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Giacomo Leopardi

letteratura



Giacomo Leopardi

Nasce nel 1798 a Recanati, nello Stato Pontificio, da una famiglia nobile. Il fatto di essere nato in una zona periferica di uno stato già di per sé arretrato è un grande svantaggio, perché Leopardi non viene subito a contatto con le nuove esperienze della cultura europea. Dotato di un'intelligenza precoce, fu istruito da precettori ecclesiastici e, sul piano politico, seguì gli orientamenti reazionari del padre. Tra il '15 e il '16 avviene il passaggio dall'erudizione al bello, cioè dalle minuzie filologiche alla passione per i grandi poeti (Omero, Virgilio, Dante). Con la lettura della De Stael viene a contatto con la cultura romantica e fa amicizia con P. Giordani. Sente però il bisogno di esperienze nuove e, dopo il tentativo fallito di fuga nel 1819, entrò in crisi e qui avvenne un altro passaggio: quello dal bello al vero, dalla poesia d'immaginazione a una poesia nutrita di pensiero. Nel '19 comincia lo Zibaldone, scrive l'Infinito. Nel '22 va a Roma, nel '25 a Milano e poi a Bologna, Firenze. Nel '28 comincia i Grandi Idilli. Dopo un anno a Recanati torna a Firenze ed entra in polemica con l'ottimismo progressistico dei liberali. Conosce la delusione amorosa e scrive il Ciclo di Aspasia. Nel '33 si trasferisce a Napoli, dove muore nel '37, dopo aver scritto La ginestra.

Il pensiero

Al centro della meditazione di Leopardi si pone il motivo dell'infelicità dell'uomo. La felicità viene identificata con il piacere materiale, ma l'uomo desidera un piacere infinito nasce un senso di insoddisfazione, un vuoto incolmabile nell'anima. In questa 333g63d prima fase (pessimismo storico), Leopardi pensa che la natura abbia voluto offrire all'uomo il riparo dell'illusione. Per questo gli uomini antichi, vicini allo stato naturale erano felici, in quanto ignoravano il loro stato di infelicità. Il progresso della ragione, quindi, ha aperto gli occhi agli uomini sul loro reale stato di infelicità.



Ben presto questa concezione di natura benigna e provvidenziale entra in crisi, in quanto Leopardi si rende conto che questa non mira al bene dei singoli uomini, ma alla conservazione della specie, e per questo fine può anche sacrificare il singolo individuo per la felicità di altri. Questa visione della natura come entità maligna emerge nel Dialogo della natura e di un islandese (1824): essa diventa un cieco meccanismo indifferente alla sorte delle sue creature. Al pessimismo storico della prima fase subentra quindi il pessimismo cosmico, che vede l'uomo come vittima innocente della crudeltà della natura. Il modello di Leopardi non diventa più quindi l'eroe antico, ma il saggio antico, specialmente quello stoico, la cui caratteristica era l'atarassia (il distacco imperturbabile dalla vita.

La poetica del vago e indefinito

Nello Zibaldone, Leopardi passa in rassegna tutti gli aspetti della realtà sensibile che possiedono la forza di farci costruire una realtà parallela, in cui trovare un illusorio appagamento alle sofferenze della vita reale. Viene così a formarsi una teoria della visione: è piacevole tutto ciò la cui vista risulta ostacolata da un oggetto qualunque, tutto ciò che è vago, poiché stimola l'immaginazione. Parallelamente alla teoria della visione vi è anche una teoria del suono, che analogamente cataloga come suggestivi dei suoni vaghi, ad esempio suoni che si dissolvono gradatamente o che si diffondono da un luogo che non è possibile identificare con precisione. Queste cose vaghe costituiscono, per Leopardi, il bello poetico, che si deve quindi basare non su cose precisamente definite, bensì su cose vaghe, che lascino all'immaginazione del lettore spazio sufficiente. Queste immagini sono suggestive anche perché rievocano la fanciullezza; in questo senso la poesia diviene un recupero della visione fanciullesca attraverso la memoria. I maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi e quindi viene ripresa la distinzione di Schiller tra poesia d'immaginazione e poesia sentimentale.

Leopardi e il Romanticismo

Leopardi, data la sua formazione classicistica, inizialmente prese le parti dei classicisti italiani contro il Romanticismo, e lo fece in 2 lettere indirizzate alla Biblioteca Italiana, nel 1816 e nel 18, lettere che però non furono pubblicate. Le sue posizioni, in realtà, furono diverse da quelle dei classicisti italiani: criticò sì i romantici per la loro eccessiva artificiosità nella ricerca dell'orrido, ma, d'altra parte, lancia delle frecciate ai classicisti per la loro pedissequa imitazione di schemi classici e il rigido attenersi a regole stilistiche predefinite (cose che contrastavano con la sua concezione di poesia come espressione di una spontaneità originaria, di un mondo interiore fantastico. Vede però i classici antichi come esempio mirabile di poesia spontanea e li propone come modelli da imitare con uno spirito diametralmente opposto a quello dei neoclassicisti, con uno spirito romantico si può parlare per la sua poetica di classicismo romantico.

Dalla sua concezione della poetica vaga, Leopardi verrà a privilegiare soprattutto la lirica, intesa come espressione immediata dell'io, della soggettività e dei sentimenti. È quindi evidente la contrapposizione alla scuola poetica lombarda, che tende invece ad essere soggettiva, realistica. È invece palese la sua vicinanza con il Romanticismo europeo in generale, per una serie di grandi motivi che ricorrono nelle sue opere: la tensione verso l'infinito, l'esaltazione dell'io e della soggettività, il titanismo.

Il primo Leopardi: le Canzoni e gli Idilli

Il periodo compreso tra il passaggio "dall'erudizione al bello" (1816) e la crisi del 1819 è ricco di esperimenti letterari, in direzioni diverse: idilli pastorali, elegie, canzoni su argomenti moderni, un romanzo autobiografico. Dopo questo periodo vengono alla luce due importanti lavori: le Canzoni e gli Idilli.

Le Canzoni furono composte tra il 1818 e il 1823 e pubblicate nel 1824. Sono di impostazione classicistica e adottano un linguaggio aulico. Le prime cinque (All'Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone) affrontano una tematica civile e la base del pensiero è il pessimismo storico. Sono caratterizzate da polemica contro l'età presente, incapace di azioni eroiche. Caratteristiche diverse hanno il Bruto minore e l'Ultimo canto di Saffo. In queste il pessimismo storico giunge ad una svolta: si delinea l'idea di un'umanità infelice per condizione assoluta e vengono incolpati di questa condizione gli dei e il fato. Alla Primavera è una rievocazione nostalgica alle favole antiche. Minori: Alla sua donna, Inno ai Patriarchi.

Gli Idilli furono composti tra il 1819 e il 1821. Tra gli Idilli abbiamo L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, Lo spavento notturno, La vita solitaria. Questi componimenti non hanno alcuna attinenza con la tradizione bucolica classica, che rappresentava una realtà idealizzata, bensì sono definiti dallo stesso Leopardi come espressione di "sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo". La rappresentazione della realtà esterna è tutta in funzione soggettiva. I componimenti più importanti sono: L'infinito, in cui lo scenario iniziale da idillio classico fa da preludio a una meditazione lirica sull'idea di infinito creato dall'immaginazione; Alla luna, che affronta il tema della "ricordanza"; La sera del dì di festa, che parte dall'infelicità personale del poeta per giungere a una meditazione sul tempo che cancella ogni traccia.

I grandi idilli

Nel maggio 1828 il periodo di silenzio poetico si conclude, con la composizione di A Silvia. Nell'autunno del '29 compaiono Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, a cavallo tra il '29 e il '30 abbiamo il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Questi componimenti riprendono temi, atteggiamenti, linguaggio degli Idilli del '19-'21, anche se non sono la semplice prosecuzione dei componimenti di 10 anni prima : tra i primi e questi si collocano esperienze decisive, come la fine delle illusioni giovanili e l'acquisita consapevolezza del vero. Perciò, se recupera dal passato l'illusione e la speranza, a questo riaffiorare si accompagna sempre la consapevolezza del vero. Per questo i grandi idilli sono sì percorsi da immagini liete, ma queste immagini sono come rarefatte, assottigliate, create dalla memoria ; si accampano sullo sfondo del nulla, sono accompagnate dalla consapevolezza del dolore. Che però non esercita un potere distruttivo su quelle immagini di vita, in quanto il vero è richiamato con delicatezza. La fondamentale differenza tra i grandi e i piccoli idilli è che non compaiono più gli slanci, i fremiti, gli impeti di disperazione e di rivolta. Nuova rispetto ai primi idilli è anche l'architettura metrica : non usa più l'endecasillabo sciolto, ma strofe di endecasillabi e settenari che si succedono liberamente, senza alcuno schema preciso. Questa libertà metrica asseconda perfettamente la vaghezza e indefinitezza delle immagini.

L'ultimo Leopardi

Presupposto filosofico di Leopardi resta sempre quello del pessimismo assoluto. Dopo il distacco rassegnato e ironico dalla fase delle operette, Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini. L'apertura si verifica anche sul piano umano : nasce a Firenze l'amicizia con Ranieri e la prima esperienza amorosa, non più un amore adolescenziale, ma un'autentica passione, per Fanny Targioni Tozzetti. La delusione subita in tale rapporto segna per Leopardi la fine dell'inganno estremo, l'amore. Dalla passione e dalla delusione nasce il cosiddetto Ciclo di Aspasia, che consta di 5 componimenti. Si tratta di una poesia profondamente nuova, lontanissima da quella idillica : un poesia nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili. Soprattutto, in questo periodo si instaura un rapporto intenso con le correnti ideologiche del tempo. Leopardi critica tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso : bersaglio polemico sono le tendenze di tipo spiritualistico e neocattolico. A queste ideologie Leopardi contrappone le proprie concezioni pessimistiche. Allo spiritualismo di tipo religioso, che cerca consolazione nell'aldilà, Leopardi contrappone il duro materialismo che esclude ogni speranza in un'altra vita. Questa polemica è condotta attraverso varie opere : la Palinodia al marchese Gino Lapponi è una sorta di satira nei confronti della società moderna ; Ad Arimane, in cui adombra la natura nemica ; I nuovi credenti, satira di certi ambienti culturali napoletani.

La Ginestra è il testamento spirituale di Leopardi, la lirica che idealmente chiude il suo percorso poetico. Ripropone la dura polemica antiottimistica e antireligiosa, anche se non nega la possibilità di un progresso civile. La filosofia di Leopardi si apre qui a una grande utopia, basata sulla solidarietà fraterna degli uomini.

Testi

T144 - L'infinito

Composto nel 1819, 15 endecasillabi sciolti.

In quest'opera abbiamo la rappresentazione di uno dei momenti privilegiati di contemplazione del vago e dell'indefinito di cui Leopardi parla nello Zibaldone. Diviso in due parti:

a-   (vv.1-8) Sensazione visiva apre composizione, ma la siepe che nasconde visione fa scattare l'immaginazione e fa sì che la mente costruisca una sorta di infinito "virtuale".

b-  (v.8-15) Sensazione uditiva, stormire del vento fra le piante. La voce del vento paragonata ai silenzi della prima parte idea di un infinito temporale (eternità) a cui si associano le epoche passate

Il passaggio dalla prima alla seconda parte avviene a metà del verso 8, che è spezzato da una forte pausa, che ha appunto la funzione di distinguere i due momenti. Sono presenti diverse simmetrie, sia sul piano lessicale, sia sul piano sintattico che contenutistico. Sul piano lessicale abbiamo parole lunghe nella prima parte (+ senso di paura), corte nella seconda (rilassamento).

Nel componimento non è comunque ravvisabile alcun riferimento a una dimensione trascendente o spirituale: l'infinito non è un infinito divino o spirituale; non è oggettivo, ma soggettivo, creato dall'immaginazione dell'uomo, ed evocato a partire da sensazioni fisiche, non spirituali. Non si può comunque escludere una componente mistica, ma bisogna pensare che essa è radicata negli strati più profondi della personalità di Leopardi.

T145 - La sera del dì di festa

Composto a Recanati nella primavera del 1820, pubblicato nei Grandi Idilli (1825).

Poesia si apre con notturno lunare, una delle immagini vaghe e indefinite care a Leopardi; questa immagine suggestiva entra in conflitto con quanto vi è dopo: nella prima sequenza (vv.4-24) si ha la contrapposizione tra la figura della fanciulla ignara di pene ed affanni che tormentano gli uomini e quella del poeta, creato per essere infelice. Proprio in questa parte viene esplicitata la diversità del poeta dal mondo comune e la sua violenta ribellione. Nella seconda parte (vv.24-46) si presenta il tema del passare di tutte le cose, con l'allegria e la festosità del giorno festivo che si sono già dissolte nella quiete della notte: il tempo viene quindi visto come un fattore che fa precipitare prima o poi ogni cosa nell'oblio.

I due temi sono legati (evidenziato dalla collocazione a metà verso) e il legame può essere: i giorni del poeta sono orrendi ma questa infelicità à nulla, è destinata a svanire nel tempo. E, se per alcuni, il motivo del vanificarsi di ogni umano accidente riprende il motivo dell'indifferenza della natura, per altri, la considerazione della vanità di tutto annulla la disperazione iniziale.

T147 - Ultimo canto di Saffo

Composto a Recanati nel 1822, pubblicato nelle dieci canzoni del 1824. Monologo lirico messo in bocca a Saffo, che si sarebbe uccisa per amore di Faone.

Tema centrale: infelicità come destino individuale dell'io lirico, che un errore del caso ha dotato di un animo nobile e di un corpo brutto. Quest'idea si allarga all'infelicità universale, con il passaggio dall'io iniziale a noi. È evidente l'appartenenza del brano al periodo del cosiddetto pessimismo cosmico, in quanto Leopardi riconosce che l'infelicità è appartenuta non solo ai moderni ma anche agli antichi. Questa concezione è legata al fatto che la natura viene vista ora non più come benigna, ma come malvagia.

Stilisticamente, il linguaggio è aulico, sono presenti diverse metafore, e c'è un equilibrio di linguaggio del vero e dell'immaginar.

T149 - Dialogo della Natura e di un Islandese

Operetta scritta nel 1824. Spunto da un'opera di Voltaire, che parlava delle condizioni terribili degli Islandesi.

L'opera segna una fondamentale svolta nel pensiero leopardiano: il passaggio da un pessimismo esistenziale a un pessimismo cosmico: l'infelicità, che nelle opere precedenti appariva di tipo psicologico-esistenziale, ora dipende da mali esterni, a cui l'uomo non può sfuggire. L'islandese ne fa un elenco: i climi avversi, le tempeste, i cataclismi, le bestie feroci, le malattie, la decadenza fisica, la vecchiaia. Vengono attribuite alla natura le qualità che in precedenza erano state riservate e dei e fato. Mondo come ciclo eterno di produzione e distruzione.





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