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Giuseppe Baretti (Torino, 1719 - Londra, 1789)

letteratura



Giuseppe Baretti

(Torino, 1719 - Londra, 1789)


Giuseppe Baretti nasce a Torino nel 1719. I precoci contrasti con la famiglia lo inducono, a soli sedici anni, a fuggire presso uno zio a Guastalla, e in seguito a Venezia, città di cui frequenta e apprezza l'ambiente culturale. Compie le sue prime esperienze letterarie tra il 1747 e il 1748, traducendo le tragedie di Corneille. Due anni dopo pubblica le Piacevoli poesie, quarantasette testi in rima nei quali si rifà all'esempio bernesco e arcadico. Nel 1751 si trasferisce a Londra dove entra in contatto con personalità celebri, tra le quali il critico e scrittore Samuel Johnson (1709-1784), cardine della vita culturale londinese, e diventa direttore dell'"Italian Theatre". Compila intanto un ottim 242b17c o Dictionary of the English and Italian Languages (Dizionario delle lingue inglese e italiana, 1760). Per tornare in Italia compie un lungo viaggio attraverso la Francia, la Spagna e il Portogallo, del quale dà un vivace resoconto nelle Lettere familiari a' suoi tre fratelli, pubblicate tra il 1762 e il 1763.

Nel 1763 fonda a Venezia la graffiante rivista "La frusta letteraria", che nel pur breve arco della sua pubblicazione gli procura tanti nemici da indurlo, nel 1766, a tornare a Londra. Nella capitale inglese il Baretti continua però a dare prova del suo spirito battagliero e anticonformista, prima difendendo i connazionali dalle ingiurie di un medico inglese nell'Account of the manners and customs of Italy (Informazione sui modi e costumi dell'Italia, 1768), poi con il Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire (Discorso su Shakespeare e il signor de Voltaire, 1777). Muore a Londra nel 1789.



"La frusta letteraria" è una rivista quindicinale, uscita per meno di due anni (termina le pubblicazioni nell'agosto del 1765). Il Baretti, che ne è l'unico redattore e firma con lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, finge di essere un vecchio soldato che ha perso una gamba per una cannonata ricevuta combattendo contro i pirati in Oriente. Ritiratosi in un "soggiorno campestre", passa le serate con il curato don Petronio Zamberlucco a discutere di libri, che spesso stronca battendo irosamente per terra la sua gamba di legno. Gli ultimi otto numeri della "Frusta", editi ad Ancona per il veto della censura veneziana, sono dedicati a ribattere le accuse del padre Appiano Buonafede (1716-1793), autore di un velenoso libello contro il Baretti, dal titolo Il Bue pedagogo.

Il Baretti riversa nel periodico tutto il suo impeto di polemista guidato da un istintivo buonsenso e da un forte moralismo. Aristarco combatte l'accademismo degli arcadi e dei cruscanti, sdegna i libri "pieni d'inezie e di sciocchezze ridicole e noiose" la cui vuota inutilità dev'essere sostituita con una letteratura moderna e viva, che serva a "rendere l'uomo uomo". Le sue "frustate" sono dirette contro le regole, le convenzioni e le pedanterie letterarie che allontanano l'arte dalla realtà della vita e impediscono che in Italia nasca una letteratura popolare, adeguata alle esigenze del mondo moderno. L'ideale di una letteratura realistica, coerente e rispondente ad una società che si rinnova e progredisce grazie ai "lumi" della Ragione, muove da premesse che avvicinano il Baretti alle posizioni del "Caffè". Tuttavia, egli prenderà sempre le distanze dalla rivista milanese, manifestando un autentico odio per i fratelli Verri, dai quali lo separano posizioni ideologiche e opinioni politiche più moderate.

I giudizi critici che il Baretti esprime valgono più come intuizioni estrose, a volte geniali e sempre espresse in piena indipendenza, che come riflessioni organiche. Egli ha scarso interesse per la poesia del passato, italiana o straniera; considera il Cellini scrittore grandissimo perché "seguì l'impulso naturale", e per lo stesso motivo gli piacciono Omero e Shakespeare, del quale ammira il linguaggio "serrato ed energico". Tra i poeti italiani apprezza l'Ariosto e il Metastasio per la limpidezza dello stile, che è uno dei suoi ideali irrinunciabili. Incerto nel giudicare l'opera del contemporaneo Parini, non esita nel rifiutare il Goldoni, la cui posizione morale gli sembra troppo dubbia.

Il suo atteggiamento sulla lingua è ambiguo; da un lato infatti ha come modello la purezza lessicale degli antichi scrittori e rimprovera ai teorici del "Caffè" l'apertura alle voci straniere; dall'altro però ama la semplicità dello stile moderno, schietto e spontaneo. Negli articoli della "Frusta" e nelle Lettere familiari, il Baretti offre molti esempi di uno stile agile e vivace, al quale il linguaggio ricco e vario conferisce espressività ed efficacia nel tratteggiare episodi e personaggi con tocchi rapidi di mordace ironia.

Tra le altre opere del Baretti ricordiamo il Dictionary of the English and Italian Languages, nel quale egli compie un robusto lavoro di aggiornamento e correzione di un vocabolario preesistente, e l'acuto Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire. In questo saggio, scritto in francese e poi tradotto, il critico difende Shakespeare dalle accuse scandalizzate di Voltaire e dei classicisti francesi, ed esalta in lui l'"irregolarità" e la forza drammatica delle passioni, segni, a suo giudizio, di quel "genio inventivo" che si manifesta spontaneo nei veri artisti e che non ha bisogno di sostegni culturali. È interessante notare come la posizione del Baretti anticipi le teorie romantiche sull'"artista genio".




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