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L'età dell'oro

letteratura



L'età dell'oro

L'età dell'oro è un tempo mitico in cui regnavano felicità, tranquillità e abbondanza.

Essa fu ideata per prima dal poeta greco Esiodo che la descriveva ne "Le Opere e i giorni" come il periodo di "un aurea stirpe di uomini mortali" dai quali discesero gli dei che vivono sull'Olimpo. Gli uomini vivevano in pace, 828f59i liberi da ogni fatica e al riparo da ogni pericolo, nutriti dalla generosa terra che procurava loro ciò di cui avevano bisogno. Il furto del fuoco ad opera di Prometeo segnò la caduta dell'uomo; alla aurea aetas seguì così una lenta e progressiva corruzione della storia e dell'umanità nelle quattro ere successive: dell'argento, del bronzo, degli eroi e del ferro.


Questo mito poetico viene poi ripreso da vari autori dell'antica Roma, per esempio da Lucrezio, che la rifiuta in quanto essa rappresentava un decadimento e un regresso dell'umanità a partire da una condizione edenica primitiva, a causa dell'abbandono degli uomini da parte degli dei. Lucrezio, confrontando gli uomini delle origini con i suoi contemporanei rileva i vantaggi di allora (maggiore vigoria fisica, facilità di procurarsi i mezzi di sussistenza, inesistenza dei pericoli della guerra e della navigazione), ma anche gli svantaggi (difficoltà di difendersi dalle aggressioni delle fiere, incapacità di trovare rimedi alle ferite e alle malattie); inoltre presenta quell'umanità ancora



immersa nelle tenebre dell'ignoranza: solo al termine di un lunghissimo cammino la ragione sarebbe pervenuta, con Epicuro, alla scoperta della verità.

Non vi è quindi nessun rimpianto o nostalgia per la condizione primitiva, e del resto mancano del tutto nella descrizione lucreziana tratti caratteristici dell'età dell'oro come la piena armonia con una natura amica e la pace fra le varie specie animali. Non sarebbe corretto però neppure considerare Lucrezio un entusiastico assertore del progresso, un anticipatore di posizioni illuministiche o evoluzionistiche in senso moderno. Innanzitutto si deve ricordare che per il poeta epicureo il progresso non è illimitato: il nostro mondo compiuto il suo ciclo è destinato a finire, ed anzi, ha ormai iniziato una fase di declino. Per di più sullo stesso progresso tecnico il nostro autore pronuncia un giudizio solo parzialmente positivo.


In Ovidio quest'età assume più o meno lo stesso valore che gli dà Esiodo. Infatti nelle sue "Metamorfosi" scrive: "Aurea prima sata est aetas, quae vindice nullo, sponte sua, sine lege fidem rectumque colebat" (Fiorì per prima l'età dell'oro; spontaneamente, senza bisogno di giustizieri, senza bisogno di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine).


Virgilio scrive di questa età nella quarta egloga delle Bucoliche, preannunciando la venuta di un fanciullo divino che porterà l'impero della pace e della prosperità, riportando quindi all'età dell'oro.




In generale questi autori non intendono un vero declino continuo, ma un ritorno all età dell'oro; procedendo di periodo in periodo, si passa dalla primavera della natura, l'età dell oro, all'estate, all'autunno e all'inverno, e similmente all'età dell argento, del rame e del ferro per dare luogo un altra volta all'età dell'oro e così sino all infinito.


In Tasso essa assume due differenti valori, in rispettive opere. Infatti nell'Aminta il poeta celebra, rispetto a tutti gli attributi di quel tempo felice come la pace, la tranquillità e l'eterna primavera, soprattutto la nudità dei corpi, liberi di seguire il piacere e privi dell'onore considerato fonte di male ed inganni e senza alcun valore. Esalta dunque la felicità di poter fare ciò che si voleva, poichè era nota solo la legge della natura, per la quale è lecito tutto ciò che piace.

Nella Gerusalemme Liberata, tuttavia, il quadro cambia notevolmente: L'età dell'oro è una condizione illusoria. I personaggi si identificano con gli abiti che indossano e la nudità è espressione del male. Si sviluppa in lui quindi una concezione più "cristiana" e "religiosa", anche da cosa si intuisce nel Mondo Creato. Attribuisce così a questa età un senso di superbia e lussuria, escludendo la ciclità delle varie fasi e l'eterno ritorno.







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