Eugenio Montale
Montale
è una delle massime voci della poesia mondiale di questo secolo, insignito del
premio Nobel nel 1975. La sua lunghissima carriera di poeta, scrittore, critico
letterario e giornalista è da anni oggetto di attenti studi che hanno prodotto
una sterminata bib 424e49e liografia; ciò perchè egli ha saputo dare un'originalissima
interpretazione alle inquietudini dell'uomo contemporaneo, ispirandosi ai
maestri del Simbolismo e del Decantendismo, ma forse ancor più a Leopardi, e
rendendo al contempo estremamente attuali le loro innovazioni. Allo stesso
tempo, la sua influenza sui poeti italiani successivi è stata immensa e
capillare. Nato a Genova nel
1896, dove compie gli studi classici, trascorre infanzia e giovinezza tra la
città natale e lo splendido paese di Monterosso, nelle Cinque Terre. Dopo la
prima guerra mondiale inizia a frequentare i circoli culturali liguri e
torinesi, attirando l'attenzione di noti intellettuali. Nel 1927 si trasferisce
a Firenze, prima collaboratore di Bemporad e in seguito direttore del Gabinetto
Scientifico Letterario Vieusseux, posto da cui viene allontanto nel '38 per
antifascismo. Mentre la sua fama di poeta cresce, si dedica anche a traduzioni
di poesie e testi teatrali, in prevalenza inglesi. Dopo la guerra si iscrive al
Partito d'Azione e inizia un'intensa collaborazione con varie testate
giornalistiche, tra cui il Corriere della Sera, per conto del quale compie
molti viaggi e si occupa di critica musicale. Montale ha ormai raggiunto fama
internazionale, come attestano le numerose traduzioni di sue poesie in svariate
lingue; nel 1967 viene nominato senatore a vita e nel 1975 ottiene il Nobel per
la letteratura. Muore a Milano nel 1981. La prima raccolta, intitolata Ossi di
Seppia, esce nel 1925. Essa dà già la misura delle possibilità del giovane
poeta e mostra la sua distanza da altri grandi poeti italiani, come Ungaretti,
di poco più vecchi di lui. Tema centrale delle poesie di Ossi di seppia (titolo
quanto mai allusivo di cose diverse: gli ossi di seppia come gusci vuoti,
morti, che il mare riporta a riva; come nuvole di inchiostro che le seppie
emettono per difendersi; come oggetti da incastrare nelle voliere perchè gli
uccelli vi affilino il becco) è il male di vivere, la coscienza della sconfitta
dell'uomo irrimediabilmente prigioniero di un mondo di cui gli sfuggono le
premesse e le conseguenze.
E'
l'angoscia, dunque, che spinge Montale a scrivere. L'angoscia e la coscienza
dell'inutilità di ogni battaglia; ciò che, d'altra parte, non gli fa assumere
un atteggiamento pietistico e rassegnato. La certezza della sconfitta non
presuppone l'abbandono della speranza, che anzi sopravvive e si fa più evidente
nel versi dedicati al mare, laddove questo è visto come termine positivo, come
autentica lezione di vita. Se non è possibile trovare una risposta
all'inutilità del vivere, allora è necessario conservare almeno l'aspirazione a
che questo possa un giorno avvenire. Che può offrire all'uomo, allora, la poesia? Qualche storta
sillaba e secca come un ramo, dice Montale. Non certo risposte, nè tantomeno
certezze. Tutt'al più la coscienza di ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
La poesia ha valore in quanto documento di un male di vivere dalle proporzioni
cosmiche. Da queste premesse scaturiscono le scelte e le intuizioni tecniche
del poeta; il quale, rifuggendo ovviamente da uno stile alto e aulico,
abbandona allo stesso modo l'ermetismo di Ungaretti, fatto di versi spezzati e
parole accostate per il loro valore analogico. Il linguaggio di Montale mira a
una "naturalistica precisione", fa uso di tecnicismi o anche termini
dialettali; il tono è discorsivo, e lascia spazio a descrizioni paesaggistiche
che colgono l'ambiente ligure nella sua asprezza. Con ciò egli intende trovare
una rappresentazione simbolica al dato oggettivo, ossia riuscire a evocare
un'emozione attraverso la precisa descrizione di fatti e oggetti del mondo
reale (come, ad esempio, nei famosi versi di Meriggiare pallido e assorto: E
andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com'è tutta la
vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima
cocci aguzzi di bottiglia). "L'accordo
con la ruota della negazione" (Fortini), la coscienza del nulla che è
l'uomo - nella sua dimensione esistenziale prima che storica - di fronte a un
mondo di fatti e cose incomprensibili: sono queste le costanti, introdotte come
abbiamo visto con Ossi di seppia, della poesia montaliana; che si ritrovano
anche nella seconda raccolta, Le occasioni, pubblicata nel 1939. Già dal titolo
questa nuova fatica permette di intuire le novità introdotte da Montale: le
occasioni sono le situazioni contingenti dalle quali scatta la memoria di
persone, incontri, eventi della vita passata. Dalla contemplazione dell'aspro
paesaggio ligure, dunque, si passa al recupero di un vissuto personale tramite
il quale le poesie si popolano di ricordi di viaggi o di volti talvolta
immaginari. Ciò, tuttavia, non sposta di molto il pessimismo del poeta. Egli si
sente il prodotto, l'effetto di una serie di occasioni assolutamente
incontrollabili e caotiche, alle quali non è possibile dare nessuna
spiegazione. L'irruzione del ricordo nella poesia provoca uno spostamento del
linguaggio e dello stile in senso più ermetico; il rifiuto di ogni abbandono
sentimentale e lirico, tanto più presente in quanto il poeta attinge ora alla
propria storia personale, lo porta infatti "nel chiuso cerchio di
un'esperienza tutta individuale. quasi volutamente, aristocraticamente
ermetica" (Manacorda). La memoria, pur sollecitata, viene tenuta sotto
controllo e ridotta a "niente più che un pretesto per tendere a
metafisiche significazioni" (Guglielmino). Durante gli anni della seconda
guerra mondiale Montale compone i versi raccolti ne La bufera, che secondo
Fortini sono tra i più difficili (in virtù di un recupero di Mallarmé e dei
simbolisti francesi). L'eco del conflitto, qui, arriva a malapena; sembra che
gli orrori e le morti non possano incidere in nulla su un pessimismo
esistenziale già portato alle sue estreme conseguenze. Ciò non ha mancato di
deludere quanti si attendevano dal poeta un impegno civile decisamente più
vistoso, dato che durante la dittatura la sua poesia era stata considerata da
molti una via di scampo ai trionfalistici e retorici strombazzamenti del
regime. Ma Montale non abbandona il suo cammino solitario e si arrocca anzi su
posizioni, se possibile, ancora più negative nelle quali fanno però capolino
accenni nuovi; soprattutto l'ironia, probabilmente legata alla sua età. Col
distacco di un vecchio, infatti, Montale può ora cedere il passo ai toni
sarcastici con cui stigmatizza la moderna società, imbevuta di falsi miti e
chiacchiere inutili. La sua lezione morale, dunque, resta sino alla fine lucida
e coerente: da un mondo di ombre e parvenze, immaginiamo, il poeta si accomiata
senza rimpianto.