul viso e si sentì tornare lentamente alla vita. Tutto era ancora confuso, ma l'adrenalina nel corpo stava finalmente dissolvendosi... e lui si sentiva di nuovo se stesso. Dopo essersi asciugato le mani, guardò l'orologio di Topolino.

Mio Dio, com'è tardi.

Uscì dal bagno e si avviò lungo la parete curva della Galleria d'Onore, un corridoio decorato da archi aggraziati, al centro dei quali c'erano i ritratti dei grandi massoni: presidenti degli Stati Uniti, filantropi, luminari e altri americani influenti. Si fermò davanti al ritratto a olio di Harry S. Truman e cercò di immaginarsi quell'uomo che si sottoponeva alle cerimonie, ai rituali e agli studi richiesti per diventare massone.

C'è un mondo nascosto sotto quello che ciascuno di noi vede. Un mondo per tutti noi.

«Sei scappato» lo rimproverò una voce in fondo al corridoio.

Langdon si voltò.

Era Katherine. Quella sera aveva attraversato l'inferno eppure, d'improvviso, sembrava radiosa, addirittura ringiovanita.

Langdon le rivolse un sorriso stanco. «Come sta Peter?»

Katherine lo raggiunse e lo abbracciò con calore. «Come potrò mai ringraziarti?»

Langdon rise. «Tu sai che io non ho fatto niente, giusto?»

Katherine lo tenne stretto a lungo. «Peter si riprenderà...» Si scostò e fissò Langdon negli occhi. «Mi ha appena detto una cosa incredibile... una cosa meravigliosa.» La voce le tremava per l'impazienza. «Devo andare a vedere con i miei occhi. Sarò di ritorno fra poco.»

«Cosa? Dove vai?»

«Non ci metterò molto. Peter vuole parlarti subito... da solo. Ti aspetta in biblioteca.»

«Ti ha detto perché?»

Katherine rise e scosse la testa. «Conosci Peter e tutti i suoi segreti.»

«Ma...»

«Ci vediamo tra un po'.» E sparì.

Langdon sospirò. Gli sembrava di avere appreso già abbastanza segreti per quella sera. Naturalmente c'erano ancora domande irrisolte - fra cui la piramide massonica e la Parola perduta - ma intuiva che le risposte, sempre che esistessero, non erano per lui. Non per un profano come me.

Chiamando a raccolta le ultime energie, si diresse verso la biblioteca massonica. Lì trovò Solomon tutto solo, seduto a un tavolo con la piramide di pietra davanti a sé.

«Robert?» Peter sorrise e lo invitò a entrare con un cenno. «Vorrei scambiare una parola con te.»

Langdon fece una smorfia ironica. «Sì, ho sentito dire che ne hai perduta una.»


La biblioteca della House of the Temple è la più antica sala di lettura pubblica del Distretto di Columbia. I suoi eleganti scaffali ospitano più di duecentocinquantamila volumi, tra cui una rara copia dell'Ahiman Rezon, Le costituzioni dei massoni antichi, conosciuto anche come "I segreti di un fratello preparato". Nella biblioteca, inoltre, erano esposti preziosi gioielli massonici, oggetti rituali e addirittura un libro stampato con procedimenti manuali da Benjamin Franklin.

In quella biblioteca, però, il tesoro che Langdon preferiva era qualcosa di cui pochi si accorgevano.

L'illusione.

Molto tempo prima, Peter Solomon gli aveva fatto notare che, guardando da una determinata angolazione, il tavolo da lettura e la lampada dorata creavano un'inequivocabile illusione ottica... una piramide, completata da una splendente cuspide d'oro. Peter gli aveva detto di aver sempre considerato quell'illusione come un tacito promemoria del fatto che i misteri massonici sono perfettamente visibili a chiunque, se guardati dalla giusta prospettiva.

Quella sera, però, i misteri della massoneria si erano presentati alle luci della ribalta. Langdon ora sedeva di fronte al Venerabilissimo Maestro Peter Solomon e alla piramide massonica.

Peter stava sorridendo. «La "parola" alla quale ti riferisci, Robert, non è una leggenda. è realtà.»

Langdon lo fissò per qualche istante. «Ma... non capisco. Com'è possibile?»

«Cosa c'è di così difficile da accettare?»

Tatto! avrebbe voluto protestare Langdon, mentre cercava una traccia di buonsenso negli occhi del suo vecchio amico. «Mi stai dicendo che sei convinto che la Parola perduta è una realtà... e possiede un effettivo potere?»

«Un enorme potere... quello di trasformare l'umanità liberando gli antichi misteri.»

«Una parola?» Il tono di Langdon era di sfida. «Peter, come puoi credere che una parola...»

«Ci crederai anche tu» lo interruppe Solomon con calma.

Langdon lo fissò in silenzio.

«Come sai» riprese Peter alzandosi e cominciando a camminare intorno al tavolo «è stato profetizzato che arriverà il giorno in cui la Parola perduta verrà riscoperta... il giorno in cui sarà disseppellita... e l'umanità avrà di nuovo accesso al suo potere dimenticato.»

Langdon ripensò alla conferenza di Peter sull'Apocalisse. Sebbene molta gente interpretasse in modo errato il termine "apocalisse" come fine catastrofica del mondo, quella parola significava letteralmente "disvelamento", una rivelazione di grande saggezza, secondo quanto predetto dagli antichi. L'avvento dell'età dell'illuminazione. In ogni caso, Langdon non riusciva a immaginare che un tale enorme cambiamento potesse essere determinato da... una parola.

Peter indicò con un gesto la piramide di pietra posata sul tavolo accanto alla sua cuspide d'oro. «La piramide massonica. Il leggendario symbolon. Questa notte è finalmente unito... e completo.» Con un gesto riverente, prese in mano la cuspide e la posò in cima alla piramide. Il pesante pezzo d'oro si inserì al proprio posto con un leggero clic.

«Stanotte, amico mio, tu hai fatto ciò che non era mai riuscito prima: hai assemblato la piramide massonica, ne hai decifrato tutti i codici e alla fine hai svelato... questo.»

Solomon posò un foglio di carta sul tavolo. Langdon riconobbe la griglia di simboli che era stata riorganizzata usando il quadrato di Franklin di ordine otto. L'aveva esaminata per pochi minuti nella Sala del Tempio.

«Sono curioso di sapere se riesci a leggere questa serie di simboli» disse Peter. «Dopotutto, sei tu lo specialista.»

Langdon studiò la griglia.

Heredom, punto cerchiato, piramide, scala...


Langdon sospirò. «Be', Peter, come forse vedi anche tu, questo è un pittogramma allegorico. Chiaramente il linguaggio è metaforico e simbolico, non letterale.»

Solomon sorrise. «Fate una domanda semplice a un esperto di simbologia... Okay, dimmi cosa vedi.»

Davvero Peter vuole parlare di questa roba? Langdon avvicinò a sé il foglio. «Be', ho dato un'occhiata prima e, per dirla in parole povere, questa griglia per me è un pittogramma... che rappresenta il cielo e la terra.»

Peter inarcò le sopracciglia con aria sorpresa. «Ah, sì?»

«Certo. Nella prima riga in alto abbiamo la parola "Heredom": la casa santa, che io interpreto come la casa di Dio... o il paradiso.»

«Okay.»

«La freccia rivolta verso il basso dopo la parola "Heredom" significa chiaramente che il resto del pittogramma si riferisce a ciò che si trova sotto il cielo... vale a dire... la terra.» Langdon spostò lo sguardo in fondo alla griglia. «Le ultime due righe, quelle sotto la piramide, rappresentano la terra stessa, terra firma, il più basso di tutti i livelli. Ed è appropriato che questi livelli inferiori contengano i dodici segni astrologici antichi, i quali rappresentano la religione primordiale delle prime anime umane che guardarono i cieli e, nel movimento delle stelle e dei pianeti, videro la mano di Dio.»

Solomon avvicinò la propria sedia a quella dell'amico e studiò la griglia. «D'accordo, cos'altro?»

«In base all'astrologia» proseguì Langdon «la grande piramide si innalza dalla terra per tendersi verso il cielo... un simbolo perpetuo della saggezza perduta. Contiene tutte le grandi filosofie e le grandi religioni della storia... degli egizi, dei pitagorici, dei buddhisti, degli induisti, degli islamici, dei giudaico-cristiani e così via... e tutte confluiscono per innalzarsi verso il cielo, amalgamandosi tra loro, incanalandosi insieme nell'ascesa attraverso il passaggio trasformativo della piramide... dove finalmente si fondono in una sola filosofia umana unificata.» Tacque per un istante. «Una sola e unica consapevolezza universale... una visione globale di Dio condivisa da tutti... rappresentata dall'antico simbolo sospeso sopra la cuspide.»

«Il punto cerchiato» intervenne Peter. «Un simbolo universale per indicare Dio.»

«Esatto. Nel corso della storia il punto cerchiato è stato tutto per tutti i popoli: il dio sole Ra, l'oro alchemico, l'occhio che tutto vede, il punto di singolarità prima del Big Bang, il...»

«Il Grande Architetto dell'Universo.»

Langdon annuì, intuendo che quello era probabilmente lo stesso argomento di cui Peter si era servito nella Sala del Tempio per vendere con successo l'idea che il punto cerchiato fosse la Parola perduta.

«E poi?» domandò Solomon. «Cosa mi dici della scala?»

Langdon guardò l'immagine della scala sotto la piramide. «Peter, sono sicuro che sai meglio di chiunque altro che simboleggia la scala a chiocciola della massoneria... la scala che consente di salire, lasciandosi il buio terreno alle spalle, e raggiungere la luce... come la scala di Giacobbe che sale al cielo... o la spina dorsale umana che, composta anch'essa di gradini, collega il corpo mortale alla mente eterna.» Fece una pausa. «Per quanto riguarda tutto il resto, mi sembra un miscuglio di simboli celestiali, massonici e scientifici, tutti a conferma degli antichi misteri.»

Solomon si accarezzò il mento con la mano. «Un'elegante interpretazione, professore. Naturalmente concordo sul fatto che questa griglia possa essere letta come un'allegoria, e tuttavia...» I suoi occhi brillavano di mistero. «Questa serie di simboli ci racconta anche un'altra storia. Una storia molto più rivelatrice.»

«Cioè?»

Solomon riprese a camminare intorno al tavolo. «Stanotte, nella Sala del Tempio, quando credevo di essere sul punto di morire, ho guardato questa griglia e, non so come, ho visto oltre la metafora, oltre l'allegoria: ho scorto l'essenza di ciò che questi simboli vogliono dirci.» Si interruppe e si voltò di colpo verso l'amico. «Questa griglia rivela il luogo esatto dove è sepolta la Parola perduta.»

«Puoi ripetere, per favore?» Langdon si agitò a disagio sulla sedia, improvvisamente spaventato all'idea che il trauma subito avesse lasciato Peter disorientato e confuso.

«Robert, la leggenda ha sempre descritto la piramide massonica come una mappa. Una mappa molto specifica che può guidare il soggetto degno al luogo segreto dove è nascosta la Parola perduta.» Solomon picchiettò il dito sulla griglia di simboli davanti a Langdon. «Te l'assicuro: questi simboli sono esattamente ciò che dice la leggenda: una mappa. Un diagramma esatto che rivela con precisione dove troveremo la scala che scende nel Mondo Perduto.»

Langdon fece una risatina nervosa e decise di procedere con cautela. «Anche se io credessi alla leggenda della piramide massonica, questa griglia non può assolutamente essere quello che dici. Guardala: non assomiglia neppure lontanamente a una mappa.»

Solomon sorrise. «A volte basta un minimo spostamento di prospettiva per vedere qualcosa di familiare in una luce totalmente nuova.»

Langdon guardò di nuovo la griglia, ma non notò niente di diverso.

«Permetti che ti faccia una domanda» continuò Peter. «Tu sai perché i massoni posano sempre la pietra angolare di un edificio a nordest?»

«Certo: perché l'angolo nordest è quello che riceve i primi raggi del sole al mattino. Simboleggia il potere dell'architettura di protendersi dalla terra nella luce.»

«Giusto» confermò Solomon. «Perciò forse dovresti cercare i primi raggi della luce anche lì.» Indicò la griglia. «Nell'angolo nordest.»

Langdon tornò a osservare il foglio e spostò lo sguardo sull'angolo superiore destro, o l'angolo nordest. In quell'angolo c'era il simbolo

«Una freccia che punta verso il basso» disse poi, sforzandosi di afferrare il punto di vista dell'amico. «Il che significa... sotto Heredom.»

«No, Robert. Non sotto» ribatté Solomon. «Rifletti. Questa griglia non è un labirinto metaforico. È una mappa. E, in una mappa, una freccia rivolta verso il basso significa...»

«A sud» esclamò Langdon sorpreso

«Esatto!» confermò Solomon sorridendo eccitato. «In direzione sud! Inoltre, in una mappa, la parola Heredom non può essere una metafora per "cielo", ma deve indicare il nome di un luogo specifico.»

«La House of the Temple? Tu stai dicendo che questa mappa indica... un luogo a sud rispetto a questo edificio?»

«Lode a Dio!» Solomon rise. «Hai visto la luce, finalmente.»

Langdon studiò di nuovo la griglia. «Ma... anche se tu avessi ragione, un luogo a sud rispetto a questo edificio potrebbe essere ovunque lungo una retta longitudinale di quasi quarantamila chilometri.»

«No, Robert. Dimentichi che la leggenda dice che la Parola perduta è sepolta a Washington. Questo restringe notevolmente il campo. Inoltre la leggenda precisa anche che sopra la scala c'è una grande pietra... e che su quella pietra è inciso un messaggio scritto in una lingua antica... una specie di segnale, in modo che l'uomo degno possa trovarla.»

Langdon faceva fatica a prendere sul serio le affermazioni dell'amico e, anche se non conosceva Washington abbastanza bene per individuare dove si trovasse il sud rispetto alla loro posizione in quel momento, era quasi sicuro che non ci fosse una grande pietra incisa in cima a una scala nascosta.

«Il messaggio inciso sulla pietra» riprese Solomon «è proprio qui, davanti ai nostri occhi.» Puntò il dito sulla terza riga della griglia. «È questa l'iscrizione, Robert! Hai risolto l'enigma!»

Sbalordito, Langdon studiò i sette simboli.


Risolto? Langdon non aveva la minima idea di cosa potessero significare quei sette simboli disparati ed era maledettamente sicuro che non fossero incisi da nessuna parte nella capitale della nazione... di certo non in una grande pietra sopra una scala.

«Peter, io non vedo proprio come questo possa illuminarci. Non so di nessuna pietra a Washington sulla quale sia inciso questo... messaggio.»

Solomon gli diede qualche colpetto sulla spalla. «Ci sei passato davanti tante volte e non te ne sei mai accorto. Tutti ci siamo passati davanti. Se ne sta lì, sotto gli occhi di chiunque, proprio come i misteri stessi. E stanotte, quando ho visto questi sette simboli, in un attimo mi sono reso conto che la leggenda è vera. La Parola perduta è davvero sepolta a Washington... e in effetti si trova in fondo a una lunga scala, sotto una grande pietra incisa.»

Confuso, Langdon restò in silenzio.

«Robert, io credo che questa sera tu ti sia guadagnato il diritto di conoscere la verità.»

Langdon fissò l'amico cercando di dare un senso a ciò che aveva appena sentito. «Hai intenzione di dirmi dov'è sepolta la Parola perduta?»

«No» rispose Solomon sorridendo mentre si alzava in piedi. «Ho intenzione di fartelo vedere.»


Cinque minuti più tardi, seduto accanto a Peter sul sedile posteriore dell'Escalade, Langdon si stava allacciando la cintura di sicurezza.

Mentre Simkins si metteva al volante, Sato attraversò il parcheggio e si avvicinò all'auto.

«Signor Solomon» esordì il direttore accendendosi una sigaretta. «Ho appena fatto la telefonata che mi aveva chiesto di fare.»

«E...?» domandò Peter attraverso il finestrino abbassato.

«Ho dato istruzioni che vi venga consentito l'accesso. Per pochissimo tempo.»

«Grazie.»

Il direttore lo studiò con un'espressione curiosa. «Devo dire che la sua è una richiesta molto insolita.»

Solomon si strinse nelle spalle, con uno sguardo enigmatico.

Sato non insistette, passò al finestrino di Langdon e bussò con le nocche.

Langdon abbassò il vetro.

«Professore» cominciò Sato senza la minima traccia di cordialità «il suo aiuto di stasera, seppure offerto con riluttanza, è risultato essenziale per il successo dell'operazione... e per questo la ringrazio.» Tirò una lunga boccata dalla sigaretta e poi soffiò il fumo di lato. «Comunque voglio darle un ultimo consiglio: la prossima volta che un alto funzionario della CIA le dirà di essere alle prese con una crisi relativa alla sicurezza nazionale...» Gli occhi neri lampeggiarono. «Lasci tutte le sue stronzate a Harvard.»

Langdon fece per rispondere, ma il direttore Inoue Sato gli aveva già voltato le spalle e stava riattraversando il parcheggio verso l'elicottero in attesa.

Simkins si girò, con il viso impenetrabile. «I signori sono pronti?»

«Solo un momento» disse Solomon. Estrasse dalla tasca un pezzo di stoffa scura ripiegata e lo porse a Langdon. «Prima che partiamo, vorrei che tu te lo mettessi.»

Perplesso, Langdon lo esaminò. Era velluto nero. Lo spiegò e si rese conto di avere tra le mani un cappuccio massonico, il tradizionale cappuccio cieco dell'iniziato di primo grado. Ma cosa diavolo...?

«Preferirei che tu non vedessi dove stiamo andando» spiegò Peter.

Langdon si voltò verso l'amico. «Mi vuoi incappucciare per il viaggio?»

Solomon sorrise. «Il mio segreto. Le mie regole.»


Soffiava un vento freddo fuori dalla sede centrale della CIA a Langley. Nola Kaye aveva i brividi mentre seguiva Rick Parrish, l'esperto di sicurezza informatica, nel cortile centrale illuminato dalla luna.

Dove mi sta portando Rick?

La crisi del video massonico era stata risolta, grazie a Dio, ma Nola si sentiva ancora a disagio. Il file segretato nella partizione del direttore della CIA restava un mistero e la cosa la inquietava. In mattinata avrebbe dovuto fare rapporto a Sato e voleva chiarire tutti gli elementi in suo possesso. Alla fine aveva telefonato a Rick Parrish per chiedergli aiuto. Mentre seguiva il collega verso una qualche destinazione ignota, non riusciva a scacciare dalla mente quelle frasi bizzarre:

Luogo segreto sottoterra dove le... da qualche parte a Washington, DC, le coordinate... scoperto un antico portale che conduceva... l'avvertimento che la piramide comporta pericolose... decifrare questo symbolon inciso perché sveli...

«Siamo d'accordo tutti e due» disse Parrish continuando a camminare «sul fatto che l'hacker che ha lanciato una ricerca di quelle parole chiave stava sicuramente tentando di trovare informazioni sulla piramide massonica.»

È evidente, pensò Nola.

«Ma io ho scoperto che l'hacker si è imbattuto in un aspetto del mistero massonico che non credo si aspettasse.»

«Cosa intendi dire?»

«Tu sai che il direttore della CIA ha creato un forum di discussione interna per i dipendenti dell'Agenzia, in modo che tutti possano scambiarsi idee su ogni tipo di argomento?»

«Certo che lo so.» I forum fornivano al personale dell'Agenzia un luogo sicuro dove chattare online su vari temi e offrivano al direttore una sorta di accesso virtuale al suo staff.

«I forum del direttore sono ospitati nella sua partizione personale, però, per consentire l'accesso a collaboratori di qualsiasi livello di sicurezza, si trovano all'esterno del suo firewall riservato.»

«Dove vuoi arrivare?» domandò Nola mentre svoltavano un angolo nei pressi del bar interno dell'Agenzia.

«In una parola...» Parrish indicò qualcosa nel buio. «A quello.»

Nola alzò lo sguardo. Davanti a loro, dalla parte opposta dello spiazzo, un'imponente scultura metallica luccicava al chiarore della luna.

Nella sede di un'agenzia che vanta più di cinquecento opere d'arte originali, questa scultura, intitolata Kryptos, è di gran lunga la più famosa. Kryptos, in greco "nascosto", è un'opera dell'artista americano James Sanborn, diventata una specie di leggenda all'interno della CIA.

La scultura consiste in un massiccio pannello di rame a forma di S che, posato in verticale sul proprio bordo, fa pensare a una parete metallica ondulata. Sulla superficie sono incisi quasi duemila caratteri... organizzati in un codice sconcertante. Come se tutto ciò non fosse già abbastanza enigmatico, ci sono poi numerosi altri elementi scultorei posizionati con cura nell'area circostante la parete a esse criptografata: lastre di granito sistemate secondo strane angolazioni, una rosa dei venti, un magnete e addirittura un messaggio in codice Morse che fa riferimento a una "lucida memoria" e a "forze dell'ombra". La maggior parte dei fan di Kryptos ritiene che questi pezzi siano indizi per poter decifrare la scultura stessa.

Kryptos è un'opera d'arte... ma è anche un enigma.

Tentare di penetrare il suo segreto era diventata un'ossessione per i criptoanalisti, sia all'interno della CIA sia fuori. Pochi anni prima, finalmente, una parte del codice era stata decifrata e la notizia aveva avuto risonanza nazionale. Nonostante molte parole di Kryptos fossero tuttora un enigma, quelle decodificate erano così bizzarre da rendere la scultura ancora più misteriosa. C'erano riferimenti a luoghi segreti sottoterra, a portali che si aprivano su antiche tombe, a longitudini e latitudini...

Nola ricordava a memoria alcuni frammenti delle parti decifrate: Le informazioni sono state raccolte e trasferite sottoterra in un luogo ignoto... Era totalmente invisibile... com'è possibile... hanno utilizzato il campo magnetico della terra...

Nola non aveva mai prestato grande attenzione alla scultura, né le era mai importato molto che venisse completamente decifrata. In quel momento, però, voleva delle risposte. «Perché mi stai mostrando Kryptos?»

Parrish le rivolse un sorriso da cospiratore e, con un gesto teatrale, estrasse dalla tasca un foglio ripiegato. «Voilà: il misterioso documento segretato che ti preoccupava tanto. Sono riuscito ad accedere al testo completo.»

Nola sobbalzò. «Hai ficcato il naso nella partizione riservata del direttore?»

«No. è quello di cui ti parlavo poco fa. Dai un'occhiata.» Le porse il foglio.

Nola lo aprì e, quando vide l'intestazione ufficiale dell'Agenzia in cima, inclinò sorpresa la testa.

Quel documento non era segretato. Neppure lontanamente.

BACHECA DISCUSSIONE DIPENDENTI: KRYPTOS
ARCHIVIO COMPRESSO: FILONE N. 2456282.5


Nola si ritrovò a guardare una serie di messaggi che erano stati compressi in un'unica pagina ai fini di una più efficiente archiviazione.

«Il tuo documento con le parole chiave» disse Rick «si riferisce ai vaneggiamenti su Kryptos di qualche fanatico della criptografia.»

Nola scorse il documento e si soffermò su una frase che conteneva una serie familiare di parole chiave.

Jim, la scultura dice che è stato trasferito in un luogo
segreto SOTTOTERRA dove le
informazioni sono nascoste.


«Questo testo proviene dal forum del direttore su Kryptos» spiegò Rick. «Sono anni che è attivo e ci sono letteralmente migliaia di post. Non mi stupirebbe se uno di loro contenesse per caso tutte le parole chiave.»

Nola continuò a far scorrere lo sguardo finché individuò un altro messaggio che conteneva parole chiave.

Anche se Mark ha detto che le indicazioni lat/long puntano da qualche parte a WASHINGTON DC le coordinate che ha usato sono sbagliate di un grado: Kryptos sostanzialmente indica se stesso.


Parrish si avvicinò alla scultura e fece scorrere la mano su quel criptico mare di lettere. «Gran parte di questo codice deve essere ancora decifrato e c'è molta gente convinta che il messaggio possa effettivamente collegarsi ad antichi segreti massonici.»

A Nola vennero in mente le dicerie riguardo a un collegamento massoneria/Kryptos, ma di solito tendeva a ignorare le frange di fanatici. Tuttavia, guardando i vari pezzi della scultura disposti nello spiazzo, si rese conto che in effetti si trattava di un codice suddiviso in più parti - un symbolon - esattamente come la piramide massonica.

Strano.

Per un momento le sembrò quasi di intuire che Kryptos fosse una moderna piramide massonica: un codice composto da molti elementi in materiali diversi, ognuno con un proprio ruolo specifico. «Tu credi che in qualche modo Kryptos e la piramide massonica possano nascondere lo stesso segreto?»

«Chi lo sa?» Parrish lanciò un'occhiata frustrata alla scultura. «Dubito che conosceremo mai l'intero messaggio, a meno che qualcuno non convinca il direttore ad aprire la sua cassaforte e a dare una sbirciata alla soluzione.»

Nola annuì. Adesso le stava tornando in mente tutto: al momento dell'installazione di Kryptos, era arrivata una busta sigillata che conteneva la decrittazione completa dei codici della scultura. La soluzione era stata affidata a William Webster, all'epoca direttore della CIA, il quale l'aveva messa al sicuro nella cassaforte del suo ufficio. A quanto si diceva, il documento si trovava ancora lì, passato da un direttore all'altro nel corso degli anni.

Stranamente il nome di William Webster stimolò la memoria di Nola, che rammentò un altro brano del testo decifrato di Kryptos:

È SEPOLTO LAGGIÙ, DA QUALCHE PARTE.
CHI CONOSCE L'ESATTA POSIZIONE?
SOLO WW


Anche se nessuno sapeva cosa esattamente fosse sepolto laggiù, quasi tutti erano convinti che "WW" si riferisse a William Webster. Nola una volta aveva sentito dire che in realtà quelle lettere si riferivano invece a un certo William Whiston, un teologo della Royal Society. In ogni caso, non si era mai presa il disturbo di pensarci molto.

«Devo ammettere che non mi intendo granché di arte» stava dicendo Rick. «Ma credo che questo tizio, Sanborn, sia davvero un genio. Ho guardato quel suo Cyrillic Projector in internet, hai presente? Un dispositivo che proietta giganteschi caratteri cirillici: sono brani tratti da un documento del KGB sul controllo della mente. Inquietante.»

Nola non lo stava più ascoltando. Studiava il foglio che aveva in mano, dove aveva trovato la terza parola chiave in un altro post.

Giusto, quell'intera parte è un brano, citato parola per parola, tratto dal diario di un famoso archeologo che parla del momento in cui, scavando, aveva scoperto un ANTICO PORTALE che conduceva alla tomba di Tutankhamon.


Nola sapeva che l'archeologo citato in Kryptos era l'eminente egittologo Howard Carter. Nel post seguente, infatti, veniva fatto il suo nome.

Ho appena dato un'occhiata online al resto degli appunti che Carter aveva scritto sul campo e, a quanto pare, aveva trovato una tavoletta di creta con l'avvertimento che la PIRAMIDE COMPORTA PERICOLOSE conseguenze per chiunque disturbi la pace del faraone. Una maledizione! Dobbiamo preoccuparci? :-)


Nola aggrottò la fronte. «Santo cielo, Rick, il riferimento di questo idiota alla piramide non è neppure corretto. Tutankhamon non venne sepolto in una piramide, ma nella Valle dei Re. I criptoanalisti non guardano mai Discovery Channel?»

Parrish si strinse nelle spalle. «Sono dei tecnici.» Poi Nola vide l'ultima parola chiave.

Gente, voi lo sapete che non sono un teorico dei complotti, ma Jim e Dave farebbero meglio a decifrare questo SYMBOLON INCISO perché sveli il suo ultimo segreto prima che il mondo finisca nel 2012... Ciao.


«Comunque» riprese Parrish «ho pensato che avresti voluto sapere del forum su Kryptos prima di accusare il direttore della CIA di nascondere informazioni segretate riguardanti un'antica leggenda massonica. Non so perché, ma dubito che un uomo potente come lui abbia tempo per questo genere di cose.»

Nola visualizzò le immagini di tutte quelle personalità influenti che partecipavano a un antico rito. Se solo Rick sapesse...

Lei era certa che, in ultima analisi, il messaggio di Kryptos, qualunque fosse, aveva sicuramente significati mistici occulti. Alzò lo sguardo sull'opera d'arte scintillante - un codice tridimensionale che se ne stava muto nel cuore di una delle più importanti agenzie d'intelligence del paese - e si domandò se avrebbe mai svelato il suo ultimo segreto.

Tornando indietro con Rick, Nola sorrise suo malgrado.

È sepolto laggiù, da qualche parte.


Questa è una follia.

Incappucciato, Robert Langdon non poteva vedere nulla mentre l'Escalade procedeva veloce in direzione sud lungo le strade deserte. Seduto accanto a lui, Peter Solomon continuava a tacere.

Dove mi sta portando?

La curiosità di Langdon era venata di una certa apprensione, e la sua immaginazione si era scatenata nel tentativo disperato di mettere insieme tutti i pezzi. Peter non aveva mostrato il minimo segno di dubbio o di incertezza dopo le sue affermazioni. La Parola perduta è sepolta in fondo a una scala sormontata da una grande pietra incisa? Sembrava impossibile.

La presunta incisione sulla pietra era ancora ben presente nella memoria di Langdon... eppure i sette simboli, per quel che ne sapeva lui, continuavano a non avere alcun senso.


La squadra del massone: simbolo di onestà e dell'essere "morale". Le lettere "Au": simbolo chimico dell'oro.

Sigma: la lettera greca "S", simbolo matematico della somma di tutte le parti.

La piramide: il simbolo egizio dell'uomo che tende al cielo.

Delta: la lettera greca "D", simbolo matematico del cambiamento.

Mercurio: così com'era rappresentato dal suo più antico simbolo alchemico.

Ouroboros o uroboro: simbolo dell'interezza e della riconciliazione.


Solomon insisteva nell'affermare che quei sette simboli costituivano un "messaggio". Ma, se così era, si trattava di un messaggio che Langdon non sapeva interpretare.

L'Escalade rallentò e svoltò bruscamente a destra, immettendosi su una strada dalla pavimentazione diversa, forse di ghiaia. Langdon raddrizzò la testa, ascoltando con attenzione in cerca di indizi sul luogo in cui si trovava. Erano in viaggio da meno di dieci minuti e, nonostante avesse tentato di seguire mentalmente il percorso, aveva perso quasi subito l'orientamento. Per quello che ne sapeva, potevano benissimo essere tornati alla House of the Temple.

L'Escalade si fermò e Langdon sentì abbassarsi il vetro di un finestrino.

«Agente Simkins della CIA» si presentò il loro autista. «Ci stavate aspettando, credo.»

«Sì, signore» rispose una secca voce militare. «Il direttore Sato ha telefonato per avvertirci. Un momento soltanto: sposto le transenne.»

Langdon ascoltava, sempre più confuso, e intuì che stavano entrando in una base militare. Mentre l'auto ripartiva e procedeva su un tratto asfaltato insolitamente liscio, lui voltò la testa verso Solomon. «Dove siamo, Peter?»

«Non toglierti il cappuccio.» La voce dell'amico era severa.

L'auto percorse un breve tratto, poi rallentò di nuovo fino a fermarsi. Simkins spense il motore. Altre voci. Voci militari. Qualcuno chiese i documenti a Simkins, che scese dalla vettura e parlottò con quegli uomini.

Improvvisamente la portiera di Langdon si spalancò e mani forti lo aiutarono a scendere dall'auto. L'aria era fredda. C'era vento.

«Robert, lascia che l'agente Simkins ti guidi all'interno» disse Solomon.

Langdon sentì il rumore di chiavi metalliche inserite in una serratura... poi il cigolio di una pesante porta di ferro che si apriva, come un'antica paratia. Dove diavolo mi stanno portando?

Le mani di Simkins lo guidarono in direzione della porta metallica. Varcarono una soglia. «Sempre dritto, professore.»

Un improvviso silenzio. Assoluto. Desolato. L'aria aveva un odore asettico, come se fosse impregnata di sostanze chimiche.

Langdon ora aveva di fianco Simkins e Solomon, che lo guidavano lungo un corridoio. Sotto le suole dei mocassini, il pavimento dava la sensazione di essere di pietra.

Alle loro spalle, la porta metallica si richiuse con un tonfo rumoroso e Langdon sobbalzò. Le serrature scattarono e lui cominciò a sudare sotto il cappuccio. Non vedeva l'ora di strapparselo di dosso.

Si fermarono.

Simkins lasciò il braccio di Langdon, che sentì una serie di bip elettronici e poi una specie di rombo, del tutto inaspettato. Immaginò che fosse una porta di sicurezza scorrevole che si apriva automaticamente.

«Signor Solomon, lei e il professore adesso proseguirete da soli. Io vi aspetterò qui» annunciò Simkins. «Prenda pure la mia torcia.»

«Grazie. Non ci metteremo molto» rispose Peter.

Torcia? Langdon sentiva il cuore battergli all'impazzata.

Peter lo prese sottobraccio e si avviò. «Andiamo, Robert.»

Lentamente, varcarono un'altra soglia. La porta si richiuse rumorosamente dietro di loro.

Peter si fermò. «Qualcosa non va?»

Tutto a un tratto Langdon si sentiva debole e sbilanciato. «Devo togliermi questo cappuccio.»

«Non ancora. Ci siamo quasi.»

«Quasi dove?» Langdon avvertì una sensazione di vuoto allo stomaco.

«Te l'ho detto: ti sto portando a vedere la scala che scende fino alla Parola perduta.»

«Peter, non è divertente!»

«Non deve essere divertente. L'intenzione è di aprirti la mente, di ricordarti che in questo mondo ci sono misteri sui quali neppure tu hai mai posato gli occhi. E prima di procedere voglio che tu faccia qualcosa per me. Voglio che tu creda... solo per un momento... che tu creda nella leggenda. Devi credere che stai per abbassare lo sguardo su una scala a chiocciola che scende per molte decine di metri, fino a raggiungere uno dei più grandi tesori perduti dell'umanità.»

Langdon si sentiva girare la testa. Per quanto volesse credere al suo caro amico, non ci riusciva. «Manca ancora molto?» Il cappuccio di velluto era fradicio di sudore.

«No. Solo pochi passi. Un'ultima porta: adesso la apro.»

Solomon lo lasciò andare per un momento e Langdon barcollò, in preda a capogiri. Incerto sulle gambe, tese le braccia cercando di riacquistare l'equilibrio. Peter tornò immediatamente al suo fianco. Davanti a loro sferragliò l'ennesima, pesante porta automatica. Solomon prese l'amico per un braccio e i due avanzarono di nuovo.

«Da questa parte.»

Varcarono la soglia e, alle loro spalle, la porta si richiuse.

Silenzio. Freddo.

Langdon sentì immediatamente che quel luogo, qualunque fosse, non aveva niente a che vedere con il mondo oltre la porta di sicurezza. L'aria era fredda e umida, come quella di un sepolcro. L'acustica smorzata suggeriva un ambiente angusto. Avvertì i primi segnali di un incontrollabile attacco di claustrofobia.

«Ancora qualche passo.» Solomon lo guidò oltre un angolo e lo fece fermare in un punto preciso. Poi, finalmente, disse: «Togliti il cappuccio».

Langdon afferrò il cappuccio di velluto e se lo strappò via con un gesto brusco. Si guardò intorno per capire dove si trovasse, ma scoprì di essere ancora cieco. Si sfregò gli occhi. Niente. «Peter, è buio pesto!»

«Sì, lo so. Tendi le mani davanti a te: c'è una ringhiera. Aggrappati.»

Langdon cercò a tastoni nel buio e trovò una ringhiera di ferro.

«Adesso guarda.» Langdon sentì Peter armeggiare con qualcosa e d'improvviso l'accecante fascio di luce della torcia perforò l'oscurità. Era puntato sul pavimento e, prima che Langdon potesse guardarsi intorno, Solomon lo spostò oltre la ringhiera e lo indirizzò verso il basso.

Langdon si ritrovò di colpo a guardare in un pozzo senza fondo... un'infinita scala a chiocciola che si avvitava tuffandosi in profondità nella terra. Mio Dio! Sentì cedergli le ginocchia e si aggrappò alla ringhiera. La scala era una tradizionale spirale a sezione quadrata, e Langdon riusciva a vedere almeno trenta pianerottoli scendere dentro la terra, prima che la luce della torcia sfumasse nel nulla. Non riesco neppure a vedere la fine!

«Peter...» balbettò. «Cos'è questo posto?»

«Tra un momento ti accompagnerò lino in fondo alla scala, ma prima devi vedere qualcos'altro.»

Troppo stupefatto per protestare, Langdon lasciò che l'amico lo guidasse lontano dal vano della scala e gli facesse attraversare quella strana, piccola stanza. Peter continuava a puntare la luce della torcia sul vecchio pavimento di pietra e Langdon non riusciva ad avere alcuna indicazione dello spazio intorno a loro... a parte le sue dimensioni ridotte.

Una minuscola camera di pietra.

Impiegarono pochi secondi per raggiungere la parete sul lato opposto della stanza, in cui era inserito un rettangolo di vetro. Langdon pensò che potesse essere una finestra che dava in un altro locale, ma dal punto in cui si trovava non vedeva che buio oltre il vetro.

«Forza» gli disse Peter. «Dai un'occhiata.»

«Cosa c'è di là?» Langdon ebbe un flash del gabinetto di riflessione sotto il Campidoglio e ripensò a come, per un istante, avesse creduto che nascondesse l'accesso a una caverna sotterranea.

«Guarda e basta, Robert.» Solomon lo spinse gentilmente avanti. «E tienti forte, perché quello che vedrai sarà uno shock.»

Senza avere la minima idea di cosa aspettarsi, Langdon avanzò verso il vetro. Mentre si avvicinava, Peter spense la torcia, facendo sprofondare il minuscolo locale nel buio più assoluto.

In attesa che gli occhi si adattassero all'oscurità, Langdon tastò alla cieca davanti a sé, poi le mani trovarono il muro e il vetro. Lui accostò il viso al portale trasparente.

Ancora solo buio.

Si avvicinò ancora di più... premette il viso contro il vetro.

E allora vide.

L'ondata di shock e disorientamento che lo travolse fin nel profondo sembrò sconvolgere la sua bussola interna. Per poco non cadde all'indietro, mentre la mente lottava per accettare la visione del tutto imprevista che aveva davanti agli occhi. Neppure nei suoi sogni più assurdi Robert Langdon si sarebbe mai immaginato ciò che c'era dall'altra parte di quel vetro.

Una visione meravigliosa.

Là, nel buio, una luce bianca scintillava come un gioiello.

In quell'istante Langdon capì: le transenne sulla strada d'accesso... i militari all'ingresso principale... la pesante porta metallica esterna... le porte automatiche che si erano aperte e richiuse... il senso di vuoto allo stomaco... la testa leggera... e ora quella minuscola stanza di pietra.

«Robert» sussurrò Peter alle sue spalle. «A volte è sufficiente un cambiamento di prospettiva per vedere la luce.»

Senza parole, Langdon continuava a fissare oltre il vetro. Il suo sguardo si spostò nel buio della notte, attraversò più di un chilometro di spazio vuoto, si abbassò... scese ancora... e infine si posò sopra la cupola bianchissima e illuminata del Campidoglio degli Stati Uniti.

Non aveva mai visto il Campidoglio da quella prospettiva: da un'altezza di centosessattanta metri, in cima al grande obelisco egizio. Quella sera, per la prima volta in vita sua, Langdon era salito in ascensore fino alla minuscola stanzetta panoramica... sulla sommità del Washington Monument.


Immobile, ipnotizzato davanti al portale di vetro, Robert Langdon assorbiva l'impatto grandioso del paesaggio sotto di lui. Dopo essere salito senza accorgersene per quasi duecento metri, ora ammirava uno dei panorami più spettacolari che avesse mai visto.

La cupola splendente del Campidoglio si stagliava come una montagna all'estremità orientale del National Mall. Su entrambi i lati dell'edificio, due linee parallele di luce si tendevano verso di lui: erano le facciate illuminate dei musei dello Smithsonian... fari di arte, di storia, di scienza, di cultura.

Con suo grande stupore, Langdon si rese conto che gran parte di ciò che Peter aveva dichiarato... era effettivamente vero. C'è una scala a chiocciola che scende per molte decine di metri, sormontata da una pietra massiccia. L'enorme cuspide dell'obelisco era proprio sopra la testa di Langdon. Lui ricordò un'informazione insignificante da tempo dimenticata che però ora sembrava assumere una bizzarra rilevanza: la cuspide del Washington Monument pesava esattamente tremilatrecento libbre.

Di nuovo il numero

Ancora più sorprendente, comunque, era il fatto che il vertice della cuspide, lo zenit dell'obelisco, fosse sormontato da una piccolissima piramide di alluminio lucido, un metallo prezioso come l'oro all'epoca della costruzione. L'apice splendente del Washington Monument era alto soltanto una trentina di centimetri, come la piramide massonica. Incredibilmente, su quella piccola piramide metallica compariva una famosa incisione:

LAUS DEO. E d'improvviso Langdon capì. È questo il vero messaggio scolpito sulla base della piramide di pietra.


I sette simboli sono una traslitterazione!

Il più semplice dei codici.

I simboli sono lettere.

La squadra del massone: L

L'elemento oro: AU

Il sigma greco: S

Il delta greco: D

Il mercurio alchemico: E

L'ouroboros: O


«Laus Deo» sussurrò Langdon. Quella notissima espressione latina - "lode a Dio" - era incisa sulla sommità del Washington Monument in caratteri corsivi alti solo due centimetri e mezzo. In piena vista... e tuttavia invisibili a tutti.

Laus Deo

«Lode a Dio» disse Peter alle sue spalle, accendendo la fioca illuminazione della stanzetta. «Il codice finale della piramide massonica.»

Langdon si voltò, vide il suo amico sorridere e ricordò che poco prima, nella biblioteca massonica, Peter aveva chiaramente pronunciato le parole "lode a Dio". E io non ho capito.

Avvertì un brivido, rendendosi conto di come fosse giusto che la leggendaria piramide massonica lo avesse guidato proprio lì... al grande obelisco, il simbolo dell'antica sapienza mistica che si tendeva verso i cieli nel cuore stesso della nazione.

In uno stato di meravigliato stupore, Langdon cominciò a percorrere in senso antiorario il perimetro della stanzetta quadrata, arrivando a un'altra finestra panoramica.

Nord.

Attraverso la finestra rivolta a settentrione, osservò i familiari contorni della Casa Bianca direttamente davanti a sé. Alzò lo sguardo verso l'orizzonte, dove la linea retta di Sixteenth Street puntava a nord in direzione della House of the Temple.

Sono a sud di Heredom.

Riprese a camminare lungo il perimetro e si fermò alla finestra successiva. Guardando a ovest, il suo sguardo seguì il lungo rettangolo della Reflecting Pool fino al Lincoln Memorial, la cui classica architettura greca era stata ispirata dal Partenone di Atene. Il tempio di Atena, la dea delle imprese eroiche.

Annuit coeptis, pensò Langdon. "Dio favorisce le nostre imprese."

Arrivato all'ultima finestra, scrutò verso sud, oltre le acque scure del Tidal Basin, là dove il Jefferson Memorial splendeva brillante nella notte. Lui sapeva che quella cupola dalla delicata curvatura si ispirava al Pantheon, il tempio che i romani avevano dedicato ai loro dèi mitologici.

Dopo aver guardato nelle quattro direzioni, Langdon ripensò a tutte le foto aeree del National Mall che aveva visto: i quattro bracci che dal Washington Monument si tendevano verso i quattro punti cardinali. Sono al crocevia dell'America.

Tornò accanto a Peter. Il suo mentore era raggiante. «Bene, Robert, ci siamo. La Parola perduta. È qui che è sepolta. Ed è qui che ci ha portato la piramide massonica.»

Langdon fu colto di sorpresa: si era completamente dimenticato della Parola perduta.

«Robert, non conosco nessuno più degno di fiducia di te. E, dopo una notte come questa, credo che tu meriti di sapere di cosa si tratta. Come dice la leggenda, la Parola perduta è effettivamente sepolta in fondo a una scala a chiocciola.» Indicò la sommità della lunga scala del monumento.

Langdon aveva finalmente cominciato a sentire di nuovo terreno solido sotto i piedi, ma ora era perplesso.

Solomon infilò una mano in tasca ed estrasse un piccolo oggetto. «Te la ricordi?»

Langdon prese la scatola a forma di cubo che l'amico gli aveva affidato tanto tempo prima. «Sì... ma temo di non averla custodita molto bene.»

Peter rise sommessamente. «Forse era arrivato il momento che vedesse la luce del giorno.»

Langdon guardò il cubo di pietra e si chiese perché Peter glielo avesse appena ridato.

«A cosa ti fa pensare?» domandò Solomon.

Langdon guardò il 1514AD e ricordò la sua prima impressione quando Katherine aveva aperto il pacchetto. «A una pietra angolare.»

«Esatto» confermò Peter. «Bene, forse ci sono alcune cose che non sai a proposito delle pietre angolari. Prima di tutto, il concetto della posa di una pietra angolare deriva dall'Antico Testamento.»

Langdon annuì. «Il libro dei Salmi.»

«Giusto. E una vera pietra angolare viene sempre sepolta, a simboleggiare il primo passo dell'edificio fuori dalla terra e verso la luce dei cieli.»

Langdon lanciò un'occhiata al Campidoglio, rammentando che la pietra angolare di quell'edificio era stata sepolta così in profondità nelle fondamenta che nessuno scavo era ancora riuscito a trovarla.

«E infine» riprese Solomon «esattamente come la scatola di pietra che hai in mano, molte pietre angolari sono piccoli scrigni... con cavità che possono contenere tesori sepolti... talismani, se preferisci: simboli di speranza per il futuro dell'edificio che sta per essere costruito.»

Langdon conosceva bene anche quella tradizione. Ancora oggi i massoni seppelliscono pietre angolari all'interno delle quali sigillano oggetti significativi: capsule del tempo, fotografie, proclami, addirittura ceneri di personaggi importanti.

«Lo scopo per cui ti ho detto tutto questo dovrebbe esserti chiaro.» Solomon lanciò un'occhiata alla scala.

«Tu credi che la Parola perduta sia sepolta nella pietra angolare del Washington Monument?»

«Non lo credo, Robert. Lo so. La Parola perduta venne sepolta con rituale massonico nella pietra angolare di questo monumento il 4 luglio 1848.»

Langdon fissò l'amico. «I nostri padri fondatori massonici seppellirono una parola?»

Peter annuì. «Proprio così. Comprendevano il vero potere di ciò che stavano seppellendo.»

Per tutta la sera Langdon aveva cercato di costringere la propria mente a confrontarsi con concetti bizzarri ed eterei: gli antichi misteri, la Parola perduta, i segreti dei secoli. Ma lui voleva qualcosa di concreto e, nonostante le affermazioni di Peter secondo cui la chiave di tutto era sepolta in una pietra angolare decine di metri sotto di lui, aveva molti problemi ad accettare l'idea. C'è gente che studia i misteri per una vita intera e non riesce comunque ad accedere al potere che si presume sia nascosto laggiù. Ricordò in un lampo la Melencolia I di Dόrer, l'immagine dell'adepto deluso circondato dagli strumenti con cui aveva tentato invano di svelare i segreti dell'alchimia. Anche se i segreti potessero essere effettivamente svelati, non si troverebbero certo in un unico luogo!

La risposta, aveva sempre creduto Langdon, era distribuita in tutto il pianeta, in migliaia di volumi... codificata negli scritti di Pitagora, Ermete, Eraclito, Paracelso e centinaia di altri. La risposta andava cercata in polverosi, dimenticati tomi di alchimia, misticismo, magia e filosofia. La risposta era nascosta nell'antica biblioteca di Alessandria, nelle tavolette di creta dei sumeri, nei geroglifici egizi.

«Peter, mi dispiace» disse sottovoce scuotendo la testa. «Ma comprendere gli antichi misteri è un processo lungo una vita. Non riesco a immaginare come la chiave possa essere in un'unica parola.»

Solomon posò una mano sulla spalla dell'amico. «Robert, la Parola perduta non è una "parola".» Sorrise con aria saggia. «Noi la definiamo "Parola" solo perché è così che la chiamavano gli antichi... all'inizio.»


In principio era il Verbo.

La Parola.

Inginocchiato nella crociera centrale della cattedrale di Washington, il reverendo Galloway pregava per l'America. Pregava affinché il suo amato paese arrivasse presto a comprendere l'autentico potere della Parola: la sapienza di tutti gli antichi maestri tramandata nei loro scritti, le verità spirituali insegnate dai grandi saggi.

La storia aveva benedetto l'umanità con uomini di profonda saggezza, anime illuminatissime la cui comprensione dei misteri dello spirito e della mente andava al di là di ogni possibile immaginazione. Le parole preziose di quegli adepti - Buddha, Gesù, Maometto, Zoroastro e innumerevoli altri - erano state tramandate nel corso della storia grazie ai contenitori più antichi e pregiati.

I libri.

Ogni cultura sulla terra possiede un proprio libro sacro - la propria Parola -, ciascuno diverso dall'altro e, al tempo stesso, ciascuno uguale all'altro. Per i cristiani la Parola è la Bibbia, per i musulmani il Corano, per gli ebrei la Torah, per gli induisti i Veda e così via, all'infinito.

La Parola illuminerà la strada.

Per i massoni padri fondatori dell'America, la Parola era stata la Bibbia. Eppure pochissime persone nella storia ne hanno compreso il vero messaggio.

Quella sera, inginocchiato in solitudine nella grande cattedrale, Galloway posò le mani sulla Parola: una vecchia copia della sua Bibbia massonica. Quel libro che gli era carissimo comprendeva, come tutte le Bibbie massoniche, l'Antico e il Nuovo Testamento e una preziosa raccolta di scritti filosofici della fratellanza.

Anche se i suoi occhi non potevano più leggere, Galloway conosceva a memoria la prefazione. Lo splendido messaggio che conteneva era stato letto da milioni di suoi fratelli, in innumerevoli lingue in tutto il mondo.

Il testo diceva:

IL TEMPO È UN FIUME E I LIBRI SONO VASCELLI. MOLTI VOLUMI INIZIANO A NAVIGARE SEGUENDO LA CORRENTE SOLO PER POI NAUFRAGARE E ARENARSI NELLA SABBIA, ALDILÉ DI OGNI POSSIBILE RICORDO. SOLO POCHI, POCHISSIMI RESISTONO ALLE PROVE DEL TEMPO E CONTINUANO A VIVERE PER BENEDIRE CON LA LORO PRESENZA LE EPOCHE SEGUENTI.


C'è una ragione per cui questi volumi sono sopravvissuti mentre altri sono scomparsi. Come studioso della fede, il reverendo Galloway aveva sempre trovato stupefacente il fatto che gli antichi testi spirituali, i libri più studiati sulla faccia della terra, fossero in realtà i meno compresi.

Nascosto fra quelle pagine c'è un segreto meraviglioso.

Un giorno, presto, si sarebbe fatta luce e l'umanità avrebbe finalmente cominciato ad afferrare la semplice verità trasfigurante degli antichi insegnamenti... e avrebbe compiuto un portentoso balzo in avanti nella comprensione della propria magnifica natura.


La scala che scende lungo la spina dorsale del Washington Monument consiste di ottocentonovantasei gradini di pietra che abbracciano in una spirale il vano aperto dell'ascensore. Mentre la percorreva con Solomon, Langdon continuava a riflettere sulla notizia sorprendente che l'amico gli aveva rivelato solo qualche minuto prima: "Robert, all'interno della pietra angolare cava di questo monumento, i nostri padri fondatori hanno posto una copia della Parola. è la Bibbia che attende al buio, ai piedi di questa scala".

D'improvviso Solomon si fermò su un pianerottolo e puntò il raggio della torcia su un grande medaglione di pietra inserito nella parete.

Cosa diavolo... ? Langdon sobbalzò quando vide il bassorilievo.

La figura rappresentata nel medaglione era avvolta in un mantello e, inginocchiata accanto a una clessidra, impugnava una falce. Il braccio era sollevato e il dito indice teso indicava una grossa Bibbia aperta, quasi a dire: "è qui la risposta!".

Langdon osservò il medaglione e poi si voltò verso Peter.

Gli occhi del suo mentore scintillavano pieni di mistero. «Robert, vorrei che tu riflettessi su una cosa.» La voce di Solomon echeggiò lungo il pozzo delle scale. «Perché credi che la Bibbia sia sopravvissuta per migliaia di anni di storia tumultuosa? Perché è ancora qui? Forse perché le storie che racconta sono una lettura avvincente? Naturalmente no... Ma una ragione c'è. Esiste un motivo per cui i monaci cristiani passano la vita tentando di decifrarla, e i mistici ebraici e gli studiosi della cabala riflettono costantemente sull'Antico Testamento. E la ragione è che ci sono segreti potenti nascosti nelle pagine di quell'antico libro... un'enorme, inutilizzata riserva di sapienza che aspetta di essere svelata.»

Langdon non ignorava la teoria secondo la quale nelle Scritture c'è un livello semantico occulto, un messaggio nascosto velato dall'allegoria, dal simbolismo e dalle parabole.

«I profeti ci avvertono» continuò Peter «che il linguaggio usato per comunicare i loro misteri è criptico. Il vangelo di Marco dice: "A voi è stato dato il mistero... invece tutto avviene in parabole". I Proverbi ammoniscono che le massime dei saggi sono "enigmi" e la prima lettera dei Corinzi parla di "sapienza nascosta". Il vangelo di Matteo dice: "Aprirò la mia bocca con parabole... svelerò cose nascoste".»

Cose nascoste, enigmi, rifletté Langdon, consapevole che quelle parole comparivano diverse volte sia nei Proverbi sia, per esempio, nel Salmo 78: "Aprirò la mia bocca con una parabola, rievocherò gli enigmi dei tempi antichi". Il concetto di "cose nascoste" ed "enigmi", come Langdon ben sapeva, non comportava necessariamente un riferimento al "male", ma indicava piuttosto che il vero significato era in ombra, oscurato alla luce.

«E se hai ancora dei dubbi» riprese Solomon «la prima lettera ai Corinzi ci dice chiaramente che le parabole presentano due livelli semantici: "Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci", dove il latte sta a significare un'interpretazione annacquata per le menti sprovvedute, mentre il cibo solido è il messaggio vero, accessibile solo alle menti più avvedute.»

Peter alzò di nuovo la torcia, illuminando il bassorilievo della figura avvolta nel mantello che indicava la Bibbia. «So che sei uno scettico, Robert, ma rifletti un momento: se nella Bibbia non ci sono significati nascosti, allora perché tante fra le migliori menti della storia, compresi brillanti scienziati della Royal Society, l'hanno studiata fino all'ossessione? Sir Isaac Newton ha scritto più di un milione di parole nel tentativo di decifrarne l'autentico significato, compreso un manoscritto del 1704 in cui sosteneva di aver ricavato informazioni scientifiche occulte dalla Bibbia!»

Langdon sapeva che era vero.

«E Francesco Bacone» continuò Peter «il genio a cui re Giacomo affidò l'incarico di creare, letteralmente, la sua versione autorizzata della Bibbia, si convinse talmente che il testo conteneva un significato criptico da scriverne usando suoi codici personali, codici che vengono studiati ancora oggi! Naturalmente, come sai, Bacone era un rosacroce e scrisse Della saggezza degli antichi.» Solomon sorrise. «Perfino William Blake, poeta iconoclasta, suggerì che dovremmo leggere tra le righe della Bibbia.» Langdon conosceva quel verso:

Entrambi leggiamo la Bibbia giorno e notte,
ma tu leggi nero dove io leggo bianco.


«E non si tratta solo dei grandi intellettuali europei» proseguì Peter scendendo ora a passo più veloce. «È stato qui, nel cuore di questa giovane nazione americana, che i nostri più brillanti padri fondatori... John Adams, Benjamin Franklin, Thomas Paine... segnalarono i gravi pericoli di un'interpretazione letterale della Bibbia. Thomas Jefferson era talmente convinto che il vero messaggio della Bibbia fosse occulto che effettuò dei veri e propri tagli e rivide l'intero testo al fine di, per citare le sue stesse parole, "farla finita con le sovrastrutture artificiali e ristabilire le dottrine autentiche".»

Langdon era a conoscenza anche di quello strano episodio. La Bibbia di Jefferson veniva ancora stampata con incluse molte delle sue controverse revisioni, tra le quali l'eliminazione della nascita da una vergine e della resurrezione. Incredibilmente, la Bibbia di Jefferson era stata offerta in dono a ogni nuovo membro del Congresso per tutta la prima metà del diciannovesimo secolo.

«Peter, tu sai che trovo affascinante questo argomento» disse «e posso capire che menti brillanti abbiano la tentazione di immaginare che le Scritture possiedano un significato nascosto, ma per me tutto ciò non ha alcun senso logico. Qualsiasi professore ti dirà che l'insegnamento non viene mai fatto in codice.»

«Cosa vuoi dire?»

«Gli insegnanti insegnano, Peter. Noi parliamo con chiarezza. Perché mai i profeti, i più grandi insegnanti della storia, dovevano oscurare il loro linguaggio? Se speravano di cambiare il mondo, perché parlare in codice? Perché non parlare chiaramente in modo che il mondo potesse capire?»

Continuando a scendere, Peter si voltò a guardare l'amico, apparentemente sorpreso da quelle domande. «Robert, la Bibbia non parla chiaramente per la stessa ragione per cui le scuole degli antichi misteri venivano tenute nascoste.. per la stessa ragione per cui i neofiti dovevano essere iniziati prima di apprendere gli insegnamenti segreti dei secoli... per la stessa ragione per cui gli scienziati dell'Invisible College si rifiutavano di condividere la loro conoscenza con altri. Si tratta di informazioni potenti, Robert. Non si possono gridare gli antichi misteri dai tetti delle case. I misteri sono una torcia che arde e che nelle mani di un maestro può illuminare la strada, ma nelle mani di un pazzo può incenerire la terra.»

Langdon si fermò. Ma cosa sta dicendo? «Peter, io sto parlando della Bibbia. Perché tu invece parli degli antichi misteri?»

Solomon si voltò. «Ma non capisci? Gli antichi misteri e la Bibbia sono la stessa cosa.»

Langdon lo fissò smarrito.

Peter rimase in silenzio per qualche secondo, aspettando che l'amico assimilasse la sua risposta. «La Bibbia è uno dei libri attraverso i quali i misteri sono stati trasmessi nel corso della storia. Non ti rendi conto che le sue pagine cercano disperatamente di rivelarci il segreto? Le "cose nascoste", gli "enigmi" della Bibbia sono i sussurri degli antichi, che sottovoce condividono con noi la loro segreta saggezza.»

Langdon non disse nulla. Gli antichi misteri, per come li intendeva lui, erano una sorta di manuale per attivare il potere latente della mente umana... una ricetta per l'apoteosi personale. Non era mai riuscito ad accettare l'idea del potere dei misteri e di certo l'ipotesi che la Bibbia in qualche modo nascondesse la chiave di quei misteri era assurda.

«Peter, la Bibbia e gli antichi misteri sono l'una l'opposto degli altri. I misteri vertono tutti sul dio dentro di noi... l'uomo come dio. La Bibbia è tutta centrata sul Dio sopra di noi... e sull'uomo quale peccatore impotente.»

«Sì! Proprio così! Hai individuato esattamente il problema! Nel momento stesso in cui l'umanità si è separata da Dio, il vero significato della Parola è andato perduto. Le voci degli antichi maestri sono state soffocate, smarrite nel chiacchiericcio caotico di autoproclamatisi esperti che gridano di essere gli unici a comprendere la Parola... e che la Parola è scritta nel loro linguaggio e in nessun altro.»

Peter continuava a scendere gli scalini.

«Robert, io e te sappiamo che gli antichi resterebbero disgustati se vedessero come i loro insegnamenti sono stati distorti... come la religione si è trasformata in una specie di casello autostradale per il paradiso... come gli eserciti marciano in battaglia convinti che Dio sostenga la loro causa. Abbiamo perso la Parola e tuttavia il suo autentico significato è ancora a portata di mano, davanti ai nostri occhi. è in tutti i testi sopravvissuti nel tempo, dalla Bibbia alla Bhagavad Gita, al Corano e via dicendo. E tutti questi testi vengono venerati sugli altari della massoneria perché i massoni capiscono ciò che il mondo sembra avere dimenticato... e cioè che ognuno di quei libri, a modo suo, sta sussurrando esattamente lo stesso messaggio.» La voce di Solomon si gonfiò di emozione. «"Non sapete di essere dèi?"»

Langdon era colpito dal modo in cui la famosa, antica citazione continuava a riemergere quella sera. Ci aveva riflettuto quando aveva parlato con Galloway e anche al Campidoglio, mentre cercava di spiegare l'Apoteosi di Washington.

Solomon abbassò la voce in un sussurro. «Il Buddha dice: "Tu stesso sei Dio". E Gesù insegna che "il regno di Dio è dentro di voi" aggiungendo che "chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi". Perfino il primo antipapa, Ippolito di Roma, citava lo stesso messaggio, originariamente formulato dallo gnostico Monoimus: "Abbandona la ricerca di Dio... cercalo portando te stesso al punto di partenza".»

Langdon ripensò alla House of the Temple e allo scanno del massone Tyler, sul cui retro erano intagliate due parole guida: KNOW YOURSELF, "Conosci te stesso".

«Come mi disse una volta un saggio» riprese Solomon a voce più bassa «l'unica differenza tra noi e Dio è che noi abbiamo dimenticato di essere divini.»

«Peter, io ti sto ascoltando. Sul serio. E mi piacerebbe moltissimo poter credere che siamo dèi, ma purtroppo non vedo alcun dio camminare sulla nostra terra. Nessun superuomo. Tu puoi parlarmi dei presunti miracoli della Bibbia, o di qualsiasi altro testo religioso, ma si tratta solo di vecchie storie, inventate dall'uomo e poi gonfiate ed esagerate nel corso del tempo.»

«Può essere» concesse Peter. «O forse abbiamo semplicemente bisogno che la nostra scienza raggiunga il livello della sapienza degli antichi.» Fece una pausa. «La cosa buffa... è che io credo che le ricerche di Katherine possano portare esattamente a questo.»

Langdon d'improvviso si ricordò che Katherine aveva lasciato in gran fretta la House of the Temple. «Senti, ma dov'è andata tua sorella?»

«Sarà qui tra poco» rispose Peter sorridendo. «è andata a sincerarsi di un meraviglioso colpo di fortuna.»


Fuori, alla base del monumento, Peter Solomon si sentì rinvigorito dall'aria fredda della notte. Fissava divertito Langdon che, ai piedi dell'obelisco, studiava attento il terreno grattandosi la testa e guardandosi intorno.

«Professore» scherzò Peter «la pietra angolare che contiene la Bibbia è sottoterra. Non puoi avere accesso al libro, ma ti assicuro che è laggiù.»

«Ti credo» disse Langdon, perso nei suoi pensieri. «È solo che... ho notato una cosa.»

Si fece indietro e osservò la gigantesca piazza in cui si ergeva il Washington Monument. L'area circolare era tutta di pietra bianca... a eccezione di due decorazioni in pietra scura che formavano due cerchi concentrici intorno al monumento.

«Un cerchio all'interno di un cerchio. Non avevo mai notato che il Washington Monument si trova al centro di un cerchio dentro un altro cerchio.»

Solomon rise. Non gli sfugge nulla. «Sì, il grande punto cerchiato... il simbolo universale di Dio... al crocevia dell'America.» Si strinse modestamente nelle spalle. «Sono sicuro che è soltanto una coincidenza.»

Langdon sembrava distante, con lo sguardo rivolto verso l'alto l'obelisco illuminato, che si stagliava netto e bianco sullo sfondo del cielo nero invernale.

Solomon intuì che il suo amico cominciava a vedere quell'opera per ciò che era veramente: un tacito promemoria dell'antica sapienza... un'icona dell'uomo illuminato nel cuore di una grande nazione. Anche se Peter non poteva vedere la minuscola punta d'alluminio in cima all'obelisco, sapeva che c'era: la mente illuminata dell'uomo tesa verso il cielo.

Laus Deo.

«Peter?» Langdon gli si avvicinò. La sua espressione era quella di un uomo che avesse superato una sorta di iniziazione mistica. «Quasi dimenticavo.» Mise una mano in tasca ed estrasse l'anello d'oro dell'amico. «Per tutta la sera non ho desiderato altro che restituirtelo.»

«Grazie.» Peter tese la sinistra, prese l'anello e lo osservò. «Sai, tutta la segretezza e il mistero che circondano questo anello e la piramide massonica... hanno avuto un'influenza enorme sulla mia vita. Quando ero ancora un ragazzo, la piramide mi venne consegnata insieme alla promessa dei suoi segreti mistici. Ed è bastata la sua esistenza a farmi credere che ci fossero grandi misteri nel mondo. Ha suscitato la mia curiosità, alimentato il mio senso di meraviglia e mi ha spinto ad aprire la mente agli antichi misteri.» Sorrise e si fece scivolare l'anello in tasca. «Adesso mi rendo conto che il vero scopo della piramide massonica non era rivelare le risposte, ma ispirare la fascinazione per quelle risposte.»

I due uomini rimasero a lungo in silenzio ai piedi del monumento.

Poi Langdon parlò. «Devo chiederti un favore, Peter... da amico.» Il tono era serio.

«Certo. Qualsiasi cosa.»

Langdon formulò la sua richiesta... con decisione.

Solomon annuì sapendo che Peter aveva ragione. «Lo farò.»

«Subito» aggiunse Langdon indicando l'Escalade in attesa.

«Okay... ma a una condizione.»

Langdon alzò gli occhi al cielo ridendo. «Non so come, ma riesci sempre ad avere l'ultima parola.»

«Sì... c'è un'ultimissima cosa che voglio che tu e Katherine vediate.»

«A quest'ora?» Langdon guardò l'orologio.

Solomon sorrise al suo vecchio amico. «È il tesoro più spettacolare di Washington... qualcosa che poche, pochissime persone hanno avuto la fortuna di vedere.»


Katherine Solomon si sentiva il cuore leggero mentre risaliva veloce la collina verso la base del Washington Monument. Quella sera aveva vissuto tragedie e subito gravi shock, tuttavia i suoi pensieri adesso erano concentrati, anche se solo momentaneamente, sulla meravigliosa notizia che Peter le aveva comunicato poco prima... notizia di cui aveva appena visto la conferma con i suoi stessi occhi.

Le mie ricerche sono salve. Tutte.

Quella sera le memorie olografiche del suo laboratorio erano state distrutte, ma Peter, alla House of the Temple, l'aveva informata di avere sempre conservato i backup delle sue ricerche noetiche nei propri uffici presso l'SMSC. Tu sai che sono assolutamente affascinato dal tuo lavoro, e volevo seguire i tuoi progressi senza disturbarti.

«Katherine?» la chiamò una voce profonda.

La donna alzò gli occhi.

Alla base del monumento illuminato si stagliava una figura solitaria.

«Robert!» Corse ad abbracciarlo.

«Ho saputo la buona notizia» mormorò Langdon. «Devi sentirti molto sollevata.»

La voce di Katherine era rotta dall'emozione. «Incredibilmente sollevata.»

Le ricerche che Peter aveva salvato costituivano il risultato di un vero e proprio tour de force scientifico: una vastissima raccolta di esperimenti per provare che il pensiero umano è una forza reale e misurabile nel mondo fisico. Il lavoro di Katherine dimostrava gli effetti del pensiero umano su qualsiasi cosa, dai cristalli di ghiaccio ai generatori di eventi casuali, al movimento delle particelle subatomiche. I risultati erano conclusivi e irrefutabili. E avevano il potenziale per poter trasformare gli scettici in credenti e per condizionare la coscienza collettiva su vasta scala.

«Tutto cambierà, Robert. Tutto.»

«Peter di sicuro ne è convinto.»

Katherine si guardò intorno in cerca del fratello.

«Ospedale» spiegò Langdon. «Gli ho chiesto di andarci a titolo di favore personale.»

Katherine sospirò, sollevata. «Grazie.»

«Mi ha detto di aspettarti qui.»

La donna annuì, risalendo con lo sguardo l'obelisco bianco. «Mi aveva avvertito che ti ci avrebbe portato. Qualcosa a che vedere con "Laus Deo"? Non mi ha dato spiegazioni.»

Langdon fece una risatina stanca. «Non sono sicuro di avere capito neppure io.» Guardò la sommità del monumento. «Questa sera tuo fratello ha detto diverse cose che la mia mente non riesce ad accettare del tutto.»

«Lasciami indovinare: antichi misteri, scienza e Sacre Scritture?»

«Bingo.»

«Benvenuto nel mio mondo.» Katherine strizzò l'occhio. «Peter mi ha iniziato a questi argomenti parecchio tempo fa. Ha significato molto per le mie ricerche.»

«Intuitivamente, parte di ciò che ha detto ha senso.» Langdon scosse la testa. «Ma razionalmente...»

Katherine sorrise e gli passò un braccio intorno alla vita. «Sai, Robert, riguardo a questo forse sono in grado di aiutarti.»


Nelle profondità del Campidoglio, l'architetto Warren Bellamy stava percorrendo un corridoio deserto.

Resta ancora una cosa da fare questa sera.

Entrato nel suo ufficio, recuperò una vecchia chiave dal cassetto della scrivania. La chiave di ferro era nera, lunga e sottile, con la mappa smussata dal tempo. Bellamy se la fece scivolare in tasca e si preparò ad accogliere i suoi ospiti.

Robert Langdon e Katherine Solomon stavano per arrivare al Campidoglio. Su richiesta di Peter, Bellamy doveva concedere ai due visitatori un'opportunità più che rara: la possibilità di posare gli occhi sul segreto più magnifico dell'edificio... qualcosa che poteva essere rivelato soltanto dall'architetto.


Molto in alto rispetto al pavimento della Rotonda, Robert Langdon avanzava nervosamente lungo la galleria circolare che si sviluppava sotto il soffitto della cupola. Lanciò un'occhiata timorosa al di là della ringhiera, stordito dall'altezza, ancora incapace di convincersi che fossero passate meno di dieci ore da quando la mano di Peter si era materializzata al centro del pavimento sottostante.

Circa cinquantacinque metri più in basso, l'architetto del Campidoglio era una figura minuscola che attraversava la Rotonda per poi scomparire. Bellamy aveva scortato Langdon e Katherine fin lassù, dove li aveva lasciati dopo aver impartito istruzioni molto specifiche.

Le istruzioni di Peter.

Langdon osservò la vecchia chiave di ferro che gli aveva consegnato l'architetto. Poi lanciò un'occhiata alla piccola scala che, dal livello in cui si trovava, continuava a salire... ancora più in alto. Che Dio mi aiuti. Secondo quanto aveva detto Bellamy, quella scaletta portava a una piccola porta metallica che poteva essere aperta solo con la chiave che Langdon ora stringeva nella mano.

Oltre quella porta c'era qualcosa che, secondo Peter, Langdon e sua sorella dovevano assolutamente vedere. Solomon non aveva fornito altri elementi, limitandosi a impartire rigorose istruzioni a proposito dell'ora esatta in cui la porta doveva essere aperta. Dobbiamo aspettare per aprire la porta? Perché?

Langdon guardò di nuovo l'orologio ed emise un gemito di impazienza.

Si rimise la chiave in tasca e, attraverso il vuoto davanti a sé, guardò l'estremità opposta della galleria. Impavida, Katherine l'aveva preceduto camminando davanti a lui, apparentemente indifferente all'altezza. Ora si trovava circa a metà della circonferenza e stava ammirando ogni centimetro dell'Apoteosi di Washington di Brumidi, che incombeva direttamente sopra le loro teste. Da quell'insolito punto di osservazione, le figure alte quasi cinque metri che decoravano i quattrocentosessanta metri quadrati della cupola risaltavano nei loro stupefacenti dettagli.

Langdon voltò la schiena a Katherine, girandosi verso il muro esterno, e a voce bassissima sussurrò: «Katherine, è la tua coscienza che ti parla: perché hai abbandonato Robert?».

Evidentemente Katherine era a conoscenza delle straordinarie caratteristiche acustiche della cupola... dato che il muro rispose sussurrando: «Perché Robert è un pauroso. Dovrebbe venire qui da me. Abbiamo un mucchio di tempo da occupare prima di poter aprire quella porta».

Langdon sapeva che Katherine aveva ragione e, anche se con riluttanza, avanzò lungo la galleria tenendosi vicino alla parete.

«Questo soffitto è assolutamente incredibile» dichiarò Katherine ammirata, allungando il collo per assimilare l'enorme splendore dell'apoteosi. «Dèi mitologici mescolati a inventori e alle loro creazioni? E pensare che è questa l'immagine al centro del nostro Campidoglio.»

Langdon alzò gli occhi sulle sagome gigantesche di Franklin, Fulton e Morse e sulle loro invenzioni. Da quelle figure si staccava un arcobaleno splendente che guidò il suo sguardo fino a George Washington, il quale saliva in cielo su una nuvola. La grande promessa dell'uomo che diventa Dio.

«È come se l'intera essenza degli antichi misteri se ne stesse sospesa sopra la Rotonda» disse Katherine.

Langdon doveva ammettere che non erano molti gli affreschi al mondo che mescolavano invenzioni scientifiche con dèi mitologici e apoteosi umane. La spettacolare serie di immagini sul soffitto era effettivamente un messaggio degli antichi misteri e si trovava lì per una ragione. I padri fondatori avevano pensato all'America come a una tela bianca, una terra fertile nella quale sarebbe stato possibile far germogliare i semi dei misteri. E adesso quell'icona - il padre della nazione che ascendeva al cielo - se ne stava sospesa in silenzio sopra i legislatori, i personaggi di spicco, i presidenti... un audace promemoria, una mappa per il futuro, la promessa di un tempo in cui l'uomo, evolvendosi, avrebbe raggiunto la sua completa maturità spirituale.

Con lo sguardo ancora fisso sulle figure imponenti dei grandi inventori americani accompagnati da Minerva, Katherine mormorò: «è un'immagine profetica, davvero. Oggi le scoperte più avanzate vengono usate per studiare le idee più antiche. Le scienze noetiche possono forse essere considerate nuove, ma in realtà sono le più vecchie del mondo: sono lo studio del pensiero umano». Si voltò verso Langdon con gli occhi pieni di meraviglia. «E stiamo scoprendo che gli antichi comprendevano il pensiero molto più profondamente di quanto lo comprendiamo noi oggi.»

«Ha senso» osservò Langdon. «La mente umana era l'unica tecnologia che gli antichi avevano a disposizione. I filosofi non smettevano mai di studiarla.»

«Proprio così! I testi antichi sembrano ossessionati dal potere della mente. I Veda descrivono il flusso dell'energia mentale. Il Pistis Sophia descrive la consapevolezza universale. Lo Zohar esplora la natura dello spirito della mente. I testi sciamanici anticipano "l'azione a distanza" di Einstein in termini di "guarigione a distanza". C'era già tutto! E non voglio neppure accennare alla Bibbia!»

«Anche tu?» Langdon rise. «Peter ha cercato di convincermi che la Bibbia è piena di informazioni scientifiche in codice.»

«È così» confermò Katherine. «E se non credi a Peter, leggiti qualche testo esoterico di Newton sulla Bibbia. Quando cominci a comprendere le parabole criptiche delle Scritture, ti rendi conto che si tratta di uno studio della mente umana.»

Langdon si strinse nelle spalle. «Allora sarà meglio che me le rilegga.»

«Posso farti una domanda?» continuò Katherine, che chiaramente non apprezzava il suo scetticismo. «Quando la Bibbia ci dice di "costruire il nostro tempio"... un tempio che dobbiamo costruire senza rumore di "martelli, piccone o altro arnese di ferro", di che tempio pensi stia parlando?»

«Be', la Bibbia dice che il nostro corpo è un tempio.»

«Sì. Prima lettera ai Corinzi, 3,16: "Non sapete che siete tempio di Dio?".» Katherine sorrise. «E il Vangelo di Giovanni dice esattamente la stessa cosa. Robert, le Scritture sono ben consapevoli del potere latente che c'è dentro di noi e ci esortano a incanalarlo nel modo giusto... ci esortano a costruire il tempio della nostra mente.»

«Per nostra sfortuna, io credo che gran parte del mondo religioso si aspetti che venga ricostruito un tempio vero e proprio. Rientra nella profezia messianica.»

«Sì, ma significa lasciarsi sfuggire un punto importante. Il secondo avvento è l'avvento dell'uomo: il momento in cui finalmente l'umanità costruirà il tempio della propria mente.»

«Non saprei...» disse Langdon, sfregandosi il mento. «Non sono un esperto di Bibbia, ma sono abbastanza sicuro del fatto che le Scritture descrivano in dettaglio un tempio fisico. Si precisa che la struttura è composta da due parti: un tempio chiamato il Santo e una sala interna chiamata sancta sanctorum. E che le due parti sono separate da un velo sottile.»

Katherine sorrise. «Per essere uno scettico, ricordi piuttosto bene. Per inciso, hai presente il cervello umano? È avvolto da due membrane: una esterna, la dura madre, e una interna, la pia madre. E in mezzo a queste membrane c'è l'aracnoide: un velo di tessuto simile a una ragnatela.»

Langdon inclinò la testa, sorpreso.

Katherine alzò una mano e gli sfiorò delicatamente il capo. «C'è una ragione per cui questa si chiama tempia.»

Mentre cercava di elaborare ciò che Katherine gli aveva appena detto, Langdon ricordò all'improvviso un passo del vangelo gnostico di Maria: "Ove è la mente, quivi è il tesoro".

«Forse» riprese Katherine «hai sentito parlare delle TAC cerebrali degli yogin in meditazione. Il cervello umano, in stati di profonda concentrazione, crea fisicamente una sostanza simile a cera tramite la ghiandola pineale. Questa secrezione è diversa da qualunque altra cosa nel corpo umano. Ha un incredibile effetto risanatore, può letteralmente rigenerare le cellule e forse è una delle ragioni per cui gli yogin vivono così a lungo. E scienza, Robert. Questa sostanza possiede proprietà straordinarie e può essere prodotta solo da una mente addestrata al massimo livello.»

«Ricordo di aver letto qualcosa anni fa.»

«Sì. E, restando in argomento, hai presente l'episodio biblico della manna?»

Langdon non vedeva alcuna relazione. «Parli del cibo che piovve dal cielo per nutrire gli affamati?»

«Esatto. Si diceva che guarisse gli ammalati, garantisse vita eterna e, stranamente, non determinasse evacuazione in coloro che la consumavano.» Katherine fece una pausa, come in attesa che Langdon capisse. «Robert?» lo sollecitò. «Un alimento che cade dal cielo.» Si picchiettò la tempia. «Che risana magicamente il corpo e che non produce escrementi. Ma non capisci? Sono parole in codice! Tempio sta per "corpo". Cielo sta per "mente". La scala di Giacobbe è la spina dorsale. E la "manna" è quella rara secrezione cerebrale di cui parlavo. Quando vedi queste parole nelle Scritture, fai attenzione: sono spesso indicatori di un significato più profondo, nascosto sotto la superficie.»

Ora le parole uscivano dalla sua bocca come un fiume in piena, spiegando come quella stessa sostanza magica comparisse in tutti gli antichi misteri: nettare degli dèi, elisir di lunga vita, fontana della giovinezza, pietra filosofale, ambrosia, rugiada, ojas, succo di soma. Poi Katherine si lanciò nella sua interpretazione di come la ghiandola pineale rappresentasse l'occhio di Dio che tutto vede. «Secondo Matteo 6,22» continuò eccitata «"se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso". È il medesimo concetto rappresentato anche dall'Ajna chakra, il piccolo cerchio sulla fronte dell'induista che...» Katherine si interruppe di colpo, imbarazzata. «Scusami... sto parlando troppo. È solo che trovo tutto questo esaltante. Ho studiato per anni le tesi degli antichi sull'incredibile potere della mente, e oggi la scienza ci sta dimostrando che accedere a quel potere è un processo fisico. Il nostro cervello, se usato nel modo corretto, può attivare poteri che sono letteralmente sovrumani. La Bibbia, come molti testi antichi, è un'esposizione dettagliata della macchina più sofisticata che sia mai stata creata... la mente umana.» Sospirò. «Incredibilmente, la scienza non ha ancora cominciato a scalfire la superficie di tutto ciò che la mente promette.»

«Ma sembra che il tuo lavoro nelle scienze noetiche farà compiere un incredibile passo avanti.»

«O indietro» disse Katherine. «Gli antichi conoscevano già molte delle verità scientifiche che oggi stiamo riscoprendo. Nel giro di pochi anni, l'uomo moderno sarà costretto ad accettare ciò che ora è impensabile: la mente può generare un'energia che è in grado di trasformare la materia.» Fece una pausa. «Le particelle reagiscono ai nostri pensieri... questo significa che i pensieri hanno il potere di modificare il mondo.»

Langdon sorrise.

«Ciò che le mie ricerche mi hanno portato a credere è questo: Dio è molto reale, è un'energia mentale che pervade tutto. E noi, come esseri umani, siamo stati creati a sua immagine...»

«Aspetta» la interruppe Langdon. «Creati a immagine di... un'energia mentale?»

«Proprio così. Sì, il nostro corpo fisico si è evoluto nel corso del tempo, ma ciò che è stato creato a immagine di Dio è la mente. Noi interpretiamo la Bibbia in senso troppo letterale. Impariamo che Dio ci ha creato a sua immagine, ma non è il corpo ad assomigliare a Dio, è la mente.»

Langdon ora taceva, prestando la massima attenzione.

«È questo il grande dono, Robert. E Dio sta aspettando che noi lo comprendiamo. In tutto il mondo rivolgiamo lo sguardo al cielo in attesa di Dio... senza mai renderci conto che è Dio che sta aspettando noi.» Katherine tacque, lasciando che le sue parole facessero presa. «Noi siamo creatori, e tuttavia recitiamo ingenuamente il ruolo dei "creati". Vediamo noi stessi come pecore indifese in balia del Dio che ci ha fatto. Ci inginocchiamo come bambini spaventati e imploriamo aiuto, perdono, fortuna. Ma quando ci saremo resi conto di essere stati veramente creati a immagine di Dio, cominceremo a capire che anche noi dobbiamo essere creatori. E una volta che lo avremo compreso, le porte del potenziale umano si spalancheranno.»

Langdon ripensò a una frase del filosofo Manly P. Hall, un passaggio che gli era sempre rimasto impresso: "Se l'infinito non avesse desiderato l'uomo saggio, non gli avrebbe donato la facoltà della conoscenza". Alzò lo sguardo sull'immagine dell'Apoteosi di Washington, l'ascesa simbolica dell'uomo verso la divinità. L'essere creato... che diventa il Creatore.

«La parte più stupefacente» riprese Katherine «è che non appena inizieremo a liberare il nostro vero potenziale, avremo un enorme controllo sul mondo che ci circonda. Saremo in grado di plasmare la realtà, invece di limitarci meramente a reagire.»

Langdon abbassò gli occhi. «Sembra... pericoloso.»

Katherine parve sorpresa... e colpita. «Sì, proprio così! Se i pensieri possono agire sul mondo, allora dobbiamo stare molto attenti a come pensiamo. Anche i pensieri distruttivi esercitano un'influenza, e sappiamo bene che è molto più facile distruggere che creare.»

Langdon pensò a tutti gli scritti, i miti e le tradizioni relativi alla necessità di proteggere l'antica sapienza da chi non ne è degno, condividendola solo con i soggetti illuminati. Pensò all'Invisible College e al grande scienziato Isaac Newton, che chiedeva a Robert Boyle di mantenere "assoluto silenzio" sulla loro ricerca segreta. "Non può essere comunicata senza immenso danno al mondo" scriveva Newton nel 1676.

«A questo punto c'è un interessante capovolgimento» continuò Katherine. «La grande ironia, infatti, è che tutte le religioni del mondo esortano da secoli i rispettivi fedeli ad abbracciare i concetti di fede e dogma. Oggi la scienza, che per secoli ha deriso la religione considerandola una forma di superstizione, deve ammettere che la sua prossima frontiera è, quasi letteralmente, la scienza della fede e del dogma... Il potere della convinzione e dell'intento concentrati al massimo. La stessa scienza che ha eroso la nostra fede nel miracoloso oggi sta costruendo un ponte sulla voragine che ha creato.»

Langdon rifletté a lungo su quelle parole, poi, lentamente, alzò di nuovo gli occhi sull'Apoteosi. «Ho una domanda» annunciò, riportando lo sguardo su Katherine. «Anche se accettassi, solo per un istante, l'idea di poter modificare la materia fisica con la mia mente e di concretizzare tutto ciò che desidero... temo di non vedere niente nella mia vita che possa indurmi a credere di possedere un potere del genere.»

Katherine si strinse nelle spalle. «Allora non stai guardando abbastanza attentamente.»

«Andiamo, voglio una risposta vera. La tua è la risposta di un prete. Io voglio la risposta di una scienziata.»

«Vuoi una risposta vera? Eccola. Se ti metto in mano un violino e ti dico che hai la capacità di usarlo per suonare una musica incredibile, non ti sto mentendo: tu possiedi davvero quella capacità, ma dovrai fare moltissima pratica per arrivare a manifestarla. Imparare a usare la propria mente non è un processo molto diverso. Orientare correttamente il pensiero è un'abilità che si acquisisce. Concretizzare un'intenzione richiede una concentrazione tipo laser, una totale visualizzazione sensoriale e un profondo convincimento interiore. Lo abbiamo dimostrato in laboratorio. E proprio come accade per il violino, ci sono persone dotate di un'abilità naturale superiore a quella degli altri. Guarda alla storia. Pensa a tutte quelle menti illuminate che hanno realizzato imprese miracolose.»

«Katherine, per favore, non dirmi che credi davvero nei miracoli. Insomma, sul serio... trasformare l'acqua in vino e guarire gli ammalati con il tocco della mano?»

Katherine fece un lungo respiro. «Ho visto io stessa soggetti che hanno trasformato cellule cancerose in cellule sane con la sola forza del pensiero. Ho visto io stessa menti umane agire sul mondo fisico in una miriade di modi diversi. E una volta che assisti a eventi del genere, Robert, una volta che tutto questo entra a far parte della tua realtà, allora parlare di alcuni dei miracoli di cui si legge diventa una questione di sfumature.»

Langdon era pensieroso. «è un modo ispirato di vedere il mondo, ma a me sembra un insostenibile salto intellettuale basato sulla fede. E, come sai, la fede non è mai stata il mio forte.»

«Allora non pensare a tutto questo come fede. Consideralo come un normale cambio di prospettiva e accetta il fatto che il mondo non è esattamente come lo immagini. Nel corso della storia, tutte le più importanti scoperte scientifiche sono partite da un'idea semplice che minacciava di sovvertire le convinzioni dell'epoca. L'affermazione che la terra è rotonda veniva derisa e ritenuta assolutamente impossibile perché tutti erano convinti che, se così fosse stato, gli oceani si sarebbero rovesciati. L'eliocentrismo era definito un'eresia. Le menti ristrette si sono sempre scagliate contro ciò che non capiscono. Ci sono coloro che creano... e coloro che distruggono. E una dinamica dura a morire. Ma prima o poi i creatori trovano chi crede in loro, il numero di chi crede aumenta, raggiunge una massa critica e all'improvviso la terra diventa rotonda e il sistema solare eliocentrico. La percezione si è trasformata ed è nata una nuova realtà.»

Langdon annuì, anche se la sua mente ora stava vagando.

«Hai una strana espressione» osservò Katherine.

«Be', non so perché, ma stavo pensando a quando avevo l'abitudine di uscire in canoa sul lago, a notte fonda, distendermi sotto le stelle e pensare ad argomenti del genere.»

Katherine annuì. «Credo che abbiamo tutti un ricordo analogo. Sdraiarsi e guardare il cielo... è qualcosa che apre la mente.» Alzò gli occhi al soffitto e poi disse: «Dammi la giacca».

«Cosa?» Langdon si tolse la giacca e gliela passò.

Katherine la piegò in due e la posò sul pavimento della galleria, come un lungo cuscino. «Sdraiati.»

Langdon obbedì e Katherine gli sistemò la testa su metà della giacca ripiegata. Poi si distese accanto a lui: due ragazzini, spalla contro spalla in quello spazio ristretto, gli sguardi fissi sull'enorme affresco di Brumidi.

«Okay» sussurrò Katherine. «Cerca di tornare a quello stato mentale: un ragazzo disteso in una canoa che guarda le stelle... con la mente aperta e piena di meraviglia.»

Langdon cercò di obbedire, anche se in quel momento, supino e in una posizione finalmente comoda, cominciava a provare un senso di sfinimento. Ma, mentre la vista gli si annebbiava, d'improvviso notò qualcosa di insolito che lo ridestò di colpo. Possibile? Non riusciva a credere di non essersene mai accorto prima, ma le figure dell'Apoteosi di Washington erano chiaramente disposte in due anelli concentrici: un cerchio all'interno di un cerchio. Anche l'Apoteosi è un punto cerchiato? Langdon si chiese cos'altro gli fosse sfuggito quella notte.

«C'è una cosa importante che voglio dirti, Robert. C'è un'altra tessera in questo mosaico... una tessera che credo sia l'aspetto più stupefacente delle mie ricerche.»

C'è dell'altro?

Katherine si sollevò, puntellandosi su un gomito. «E ti assicuro che... se noi, come esseri umani, riusciremo a comprendere quest'unica, semplice verità... il mondo cambierà da un giorno all'altro.»

Ora aveva la totale attenzione di Langdon.

«Come premessa, devo ricordarti i mantra massonici "riunire ciò che è sparso"... ricavare "ordine dal caos"... trovare "riconciliazione".»

«Vai avanti.» Langdon era incuriosito.

Katherine sorrise. «Abbiamo dimostrato scientificamente che il potere della mente umana aumenta in modo esponenziale in rapporto al numero di persone che condividono il medesimo pensiero.»

Langdon rimase in silenzio, chiedendosi come Katherine avrebbe sviluppato l'idea.

«Quello che sto dicendo è... che due teste sono meglio di una... ma due teste non sono due volte meglio, sono molte, molte volte meglio. Più menti che lavorano all'unisono aumentano gli effetti di un pensiero... in misura esponenziale. è questo il potere intrinseco dei gruppi di preghiera, dei circoli di guarigione, del cantare insieme, dell'adorazione in massa. L'idea di una consapevolezza universale non è un etereo concetto new age, è una solida realtà scientifica... e, se sfruttata, ha il potenziale per trasformare il mondo. è questa la scoperta di base delle scienze noetiche. E ciò che più importa è che sta accadendo adesso. Lo puoi sentire intorno a te. La tecnologia ci sta unendo in modi che non avremmo mai creduto possibili: Twitter, Google, Wikipedia e altri ancora, tutti si fondono per creare una rete di menti interconnesse.» Katherine rise. «E ti posso garantire che non appena pubblicherò il mio lavoro, i fan di Twitter si scambieranno messaggi dicendo: "Imparate tutto delle scienze noetiche". L'interesse per questa disciplina esploderà in modo assolutamente incredibile.»

Langdon sentiva le palpebre chiudersi. «Sai, io non ho ancora imparato a mandare un twitter.»

«Un tweet» lo corresse Katherine ridendo.

«Prego?»

«Lascia perdere. Ora chiudi gli occhi. Ti sveglierò io quando sarà ora.»

Langdon si rese conto di essersi completamente dimenticato della vecchia chiave che gli aveva dato l'architetto e anche del perché erano saliti lassù. Una nuova ondata di sfinimento lo sommerse, facendogli chiudere gli occhi. Nel buio della mente, si sorprese a ripensare alla consapevolezza universale... agli scritti di Platone sulla "mente del mondo" e sul "riunirsi con Dio"... all'"inconscio collettivo" di Jung. Il concetto era tanto semplice quanto sbalorditivo.

Dio si trova nell'unione dei Molti... non nell'Uno.

«Elohim!» esclamò di colpo, spalancando gli occhi per l'improvviso collegamento.

«Come hai detto?» Katherine lo stava ancora fissando.

«Elohim. Il termine ebraico per definire Dio nell'Antico Testamento! Mi ha sempre dato da pensare.»

Katherine gli sorrise. «Sì. La parola è al plurale.»

Proprio così! Langdon non aveva mai capito perché i primissimi brani della Bibbia citassero Dio come un essere plurale. Elohim. Il Dio onnipotente della Genesi veniva descritto non come Uno... ma come Molti.

«Dio è plurale» mormorò Katherine «perché le menti degli uomini sono molte.»

I pensieri di Langdon si stavano avvitando in una spirale... sogni, ricordi, speranze, paure, rivelazioni... tutto vorticava sopra di lui nella cupola della Rotonda. Mentre gli occhi tornavano a chiudersi, si ritrovò a fissare tre parole latine che comparivano nell'Apoteosi.

E PLURIBUS UNUM.

Da molti, uno, pensò, scivolando nel sonno.

EPILOGO


Langdon si svegliò lentamente.

C'erano dei visi che lo fissavano dall'alto. Dove sono?

Un attimo dopo ricordò dove si trovava. Si mise a sedere sotto l'Apoteosi. Il breve sonno sul duro pavimento della galleria gli aveva irrigidito la schiena.

Dov'è Katherine?

Guardò il suo orologio di Topolino. È quasi ora. Si alzò in piedi e sbirciò oltre la ringhiera, nello spazio vuoto sottostante.

«Katherine?»

Il nome riecheggiò nel silenzio della Rotonda deserta.

Langdon raccolse la giacca di tweed, la spazzolò con la mano e la indossò. Controllò le tasche: la chiave di ferro che gli aveva consegnato l'architetto non c'era più.

Percorrendo in senso contrario la galleria, raggiunse il vano che gli aveva indicato Bellamy... ripidi scalini metallici che si perdevano in un buio fitto. Cominciò a salire lungo la scala, che si faceva sempre più stretta. Ma non si fermò.

Ancora un po'.

Ora i gradini somigliavano più a quelli di una scala a pioli e lo spazio era spaventosamente ridotto. Poi la scala finì e Langdon si ritrovò su un piccolo pianerottolo, davanti a una pesante porta metallica appena socchiusa. La chiave di ferro era infilata nella serratura. Sempre al buio, Langdon spinse la porta, che si aprì con un cigolio lasciando entrare l'aria fredda, varcò la soglia e capì di trovarsi all'esterno.

«Stavo per venire a chiamarti» disse Katherine sorridendo. «E' quasi ora.»

Non appena si rese conto di dove si trovava, Langdon trattenne il fiato, sorpreso. Era in piedi sullo strettissimo ballatoio esterno che circondava la sommità della cupola del Campidoglio. Proprio sopra di lui, la Statua della Libertà lasciava vagare lo sguardo sulla capitale addormentata. La statua era rivolta a est, dove le prime pennellate cremisi dell'alba avevano cominciato a colorare l'orizzonte.

Katherine guidò Langdon lungo il ballatoio, finché si ritrovarono a guardare verso ovest, perfettamente allineati con il National Mall. In lontananza, la sagoma del Washington Monument svettava nella luce del primo mattino. Da quel punto d'osservazione, il torreggiante obelisco sembrava più imponente che mai.

«All'epoca in cui venne costruito, era la struttura più alta di tutto il pianeta» mormorò Katherine.

A Langdon vennero in mente le vecchie fotografie color seppia dei muratori che, appollaiati sulle impalcature a più di centocinquanta metri da terra, posavano ogni blocco a mano, uno per uno.

Noi siamo costruttori, pensò. Siamo creatori.

Fin dall'inizio dei tempi, l'uomo aveva intuito che c'era qualcosa di speciale in lui... qualcosa che andava oltre. Aveva agognato poteri che non deteneva. Aveva sognato di volare, di poter guarire le malattie e di trasformare il proprio mondo in ogni modo immaginabile.

E lo aveva fatto.

Ora i santuari delle sue realizzazioni si allineavano lungo il National Mall. I musei dello Smithsonian traboccavano di invenzioni, di opere d'arte, di scienza e delle idee di grandi pensatori. Raccontavano la storia dell'uomo come creatore, dagli utensili di pietra del Museo di storia dei nativi americani ai jet e ai razzi del Museo nazionale dell'aviazione e dello spazio.

Se i nostri antenati potessero vederci oggi, di sicuro penserebbero che siamo dèi.

Mentre osservava la geometria dei musei e dei monumenti attraverso la foschia che anticipava l'alba, Langdon riportò lo sguardo sul Washington Monument. Ripensò alla Bibbia nella pietra angolare e a come la Parola di Dio fosse in realtà la parola dell'uomo. Pensò al grande simbolo del punto cerchiato e al modo in cui era stato incastonato nella piazza circolare ai piedi del monumento al crocevia dell'America. All'improvviso gli venne in mente la piccola scatola di pietra che Peter gli aveva affidato. Ora si rendeva conto che il cubo si era aperto a formare la stessa esatta figura geometrica: una croce con un punto cerchiato al centro. Si sorprese a sorridere. Perfino la scatola suggeriva quel crocevia.

«Robert, guarda!» Katherine indicò con il dito la sommità del monumento.

Langdon alzò lo sguardo, ma non vide niente.

Poi, osservando con maggiore attenzione, scorse qualcosa.

Al di là del Mall, una minuscola scheggia dorata di luce solare rimbalzava sulla cima dell'obelisco. Il punto luminoso diventò rapidamente sempre più brillante, scintillando sul vertice d'alluminio della sommità. Langdon lo guardò meravigliato trasformarsi in un raggio che andava allungandosi sopra la città ancora avvolta nell'ombra. Visualizzò la sottile incisione sulla faccia della cuspide rivolta a est e, stupito, si rese conto di come il primo raggio di sole che ogni giorno colpiva la capitale della nazione iniziasse il suo viaggio illuminando due parole.

Laus Deo.

«Nessuno sale quassù a quest'ora» sussurrò Katherine. «è questo ciò che Peter voleva che vedessimo.»

Langdon sentiva il polso accelerare a mano a mano che il bagliore sulla sommità del monumento si intensificava.

«Peter crede che sia questa la ragione per cui i padri fondatori vollero che l'obelisco fosse così alto. Non so se sia vero, ma una cosa è certa: una vecchissima legge stabilisce che nella nostra capitale non possa essere costruito niente di più alto. Mai.»

La luce continuò a scendere gradualmente lungo la cuspide, mentre il sole si alzava lento sopra l'orizzonte dietro di loro. Osservando la scena, Langdon poteva quasi percepire tutto intorno a lui le sfere celesti che tracciavano le proprie orbite eterne nel vuoto dello spazio. Pensò al Grande Architetto dell'Universo. E a Peter, il quale gli aveva detto che il tesoro che voleva fargli vedere poteva essere svelato esclusivamente dall'architetto. Langdon aveva pensato che si riferisse a Warren Bellamy. Ma era l'architetto sbagliato.

I raggi del sole avvolsero l'intera cuspide. La mente dell'uomo... che riceve l'illuminazione. Poi la luce cominciò a scivolare lungo il monumento, iniziando la stessa discesa che compiva ogni mattina. Il cielo che scende verso la terra... Dio che si collega all'uomo. Quel processo, pensò Langdon, si sarebbe svolto all'inverso quando fosse arrivata la sera. Il sole si sarebbe tuffato a ovest e la luce sarebbe risalita dalla terra al cielo... in preparazione di un nuovo giorno.

Accanto a lui, Katherine ebbe un brivido e si fece più vicina. Langdon le passò un braccio intorno alle spalle. Mentre se ne stavano fianco a fianco in silenzio, pensò a tutto ciò che aveva imparato quella notte. Alla convinzione di Katherine che ogni cosa stesse per cambiare. Alla fede di Peter nel fatto che l'età dell'illuminazione fosse ormai imminente. E pensò alle parole di un grande profeta che aveva affermato: "Non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce".

Mentre il sole si alzava su Washington, Langdon rivolse lo sguardo al cielo, dove le ultime stelle andavano sbiadendo. Rifletté sulla scienza, sulla fede e sull'uomo. Rifletté su come tutte le culture, in tutti i paesi del mondo e in tutte le epoche, avessero sempre avuto un punto in comune. Tutti abbiamo avuto il Creatore. Abbiamo usato nomi diversi, effigi diverse e preghiere diverse, ma Dio è sempre stato la costante universale per l'uomo. è il simbolo che tutti noi abbiamo condiviso... il simbolo di tutti i misteri della vita che non potevamo capire. Gli antichi lo pregavano come simbolo del nostro illimitato potenziale umano, ma nel tempo quell'antico simbolo è andato perduto. Fino a quel momento.

Fu allora che, sulla sommità del Campidoglio, con il calore del sole che scendeva ad avvolgerlo, Robert Langdon sentì gonfiarsi dentro di sé, nel profondo, una sensazione potente. Era un'emozione che in tutta la sua vita non aveva mai provato in modo così intenso.

Speranza.







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