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ERIKA DE CANDIDO - VIRTUALE INTERVISTA A ITALO CALVINO

letteratura



ERIKA DE CANDIDO

VIRTUALE INTERVISTA A ITALO CALVINO



Il suo primo romanzo, "Il sentiero dei nidi di ragno" nasce dalla sua personale esperienza partigiana. Come nacque la scelta di unirsi ai combattenti antifascisti ?


Quando mi arruolai nella brigata Garibaldi nelle Alpi Marittime ero solo un ragazzo il cui antifascismo era legato più all'educazione ricevuta in famiglia che a 535e47f delle considerazioni ideologiche e politiche maturate personalmente.  I primi interessi per questioni ideologiche mi vennero tuttavia dalla frequentazione dell'epoca dell'università dell'amico Eugenio Scalfari: attraverso le lettere e le discussioni che scambiavamo venivo a seguire il risveglio dell'antifascimo clandestino, antifascismo che mi portò a nascondermi per alcuni mesi dopo l'8 settembre per non arruolarmi nell'esercito della repubblica di Salò ed infine ad reclutarmi assieme a mio fratello, allora sedicenne, nella seconda divisione d'assalto Garibaldi. Ribadisco comunque che il mio tranquillo antifascismo era prima che una sentita opposizione ideologica, un'opposizione al culto della forza guerresca, una questione di stile, quasi di "sense of houmor", ed infatti il primo impatto con il mondo della guerra dei partigiani fu veramente un trauma, come lo fu per tutti quei giovani intellettuali che si arruolarono nelle mie stesse condizioni, come per esempio Beppe Fenoglio.




Da che cosa derivò poi, la decisione di trascrivere la propria esperienza partigiana in un romanzo ?


Non fu una decisione, come lei dice, a far nascere "Il sentiero dei nidi di ragno", ma un fatto fisiologico, esistenziale. Io, come i tanti giovani che furono poi "raggruppati" nella corrente letteraria chiamata neorealismo, sentivo il bisogno naturale di raccontare, o meglio, esprimere quell'esperienza nella sua forza, quell'esperienza che aveva dato a tutti coloro che ne avevano preso parte una carica grandissima, ovvero la sensazione che dopo di essa si potesse ricominciare da zero, riscrivere la storia. Non è facile descrivere il clima che si respirava in quegli anni perché fatto di tante e diverse componenti. La rinata libertà di parlare e di raccontare faceva nascere la smania di raccontare  l'avventura irripetibile della guerra, e per noi scrittori si profilava la necessità di unire le nostre personali vicissitudini a quelle sentite più e più volte dagli anonimi narratori orali. Da questo punto di vista si può quindi affermare che il punto di partenza della letteratura neorealista della resistenza fu proprio quello di trascrivere quella che era ormai già divenuta una tradizione orale. Si è poi detto recentemente che il neorealismo fu una contaminazione subita dalla letteratura da parte di elementi extraletterari. Ma ciò non è assolutamente esatto, visto che questi elementi extraletterari non erano affatto sentiti come esterni, ma come dei dati che non potevano non essere considerati, si imponevano necessariamente a noi scrittori, e l'unico problema rispetto ad essi era un problema di poetica: come infatti tradurli in termini letterari.


E lei come risolse questo problema di poetica ?


Per rispondere a questa domanda c'è da considerare che sentivo la responsabilità di trattare il tema della Resistenza un po' troppo grande per le mie forze. Era un tema indubbiamente impegnativo e solenne e pertanto decisi di affrontarlo non di petto, ma di scorcio, assumendo il punto di vista di Pin, un bambino, ed inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l'aspro sapore, il ritmo.


Ma come mai il punto di vista di un bambino ?


E' semplice: il rapporto che io stesso avevo avuto con la guerra poteva essere lo stesso di un bambino, un bambino particolare ed originale naturalmente, ma pur sempre un bambino. L'inferiorità di Pin come bambino di fronte alla complessità del mondo degli adulti raffigurava benissimo la sensazione  che io, giovane studente borghese, provavo nella stessa situazione. E la spregiudicatezza di Pin che si vanta di provenire da un mondo malavitoso e per questo si sente superiore ma anche vicino ad ogni fuorilegge, corrisponde al mio modo "intellettuale" di essere all'altezza delle situazioni, di non meravigliarsi mai.


L'assunzione di un così particolare punto di focalizzazione della narrazione assume anche un significato di protesta ?


Sicuramente. Nel momento in cui iniziai a scrivere questo mio primo romanzo si iniziavano a sentire già i tentativi di interferenza in ambito letterario da parte del partito comunista, che voleva una rappresentazione della Resistenza enfatizzata, eroica, agiografica, ed allo stesso tempo i tentativi di riscossa dei benpensanti che ad un anno dalla fine di quell'esperienza avevano buon gioco nel prendere gli sbandamenti della gioventù postbellica a prova della  debolezza di ideali che aveva animato i giovani della Resistenza. Con il mio romanzo volevo rispondere polemicamente ad entrambi i fronti: raccontare una Resistenza di sbandati che si gettavano nella lotta senza un chiaro perché significava mostrare come ci fosse stato comunque alla base di tutto una volontà di reagire per riscattare la propria dignità umana e la propria libertà, volontà che bastava di per sé stessa a nobilitare quegli eroici partigiani che con le lori piccole scelte avevano contribuito alla storia di tutti. La storia era stata fatta da gesti individuali, coraggiosi gesti che la parte benpensante della società si era rifiutata di fare, infangando sé stessa.


Che funzione o significato dà quindi o ha dato, a "Il sentiero dei nidi di ragno" ?


Il mio primo romanzo nacque come fonte ed elemento di discussione sui fatti storici della Resistenza. Non credo che abbia la pretesa d'essere altro se non appunto uno squarcio su quel mondo e sugli uomini che gli dettero vita e sulle loro confuse ed incomprensibili motivazioni, motivazioni che però si possono riassumere e condensare in un fortissimo desiderio di riscatto nei confronti di una società di ingiustizia e oppressione.




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