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Giacomo Leopardi
Di carattere molto
sensibile e di ingegno precoce, il Leopardi, dopo aver trascorso I'infanzia e la giovinezza in un ambiente austero e freddo,
dedicandosi ad uno studio profondo ed assiduo che lo rese padrone di una
vastissima cultura ma rovinò irrimediab 858c26i ilmente la sua salute, sviluppò una
concezione della realtà molto simile a quella del Foscolo.
I1 mondo gli parve governato da leggi meccaniche inesorabili e misteriose, che
presiedono alla continua trasformazione della materia, coinvolgendo ed
annullando anche l'uomo. Anche in lui, come nel Foscolo, questa convinzione è
fonte di amarezza e di pessimismo, così come insorge anche in lui la ribellione
contro questa visione offertagli dalla ragione. In ciò egli manifesta la sua
natura e la sua spiritualità romantica.
Anche nel Leopardi hanno valore le illusioni che illuminano la vita del
Foscolo: la bellezza, la gloria, la patria, la libertà, l'amore, la poesia; ma
mentre nel Foscolo esse appaiono come conquiste raggiunte per mezzo di uno slancio
eroico, di accettazione e di esaltazione della condizione umana, dolorosa ma
ricca di dignità e nobiltà, in Leopardi sono idee nobilissime, insite nella
giovinezza dell'uomo, ma destinate a venir meno, ad
essere demolite dalla ragione e soprattutto dalla vita.
Possiamo scorgere nella storia spirituale del Leopardi una lucida e continuare tendenza alla demolizione delle speranze umane, che il poeta segue, ponendo in risalto inesorabilmente le varie ragioni che rendono infelice la condizione dell'uomo.
La vita gli appare avvolta dal mistero e dal dolore, che è l'unica certezza per l'uomo. I1 piacere non esiste se non come pausa momentanea del male e un uscire dalla condizione di pena, mentre la vicenda umana gli appare come una inutile corsa verso il nulla, e la storia stessa è contrassegnata dal progressivo trionfo dell'infelicità. La natura, vista da lui in un primo momento (fino al '23) come madre amorosa, gli appare in seguito come matrigna; essa, secondo il poeta, crea l'uomo ma non si preoccupa della sua felicità. La prima causa dell'infelicità umana è la ragione, che dissolve le illusioni e pone l'uomo di fronte alla realtà. Da questa presa di coscienza derivano la delusione ed il tedio. A queste convinzioni il poeta arrivò gradualmente; esse sono infatti il frutto, oltre che della sua sensibilità, della sua stessa vicenda umana, tormentata da incomprensioni, delusioni, sventure.
Si riscontrano tre momenti nello sviluppo del pensiero leopardiano, che non è tuttavia sistematico e non perviene ad un rigoroso sistema filosofico (perchè egli è soprattutto poeta e pensa e si esprime in relazione ai suoi casi ed alle sue esperienze, in una sorta di reazione sentimentale).
Questi tre momenti, rappresentati dal pessimismo individuale, storico e cosmico, non si succedono ordinatamente anche se corrispondono a tre modi distinti di interpretare la condizione umana. Pertanto, a volte (soprattutto nella giovinezza) al poeta sembra che la sorte sia stata matrigna solo con lui, condannandolo all'infelicità nel fisico e nello spirito, alla solitudine ed all'incapacità di vivere come gli altri (mentre agli altri uomiri sono concesse le gioie della vita, la giovinezza felice, gli affetti).
E' questa
propriamente la fase del pessimismo individuale. A volte, invece, appaiono in
lui quelle riflessioni sulla felicità dei primi uomini che si meravigliavano e
gioivano per cose semplici e furono poi resi infelici dal progresso,
chiaramente ispirate dalla lettura del Vico e di Rousseau,
oltre che da meditazioni personali e negotive in
rapporto alla storia, nelle cui conquiste il poeta non crede. In ciò consiste
appunto il pessimismo storico.
Infine, a volte l'esame della condizione umana induce il poeta a concludere che
a tutti è riservato lo stesso destino di dolore. A questa condizione si
adeguano inoltre tutti gli elementi del creato (pessimismo cosmico). Le estreme
conseguenza di questo atteggiamento portano a quella che è stata definita come
la "doglia universale".
Contro queste pessimistiche concezioni insorge il sentimento, esprimendosi per
mezzo della poesia, che nel Leopardi appare come una continua rivolta contro le
conclusioni della ragione. Essa è dettata dalle più profonde convinzioni ed
esigenze del poeta, che è convinto della nobiltà dell'uomo, il quale non merita
la sua infelicità, che è qualcosa di ingiusto e di assurdo. E' quindi, la sua,
una rivolta, che, pur mostrando pessimismo e dolore, non genera a sua volta
pessimismo. Infatti, come afferma De Sanctis,
"questo uomo odia la vita e te la fa amare, dice che l'amore e la virtù
sono illusioni, e te ne accende nell'anima un desiderio vivissimo".
Leopardi, infatti,
celebra la giovinezza e la bellezza della natura e della vita, anche se con lo
stato d'animo doloroso di colui che da tutto ciò si sente escluso. Il suo,
comunque, è un pessimisno eroico e mai rassegnato.
Egli reagisce perché ha in sè un'ansia religiosa che
nessuna logica può distruggere e perchè possiede una
costante fiducia nella dignità umana. La sua energia si esprime nelle sue
stesse parole "...e di più vi dico francamente che io non mi sottometto
alla mia infelicità, nè piego il collo al destino o
vengo seco a patti come fanno gli altri uomini..."
La sua opera si traduce perciò anche in una esortazione a non cedere al fato,
ad opporre all'universo assurdo l'intatta nobiltà dello spirito. Egli non
tradusse però questa energia morale in azione, come il Foscolo, ma la realizzò
nel continuo approfondimento del suo pensiero. Le stesse lotte dei patrioti non
lo coinvolsero, né lo attrassero gli entusiasmi e le fedi del suo tempo.
Le sue concezioni, oltre che nella poesia, sono espresse nelle Operette morali e nello Zibaldone.
Nella vicenda
letteraria del Leopardi si può riscontrare una precisa linea di sviluppo. Dopo
la fase che si definisce erudita (fino al '15), durante la quale egli compose
la Storia dell'astronomia (1813), il Saggio sopra gli essori
popolari degli antichi (l8l5), due tragedie (La virtù indiana e Pompeo in
Egitto, 1815), osserviamo, nel 1816, il passaggio del poeta a quella che
egli considera come una "conversione letteraria, un passaggio dalla
erudizione al bello".
In questo periodo, infatti, la poesia gli sembra adatta ad esprimere la sua
sete di gloria ed il bisogno di uscire dalla solitudine. Lo studio dell'Alfieri, la lettura dell'0rtis e del Werter e le sue stesse vicende spirituali lo allontanano
però ben presto dalla letteratura di stampo settecentesco e da1 gusto arcade e montiano, che caratterizza le sue prime poesie, rendendo
più maturo il suo stile e il suo pensiero ed avvicinandolo al Romanticismo
(1817-19).
Ben presto, egli si trova ad avere in sè, spontaneamente,
la sensibilità e le esigenze di questo movimento poetico, pur assumendo, nel
1818, nel suo "Discorso di un italiano sulla poesia romantica", col
quale si inserisce nella polemica classico-romantica,
la funzione di "scudiero dei classici". In quell'anno compone due
canzoni civili: All'Italia e Sopra il monumento di Dante. Al 1820
risale la poesia Ad Angelo Mai ed al
1821 appartengono due componimenti: Nelle
nozze della sorella Paolina e A un vincitore di pallone.
L'approdo ad una
concezione tragica della vita avviene nel 1819 ,quando il poeta è colpito da
una malattia alla vista; il suo pessimismo, tuttavia non è unicamente legato a
motivi personali, ma assume caratteri universali, intrecciandosi alla crisi
filosofica, ideologica e politica di quegli anni, che accompagna il passaggio
dall'Illuminismo al Romanticismo.
Nel 1824 Leopardi compone le Operette
morali, un esempio di poesia in prosa, in cui la vicenda del poeta viene
superata dalla visione generale dei grandi temi connessi con il significato
della vita umana, il dolore universale, il mistero. In quest'opera Leopardi
rivela le sue capacità di grande prosatore.
Negli anni successivi appaiono i Primi
idilli: La vita solitaria, La sera
del dì di festa, I1 sogno, L'infinito, Alla luna.
Si svolge poi a Recanati, tra il '28 e il '30, la seconda, grande, stagione
della poesia leopardiana, cui appartengono i
"Grandi idilli" A Silvia, Le
Ricordanze, I1 passero solitario, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del
villaggio, I1 canto notturno di un pastore errante dell'Asia, nelle quali
il pessimismo raggiunge l'acme ed investe la concezione che il poeta ha dell"umanità intera. Sono da ricordare anche le poesie
che formano ii ciclo di Aspasia
e che risalegno al soggiorno fiorentino del poeta: I1 pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo, A se stesso, Aspasia.
Le principali opere in prosa sono lo Zibaldone
(1817-1832), i Pensieri, l'Epistolario.
Leopardi si serve della poesia come un mezzo per esprimere sinceramente i suoi
stati d'animo; chiama perciò canti i suoi componimenti poetici, volendo
affermare che essi sono soprattutto espressioni sincere e immediate dei suoi
sentimenti, senza particolari scopi letterari ed eruditi. I1 linguaggio di cui
si serve è definito da lui stesso "vago e peregrino", ossia non privo
di una certa bellezza, ottenuta con l'utilizzo di vocaboli preziosi, ma
complessivamente semplice e quasi dimesso. Esso non è privo, pertanto, del
fascino delle cose naturali ed autentiche. Gli effetti poetici sono raggiunti
con semplici accorgimenti, come il soggetto in fine di verso.
Il tema principale della poesia leopardiana è la
rimembranza; l'autore ritiene infatti che la fonte da cui scaturisce la poesia
sia principalnente la dsposizione
a rievocare il passato. Accanto a questo tema, che è tipicamente romantico,
anzi ad esso intimamente legati, appaiono i temi della giovinezza, del
paesaggio, dell'infinito, del mistero, della morte, i colloqui con i silenzi
notturni, con la luna. La poesia rappresenta, oltre che la testimonianza, il
conforto della tormentata vicenda del poeta. Essa riflette il suo pessimismo,
la sua rivolta eroica, ed anche sembra che testimoni, negli ultimi
componimenti, ossia La ginestra ed Il tramonto della luna, la conquista di
una certa fiducia, dovuta alla scoperta del valore della solidarietà umana. Ciò
completa il suo messaggio di consapevolezza e di coraggio nei confronti del
destino.
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