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Inquadramanto storico e teorico sulla comunicazione - Segno come equivalenza

psicologia



-     555b16f ;     555b16f ; Inquadramanto storico e teorico sulla comunicazione -


- Introduzione


La comunicazione è un'attività eminentemente sociale infatti essa avviene soltanto all'interno di gruppi o comunità. Socialità e comunicazione sono due dimensioni separate ma intrinsecamente interdipendenti.


La comunicazione è partecipazione in quanto sottende l'accordo su significati condivisi e negoziati all'interno di un gruppo o comunità, pertanto essa ha una matrice culturale e una natura convenzionale.




La comunicazione è un'attività eminentemente cognitiva in quanto vi è una stretta interdipendenza tra pensiero e comunicazione.


La comunicazione è strettamente connessa all'azione in quanto comunicare è sempre fare qualcosa. In questa prospettiva la comunicazione non è disgiunta dalla discomunicazione (comunicazione menzognera, ironica, seduttiva ecc.) in quanto esiste un continuum tra esse


- Teorie


·     555b16f ;    Il punto di vista matematico: comunicazione come trasmissione di informazioni.


Definizione di INFORMAZIONE: E' la differenza tra due o più elementi (o dati), quindi non è intesa come notizia o conoscenza in sè. Questa nozione è alla base dell'informatica e della cibernetica.


Approccio matematico della comunicazione (Shannon e Weaver): Comunicazione come comportamento spiegabile secondo logica S-R. Seguendo tale modello la comunicazione è intesa come trasmissione di informazioni.



Questo modello è stato arricchito successivamente dalla nozione di feedback col quale si intende la quantità di informazione che dal ricevente ritorna all'emittente.

-     555b16f ;     555b16f ; Feedback positivo: aumenta l'informazione d'ingresso.

-     555b16f ;     555b16f ; Feedback negativo: riduce l'informazione d'ingresso per mantenere stabilità nel sistema comunicativo (omeostasi).


Rumore: Insieme degli elementi ambientali (e non) che interferiscono con la trasmissione del segnale. Il rapporto segnale/rumore deve essere superiore a zero affinchè vi sia una probabilità che il destinatario riceva il segnale.


Filtro: Altro concetto importante che indica il processo di selezione di alcuni aspetti e proprietà del segnale rispetto ad altri nell'operazione di decodifica.



·     555b16f ;    L'approccio semiotico: la comunicazione come significazione e come segno.


La semiotica (o semiologia) studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale.


Significazione E' il processo attraverso cui vengono prodotti i significati. Tale proceso fa riferimento, da un lato, al referente ( oggetti ed eventi su cui comunicare) e dall'altro a un codice (sistemi impiegati dai attori per comunicare fra loro).


Diagramma della significazione (Ogden e Richards): esso mette in relazione tre aspetti differenti:

SIMBOLO: per esempio il termine linguistico.

REFERENTE: l'oggetto o evento che è comunicato.

REFERENZA: la rappresentazione mentale di tale oggeto o evento.



Referenza


Simbolo Referente


Il simbolo non ha alcun rapporto con la realtà (referente) ma solo con il concetto o idea mentale (referenza). La convinzione che vi sia un legame diretto tra segno e referente è definito da Eco fallacia referenziale.






Segno come equivalenza



De Saussure e prospettiva strutturale: in questa prospettiva il segno è inteso come unione di SIGNIFICANTE o espressione e SIGNIFICATO o contenuto. Il segno è dunque inteso in termini di equivalenza in quanto vi sarebbe una corrispondenza stabile tra espressione e contenuto.


La lingua è dunque un sistema di segni che De Saussure definisce come "un sistema di differenze di suoni combinati a un insieme di differenze di significati"


Hjelmslev approfondisce ulteriormente la concezione strutturale di De Saussure con la glossematica. Secondo tale prospettiva ogni segno pone in correlazione il piano dell'espressione (E) e il piano del contenuto e entrambi oppongono - al loro livello - sostanza e forma. La lingua è forma non sostanza, poichè la sostanza determina la forma e non viceversa.


Segno come inferenza.


Peirce il segno è "qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos'altro, sotto qualche rispettto o capacità". Sulla base del rapporto col referente Peirce individua tre tipi di segni:


-     555b16f ;     555b16f ; similarità tra segno e referente (icona)

-     555b16f ;     555b16f ; contiguità fisica tra segno e referente (indice)

-     555b16f ;     555b16f ; convenzionalità tra segno e referente (simbolo)


In questa prospettiva il segno è inteso come inferenza poichè costituisce un indizio da cui trarre una conseguenza. Importanza del contesto per spiegare la variabilità e la plasticità nell'uso dei segni.


·     555b16f ;    L'approccio pragmatico: la comunicazione come interazione tra testo e contesto.


Morris Distinzione tra:


-     555b16f ;     555b16f ; semantica: significati dei segni

-     555b16f ;     555b16f ; sintassi: regole formali tra isegni

-     555b16f ;     555b16f ; pragmatica: relazione tra i segni e gli attori che li usano


La pragmatica studia l'uso dei significati e i rapporti che intercorrono tra testo e contesto. Studio dei processi impliciti della comunicazione e delle deissi (riferimenti espliciti che il testo fa al contesto).


Teoria degli atti linguistici.


Austin (1962). "Dire qualcosa è anche fare sempre qualcosa". Quando parliamo compiamo simultaneamente tre azioni:


Atti locutori: - atti di dire qualcosa - sono FONETICI (emissione sonora), FATICI (espressione di certe parole o enunciati) e RETICI (impiego di tali aspetti con un senso o riferimento determinato).

Atti illocutori: - atti nel dire qualcosa - si compiono nel parlare ed esprimono le intenzioni comunicative.

Atti perlocutori: - atti con il dire qualcosa - produzione di determinati effetti anche persuasivi sulle credenze, sentimenti e comportamenti dell'interlocutore.


Forza illocutoria: il modo in cui viene interpretato un enunciato e l'effetto che esso produce sull'interlocutore dipendono dalla forza illocutoria.


Atti linguistici diretti e indiretti (Austin): nei primi la forza illocutoria è legata all'esatto significato letterale dell'enunciato, nei secondi invece la forza illocutoria deriva non dal significato letterale dell'enunciato bensì dai modi non verbali in cui è manifestato.

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Il principio di Cooperazione e le implicature conversazionali (Grice).


Distinzione tra:

-     555b16f ;     555b16f ; significato naturale: Segni legati naturalmente agli eventi


(es.: Fumo   Fuoco)

-     555b16f ;     555b16f ; significato convenzionale (significato n-n): per es. Qualsiasi parola in una qualsiasi lingua.

Il significato n-n per Grice è il "voler dire" qualcosa da parte di qualcuno a qualcun altro e ciò non implica soltanto l'intenzionalità informativa ma anche una intenzionalità comunicativa.


Distinzione tra:

-     555b16f ;     555b16f ; Comunicazione: Scambio tra A e B in cui A intende consapevolmente rendere consapevole B di qualcosa di cui prima non era consapevole.

-     555b16f ;     555b16f ; Informazione: Scambio tra A e B in cui A involontariamente trasmette un segnale a B il quale in maniera autonoma lo percepisce.


Principio di Cooperazione: Dai il tuo contributo al momento opportuno, così come è richiesto dagli scopi e dall'orientamento della conversazione in cui sei impegnato.

Quattro massime che dovrebbero guidare la condotta dei partecipanti:

-     555b16f ;     555b16f ; Massima di quantità: dai un contributo minimo efficace senza eccedere.

-     555b16f ;     555b16f ; Massima di qualità: dai un contributo vero.

-     555b16f ;     555b16f ; Massima di relazione: sii pertinente.

-     555b16f ;     555b16f ; Massima di modo: sii chiaro, evita espressioni ambigue e oscure.


Distinzione tra logica del linguaggio e logica della conversazione e quindi la distinzione netta tra ciò che è detto e ciò che è significato. Per colmare questa differenza occorre che i partecipanti facciano ricorso a quella che Grice chiama implicatura conversazionale. Tale implicatura è un impegno semantico aggiuntivo che richiede un processo intenzionale di natura inferenziale.   Ripartizione del significato (Grice):



SIGNIFICATO di un enunciato


ciò che è DETTO  ciò che è IMPLICATO


in modo CONVENZIONALE   in modo CONVERSAZIONALE

in GENERALE in PARTICOLARE



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Il principio di pertinenza e il modello ostensivo-inferenziale di comunicazione (Sperber e Wilson).


Gli autori sottolineano l'importanza della produzione e condivisione del significato. Per "voler dire" qualcosa con un enunciato X il soggetto S deve avere l'intenzione:


a)    che lenunciazione di X da parte di S produca una certa risposta r nell'ascoltatore A.

b)    Che A riconosca la suddetta intenzione (a) di S.

c)     555b16f ; Che il riconoscimento di tale inenzione da parte di A sia almeno in parte la ragione per cui produce la risposta r.


Distinzione tra:

-     555b16f ;     555b16f ; intenzione informativa intenzione di informare il destinatario di qualcosa

-     555b16f ;     555b16f ; intenzione comunicativa intenzione di informare il destinatario sulla propria intenzione informativa. Essa rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per la comunicazione.


Concetto dell' "Essere manifesto":

un fatto è manifesto se e solo se il soggetto è in grado di rappresentarsi mentalmente questo fatto e di accettare tale rappresentazione come vera (o probabilmente vera).



Concetto di "Mutuo ambiente cognitivo":

Ambiente cognitivo in cui ogni ipotesi è reciprocamente manifesta e che assicura un sufficiente grado di cooperazione per capirsi e comunicare.


Principio di pertinenza

Quali di queste ipotesi riceverà la particolare attenzione di un individuo?: ciò dipende dalla pertinenza di quell'ipotesi in quello specifico contesto. Pertinenza in questa prospettiva significa elaborare nuove informazioni al più basso costo possibile, è dunque una competenza.


Concetto di ostensione: è quella condotta che rende manifesta un'intenzione di rendere manifesto un qualcosa d'altro. Un comportamento ostensivo implica una garanzia di pertinenza.


Concetto di inferenza: è un processo logico attraverso il quale gli interlocutori giungono a ritenere vera (o probabilmente vera) una ipotesi sulla base di altre ipotesi date per vere (o probabilmente vere) in partenza. Tale inferenza è non dimostrativa in quanto si basa sulle conoscenze a propria disposizione e sui vincoli cognitivi imposti dal contesto.


Grado di pertinenza:


Sono due le condizioni che deteminano il grado di pertinenza:


a)    una informazione è tanto più pertinente quanto maggiori sono i suoi effetti contestuali.

b)    Una informazione è tanto più pertinente quanto minore è lo sforzo cognitivo richiesto per elaborarla


La pertinenza riguarda sempre il contesto inteso come: l'insieme delle condizioni delle opportunità e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali, istituzionali e culturali presenti in un qualsiasi scambio comunicativo.


Perinenza ottimale:

è data dalla capacità degli interlocutori di seguire l'ipotesi che ottimizzaa il contesto impiegando il minor sforzo cognitivo possibile.



-     555b16f ;     555b16f ; I significati presuntivi. (Levinson)


I significati presuntivi sono le interpretazioni preferite degli enunciati in un dato scambio comunicativo. Sono interpretazioni predefinite (di default).


Implicatura conversazionale generalizzata

E' l'inferenza standard che si realizza usualmente dati un certo contesto e un certo enunciato. Tale inferenza si basa su tre euristiche:



a)    Quello che non è detto, non c'è.

b)    Quello che è descritto in modo semplice è esemplificato in modo stereotipato.

c)     555b16f ; Quello che è detto in modo inusuale è inusuale, ovvero il messaggio marcato si riferisce a una situazione marcata.


Da queste euristiche deerivano tre Principi pragmatici:


Principio Q: Fai affermazioni che rispecchino il tuo livello di conoscenza, usa dunque l'alternativa più forte a livello informativo a meno che la ricchezza delle informazioni non vadano a contrastare col Principio I.

Principio I: Dai il minimo necessario per raggiungere i tuoi fini comunicativi tenendo a mente il Principio Q.

Principio M: Segnala una situazione non usuale utilizzando espressioni marcate diverse da quelle usate per situazioni usuali.


Riassumendo: dai il massimo possibile in termini di informazione, il minimo indispensabile in termini di comunicazione e marca le comunicazioni inusuali con espressioni inusuali.



·     555b16f ;    Il punto di vista sociologico: la comunicazione come espressione e prodotto della società.


La sociologia della comunicazione analizza l'azione sociale, l'individuo e l'interazione sottolineando la prospettiva sociale e istituzionale. Questa prospettiva concepisce la realtà come "costruzione sociale" abbandonando definitivamente le concezioni ontologiche di stampo modernista. Questo discorso si riallaccia anche al concetto di razionalità che è intesa non più come "razionalità a priori" bensì come "razionalità a posteriori" ovvero come locale e contingente in quanto ricostruzione storica.

Distinzione tra microsociologia e macrosociologia:

La prima si occupa dei processi della vita quotidiana analizzando l'ordine e la sequenza degli eventi con metodinaturalistici ed etnografici.

La seconda studia i processi generali, collettivi inerenti le istituzioni e le organizzazioni complesse.


La microsociologia di Goffmann


Goffman focalizza il suo interesse sulle condizioni dell'organizzazione necessarie alla comunicazione e alla trasmissione delle informazioni. Egli parla di una "sociologia delle occasioni" intesa come studio delle circostanze particolari in cui hanno luogo le esperienze quotidiane ricorrenti. Luogo emblematico dell'interazione è la conversazione. Esistono secondo l'autore delle regole precise che determinano le sequenze comunicative. Tali regole sono determinate dal frame vale a dire la cornice (o contesto) entro cui avviene lo scmbio comunicativo. Il frame consente di condividere significati e quindi di sapere in ogni momento cosa sta accadendo e quali siano i comportamenti da seguire in quella particolare situazione. La comunicazione è regolata da rituali e da strategie di comunicazione.

Adottando una prospettiva drammaturgica Goffmann analizza alcuni aspetti degli scambi comunicativi quali l'etichetta (codice formale che regola gli incontri) e il concetto di "salvare la faccia" ovvero quelle modalità comunicative messe in atto per salvaguardare la propria immagine e per proteggersi da errori e gaffe.


Il concetto di postmoderno e la globalizzazione:


Postmodernismo: prospettiva culturale, postindustriale e antiutopica. Si oppone ai miti dell'età moderna: ragione, progresso, progresso.


Globailizzazione: in essa sembrano convergere le antinomie della società attuale. Si presenta come ibridazione in quanto processo di aggregazione e accostamento di nuove forme culturali (globali) assieme a quelle vecchie (locali).


·     555b16f ;    L'approccio psicologico: la comunuicazione come gioco di relazioni


L'approccio psicologico intende la comunicazione come fondamento dell'identità personale. Secondo Bateson gli individui non solo "si mettono in comunicazione", non solo "partecipano alla comunicazinoe" ma "sono in comunicazione" in quanto attraverso la comunicazione giocano la propria identità.


Distinzione tra:

Notizia: il contenuto della comunicazione

Comando: l'indicazione all'interlocutore su come intendere la comunicazione


Il comando determina l'intenzione comunicativa che sta dietro la notizia e si esprime con i gesti, col tono della vove, con la postura, con lo sguardo ecc.

La comunicazione non è dunque un processo semplice ma si articola su due livelli:

-     555b16f ;     555b16f ; Comunicazione: i contenuti che si scmbiano

-     555b16f ;     555b16f ; Metacomunicazione: la comunicazione che ha come oggetto la comunicazione stessa.


La comunicazione è il tessuto che sostiene, mantiene, modifica e rinnova i legami (di qualsiasi tipo) tra i soggetti.


La comunicazione è la dimensione psicologica che produce e sostiene la definizione di sè e dell'altro.


La comunicazione è un processo continuo a molti livelli che genera una spirale di messaggi in cui stimolo, risposta e rinforzo si sovrappongono e si fondono insieme. Ogni atto comunicativo è infatti risposta a uno stimolo precedente ma anche nuovo stimolo e rinforzo al modello comunicativo in essere.

Questa caratteristica della comunicazione è spesso alla base di conflitti interpersonali, proprio perchè nell'atto arbitrario di segmentare la comunicazione è difficile stabilire quali siano gli stimoli e le risposte e quindi ogni interlocutore (in conflitto con un altro) percepiosce l'altro come causa di disagio.


Bateson ha compreso l'importanza degli scambi comunicativi nel costruire e regolare le relazioni interpersonali e ha individuato due modelli di base:


-     555b16f ;     555b16f ; la relazione simmetrica: si fonda sulla percezione dell'eguaglianza dei rapporti tra partecipanti, in quanto l'atto comunicativo di un partecipante tende a rispecchiare l'atto comunicativo dell'interlocutore (si può generare così una competizione comunicativa)

-     555b16f ;     555b16f ; la relazione complementare: si fonda sulla percezione della differenza dei rapporti tra partecipanti. Generalmente questa relazione è caratterizzata da una posizione dominante e da una sottomessa.


Non vi è relazione personale senza comunicazione e viceversa. Tale rapporto di interdipendenza conduce alla creazione di giochi psicologici di varia natura che riguardano tutte le manifestazioni dell'essere umano (seduzione, guerra, persuasione ecc.)



·     555b16f ;    Verso una definizione di comunicazione.


La distinzione tra comunicazione, comportamento e interazione.


-     555b16f ;     555b16f ; Comportamento: qualsiasi azione motoria di un individuo, percepibile in qualche maniera da un altro.

-     555b16f ;     555b16f ; Comunicazione: Scambio interattivo fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento.

-     555b16f ;     555b16f ; Interazione: Qualsiasi contatto fisico o virtuale che avvenga fra due individui anche involontariamente, in grado di modificare lo stato preesistente delle cose fra loro.


Bisogna però fare una ulteriore distinzione ovvero quella tra comunicazione e informazione. Quest'ultima consiste nell'acquisizione di conoscenze inferite da parte di B nei confronti di A anche se quest'ultimo non ne è consapevole. Entra in gioco dunque la competenza di B di estrarre informazioni da A. La comunicazione invece implica intenzionalità reciproca e un certo livello di consapevolezza.





Le funzioni di base della comunicazione.


-     555b16f ;     555b16f ; Funzione proposizionale: La comunicazione serve ad organizzare, impacchettare e trasmettere conoscenze fra i partecipanti sotto forma di "proposizioni" ovvero di forme fruibili dalla comunicazione.


Conoscenza dichiarativa: totalità delle conoscenze disponibili nella memoria a lungo termine. Essa può essere semantica o episodica.

Conoscenza semantica: Comprende conoscenze generali in cui non vengono esplicitate le coordinate spazio-temporali.

Conoscenza episodica: Comprende conoscenze riguardandi episodi accaduti in passato in cui vengono esplicitate le coordinate spazio-temporali.  


Bisogna riconoscere la rilevanza del linguaggio per la specie umana in quanto rende comunicabile il pensiero. Esiste infatti una stretta interdipendenza tra pensiero e linguaggio.


Composizionalità del linguaggio: Il linguaggio è composto di unità componibili. Il contenuto semantico di un enunciato dipende sia dalla sua disposizione globale sia dal valore semantico delle sue unità costituenti. La componibilità non è comunque un processo arbitrario bensì segue regole precise: a) Sistematicità, ovvero le strutture sintattiche - b) Produttività, ovvero il linguaggio permette la creazione e la comprensione di infiniti significati che a loro volta permettono la creazione e comprensione di infiniti enunciati - c) Possibilità di dislocazione, ovvero la possibilità di un enunciato di essere riferito a referenze spazio-temporali differenti.


La funzione proposizionale della comunicazione è strettamente legata alla capacità computazionale della mente, ossia alla disposizione generale della mente di fare calcoli, confrontare elementi diversi, cogliere le differenze nel rapportarsi con la realtà.


La proposizionalità della comunicazione è specie-specifica in quanto appare esclusiva della specie umana.



-     555b16f ;     555b16f ; Funzione relazionale: La rete di relazioni in cui l'individuo è inserito è mediata, costruita, modificata, negoziata dalla comunicazione.


La funzione relazionale svolge anche una funzione espressiva poichè consente di manifestare emozioni, desideri, intenzioni.


Efficacia relazionale: dipende dalla stretta connessione tra interazione e relazione le quali sono concettualmente su due livelli differenti.


Interazione: E' una realtà tangibile ed è circoscritta spazio-temporalmente e consiste in uno scambio comportamentale direttamente osservabile fra i partecipanti.

Relazione: E' invece il prodotto intangibile della storia delle relazioni, in grado di alimentare credenze, aspettative e vincoli che guideranno le relazioni in corso e quelle future.


La relazionalità della comunicazione genera l'intersoggettivita dialogica.




-     555b16f ;     555b16f ; L'evoluzione della comunicazione -


-     555b16f ;     555b16f ; La comunicazione animale tra antropocentrismo e antropomorfismo


Psicologia evoluzionistica: studia la comunicazione e la mente umana attraverso la comprensione dei processi che nel corso della filogenesi ne hanno determinato l'architettura.


I quattro criteri forniti da Tinbergen:

a)    Meccanismi prossimi e specifici sottesi a certi comportamenti emersi come effetto della pressione selettiva.

b)    Ontogenesi di una determinata condotta e modello di comportamento in termini di sviluppo individuale.

c)     555b16f ; Funzione adattativa di un comportamento o di una struttura in base ai suoi effetti sulla sopravvivenza individuale e sulla riproduzione della specie.

d)    Storia filogenetica di un tratto o una attivvità in riferimento ai suoi passati ancestrali.


Antropocentrismo: Enfatizza le differenze e le discontinuità nei diversi sistemi di comunicazione, considerando la comunicazione umana come un'attività privilegiata in quanto utilizza il linguaggio che rappresenta la barriera invalicabile tra uomo e animale ma rischia di non riconoscere agli animali capacità comunicative e cognitive che in realtà possiedono (Errore di omissione)


Antropomorfismo: Sottolinea le somiglianze nei differenti sistemi di comunicazione ma rischia di attribuire agli animali competenze comunicative e cognitive tipiche degli uomini (Errore di falsa attribuzione)


Filogenesi dei sistemi di comunicazione: occorre accertare e riconoscere tanto gli elementi di continuità filogenetica tanto quelli di discontinuità filogenetica nei sistemi comunicativi umani ed animali.


·     555b16f ;    Prospettive teoriche


-     555b16f ;     555b16f ; Teoria evoluzionistica di Darwin (1871): si basa sui concetti della selezione naturale e della continuità filogenetica.

-     555b16f ;     555b16f ; Etologia tradizionale di Lorenz (1937): comunicazione animale come dispositivo per la sopravvivenza.

-     555b16f ;     555b16f ; Etologia cognitiva ('80/'90): I primati non umani sarebbero dotati di una teoria della mente sia pure rudimentale attraverso la quale sarebbero capaci di "leggere la mente" (mindreading) e di comprendere gli scopi di un altro organismo.

-     555b16f ;     555b16f ; Ecologia comportamentale ('70): I segnali comunicativi sono destinati perlopiù a nascondere piuttosto che a manifestare scopi e motivazioni, servono dunque a manipolarre i destinatari. Vale quindi il principio dell'handicap secondo cui i segnali "onesti" comportano degli svantaggi per l'emittente.

-     555b16f ;     555b16f ; Approccio differenziale: Avanza l'ipotesi della rottura e della discontinuità filogenetica fra comunicazione umana ed animale. Il linguaggio è inteso come forma comunicativa unica ed esclusiva dell'uomo. (Chomsky) Solo l'uomo possiede l'organo del linguaggio che è frutto di una recente mutazione filogenetica non finalizzata in gardo di comprendere qualsiasi lingua naturale (ipotesi della grammatica universale).


Piuttosto che aderire pienamente ad una di queste teorie bisogna da un lato rifiutare ogni ottimismo evoluzionistico (eccesso di darwinismo) dall'altro rifiutare l'ipotesi della discontinuità fliogenetica. Bisogna dunque riconoscere sia le specificità comunicative delle singole specie animali in funzione della loro dotazione genetica, sia le somioglianze comunicative fra le diverse specie.



·     555b16f ;    La comunicazione animale come adattamento cognitivo e sociale



Capacità cognitive dei primati: Possiedono una precisa mappa mentale del territorio, riconoscono l'eguaglianza di stimoli orientati in modo diverso (invarianza di orientazione). Inoltre possiedono ottime capacità di categorizzazione degli oggetti facendo ricorso a specifici indizi.


Queste capacità cognitive si manifestanonei primati nella costruzione e impiego di strumenti. Uno strumento è un oggetto separato dal proprio substrato e opportunamente modificato e usato rispetto alla sua funzione e in grado di modificare un altro oggetto.


L'impiego di strumenti denota la capacità di manipolare oggetti e soprattutto la capacità di procedere secondo un piano mentale e di coglere le relazioni causali in base alle quali un evento antecedente produce l'evento conseguente. La conoscenza dell'ambiente e la padronanza cognitiva di esso sono il presupposto essenziale per la comunicazione.

Esistono poi delle specializzazioni adattive tipiche di particolari specie animali sviluppatesi in funzione della loro nicchia ecologica o habitat.


La conoscenza del mondo sociale.


Presupposto fondamentale per la comunicazione è la conoscenza del mondo sociale di appartenenza. Creazione di un campo sociale entro cui si definiscono le reti di interazioni e dei rapporti.


-     555b16f ;     555b16f ; Conoscenza e padronanza del campo sociale.

I primati sanno riconoscere gli individui della propria comunità e sono capaci di prevedere le azioni che gli altri faranno tenendo conto delle esibizioni ritualizzate attraverso cui viene manifestato il proprio stato motivazionale. Essi percepiscono la spontaneità (azioni pianificate in modo discrezionale e variabile in funzione del contesto) e la direzionalità (azioni regolari e orientate a uno scopo) dei comportamenti altrui. I primati inoltre conoscono le relazioni tra i vari membri della comunità per esempio le relazioni di parentela e la relazione di dominanza. Infine essi comprendono le relazioni fra terzi nelle interazioni con gli altri. In ultimo sono capaci di comprendere le relazioni fra terzi per esempio nella "aggressione spostata" ovvero quando un gruppo è vittima di un attacco spesso reagisce colpendo i piccoli degli aggressori.


-     555b16f ;     555b16f ; Coalizioni e alleanze, reciprocità e altruismo.

In un ambito in cui si sviluppano interazioni cooperative per il cibo e l'attività sessuale è naturale che si creino coalizioni e alleanze tra i membri di un gruppo. Significativa è la cooperazione per la competizione che integra la dimensione verticale (dominanza) e la dimensione orizzontale (affiliazione) della struttura sociale. Nell'ambito dei conflitti la coalizione può essere reattiva o proattiva. Nel primo caso si ha per esempio il sostegno degli altri individui al vincitore di una battaglia, nel secondo caso invece gli altri individui sostengono il soggetto di rango più basso aggredito dal dominante. Nel corso del tempo frequenti coalizioni generano vere e proprie alleanze. Coalizioni e alleanze implicano strategie mentali.
La reciprocità riguarda invece l'alternanza di favori in una specifica attività per esempio praticare il grooming per ottenere grooming, mentre si parla di scambio il favore in una certa attività è ricompensata da un favore in un'altra attività. Talvolta queste forme di scambio e reciprocità si trasformano in altruismo reciproco ovvero una forma di favore che non prevede una contropartita (svantaggioso).


·     555b16f ;    Le principali competenze comunicative dei primati non umani.


I primati non umani sono in grado di scambiarsi precise informazioni su particolari stati del mondo. Questa comunicazione referenziale (intesa come capacità di riferirsi ad un oggetto o evento esterno in maniera precisa) implica l'abilità di formulare il messaggio in modo univoco e di riconoscere se il messaggio è sbagliato o meno.


-     555b16f ;     555b16f ; La danza delle api.
Attraverso il linguaggio della danza le api bottonatrici sono in grado di acquisire e codificare informazioni relative alla distanza, direzione e quantità di cibo presente in un determinato luogo. Sono capaci di utilizzare l'azimut del sole per determinare la direzione.


-     555b16f ;     555b16f ; Segnali referenziali nelle scimmie.
I cercopitechi emettono segnali di allarme specifici a seconda del pericolo, per esempio un segnale forte (latrato) indica la presenza di un leopardo, un segnale corto e secco (tipo tosse) indica la presenza di un'aquila e un seganle acuto e stridulo (Chutter) indica un serpente pericoloso. I cercopitechi mostrano anche una certa flessibilità nell'emisione di tali segnali, per esempio emettono un segnale molto simile a quello per il leopardo in presenza di un leone. Esiste poi un effetto audience, ovvero i cercopitechi emettono segnali di pericolo solo quando sono presenti altri compagni. Tali segnali hanno dunque un valore sociale.



La categorizzazione delle informazioni.


-     555b16f ;     555b16f ; La percezione categorica dei segnali vocali.
Essa si fonda sulla valutazione di eguaglianza tra due suoni (colori, odori ecc.). Tale percezione rappresenta un prerequisito percettivo e cognitivo per l'aquisizione e l'uso della comunicazione.


-     555b16f ;     555b16f ; La costruzione di categorie mentali.
Numerose specie animali sono in grado di classificare e ordinare la loro esperienza in categorie discrete, per poter distinguere il familiare dal nuovo, l'alleato dal predatore ecc. Secondo Herrnstein tali categorie si formano attraverso un processo a cinque livelli: a) Discriminazione fra gli stimoli, b) Categorizzazione per routine, c) Costruzione di categorie indeterminate sulla base di somiglianze percettive, d) Sviluppo del concetto definito in base a caratteristiche distintive, e) Relazioni astratte attraverso cui si mettono in connessione due o più concetti tra loro.


La comunicazione intenzionale.


Una comunicazione intenzionale implica l'orientamento a uno scopo del segnale dell'emittente e un certo grado di flessibilità nei mezzi espressivi per raggiungerlo. Per cui il medesimo segnale verrà usato in modo diverso (flessibile) per raggiungere il medesimo scopo o anche per scopi diversi.


La comunicazione attraverso i gesti.


I gesti riguardano i comportamenti facciali, manuali e posturali. Negli scimpanzè i gesti servono a regolare le interazioni, ad attirare l'attenzione su un determinato evento/oggetto o anche per cominciare un'attività di gioco. Hanno di solito natura diadica cioè sono limitati ai soli emittente e ricevente.


La comunicazione intenzionale attraverso le vocalizzazioni.


Nelle scimmie reso esistono circa 25-30 vocalizzazioni relative ad un ampio spettro di situazioni. Anche gli scimpanzè hanno un vastorepertorio di segnali vocali e per esempio hanno tre diverse vocalizzazioni per la scoperta del cibo: pant-hoot, food-grunt e cibo-aaa.





La comunicazione simbolica.


I primati non umani sono in grado di apprendere il linguaggio umano? I primi studi a riguardo furono fallimentari ma ngli anni '60 i coniugi Gardner utilizzando l'American Sign Language insegnarono a uno scimpanzè circa 132 parole differenti inclusi verbi pronomi e nomi. A tali studi ne seguirono altri altrettanto efficaci. In generale si è osservato che gli scimpanzè allevati in un contesto umano sono in grado di comprendere e produrre in maniera creativa i simboli linguistici umani. Si è inoltre notato che a) la comunicazione gestuale di questi scimpanzè è notevolmente aumentata, b) che l'apprendimento e l'uso dei simboli linguistici può avvenire in modo naturale.

E' però necessario ricordare che stiamo parlando dell'apprendimento del lessico, ovvero di una quantità di simboli decontestualizzati. Quando dal lessico si passa alla sintassi, ovvero alle regole che determinano l'ordine in cui i simboli devono essere posizionati, sorgono enormi difficoltà. Per questo motivo possiamo affermare che la comunicazione dei primati non umani e di altre specie animali è di natura richiestiva e non dichiarativa. Per cui lo scimpanzè potrà, con la comunicazione, dare e ricevere, capire ed eseguire ordini, esprimere desideri ma non potrà mai raccontare i propri pensieri.



·     555b16f ;    I primati non umani hanno una "teoria della mente"?


La Teoria della Mente (Theory of Mind - ToM) è nata all'interno della psicologia evoluzionistica nel 1978 ed è intesa come capacità di "leggere" la mente dei consimili nonchè di interpretare, spiegare e prevedere i loro comportamenti (Premack e Woodruff).


La comprensione dello sguardo e dell'attenzione degli altri


La comprensione dello sguardo degli altri è importante per elaborare una ToM in quanto implica:


a)    La capacità di capire lo sguardo come atto mentale di attenzione e interesse verso un oggetto o evento (vedere come attenzione referenziale).

b)    La capacità di capire lo sguardo come possesso privilegiato di un definito numero di di conoscenze rispetto a chi non guarda (vedere come atto cognitivo).

c)     555b16f ; La capacità di capire lo sguardo come l'adozione di un punto di vista interno e mentale sulle cose (vedere come prospettiva epistemica).


Il riconoscimento di sè allo specchio.


Gli scimpanzè rispondono in maniera spontanea e contingente alla presenza di uno specchio in quanto si rendono conto che i movimenti nello specchio dipendono dai loro stessi movimenti. L'autoriconoscimento diventa però palese grazie al "test della macchia": gli scimpanzè vengono sottoposti ad anestesia generale durante la quale una parte del loro corpo viene dipinta con una macchia di colore e al loro risveglio, posti nuovamente di fronte allo specchio, essi si toccano in maniera significativamente maggiore, rispetto alla situazione precedente, sulla zona colorata. Vi è dunque una rappresentazione di sè che costituisce il primo passo verso la consapevolezza di sè.


La condotta e la comunicazione ingannevole.


Per condotta ingannevole si intende una strategia per l'interazione sociale volta a ottimizzare le risorse disponibili a proprio vantaggio e a discapito degli altri.


-     555b16f ;     555b16f ; Menzogna funzionale:


In un contesto definito e regolare l'animale produce un comportamento prevedibile tale da suscitare negli altri una certa risposta. A fronte di tale condizione è possibile: a) produrre lo stesso segnale in un contesto differente per produrre la risposta desiderata (falsificazione attiva), b) non produrre il medesimo segnale nel consueto contesto (occultamento di informazione).


-     555b16f ;     555b16f ; Menzogna intenzionale


La menzogna intenzionale è caratterizzata da comportamenti che inducono cambiamenti nelle credenze degli altri per cui l'animale produce nel contesto C1 un segnale S1 che produce un cambiamento nelle credenze e di conseguenza un comportamento X, dopodichè può produrre il medesimo segnale S1 in un contesto diverso C2 per ottenere la medesima risposta X (falsificazione attiva) oppure, in ragione dell'associazione tra S1 e X, può non produrre il segnale S1 sapendo di nascondere informazioni agli altri (occultamento di informazione).


-     555b16f ;     555b16f ; Menzogna tattica:


E' caratterizzata dall'intenzione dell'ingannatore di indurre gli altri a interpretare erroneamente una azione. Esistono tre grandi categorie di menzogna tattica:


a)  Occultamento attivo: occultare intenzionalmente l'espressione del volto o una attività in cui si è impegnati.

b)  Condotta fuorviante: Per esempio emettere un segnale di pace per poi attaccare.

c)   Controinganno: Risposta all'inganno con altre forme di inganno.





La "teoria implicita della mente" nei primati non umani.


Il problema di fondo è capire se i primati non umani abbiano o meno una rappresentazione secondaria o metarappresentazione, ovvero la capacità di rappresentarsi mentalmente le rappresentazioni mentali altrui.

I primati non umani sono capaci di scambiarsi informazioni e capaci di mettere in atto una comunicazione intenzionale. Tali capacità però non presuppongono una teoria della mente esplicita ma si basano esclusivamente sulla percezione e comprensione dei comportamenti altrui. Sembra dunque che i primati non umani ragionino sui comportamenti e non sugli stati mentali altrui. Possiamo parlare dunque di una teoria implicita della mente in quanto questi animali comprendono gli scopi e prevedono i comportamenti ma non si chiedono perchè, non si fanno domande sugli stati mentali degli altri.




-     555b16f ;     555b16f ; Neuropsicologia della comunicazione -


La comunicazione è una attività complessa e peculiare dell'essere umano. Tale complessità trova un corrispettivo e un fondamento neurofisiologico e neuropsicologico poichè la comunicazione ha luogo a partire da strutture anatomiche specifiche e richiama a funzioni cerebreli definite.


·     555b16f ;    Le competenze linguistiche e comunicative secondo la prospettiva neuropsicologica.



Lo sviluppo strutturale e funzionale delle aree del linguaggio.


E' di fondamentale importanza studiare dal punto di vista biologico le aree deputate alle funzioni linguistiche. E' molto probabile che le strutture cerebrali deputate a tali funzioni si siano sviluppate già 500.000 anni fa (Homo erectus) così come dimostrano recenti ritrovamenti fossili ma lo sviluppo di un linguaggio è avvenuto ben più tardi ovvero circa 100.000 anni fa (ipotesi del linguaggio ancestrale).

Sull'origine della comunicazione sono state avanzate tre ipotesi:


-     555b16f ;     555b16f ; Teoria gestuale: Ipotizza uno sviluppo della comunicazione a partire dai gesti e solo successivamente si sarebbe sviluppata una comunicazione vocale

-     555b16f ;     555b16f ; Teoria vocale: Sostiene, al contrario, che la comunicazione si sia sviluppata a partire da un sistema di grida per indicare i diversi stati emotivi per poi divenire linguaggio

-     555b16f ;     555b16f ; Teoria mista: Ipotizza un intervento concomitante di gesti e vocalizzazioni come base dell'evoluzione del linguaggio. Tale teoria sembra avere un riscontro anatomico rilevante dal momento che la rappresentazione e il controllo manuale e la comunicazione verbale e dei segni trovano la loro localizzazione nell'emisfero sinistro.


Nell'uomo esistono numerose asimmetrie emisferiche presenti sin dalla nascita. Asimmetrie molto simili a quelle umane sono presenti nelle scimmie antropomorfe ma non dalla nascita, lo sviluppo della dominanza emisferica avviene a sviluppo cerebrale finito ed è frutto dell'esposizione e comprensione del repertorio vocale.


Occorre a questo punto definire l'organizzazione cerebrale: esistono modelli localisti e antilocalisti (olismo). La prima suppone che vi sia una stretta correlazione tra tra le differenti funzioni cognitive e specifiche aree cerebrali. La seconda ipotizza una distribuzione delle differenti funzioni cognitive nelle diverse aree cerebrali.





I modelli di funzionamento anatomo-strutturali.


Esistono dunque "modelli classici" e "modelli a network" a seconda che abbiano una concezione "focale" o "distribuita" delle rappresentazioni delle competenze comunicative e linguistiche dell'uomo.


-     555b16f ;     555b16f ; Modello di Wernicke-Geshwind.
Questo modello pone l'accento sull'importanza di specifiche aree corticali e sulle loro vie di connessione con la sostanza bianca sottostante per la rappresentazione delle competenze comunicative e linguistiche. A tale modello si rifanno i cosidetti modelli classici. Questo modello individua due distinte aree deputate alla produzione e comprensione del linguaggio, l'area del Broca (produzione) e l'area del Wernicke (comprensione). Lesioni a tali aree producono afasie di espressione (area di Broca) e afasie di comprensione (area del Wernicke). Queste aree sono considerate parti di una complessa rete nervosa unite fra loro dal fascicolo arcuato. Una lesione a quest'ultimo produce un'alterazione al normale flusso del discorso in quanto è interrotta la connessione tra le afferenze uditive e l'area del Broca nonchè il circuito a feed-back con l'area del Wernicke.


-     555b16f ;     555b16f ; I modelli neurolinguistici.
La moderna neurolinguistica mette in discusione la specificità delle aree del Brcoca e del Wernicke per la produzione e comprensione del linguaggio. Si è infatti notato che lesioni cerebrali a tali aree produce effetti variabili da individuo a individuo. Non è pertanto possibile individuare i correlati anatomici dei processi linguistici. Recentemente è stata riconosciuta notevole importanza ad alcune strutture sottocorticali quali il talamo sinistro, il nucleo caudato sinistro e la sostanza bianca sottostante nella elaborazione e comprensione del linguaggio. Il processo ascendente (che va dalla comprensione alla produzione) fa dunque riferimento a più aree cerebrali rispetto a quanto esposto dal modello Wernicke-Geshwind. Esiste tuttavia un sostanziale accordo sul fatto che esistano differenze tra i lobi cerebrali, ovvero sul fatto che il lobo sinistro è predominante in riferimento al linguaggio e che tali differenze siano sia funzionali che anatomiche.
Lenneberg aveva proposto la teoria della equipotenzialità delle strutture cerebrali considerando la lateralizzazione come derivato dello sviluppo linguistico, tuttavia questa teoria non spiega come nello sviluppo ontogenetico si sia attuata una selezione a vantaggio dell'emisfero sinistro relativamente al linguaggio.


-     555b16f ;     555b16f ; Fattori di sviluppo nell'acquisizione delle competenze linguistiche.
La specificità e l'universalità delle competenze legate allo sviluppo del linguaggio sono un punto di riferimento obbligato per la neurolinguistica.

- Modello dell'innatismo strutturale.
Postula la presenza di regole universali che regolano la capacità di apprendere le diverse lingue, questo modello si fonda dunque sulla "grammatica universale" (Chomsky) e rivendica inoltre l'esistenza di strutture geneticamente predisposte per supportare tale apprendimento: l'organo del linguaggio.

- Modello dell'universalità funzionale.
Considera l'apprendimento del linguaggio fondato su processi e funzioni piuttosto che su regole grammaticali ed esso viene appreso in maniera automatica e universale.


Un aspetto fondamentale dell'approccio innatista è il concetto di periodo critico di acquisizione, ovvero quel periodo "sensibile" in cui è necessaria l'esposizione al linguaggio affinchè possa essere appreso. Tale periodo coincide con la fase evolutiva in cui vi è una maggiore plasticita anatomo-strutturale del cervello. E' inoltre importante sottolineare l'interdipendenza tra maturazione ed esperienza nei processi di apprendimento del linguaggio, in particolare è stata evidenziata una stretta correlazione tra sviluppo delle strutture cerebrali e specifiche competenze comunicative.



-     555b16f ;     555b16f ; La produzione e la comprensione della comunicazione: i sistemi concettuale, sintattico e semantico.


- La rappresentazione del processo di produzione e comprensione.
Le competenze comunicative di base sono identificabili nella produzione e nella comprensione del linguaggio e quindi di strutture fonologiche, sintattiche, semantiche e discorsive.

La moderna neuropsicologia ha come intento principale quello di decomporre e segmentare il processo complessivo della comunicazione. Il modello di Garret consente di sintetizzare la complessità delle operazioni e dei processi cognitivi implicati nei processi ascendente e discendente (comprensione e produzione) del linguaggio (Vedi fig.3.3 pag.72 Anolli). Esiste un parallelismo nell'organizzazione dei sistemi ascendente e discendente in quanto sono entrambi caratterizzati da due flussi di elaborazione: uno di produzione/riconoscimento lessicale, l'altro di costruzione/ricostruzione delle strutture frasali. Bisogna dunque capire i processi di coordinazione tra questi due processi. La rappresentazione lessicale avverrebbe contemporaneamente all'assegnazione della struttura frasale con un processo incrementale e sequenziale.











-     555b16f ;     555b16f ; Indipendenza dei sistemi di rappresentazione concettuale, sintattico e semantico.

Sistema concettuale: rappresentazione delle idee

Sistema sintattico(strutturale): rappresentazione delle funzioni posizionali dei termini e della struttura della frase

Sistema semantico: rappresentazione del significato complessivo del messaggio

L'Ipotesi dell'organizzazione funzionale del processo comunicativo prevede che questi tre sistemi siano funzionalmente autonomi.

-     555b16f ;     555b16f ; Indipendenza tra forma lessicale e significato.
Studi mediante PET rilevano aree distinte per l'elaborazione del significato e della forma lessicale.

-     555b16f ;     555b16f ; Dissociabilità tra forma sintattica e concettuale.
La competenza concettuale e la capacità di costruire complesse strutture enunciative appaiono essere funzioni autonome. Dalle ricerche (lesioni focali) è emersa una doppia dissociazione tra competenze concettuali e competenze sintattiche con la compromissione di una a fronte di una piena funzionalità dell'altra.

-     555b16f ;     555b16f ; Indipendenza tra sistema semantico e concettuale.
Il sistema semantico realizza il significato delle parole mentre quello concettuale ha a che fare con un più ampio sistema enciclopedico

-     555b16f ;     555b16f ; Indipendenza tra sistema semantico e sintattico.
Anche in questo caso i dati sperimentali sono a favore di una indipendenza tra i sistemi. Infatti esistono deficit specifici (semantico e sintattico) a seguito di lesioni al lobo temporale superiore (demenza semantica) e all'area corticale presilviana (deficit sintattico). La compromissione di un sistema non intacca la funzionalità dell'altro.


·     555b16f ;    Neuropsicologia delle funzioni comunicative superiori.


La mente umana come sistema di simboli.


La neuropsicologia intende la mente umana come sistema in grado di manipolare simboli, di elaborare e comprendere script nonchè di sviluppare un sitema di regole (sintassi) in grado di combinare le unità simboliche. Comunicare dunque non è soltanto la capacità di formulare frasi corrette.

Modello multicomponenziale di Frederiksen: studia a livello neuropsicologico le competenze inferenziali, metacognitive e di automonitoraggio della comunicazione. Questo modello intende il processo comunicativo come una sequenza di espressioni della lingua naturale che rappresenta parte della conoscenza concettuale del parlante. Tale processo opera su quattro livelli differenti e autonomi: linguistico, proposizionale, semantico-pragmatico e concettuale.






La specializzazione emisferica per le funzioni comunicative superiori.


Le differenze tra i due emisferi riguardano sia la dimensione neurofisiologica sia quella anatomica. Tre sono le principali teorie che cercano di rendere conto di tali differenze.


Approccio percettivo: le differenze sono legate alle diverse abilità percettive nell'elaborazione delle proprietà sensoriali di base. Ipotesi della frequenza spaziale. L'emisfero destro è deputato ad elaborare stimoli a bassa frequenza spaziale mentre quello sinistro quelli ad elevata frequenza spaziale.


Differenti modalità di elaborazione dell'informazione: il secondo approccio tiene conto dei differenti "stili" di elaborazione dell'informazione ovvero quello analitico e quello olistico. La modalità analitica è attribuita all'emisfero sisnistro ed è specifica per la rilevazione delle relazioni temporali mentre la modalità olistica, attribiuta all'emisfero destro, è specifica per la rilevazione delle configurazioni complessive in particolare quelle spaziali.

Nel riconoscimento dei visi l'emisfero destro mostra avere una superiorità rispetto al sinistro ma qualora il riconoscimento dipenda da un dettaglio allora il sinistro avrà superiorità emisferica.


Prospettiva di integrazione: i due approcci precedenti possono essere combinati in una sola prospettiva. Da un lato l'estrapolazione di informazioni a bassa frequenza spaziale può indurre l'emisfero destro a elaborale informazioni in maniera globale, dall'altro la superiorità dell'emisfero sinistro nell'elaborazione di informazioni locali e analitiche può essere determinata dall'estrapolazione di informazioni ad alta frequenza spaziale.


Le funzioni semantiche e pragmatiche.


-     555b16f ;     555b16f ; Competenze semantiche, prosodiche ed elaborazione di stimoli emotivi.

Non tutte le funzioni comunicative sono soggette alla lateralizzazione emisferica anzi per molte di queste entrambi gli emisferi contribuiscono al loro sviluppo. Bisogna dunque distinguere tra:

- Specificità funzionale emisferica: un solo emisfero possiede quella determinata funzione

- Aspecificità funzionale: un emisfero possiede competenze per una certa funzione in maniera secondaria e di supporto all'altro.


Bisogna superare la tradizionale equazione: emisfero sinistro= linguaggio e emisfero destro= facilitatore. Gli studi sull'emisfero destro hanno evidenziato il ruolo importante di quest'ultimo nella comprensione dei termini (semantica lessicale). L'emisfero destro sfolge dunque un ruolo specifico nell'attribuzione dei significati indipendentemente dai vincoli sintattici e contestuali.

Un'altra competenza funzionale dell'emisfero destro concerne la produzione e l'analisi delle proprietà prosodiche.

Distinguiamo tra:

-     555b16f ;     555b16f ; Prosodia intrinseca: connessa col profilo intonativo di un enunciato

-     555b16f ;     555b16f ; Prosodia intellettiva: relative alle funzioni di accentuazionee delle diverse componenti enunciative.

-     555b16f ;     555b16f ; Prosodia emotiva: concernente la funzione vocale dell'espressione emotiva.

L'emisfero destro appare notevolmente competente relativamente alla prosodia emotiva, per le altre due forme di prosodia esso mantiene comunque un ruolo secondario.

Le componenti emotive appaiono dunque lateralizzate con dominanza dell'emisfero destro, il quale comunque appare superiore nel riconoscimento dei segnali emotivi rispetto all'emisfero sinistro, mentre per la funzione espressiva dei segnali emotivi i risultati sono più eterogenei: entrambi gli emisferi presentano tale competenza.


-     555b16f ;     555b16f ; Competenze discorsive e funzioni pragmatiche.

Le funzioni del discorso ovvero le abilità inferenziali per fare le opportune implicature conversazionali sono specifiche dell'emisfero destro. L'emisfero destro mostra una specifica competenza per le funzioni discorsive di carattere generale quali l'elaborazione di percorsi di senso, generazione della cornice discorsiva, produzione della rete semantica mentre l'emisfero sinistro appare più specifico per le funzioni discorsive più analitiche (analisi sintattica, lessicale e morfologica).
Infine l'emisfero destro risulta avere specifiche competenze per le funzioni pragmatiche che riguardano l'uso dei significati in determinati contesti quindi la comprensione del rapporto tra testo e contesto.


·     555b16f ;    La rappresentazione dei sistemi verbale e non verbale di segnalazione.


-     555b16f ;     555b16f ; Verbale/non verbale: un'asimmetria di funzioni?

Attualmente è prematuro parlare di corrispondenze neuroanatomiche rispetto alle funzioni cognitive legate alla comunicazione verbale e non verbale.
Tuttavia è leggittimo chiedersi se vi sia un'asimmetria emisferica tra funzioni verbali e non verbali. Il modello tradizionale per cui verbale=emisfero sinistro e non verbale=emisfero desrto è oggi superato. Tale superamento è stato possibile grazie allo studio del linguaggio dei segni (LS) il quale al pari del linguaggio parlato possiede una struttura formale, morfologica e grammaticale. Che l'emisfero sinistro sia dominante per i compiti verbali è un dato acquistito ma non si può parlare di una netta dicotomia verbale/non verbale, bisogna infatti giungere a un livello più profondo ovvero alle competenze simboliche per le quali l'emisfero sinistro è superiore rispetto al destro e che possono riguardare anche competenze non verbali. Tre ipotesi cercano di spiegare come l'emisfero sinistro si distingua dal desto relativamente alle competenze simboliche.

- Modello del sistema simbolico:
Ipotizza un funzionamento in parallelo in cui i comportamenti verbali e non verbali vengano originati insieme da un unico sistema e non separatamente.
- Organizzazione dei movimenti sequenziali, per la quale l'emisfero sinistro sarebbe dominante. Entrambe le forme verbale e non verbale implicano la presenza di azioni motorie, per cui l'incapacità di comtrollare tali sequenze produce deficiti in entrambe le forme di comunicazione.
- Dicotomia tra emotivo e cognitivo, ovvero distinzione tra emisfero destro per le proprietà emotive e sinistro per le proprietà cognitive.


-     555b16f ;     555b16f ; Coordinamento interemisferico fra il sistema verbale e i sistemi non verbali.

Ipotesi della indipendenza funzionale tra sistemi verbale e non verbale. Questa ipotesi appare fondata sulla distinzione di diverse modalità di rappresentazione del significato. Esse sono:

Modalità linguistica: propria dell'emisfero sinistro
Modalità non linguistica: propria dell'emisfero destro.

Ciascuno dei due percorsi consentirebbe l'attribuzione del significato attraverso processi distinti dipendenti dal formato con cui l'informazione è rappresentata. Ciò non esclude tuttavia che l'emisfero destro sia capace di comprendere le parole e il sinistro di elaborare informazioni non verbali.
Entrambi gli emisferi sono in grado di elaborare gli stimoli indipendentemente dal formato in cui sono emessi. Infatti ad una raappresentazione "modalità dipendente" si affianca una rappresentazione "modalità indipendente", la prima specifica per il formato del segnale, la seconde più generica, adatta alla comprensione di informazioni più vaghe e indefinite. Esiste dunque una interdipendenza tra i due emisferi relativamente alla attribuzione di significati benchè l'emisfero dominante per il formato specifico abbia una parte preponderante.
Benchè gli emisferi siano specializzati per compiti e processi specifici essi operano come una mente sola e non come due menti separate, si parla dunque di coordinamento tra i due emisferi.
Tale interazione è supportata, a livello neuroanatomico, dal corpo calloso ed è un processo particolarmente complesso e non una semplice trasmissione di informazioni da un emisfero a un altro. Tre ipotesi spiegano tale coordinamento:
- Modello della dominanza emisferica: di volta in volta, a seconda dei compiti, un emisfero diviene dominante e l'altro funge da supporto
- Modello dell'alternanza: suppone che vi sia un "miscelamento", ovvero in ogni compito ogni emisfero risulta dominante per un aspetto specifico del processo.
- Modello dell'unicità interemisferica: Entambi gli emisferi contribuiscono alla realizzazione dell'intera prestazione seppure in misura differente.



·     555b16f ;    La comunicazione come sistema multifunzionale.

L'atto comunicativo implica processi di definizione strategica e pianificazione da un lato, e di monitoraggio e automonitoraggio dall'altro. Questi processi richiedono meccanismi di coordinamento centrale.


-     555b16f ;     555b16f ; Comunicazione, sistema esecutivo e memoria di lavoro.

L'attenzione interviene nei processi di programmazione e di regolazione dell'azione comunicativa.
Le funzioni esecutive sono quell'insieme di processi finalizzati a regolare e dirigere la condotta mediante la gestione di alcune operazioni sovraordinate (definizione delle strategie, organizzazione delle sequenze e delle gerarchie delle azioni ecc.).
La corteccia frontale e prefrontale costituiscono il substrato anatomico delle funzioni esecutive.
Il rapporto tra le funzioni esecutive e i processi comunicativi appare assai complesso. Le operazioni controllate e gestite dal sistema esecutivo interessano le funzioni di programmazione dell'atto comunicativo. L'attenzione diviene un fattore rilevente per le funzioni di supervisione dell'azione. In particolare persone con deficit frontali sono caratterizzate dalla mancanza di adattamento flessibile delle scelte comunicative strategiche alla situazione e manifestano una prevalenza di ipotesi scorrette pur avendo a disposizione elementi utili alla rilevazione dell'errore (perseverazione del comportamento erroneo). Deficit correlati al precedente sono il deficit di valutazione cognitiva ovvero l'incapacità di utilizzare informazioni salienti al fine di fare previsioni ed esprimere giudizi sulle situazioni e ancora il deficit dell'organizzazione in sequenze ovvero l'incapacità di organizzare il comportamento intenzionale.
Un ruolo prioritario e più diretto per compiti comunicativi è svolto dal sistema esecutivo centrale della memoria di lavoro. E' un sistema a capacità limitata in quanto consente l'elaborazione e l'immagazzinamento temporaneo delle informazioni durante l'esecuzione di compiti cognitivi.


-     555b16f ;     555b16f ; Metacognizione e pianificazione strategica dell'azione comunicativa.
Tra le funzioni esecutive superiori ricordiamo la pianificazione strategica. Essa implica la capacità del soggetto di programmare le azioni secondo i propri scopi strategici, prevedere gli effetti di tali azioni e rappresentarsi la situazione tenendo conto delle eventuali variabili intervenienti. Secondo il modello gerarchico di Stuss e Benson il controllo della condotta avviene secondo un processo gerarchico. Al livello più basso vi sono le informazioni sensoriali e le conoscenze elementari che vengono elaborate in maniera pressochè automatica. Al livello successivo abbiamo le funzioni esecutive strettamente connesse al lobo frontale. Al terzo livello abbiamo le funzioni legate all'autoriflessione che consentono al soggetto di regolare consapevolmente il proprio atto comunicativo in relazione con l'ambbiente esterno. Quest'ultimo livello consente altresì di regolare le funzioni metecognitive:
- metacognizione autodiretta: processi inferenziali sottesi alle operazioni mentali che regolano le proprie azioni
- metacognizione eterodiretta o teoria della mente: processi interpretativi attraverso i quali si attribuiscono stati mentali, emotivi epistemici all'interlocutore.

-     555b16f ;     555b16f ; Atto comunicativo, intenzione e sistema di coscienza.


Nella modulazione delle intenzioni il flusso della produzione comunicativa si caratterizza lungo un continuum che va da condizioni minime di intenzionalita (azioni automatizzate) a condizioni di massima intenzionalità (azioni plurintenzionali). In queste ultime troviamo una maggiore complessità cognitiva che richiede l'intervento congiunto di funzioni attentive e della coscienza come dispositivi indispensabili per la pianificazione intenzionale dell'azione comunicativa.
La coscienza è intesa pragmaticamente come un metaprocesso ovvero come un insieme di proprietà necessarie affinche uno stato cosciente esista. Un elemento caratterizzante di essa è il paradosso dell'interezza nella molteplicità ovvero l'unitarietà del processo è data come risultato e prodotto delle molteplici operazioni che operano all'unisono. Inoltre la coscienza non costituisce una condizione del tipo "tutto o niente" ma si pone lungo un continuum che va dalla coscienza riflessa (livello minimo) alla coscienza ricorsiva o autoriflessa (livello massimo). La coscienza è dunque un sistema autonomo rispetto a quello dell'attenzione.





-     555b16f ;     555b16f ; Cultura e comunicazione -


Non vi è cultura senza comunicazione nè comunicazione senza cultura, esse sono realtà intrinsecamente interconnesse. Per capire una cultura è importante studiare i processi di comunicazione che si realizzano in essa, e viceversa.


·     555b16f ;    Tra natura e cultura.


Esistono diversi punti di vista in merito al rapporto natura/cultura e alla misura della loro influenza sullo sviluppo dell'individuo:


-     555b16f ;     555b16f ; Dicotomia natura/cultura:
Secondo la prospettiva romantica di Rousseau la natura genera "l'uomo buono" ed è poi la società che lo corrompe. La cultura in questo senso è un fattore di corruzione che degenera l'innocenza primigenia.

Secondo Kant invece, seguendo una prospettiva razionalista, la dicotomia viene rovesciata e la cultura diviene strumento di emancipazioe e libertà. La cultura è dunque il mezzo attraverso cui l'uomo può porsi traguardi arbitrari (non naturali) e liberarsi dai vincoli stabiliti dalla natura.

Hegel approfondì il discorso di Kant ritenendo la cultura come un processo di liberazione dal sè naturale. La cultura è formazione in quanto attribuisce forma all'individuo.

Queste prospettive dicotomiche, in senso peggiorativo o migliorativo, rimandano ad una forma di dualismo cartesiano tra natura e cultura intese come due dimensioni separate che in qualche modo si sommano o si contrappongono.


-     555b16f ;     555b16f ; Predominanza della natura sulla cultura.
L'ipotesi e la ricerca di universali in vari ambiti di studio (linguaggio, pensiero, emozioni ecc.) presuppone l'esistenza di una dotazione filogenetica condivisa dagli esseri umani. L'attenzione è dunque posta sull'omogeneità ovvero sul fatto che tutti gli esseri umani siano dotati dello stesso sistema neurobiologico. Le differenze individuali sono spiegate a livello genetico ovvero corrispondono a differenze nel DNA. In ambito linguistico Chomsky condivide fortemente questo punto di vista.


-     555b16f ;     555b16f ; Predominanza della cultura sulla natura.
Questo punto di vista pone l'accento sui processi di differenziazione. Ogni cultura è un sistema unico ed irripetibile nella sua singolarità. Le differenze tra varie culture sono differenze irriducibili in quanto si tratta di differenze qualitative e non quantitative. Le specificità culturali sono generate da un processo di convenzionalizzazione arbitraria, in funzione di un sistema di credenze, valori, norme e pratiche condiviso da una data comunità di persone. Non è possibile dunque elaborare un punto di vista metaculturale o sovraculturale in quanto ogni punto di vista fa inevitabilmente riferimento alle norme e ai valori della cultura di riferimento. Su queste basi si innesta il costruzionismo sociale secondo cui la realtà non è un dato di fatto ma un costrutto, ovvero il prodotto delle interpretazioni degli individui. In questa prospettiva la stessa identità viene costruita di volta in volta attraverso i processi comunicativi. La cultura è in questo senso un prodotto locale non esportabile, ovvero non traducibile per un'altra cultura.


-     555b16f ;     555b16f ; Interdipendenza tra natura e cultura.
Questo punto di vista nega sia la contrapposizione dicotomica tra natura e cultura sia il predominio dell'una sull'altra e ipotizza una interdipendenza fra le parti. Vi è dunque una interazione continua "gene-ambiente". Da un lato la cultura modifica continuamente la natura, dall'altro la natura pone vincoli precisi e oggettivi alle possibilità di sviluppo di una data cultura.


·     555b16f ;    Lo studio della cultura "dall'interno" e "dall'esterno".

Esistono, in linea generale, due approcci teorico-metodologici per studiare una cultura:
La prospettiva emica: Questo approccio studia le culture dall'interno, assumendo il punto di vista dei membri della comunità studiata e in che modo essi attribuiscono significati al mondo, alle relazioni, alla comunicazione e come si distribuiscono e si condividono norme, valori e credenze. Tale prospettiva è adottata dalla psicologia culturale, dall'antropologia e dalla sociolinguistica e il metodo utilizzato di norma è quello etnografico (osservazione partecipante).
La prospettiva etica: Questo approccio studia le culture dall'esterno e analizza i processi di comunicazione in maniera indipendente dalla cultura studiata. L'approccio etico osserva più culture contemporaneamente ponendole a confronto cercando di identificare elementi universali. Tale prospettiva è adottata dalla psicologia cross-culturale.


·     555b16f ;   


Il concetto di cultura come sistema globale e unitario.

- La cultura come sistema di mediazione.

Un argomento condiviso dagli studiosi è il seguente: la condizione specifica degli esseri umani è quella di vivere in un ambiente già trasformato dall'attività di coloro che li hanno preceduti. Queste trasformazioni e la loro trasmissione di generazione in generazione è possibile grazie alla creazione e all'uso di artefatti. Questi ultimi sono elementi del mondo materiale che mediano il rapporto tra individuo e mondo fisico e sociale. Nelle varie teorie psicologiche a base culturale si propone il seguente schema a triangolo:
   M (artefatto)
(soggetto) S O (oggetto)
Questa rappresentazione descrive la mediazione tra soggetto e oggetto attraverso l'artefatto ma anche la relazione immediata tra di essi (relazione naturale). Per il socio-costruzionismo più radicale tutte le relazioni tra soggetto e oggetto sono mediate culturalmente per cui una relazione diretta tra di essi è una pura illusione (linea tratteggiata).
Esistono tre tipi di artefatti:
a) Gli artefatti primari:
Sono impiegati direttamente per la produzione e l'attività umana.
b) Gli artefatti secondari:
Sono le rappresentazioni mentali degli artefatti primari, sono di natura simbolica.
c) Gli artefatti terziari:
Servono a costruire il mondo della fantasia e dell'immaginazione, fanno parte dunque della sfera del "non-pratico".

Gli artefatti sono convenzioni e sono presenti sia nella mente che nel contesto sociale in cui vengono creati e utilizzati e servono soprattutto a dare forma alla comunicazione e all'azione. Esiste uno stretto legame tra artefatti e progresso tecnologico in quanto le nuove tecnologie mettono a disposizione nuovi artefatti o migliorano quelli precedenti modificando sensibilmente le abitudini e le pratiche quotidiane.

- La cultura come sistema di conoscenza.

La cultura va intesa anche come sistema di conoscenza il che significa non soltanto la condivisione di conoscenze ma anche di modelli di pensiero, modi di interpretare il mondo e di fare previsioni ed inferenze.
La cultura al pari della comunicazione è una realtà simbolica all'interno della mente di un individuo e all'esterno nell'ambiente. La cultura è dunque un sistema di credenze convenzionalmente condiviso dalla maggioranza dei membri di una data comunità. Tale sistema di credenze è regolato da alcuni principi guida che sono le credenze centrali ed è difeso da attacchi esterni (ortodossia) attraverso un certo grado di dogmatismo ideologico. La cultura inoltre è socialmente distribuita negli attori e nell'ambiente ma ciò non significa che tutti gli attori condividano le stesse conoscenze in modo uniforme ed omogeneo, infatti per ogni cultura esistono diverse sottoculture. In questo senso la cultura è organizzazione della diversità.
Secondo Bachtin la cultura è una frontiera, anzi è un insieme di frontiere. Le frontiere sono i confini tra le cose, ciò che differenzia una cosa dall'altra: sono dunque la base per la produzione di senso. La cultura è dunque una rete di senso.

- La cultura come sistema di pratiche.

Secondo Bourdieu attraverso lo studio dell'azione e delle pratiche della vita quotidiana è possibile studiare le radici esistenziali della conoscenza umana. La teoria della pratica ritiene, al contrario del positivismo, che gli oggetti della conoscenza siano elaborati e non semplicemente registrati e che il principio di tale elaborazione sia il sistema delle disposizioni strutturate e strutturanti da lui chiamato habitus. In quanto habitus, le pratiche culturali oscillano tra i processi di riproduzione (sequenze di azioni ricorrenti, routinarie e in parte prevedibili) e i processi di produzione (azioni volte al cambiamento, creative, imprevedibili). Proprio questa oscillazione determina il cambiamento psicologico per ciò che riguarda i modelli di comunicazione, i sistemi organizzativi, gli stili di vita, ecc. Il linguaggio è per esempio un sistema si disposizioni che viene continuamente prodotto e riprodotto.

- La cultura come sistema di valori.

Al cuore di una cultura si collocano i valori, ovvero ciò che le persone ritengono bene o male, giusto o sbagliato, opportuno o inopportuno, desiderabile o indesiderabile ecc. Tali valori fungono da guida nelle condotte degli individui, in sostanza hanno lo scopo di motivare le persone proponendo loro obiettivi e dando loro la precisa direzione delle condotte da attuare. I valori sono ordinati in maniera gerarchica, ovvero esiste una priorità di valori che sono i valori guida. Ogni istituzione culturale sottolinea la priorità di taluni valori che vanno a dirigere e guidare le condotte in quello specifico contesto culturale. Importanti studi sono stati condotti sulle dimensioni culturali dei valori, per esempio la dimensione individualismo-collettivismo oppure gerarchia-uguaglianza.

- La cultura come sistema di comunicazione.

Ogni cultura è un sistema di segni per cui cultura è comunicazione. Inoltre ogni cultura costituisce una rappresentazione del mondo nonché un sistema di significazione ovvero una modalità attraverso cui il mondo diviene interpretabile. Secondo Geerz l'uomo è un "animale sospeso nella ragnatela dei significati che egli stesso ha tessuto". Questa tessitura è continua (processo interpretativo senza fine) per cui per ottenere una buona conoscenza di una cultura sono necessarie descrizioni "dense" (etnografiche).
Da una analisi cross-culturale risulta che le culture occidentali utilizzano una modalità di comunicazione a bassa contestualizzazione ovvero utilizzando codici espliciti, enunciati precisi e uno stile diretto nel comunicare. Invece le culture orientali utilizzano una modalità di comunicazione ad alta contestualizzazione caratterizzata da uno stile indiretto, modalità implicita, spesso vaga in cui il parlante da per scontato che l'interlocutore conosca la situazione e le intenzioni sottese al discorso.









·     555b16f ;    Il processo di "appropriazione" della cultura.

Solitamente si ritiene che la cultura di un popolo sia trasmessa da una generazione ad un altra e che il bambino sia messo nelle condizioni di assimilarla. Questo è il concetto di internalizzazione che prevede quattro livelli: a) Regolazione esterna (autorità, sistema di punizioni), b) regolazione introiettata (motivazioni interne), c) Regolazione identificata (processo di identificazione col sistema culturale), d) Regolazione integrata (all'identificazione si aggiunge l'integrazione nei propri valori e ideali).
Il concetto di internalizzazione è stato però fortemente criticato e si è giunti a sviluppare un più corretto concetto di appropriazione, col quale innanzitutto si rifiuta il concetto stesso di trasmissione per cui la cultura non è semplicemente un insieme di nozioni e conoscenze che possono essere travasate da una mente a un'altra, la cultura non risiede nella mente del singolo individuo ma è nella rete di relazioni. Tale prospettiva sottolinea dunque il superamento del concetto stesso di confine tra esterno ed interno, ovvero l'imposiibilità di separare l'individuale dal sociale. L'appropriazione avviene attraverso la partecipazione. Il novizio apprende e si appropria di una cultura partecipando alle attività più significative di essa, l'esperto invece non trasmette semplicemente informazioni al novizio ma supporta il suo apprendimento attraverso la creazione di contesti e situazioni facilitanti.



·     555b16f ;    Gli universali comunicativi e la teoria della relatività linguistica.

Gli universali linguistici riguardano gli aspetti invarianti e comuni dei processi comunicativi condivisi dalle lingue naturali oggi esistenti. In primo luogo analizzeremo gli universali sintattici difesi in particolar modo da Chomsky.

- L'ipotesi della grammatica universale di Chomsky.
Nel corso di cinquant'anni di studi Chomsky e i suoi collaboratori hanno sviluppato una teoria della grammatica universale (o generativa) che comprende un'insieme di regole e di condizioni in grado di descrivere e di spiegare la grammatica di qualsiasi lingua naturale.
L'assunto di base di Chomsky è l'esistenza di un'uniformità della competenza linguistica negli esseri umani. Le variazioni sono considerate eccezioni alla regola, fenomeni superficiali. Egli parla anche di un organo del linguaggio (LAD - Language Acquisition Device), proponendo una concezione innatista del linguaggio e della comunicazione. Infatti senza questo dispositivo innato i bambini non riuscirebbero nell'arco di due tre anni ad imparare una lingua in quanto non riceverebbero sufficienti stimolazioni linguistiche per produrre generalizzazioni e inoltre non riuscirebbero a sviluppare e utilizzare espressioni nuove mai incontrate prima. Sulla base di queste osservazioni Chomsky fu aspramente critico nei confronti delle concezioni comportamentiste di Skinner.
Chomsky utilizzò il metodo formale per giungere al suo traguardo scientifico. Tale metodo consente un'analisi linguistica a partire dalla sola forma esterna dei morfemi e dalla loro disposizione. In questo senso la grammatica è intesa come calcolo matematico che partendo da pochi semplici elementi sia in grado di generare una lingua nelle sue infinite sequenze (grammatica generativa).
I presupposti della grammatica generativa sono:

a) La lingua è un insieme infinito di frasi.
b) La frase è l'unità fondamentale costituita a partire da un insieme finito di elementi o alfabeto.
c) Tale alfabeto è composto da elementi primitivi (fonemi, morfemi, parole ecc.).
d) La grammatica è un insieme astratto di regole.
e) La grammatica è indipendente da ogni altro sistema cognitivo.
f) La grammatica è indipendente dalla semantica.
g) Esistono due livelli di rappresentazione della frase, uno superficiale l'altro profondo e una serie di trasformazioni consente di passare da un livello a un altro.
h) I processi mentali che sono alla base della grammatica sono l'astrazione e il ricorso a modelli ideali.
i) L'interpretazione semantica delle frasi è basata esclusivamente sulla loro struttura superficiale.

Distinzione tra competenza e prestazione. La prima concerne la capacità generale di usare una certa lingua, la seconda riguarda l'impiego concreto e contingente di tale lingua in una data situazione. In tal senso Chomsky distingue tra I-Language (lingua internalizzata) e E-Language (lingua esternalizzata).
Distinzione tra struttura superficiale e struttura profonda di una data lingua. Secondo Chomsky mentre la struttura superficiale può variare da lingua a lingua la struttura profonda è sostanzialmente identica per tutte le lingue (grammatica universale). La prima riguarda l'articolazione apparente e acusticamente percepibile, mentre la seconda riguarda la categorizzazione linguistica non direttamente percepibile ma necessaria a spiegare la struttura superficiale.
Distinzione tra universali sostantivi e universali formali. I primi sono gli inventari universali di nozioni come nome, verbo, aggettivo ecc. I secondi riguardano invece il sistema universale di regole profonde che governa tutte le grammatiche.
Critiche alla grammatica generativa di Chomsky: Lo studio degli universali come sistema di regole deve necessariamente partire da un accertamento preliminare degli universali sostantivi ma la linguistica comparata non ha ancora trovato i mezzi teorici per definire sul piano concettuale ciò che nelle varie lingue corrisponde a "soggetto" o a "oggetto" o anche a "plurale" e a "nome". Non esiste una "Metalingua" né peraltro possiamo arbitrariamente usare l'Inglese o lo Spagnolo o qualunque altra lingua come "lingua campione" a partire dalla quale effettuare osservazioni e differenziazioni. Un'altra critica a Chomsky è legata al suo rifiuto di affrontare il livello psicologico e sociologico dei fenomeni linguistici e alla sua estremizzazione del modello matematico che porta a concepire il linguaggio come puro esercizio di logica della mente umana fuori da ogni contesto, rischiando di arrivare alla paradossale conclusione che la "lingua non serve per comunicare".

- I primitivi semantici.
Sul piano semantico il problema degli universali linguistici prende il nome di primitivi semantici. Essi vanno intesi come unità minime e semplici di significato, non ulteriormente definibili, a partire dalle quali sono derivabili tutti gli altri significati. Wierzbicka ha cercato di individuare un "linguaggio semantico naturale", idea già avanzata da Leibniz. La studiosa ha cercato di spiegare il rapporto tra la universalità e la differenziazione culturale delle esperienze umane e dei concetti che le rappresentano. Per Wierzbicka i primitivi semantici sono concetti elementari e semplici che si ritrovano in tutte le lingue del mondo e costituiscono una sorta di "alfabeto del pensiero umano", una lingua mentale di natura innata ma lessicalizzata in maniera diversa a seconda selle culture. Oggi questi studi hanno portato ad individuare 50 concetti che costituiscono tale linguaggio.

- La teoria della relatività linguistica.

L'idea di base è che la cultura, attraverso il linguaggio e gli altri sistemi di comunicazione, influenza il nostro modo di pensare e di categorizzare la nostra esperienza. Alcuni studiosi come Sapir, Whorf e Boas hanno evidenziato che le strutture semantiche delle diverse lingue sono incommensurabili fra loro e che, conseguentemente, i parlanti elaborano modi differenti di pensare.
L'ipotesi Sapir-Whorf: a) Gli esseri umani segmentano la natura secondo le linee indicate dalla loro lingua materna, b) Gli esseri umani usano la loro lingua in maniera inconsapevole, ma questi modelli automatici e involontari della lingua non sono uguali per tutti gli uomini ma sono specifici per ogni lingua. Da qui la relatività linguistica e il determinismo linguistico secondo cui la lingua determina le forme di pensiero.

- La "revisione" della teoria della relatività linguistica. (Clark, Hanks, Haviland et al.)

Il punto di partenza è che le esperienze vanno codificate a livello cognitivo in modo tale che poi possano essere verbalizzate. La diversità delle lingue è connessa con la presenza di distinzioni semanticheche si riflettono nelle distinzioni culturali che a loro volta influenzano la categorizzazione dell'esperienza. Quindi, nell'apprendere una lingua, un bambino impara modi particolari di pensare per parlare. Esistono profonde differenze nelle culture in merito, per esempio, alla concezione di spazio a seconda che abbiano una concezione assoluta, relativa o un'alternanza delle due. Esistono differenze profonde anche nel repertorio lessicale. Non solo relativamente alla quantità di vocaboli esistenti per un singolo concetto o oggetto ma si parla anche di differenze nel lessico emotivo, proprio perchè ogni cultura ha la sua semantica emotiva. Possiamo distinguere un lessico emotivo inglese che comprende più di 2000 parole da un lessico cinese che ne contiene 750. Inoltre le categorie emotive non sono sempre corrispondenti nelle varie lingue. Dobbiamo inoltre ricordare che le differenze tra le lingue si manifestano anche a livello grammaticale.
In sintesi la revisione della teoria della relatività linguistica comporta innanzitutto il superamento di ogni forma di determinismo linguistico in quanto non tutto il pensiero si manifesta attraverso il linguaggio e l'affermazione dell'incommensurabilità delle diversità tra le varie lingue e dello stretto legame tra lingua e cultura.

- Il processo di convenzionalizzazione.

Le convenzioni fra i comunicanti di una comunità sono in continua evoluzione e diventano esse stesse parte della comunità, in quanto strumento di organizzazione e coordinazione. Esse concernono tutti gli aspetti della vita culturale di una data comunità (sistema di significati, repertorio lessicale, i concetti, le pratiche ecc.) e sono caratterizzate da tre proprietà: a) le convenzioni non sono uniformemente distribuite nella popolazione, b) vi sono degli esperti (autorità) che conoscono meglio degli altri le convenzioni, c) quando due persone si incontrano, si identificano come membri di una data comunità e utilizzano tale appartenenza per inferire il repertorio culturale condiviso.
Le convenzioni sono dunque il prodotto di un processo di coordinazione e cooperazione tra gli individui di una data comunità.
Il processo di convenzionalizzazione si basa sul principio della salienza condivisa per cui ciò che è più saliente rappresenta il miglior dispositivo di coordinazione fra le persone in una data situazione. L'esito di questa convenzionalizzazione è l'elaborazione di un sistema di categorie che attraversa tutta la vita culturale della comunità.

·     555b16f ;    Il problema della traduzione. Considerando i problemi relativi alle diversità comunicative tra le diverse culture emerge inevitabilmente il problema della traduzione. Essa è intesa come possibilità di trasferire significati da una lingua ad un'altra. Vi è traduzione quando fra due testi in lingue diverse vi è un rapporto di equivalenza semantica. Jacobson distingue tre tipi di traduzione: a) Traduzione intralinguistica, ovvero una parafrasi di ciò che è detto, b) Traduzione interlinguistica, ovvero la trasposizione di significati da una lingua ad un'altra, c) Traduzione intersemiotica, ovvero la trasposizione di significati da un sistema simbolico a un altro.
La traducibilità non consiste nella semplice operazione di commutazione meccanica, parola per parola, dal messaggio di una lingua-fonte a quello di una lingua-bersaglio. Tale operazione risulta fallimentare. Invece la possibilità di traduzione si fonda sulla comprensione delle categorie semantiche della lingua-fonte e nella ricerca di categorie analoghe (o simili) nella lingua-bersaglio prima di tradurre. In tal senso una traduzione è sempre approssimantiva, poichè si avvicina al significato originario senza però mai raggiungerlo. L'unità di traduzione è il testo mentre loggetto della traduzione è il senso. Per questo tradurre è soprattutto un lavoro di interpretazione.




- Lo sviluppo della comunicazione nel bambino -

·     555b16f ;    Introduzione

Tratteremo qui dell'ontogenesi della comunicazione ovvero del suo sviluppo nel corso dell'infanzia. L'ottica seguita in questo capitolo riflette la seguente affermazione: il linguaggio è uno dei diversi modi di comunicare a disposizione del bambino, anche se ben presto diverrà il modo privilegiato. In questo senso diremo che il bambino deve imparare a comunicare prima di imparare a parlare.

·     555b16f ;    La dotazione di partenza.

Le ricerche più recenti hanno evidenziato che il bambino già alla nascita possiede una considerevole dotazione di partenza, ovvero si ritiene che il bambino sia un soggetto attivo e adeguatamente competente, dotato di specifiche capacità cognitive, percettive, emotive e sociali.

- La competenza percettiva.

Gli studi sulle competenze percettive riguardano i dispositivi per acquisire in via diretta e immediata informazioni sull'ambiente per mantenere con esso un contatto appropriato.
La percezione fetale.
Le competenze percettive cominciano a svilupparsi già nell'utero materno soprattutto in riferimento all'udito. Viene percepita in particolar modo la voce materna, attraverso le ossa e i tessuti. Per questo i neonati discriminano perfettamente la voce della madre da quella di altre donne (familiarizzazione prenatale).
La percezione fonetica di una lingua.
Studi sulla capacità discriminativa delle caratteristiche acustiche dei suoni linguistici hanno dimostrato che i neonati sono in grado di discriminare le diverse categorie di fonemi, indipendentemente dal contesto linguistico di appartenenza, tale capacità è innata.
L'ambiente linguistico, pertanto, orienta in modo selettivo le disposizioni innate del neonato, da un lato disattivando talune abilità, dall'altro accentuando e affinando specifiche capacità discriminative. I neonati sono capaci di discriminare le tre categorie di fonemi (sosnoro, sordo non aspirato, sordo aspirato) indipendentemente dalla loro lingua madre la quale produrrà nel tempo un continuo affinamento e adattamento delle capacità discriminative pur avendosi in certe lingue distinzione tra sole due categorie fonemiche.

- La competenza sociale.

Al pari della competenza percettiva nel neonato è presente già nelle prime settimane la competenza sociale.
Esistono numerosissimi studi e ricerche che sostengono la predisposizione innata del bambino al comportamento sociale. Il bambino è in grado di interagire e di mettersi in relazione con altri siggetti, in particolare con le figure di allevamento e soprattutto si comporta con e tratta l'adulto come soggetto animato in grado di venire incontro alle sue esigenze.
Secondo Vygotskij lo sviluppo comunicativo, cognitivo e culturale del bambino dipende dalla rete di interazioni sociali in cui egli è inserito. Con il concetto di zona di sviluppo prossimale Vygotskij intende porre in evidenza la distanza tra ciò che il bambino è già in grado di fare e ciò che il bambino è in grado di fare solo con l'aiuto dell'adulto. L'ipotesi di partenza è che i processi mentali (comunicativi, cognitivi, emotivi) abbiano un'origine sociale e che la loro organizzazione subisca una profonda influenza culturale.
Competenze sociali del neonato
:
a)
La preferenza per il volto. Il volto umano è il veicolo di innumerevoli informazioni, è indicatore di identità, di appartenenza, di stati emotivi nonchè di segnali legati alla parola. I tratti salienti per il neonato sono: capelli, occhi, labbra e contorno del volto. Già a tre/quattro giorni dalla nascita il bambino dedica più tempo e attenzione al volto della madre per il quale bastano 12 ore di esposizione attiva affinche sia in grado di riconoscerlo.
b) Il sorriso sociale.
Nelle prime settimane di vita il bambino nelle fasi di sonno REM manifesta espressioni facciali che si configurano come sorriso ma si tratto di riflessi automatici (sorriso endogeno). Alla fine del secondo mese appare il sorriso esogeno attivato dalla voce materna e dallo sguardo ma esso si presenta ancora in maniera riflessa e automatica. Dopo il terzo/quarto mese tale sorriso diventa progressivamente una risposta sociale selettiva.
c) La condivisione dell'attenzione.
Nel primo semestre di vita del bambino si ha un'interazione diadica ovvero esclusiva tra adulto e bambino. Dal sesto mese in poi comincia a svilupparsi un'interazione triadica ovvero il bambino riese a porre attenzione anche ad un evento/oggetto esterno e a condividere l'attenzione per quest'ultimo con l'adulto. Questa condivisione dell'attenzione vvisiva è la base della referenza di un discorso ovvero la "condivisione dell'argomento".
Comincia dunque a svilupparsi nel bambino una teoria della mente nel mondo (Bruner) attraverso la quale il bambino percepisce l'esistenza di altre menti sintonizzate sul medesimo mondo. Di conseguenza il mondo delle cose è anche un mondo interpersonale. L'attenzione condivisa favorisce anche il processo di predicazione, in quanto l'adulto, di solito, attribuisce qualità e fa commenti su ciò che attira l'attenzione con frasi sorrisi ed altre espressioni non verbali.






- Il sistema "adulto-bambino".

Ben presto, dunque, tra adulto e bambino si costruisce un sistema interattivo aperto dove l'unità di analisi e di osservazione non è più soltanto il comportamento isolato e separato dell'adulto o del bambino bensì i singoli scambi e interazioni fra i due partner in un dato contesto.
Bambino e adulto contribiscono dunque a costruire insieme modelli di comunicazione organizzati secondo flussi regolari e prevedibili. Il bambino in qualità di novizio mette in atto un processo di "appropriazione" culturale.

a) L'imitazione nell'adulto e nel bambino.
Tale sistema assume dunque funzione di "struttura di supporto" (Bruner) in quanto fornisce semplici ed effeicaci opportunità al bambini per cogliere i significati delle azioni e dei segni. L'adulto riduce lo spettro d'incertezza attuando azioni facilitanti. Questo traguardo è favorito dall'imitazione del bambino da parte dell'adulto. Si tratta di un'imitazione selettiva ovvero mirata a quei gesti che diventano via via rilevanti per lo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino. Il bambito trova gratificante tale imitazione ed è dunque portato a compiere più intenzionalmente tali gesti affinche l'adulto li ripeta.
A sua volta il bambino tende ad imitare i gesti e i movimenti dell'adulto. Tale imitazione dell'adulto da parte del bambino è fondamentale per il suo sviluppo psicologico e per l'acquisizione delle competenze comunicative. Inizialmente l'imitazione è semplice emulazione ovvero una ripetizione non strumentale dei gesti dell'adulto, successivamente essa diventa apprendimento imitativo ovvero una imitazione volta a raggiungere gli stessi scopi raggiunti dall'adulto. L'imitazione è dunque un'attività reciproca e bidirezionale e costituisce uno scambio continuo che è possibile definire pseudo-dialogo o anche proto-conversazione.

b) L'adulto come cornice di riferimento.
All'interno del sistema "adulto-bambino", l'adulto svolge anche la funzione di "cornice di riferimento" (frame). Taluni gesti e comportamenti dell'adulto ricorrono spesso in sequenze interattive e comunicative venendo a costruire delle routine e degli schemi di azioni regolari e stereotipate. In questo modo si pongono le condizioni per l'apprendimento di procedure convenzionalizzate da parte del bambino al fine di portare a temine nn'attività condivisa. Le capacità comunicative del bambino si sviluppano dunque non attraverso processi innati o procedimenti empirici bensì all'interno di sequenze interattive routinizzate.

·     555b16f ;    La comparsa dell'intenzione comunicativa

La dotazione di partenza del bambino ottiene un grande impulso con la comparsa e lo sviluppo dell'intenzionalità, intesa sia come capacità di manifestare in modo consapevole le proprie intenzioni, sia come la capacità di distinguere un comportamento intenzionale da uno accidentale.

- Principali punti di vista.

Approccio cognitivista: tale approccio segue la concezione della comunicazione come scambio di un messaggio tra i partner. L'intenzionalità appare nel bambino quando egli ha una rappresentazione mentale dell'interlocutore come agente intenzionale e capace di intendere le intenzioni altrui.
Approccio sociale-costruzionista: la comunicazione è considerata un'interazione da cui emerge l'intenzionalità. Gli adulti trattano i bambini piccoli come se essi fossero agenti consapevoli, dotati di intanzionalità e in grado di comunicare i propri stati interni. Secondo i socio-costruzionisti è proprio tale atteggiamento degli adulti che costituisce la condizione essenziale per la comparsa dell'intenzionalità.
Approccio innatista: sin dalla nascita il neonato possiede un repertorio di azioni intenzionali con le quali comunica con gli altri. Inoltre è dotato di un sistema innato di riconoscimento dell'intenzionalità altrui. L'intenzionalità è una sorta di "primitivo psichico" ovvero un dato di partenza.

- La svolta dei nove mesi.

Intorno agli otto/nove mesi il bambini dimostra attraverso un insieme di condotte di aver sviluppato una sufficiente capacità intenzionale. Ovviamente tale capacità non emerge all'improvviso ma è il prodotto di un processo graduale i cui antecedenti psicologici sono ad esempio il sorriso sociale, il passaggio da una comunicazione diadica a triadica, l'attenzione condivisa. Elenchiamo adesso i principali fenomeni che caratterizzano la svolta dei nove mesi:

a) La dissociazione tra mezzi e scopi.

La condivisione dell'attenzione comporta lo sviluppo della comprensione delle altre persone come agenti intenzionali e quest'ultima è strettamente legata all'emergenza dell'intenzionalità del bambino. Nei primi mesi di vita il bambino capisce che le sue azioni hanno effetti sull'ambbiente ma non sembra capire come questo avvenga. Dagli otto mesi in poi i bambini sviluppano una diversa comprensione del rapporto tra azione e risultato in quanto sono in grado di 1) usare differenti mezzi per raggiungere il medesimo scopo, 2) riconoscere il valore di azioni intermedie per il raggiungimento dello scopo. In definitiva i bambini sviluppano una maggiore flessibilità nell'impiego di mezzi diversi per lo stesso scopo e nel considerare le stesse azioni come scopi in alcune circostanze o come mezzi in altre. Questa dissociazione fra mezzi e scopi costituisce un indicatore dell'intenzionalità del bambino.

b) L'apprendimento imitativo.

Il neonato fin dalla nascita presenta comportamenti di emulazione e di riproduzione dei movimenti altrui. Questa capacità di apprendere per emulazione verso inove mesi diventa un vero apprendimento per imitazione, nel quale il bambino impara in modo volontario determinati comportamenti intenzionali, orientati a uno scopo, messi in atto da un adulto. L'emulazione è la riproduzione e l'apprendimento di ciò che gli altri fanno, l'imitazione invece è la riproduzione e l'apprendimento di ciò che gli altri intendono fare. Questa forte disposizione all'imitazione presuppone nel bambino l'atteggiamento mentale di trattare gli altri come "simili a sè", connesso alla forte predisposizione sociale con cui il bambino vuole condividere la propria esperienza con gli altri.

c) La segmentazione del flusso delle azioni.

La segmentazione del comportamento in unità di azione è la capacità di dividere il comportamento in singole unità di azione ditinguendole tra loro e riconoscendo i confini tra l'una e l'altra. Lo sviluppo di tale capacità è regolato dal riconoscimento e attribuzione di una determinata intenzione a ciascuna di di queste unità d'azione. Questa combinazione di unità d'azione e intenzione conduce al concetto di compito.
Questa capacità può essere spiegata sia attraverso processi dal basso verso l'alto (bottom-up) sia dall'alto verso il basso (top-down). I primi riguardano la capacità di individuare regolarità statistica e di struttura dell'azione (a livello fisico e temporale) in modo da cogliere differenze rispetto allo standard acquisito precedentemente. I secondi invece implicano la capacità di cogliere uno stato motivazionale nell'interlocutore. Questi processi sono guidati dalla direzionalità verso l'oggetto integrata dal collegamento all'azione, ovvero dalla capacità di capire che l'azione è orientata ad un oggetto attraverso una serie di movimenti e gesti appositamente eseguiti per raggiungere lo scopo.

d) La ricorsività intenzionale.

Nelle interazioni faccia-a-faccia il bambino comincia ad analizzare l'attenzione dell'adulto nei suoi confronti e capisce che gli altri lo osservano non come oggetto inanimato ma come soggetto intenzionale. Il bambino comincia a comprendere l'intenzione comunicativa e la ricorsività intenzionale.

- Gesti deittici e gesti referenziali.

Verso i nove mesi il bambino comincia a usare i gesti deittici come ad esempio estendere il braccio e l'indice per indicare un oggetto, mostrare un oggetto ecc. Si tratta di gesti universali che implicano una interazione triadica tra il bambino, l'adulto e l'oggetto. Tali gesti hanno valore di indessicalità ovvero indicano le modalita con cui intendere lo scambio comunicativo in quella particolare situazione. Relativamente al valore comunicativo i gesti deittici possono essere richiestivi, quando intendono influenzare la condotta degli adulti per ottenere uno scopo, oppure dichiarativi, quando intendono condividere con l'adulto un punto di vista e conoscenze su certi aspetti del contesto.
Il gesto di indicare costituisce un'importante tappa nello sviluppo simbolico del bambino, in quanto indica nello stesso tempo il riferimento e la rappresentazione di un oggetto. Ilgesto di indicare è un efficace predittore del successivo sviluppo comunicativo e linguistico del bambino. attorno ai dodici mesi il bambino comincia a produrre i gesti referenziali. Tali gesti non soltanto manifestano un'intenzione comunicativa ma altresì rappresentano un determinato referente, essi sono di natura sociale e rappresentano in manieraiconica e stereotipata oggetti, eventi o situazioni.

·     555b16f ;    La Teoria della Mente (ToM).

Altra tappa importante nell'acquisizione delle competenze comunicative è la teoria della mente ovvero la capacità di attribuire stati mentali alle persone. L'adulto è considerato:
soggetto animato - nei primi mesi di vita
soggetto intenzionale - intorno l'anno di vita
soggetto mentale - verso i tre quattro anni

- I principali punti di vista.

La teoria della mente è la capacità delle persone di "leggere" la mente degli altri (mindreading), nonchè di interpretare, spiegare e prevedere le loro azioni, attribuendo ad essi stati e processi mentali quali desideri, credenze e intenzioni.

a)     555b16f ; Approccio modularista:
Secondo l'approccio modularista la mente è un insieme di capacità specializzate e indipendenti dette "moduli mentali". Ciascuna di queste capacità è specifica (in grado di elaborare un solo tipo di informazione), obbligatoria (funziona in modo automatico non appena attivata), impenetrabile alla coscienza, veloce e associata a una determinata struttura neurale.

b)     555b16f ; Prospettiva della "teoria della teoria".
La genesi della ToM nel bambino avviene secondo i principi generali sottesi alla costruzione delle teorie. In tal senso il bambino avanza supposizioni con le quali cerca di spiegare e dare senso alle proprie esperienze. Il risultato finale è l'elaborazione di una teoria idonea a spiegare la mente propria e quella degli altri.

c)     555b16f ;  Il modello della simulazione.
Secondo questo approccio la comprensione degli stati mentali altrui è legata allo sviluppo nel bambino della capacità di assumere il loro punto di vista a livello cognitivo.

d)     555b16f ; Il modello della simulazione.
Secondo questo approccio la comprensione degli stati mentali altrui è legata allo sviluppo nel bambino della capacità di assumere il loro punto di vista a livello cognitivo. Una conferma a tale approccio viene dallo studio delle cosidette celleule "mirror" che si attivano sia durante l'esecuzione di dia azioni di manipolazione di oggetti sia durante l'osservazione per cui l'osservazione di un'azione implica la simulazione della medesima

e)     555b16f ; Teoria della mente e funzione esecutiva.
Recentemente la ToM è stata messa in relazione alla funzione esecutiva della corteccia prefrontale, in quanto il superamento di compiti di inibizione necessari per la gestione di tale funzione compaiono attorno alla medesima età.


- Desideri, credenze e false credenze.

Tra i precursori della ToM ricordiamo il gesto di indicare, la dissociazione tra mezzi e fine, la condivisione dell'attenzione e l'apprendimento imitativo. A questi possiamo aggiungere la capacità, nel bambino di diciotto-venti mesi, di riconoscersi allo specchio come indicatore di autoconsapevolezza (test della macchia). Altresì possiamo aggiungere la capacità di assumere la prospettiva dell'altro, premessa necessaria per potergli attribuire stati mentali. In particolare è importante tenere in considerazione l'inversione di ruolo inteso come la capacità del bambino di usare un segno nello stesso modo in cui è usato dall'adulto nei suoi riguardi.
Il gioco di finzione: E' un'altro precursore della ToM, è detto anche gioco simbolico e compare intorno ai diciotto mesi. Il bambino distingue la realtà dalla fantasia, sa che le azioni sugli oggetti della fantasia non hanno effetti reali. In tale gioco simbolico il bambino attribuisce all'oggetto (bambola, orsacchiotto, ecc.) stati mentali verso i quali mostra interesse.

La psicologia del "desiderio": La comprensione e l'attribuzione dei desideri agli altri sono già presenti nel bambino di due anni e precedono quella delle credenze. Anche se vi è una stretta interdipendenza tra desiderio, credenza e azione, la differenziazione del proprio desiderio da quello altrui e l'attribuzione di un desiderio a un altro sono molto semplici e avvengono assai più precocemente di processi analoghi relativi alle credenze.

Credenze e metarappresentazione: Attribuire una credenza a un altro significa avere una rappresentazione mentale di tale credenza, si tratta dunque di una metarappresentazione , o rappresentazione di secondo livello ciò significa che il bambino "si rappresenta mentalmente che un'altro abbia la rappresentazione mentale di qualcosa". Tali metarappresentazioni possono avere infiniti livelli (es: Terzo livello: A crede che B pensi che A pensi che X..., e così via). Per verificare se un bambino abbia tale capacità metarappresentazionale, egli deve possedere un'atteggiamento proposizionale in grado di distinguere due situazioni differenti: a) Attribuzione di una credenza vera all'altro, b) Attribuzione di una credenza falsa all'altro. Ovvero non solo la capacita di attribuire una credenza all'altro ma anche capire se tale credenza sia vera o falsa.

Test delle false credenze: Esistono numerosi test che consentono di capire se il bambino è in gardo di riconoscere le false credenze. Alcuni esempi classici:

a) Test del "trasferimento inatteso": Il bambino assiste a una scenetta in cui ci sono due bambole: Anne e Sally. Sally nasconde la sua biglia in una scatola ed esce. Anne in assenza di Sally prende la biglia dalla scatola e la nasconde in una cesta. Al ritorno Sally dove cercherà la biglia? Se il bambino risponde che Sally cercherà nella scatola allora il test è superato in quanto il bambino ha adottato la prospettiva di Sally e non la propria.

b) Test della "confezione ingannevole": Al bambino viene chiesto, mostrandgli un tubetto di Smarties, cosa contiene il tubetto. Il bambino di norma risponde bene. Ma poi gli si mostra che invece di caramelle il tubetto contiene una matita. Con tre domande si verificano tre situazioni. La prima verifica se il bambino ricorda cosa contenga effettivamente il tubetto. La seconda verfica se il bambino ricorda la sua precedente falsa credenza. La terza riguarda l'ipotetica risposta di un amico al quale si chiede cosa contiene la confezione. Quest'ultima domanda verifica se il bambino è in grado di riconoscere la falsa credenza di un terzo.

c) Test del contrasto "apparenza- realtà": Al bambino viene fatto vedere un oggetto che egli identifica visivamente in modo corretto (per es. un sasso), poi toccandolo si rivela essere una spugna. A questo punto si chiede al bambino cos'è realmente l'oggetto (domanda sulla realtà) e poi cosa sembra essere l'oggetto (domanda sulla falsa credenza).


-     555b16f ;     555b16f ; Teoria della mente e sviluppo della comunicazione.

La ToM è, sostanzialmente, un processo di "mentalizzazione" che rende il bambino un interlocutore più valido ed esperto sul piano della comunicazione in quanto è più abile nel presentare i propri pensieri e nel comprendere le intenzioni comunicative degli altri. La ToM è dunque un potente dispositivo per lo sviluppo della comunicazione nel bambino. La ToM inoltre amplifica e favorisce in maniera esponenziale i processi di negoziazione dei significati in quanto pone le premesse per un confronto reciproco sulle rappresentazioni mentali di oggetti ed eventi. Il risultato finale è la capacità del bambino di apprendere simboli da altri simboli. Tale apprendimento simbolico espande notevolmente la possibilità di apprendimento linguistico. La ToM favorisce non solo quantitativamente lo sviluppo linguistico ma anche qualitativamente, migliorando la definizione e la precisazione dei significati al fine di renderli più pertinenti e precisi. La ToM è fondamento centrale per lo sviluppo della comunicazione proposizionale.


·     555b16f ;    Lo sviluppo della comunicazione narrativa.

Tra le competenze comunicative è importante citare anche la capacità di narrare l'esperienza propria e quella altrui in quanto è centrale nella comunicazione anche per verificare la capacità di costruire un percorso di senso col proprio interlocutore nonchè di condividere stati mentali ed emotivi. La narrazione è dunque la modalità di percepire, organizzare e comunicare la realtà attraverso un processo di interpretazione e di attribuzione di significati. L'abilità nel narrare consiste non solo nella caapacità di esprimersi con enunciati semplici ma nell'elaborare una sequenza di frasi dotata di coerenza e di organizzazione tematica.

-     555b16f ;    Pensiero logico-scientifico e pensiero narrativo.

La comunicazione narrativa nasce spontaneamente nel bambino dall'esigenza di descrivere episodi reletivi alla propria esperienza. Secondo Bruner il pensiero narrativo è distinti e diverso dal pensiero logico-scientifico.

Il pensiero logico-scientifico è finalizzato alla categorizzazione della realtà e alla organizzazione dei dati disponibili. E' tipico del ragionamento scientifico, ha un orientamento verticale, è volto alla ricerca di leggi generali e procede per enunciati separati dal contesto. Il suo linguaggio è regolato dal principio di non contraddizione ed è dunque volto ad eliminare ogni ambiguità di base. Inoltre esso è estensibile poichè si basa su proposizioni di carattere generale per una maggiore applicabilità a scapito della specificità.

Il pensiero narrativo invece è finalizzato alla comunicazione e pertanto è di natura fondamentalmente sociale. Esso è tipico del ragionamento quotidiano. Produce racconti plausibili e ragionevoli ma non necessariamente veri. E' ideografico, cioè strettamente legato a figure retoriche. E' sintagmatico, ovvero le proposizioni sono legate fra loro da una contiguità spaziale e temporale. I suoi enunciati sono strettamente legati al contesto. Produce tematiche e idee piuttosto che categorie o concetti. E' una modalità universale, presente in tutti i popoli, di dare senso alla propria esperienza e di comunicarla.

-     555b16f ;    Le proprietà della comunicazione narrativa La comunicazione narrativa è caratterizzata da due scenari fondamentali: quello delle azioni e quello della coscienza. Il primo riguarda gli ambienti, i fatti e gli episodi. Il secondo riguarda gli stati mentali interni. All'interno di questi due scenari si individuano altre caratteristiche:
La diacronicità: Nella comunicazione narrativa gli episodi hanno una durata e sono disposti nel tempo con delle connessioni proattive(anticipative) e retroattive(di ritorno) con altri episodi. Si tratta del tempo umano e non di quello scientifico.
La referenzialità concreta: La narrazione rinvia ad avvenimenti specifici caratterizzati da episodi contingenti da parte di personaggi definiti (reali o immaginari). Questa proprietà si combina con l'opacità referenziale, poichè nella narrazione non contano i valori di verità connessi con la realtà, bensì gli aspetti di verisimiglianza generati dalla coerenza col racconto stesso.
L'intenzionalità: La narrazione è basata sull'interazione di personaggi dotati di intenzionalità per il raggiungimento di determinati scopi. Sottesa ad ogni narrazione è la ToM.
La canonicità: Qualsiasi narrazione ben fatta deve tener conto di alcuni elementi canonici e normativi: attore, azione, scopo, scena e stumento.
La componenzialità ermeneutica: I personaggi e gli eventi costituiscono l'intreccio narrativo che li contirne. La forza narrativa delle singole parti e dell'insieme contribuiscono a generare la tensione narrativa nel suo insieme. Questa interdipendenza tra le parti e il tutto sostiene il "circolo ermeneutico" o interpretativo, poichè il significato della narrazione è basato sulla rete dei rappori che si instaurano tra le pari e il tutto.
L'appartenenza a un genere leetterario: L'appartenenza a un genere letterario contribuisce alla comprensione e interpretazione della narrazione, in quanto fornisce degli elementi tipici e degli schemi generali caratteristici dei diversi generi.
Si è osservato che già ai due anni e mezzo il bambino è capace di narrare sottoforma di monologhi episodi accaduti durante la giornata. Verso i tre quattro anni. quando il bambino possiede una ToM, egli è in grado di distinguere la sequenza delle azioni dal'attribuzione di stati mentali. In tal maodo, secondo Bruner, il bambino si appropria di una "realtà del possibile".

-     555b16f ;    Comprensione e inferenza nella comunicazione narrativa.

Altra condizione essenziale per la comunicazione narrativa è la comprensione del testo narrato (orale o scritto), essa consiste nell'interpretazione e attribuzione di un significato personale a tale testo utilizzando i propri schemi mentali e le competenze acquisite.

a) Comprensione come rappresentazione mentale del testo narrativo.

Quando si affronta un testo (ascoltandolo o leggendolo) si procede man mano a fare un riassunto simultaneo delle informazioni di volta in volta acquisite. Secondo l'approccio connessionista la comprensione è la rappresentazione mentale del testo chiamata modello della situazione. Il racconto viene scomposto in proposizioni e successivamente integrato in una rete di proposizioni collegate tra loro da relazioni di coerenza e subodinazione. Bisogna distinguere le microstrutture dalle macrostrutture, le prime sono parte del medesimo periodo e definiscono il significato di una frase, le seconde forniscono il significato globale del racconto. Il passaggio dalle prime alle seconde avviene attraverso tre processi: a) la selezione che consente di cancellare le proposizioni inutili e ridondanti, b) la generalizzazione che consente di racchiudere in una sola proposizione più proposizioni includendole, c) la costruzione che consente di raggruppare e riassumere proposizioni simili conservandone il significato. Le macrostrutture dipendono anche dalle conoscenze enciclopediche del destinatario, in tal modo vengono a formarsi diverse interpretazioni e comprensioni del medesimo testo in funzione delle conoscenze e competenze di chi ascolta (o legge). Rispetto a questo processo il bambino dimostra competenze incipienti con rappresentazioni lacunose e meno coerenti del tasto narrativo. Tuttavia l'abitudine di leggere storie ai bambini dai due anni in su risulta essere molto educativo ai fini di unoi sviluppo della comprensione, della soggettività e intenzionalità dei protagonisti.

b) I processi inferenziali della comunicazione narrativa.

In una narrazione non sono sempre esplicitate tutte le relazioni dei diversi aspetti del testo. Il destinatario ha il compito di individuarle attraverso processi inferenziali attraverso i quali è possibile costruire una catena causale che rappresentab l'ossatura della narrazione.
Soltanto verso i sette/otto anni il bambino è capace di cogliere il significato figurato delle metafore, delle figure retoriche e delle espressioni idiomatiche.

c) La grammatica delle storie e lo script.

La comunicazione narrativa segue i modelli e i processi mentali che si osservano per la conoscenza degli eventi di vita quotidiana. Le attività quotidiane vengono segmentate fino all'individuazione delle sequenze routinarie che sono attività chiuse come "fare il bagno" o "fare colazione". Queste attività sono organizzate in maniera canonica, coerente e gerarchica. La rappresentazione mentale di tali attività è data dall'elaborazione di uno schema mentale (o script) intesa come struttura cognitiva astratta, flessibile e coerente.
La canonicità della comunicazione narrativa è in linea con la canonicità degli script. Su questa piattaforma, all'interno dell'approccio cognitivista, è stata proposta la grammatica delle storie che sottolinea l'organizzazione causale delle azioni finalizzate al raggiungimento di uno scopo. Essa prevede un'ambientazione (campo causale in cui si indica tempo, luogo e personaggi) e un episodio. Quest'ultimo è costituito da: a) Evento iniziale che riguarda il protagonista, b) la sua risposta interna relativa agli stati mentali ed emotivi, c) i tentativi messi in atto dal protagonista per raggiungere lo scopo, d) la conseguenza di tali tentativi, e) la risposta finale rispetto al risultato conseguito.

-     555b16f ;    Empatia ed emozioni nella comunicazione narrativa.

La comunicazione narrativa riguarda anche le emozioni e gli stati d'animo dei protagonisti. Essa implica una sorta di contratto comunicativo tra narratore e destinatario. Nel caso della lettura (dialogo indiretto) il destinatario ha un rapporto diretto col testo e indiretto con l'autore mentre nel racconto orale vi è uno scambio reciproco tra narratore e destinatario, arricchito da elementi non verbali quali l'espressione del volto, la postura, i gesti e il tono della voce. Nel racconto orale è possibile il gioco di finzione in quanto il narratore può immedesimarsi nei protagonisti attraverso un processo di empatia.
L'empatia si fonda su una sorta di "contagio emotivo" e consente di provare le emozioni che provano gli altri. Essa sostiene potentemente la comunicazione tra narratore e destinatario, soprattutto fra adulto e bambino e da modo al bambino di imparare a far fronte ai propri stati emotivi e a controllarli.
La comunicazione narrativa attiva condizioni di interesse e di piacere. L'interesse è generato dall'attivazione delle risorse cognitive e dal soddisfacimento di motivazioni psicologiche come la curiosità e la stima di sè. Le informazioni nuove colmano la forte esigenza di scoperta soprattutto nei bambini che chiedono sempre storie nuove. La comunicazione narrativa inoltre favorisce una migliore comprensione della soggettività propria e altrui. La comunicazione narrativa è fonte di piacere in quanto consente un'evasione dalla realtà quotidiana e di immergersi in una realtà fantastica. E' inoltre fonte di piacere mentale in quanto favorisce la comprensione del mondo psicologico e delle emozioni, di piacere funzionale in quanto il bambino prova piacere nel rispondere in modo adeguato alle attese degli adulti. La comunicazione narrativa è dunque l'incontro di menti e di esperienze fra il bambino e l'adulto alla ricerca di un percorso di senso e di una spiegazione degli accadimenti oggetto della narrazione.



-     555b16f ;     555b16f ; Comunicazione e significato.


·     555b16f ;    Il significato di significato.


Il significato è centrale nella comunicazione umana, esso è stato oggetto di numerosi studi in diverse discipline. Seguono tre grandi indirizzi di studio.


-     555b16f ;     555b16f ; Il significato come referenza oggettiva.

Semantica vero-condizionale.
Primo aspetto fondamentale è la connessione tra significato e realtà, è al centro degli studi della semantica vero-condizionale. Questi studi nascono all'interno della filosofia del linguaggio. La semantica vero-condizionale ritiene che il significato di una parola o frase è dato dal
rapporto che esiste tra linguaggio e realtà. Ogni enunciato è dotato di un valore di verità in quanto esso è affermazione di uno stato di cose che può essere vero o falso. Le condizioni di verità sono intrinsecamente diverse dalla verità o falsità di un enunciato. Le condizioni di verità sono di natura linguistica. Il rapporto tra un'espressione linguistica e il suo referente è stata spiegata attraverso un rapporto diretto o una relazione mediata. I nomi propri, per es., hanno un riferimento diretto coi loro referenti. Tuttavia la maggioranza degli studiosi opta per una relazione mediata fra segno e referente. Frege propose la distinzione tra senso e riferimento: è possibile fare riferimento alla stessa realtà usando espressioni diverse, che hanno un senso diverso. Frege però afferma che il senso non è soggettivo ma costituisce "un terzo ambito" una proprietà intermedia (e oggettiva) della parola che garantisce l'intersoggettività comune grazie alla quale è possibile la reciproca comprensione.

Intensione, estensione e mondi possibili.
Il concetto di intensione (Carnap) serve a spiegare le situazioni dei
contesti opachi (non vero-condizionali). Tali contesti sono generati da verbi di atteggiamento proposizionale tipo credo che p, in essi il valore di verità fa riferimento all'atteggiamento del parlante. Per superare tale difficoltà Carnap introduce il concetto di mondo possibile, entro il quale il significato di una frase sia determinato come intensione. L'estensione di un enunciato è ciò a cui si riferisce.

Limiti della semantica vero-condizionale.
Ci sono dei seri limiti nella semantica vero-condizionale dal punto di vista della psicologia della comunicazione. Infatti tale prospettiva oggettivistica esclude qualsiasi aspetto soggettivo e individuale (presupposto dell'indipendenza) ancorandosi in modo esclusivo al referente, ai suoi valori di verità e al significato come realtà oggettiva e assoluta indipendente dalla mente dei singoli individui. Siamo di fronte a una concezione referenzialista e antipsicologica. In realtà sappiamo che è impossibile individuare criteri oggettivi e assoluti per stabilire quali proprietà della realtà sono da tenere in considerazione o meno e che la realtà è sempre filtrata e mediata da un processo di categorizzazione e di conoscenza da parte degli esseri umani.

-     555b16f ;     555b16f ; Il significato come valore linguistico.

Semantica strutturale (de Saussure).
Il punto di partenza è il concetto di lingua naturale, intesa come sistema di segni e come totalità in sé organizzata. Questa prospettiva rivendica l'autonomia della semantica, svincolata da ogni ontologia e psicologia, e quindi appare sia antireferenzialista (il significato è sganciato dalla realtà) sia antipsicologica (i significati sono realtà squisitamente linguistiche). Il segno è inteso come unione di significante e significato. De Saussure introduce la teoria del significato come valore, ossia la possibilità per ogni parola di essere confrontata e opposta a qualsiasi altra parola della medesima lingua. Quindi il significato di una parola non è dato in senso positivo dall'identità reale ma in senso negativo grazie al confronto con tutti gli altri termini opponibili di un dato sistema linguistico. Il significato nasce dunque dal sistema di differenze tra una parola e tutte le altre. Si tratta di una concezione differenziale e posizionale del significato. Il significato, più precisamente, è dato dalle relazioni sintagmatiche e paradigmatiche che intercorrono tra le parole. Nella relazione sintagmatica i vari elementi di un enunciato sono collegati tra loro da un'associazione per contiguità. Un sintagma è un'unione ordinata di più parole concatenate foneticamente, fonologicamente e sintatticamente. Si tratta di una relazione in praesentia in quanto tutti gli elementi della relazione sono presenti. Nella relazione paradigmatica vi è un'associazione per eguaglianza (o somiglianza) in quanto ogni parola può essere sostituita con un'altra di valore uguale o simile. Si tratta di una relazione in absentia in quanto solo una delle parole in relazione tra loro può essere presente nell'enunciato, quindi le parole che hanno una relazione paradigmatica sono sostituibili l'un l'altra.

Limiti della semantica strutturale.
Vi è un vizio di circolarità nella semantica strutturale. Se i termini linguistici sono definiti in base ai loro rapporti e rapporti linguistici in base ai termini è chiaro che si cade in un circolo vizioso. Inoltre la sola differenziazione dei termini non ci conduce al significato di una parola: sapere che sbuffo è opposto a sbaffo che è contrario di sbeffo non ci dice nulla sul significato di sbuffo.


-     555b16f ;     555b16f ; Il significato come comprensione dell'esperienza.

Concezioni più attente sia agli aspetti psicologici sia a quelli referenziali sono la semantica cognitiva (Fillmore) e la semantica dinamica. La semantica è intesa come
teoria della comprensione , infatti secondo questo orientamento il significato concerne il modo in cui gli individui comprendono ciò che comunicano. Si tratta di concezioni antioggettiviste in quanto i significati non sono più entità astratte e universali ma dipendono dall'elaborazione mentale dei parlanti. Il giudizio di verità viene comunque dopo la comprensione. La semantica cognitiva assume come vincolo quello della plausibilità psicologica, in quanto parametro per accettare o meno un determinato modello esplicativo. La semantica cognitiva integra lo studio dei significati all'analisi dei processi psicologici a essi associati. Il linguaggio è una funzione e un'attività cognitiva e in quanto tale non è separabile dalle altre funzioni psicologiche bensì è strettamente interdipendente con esse. Inoltre l'uso dei significati dipende non solo dalle conoscenze dizionariali ma anche dalle conoscenze enciclopediche che scaturiscono dall'esperienza e dall'appartenenza a una determinata cultura. Tali conoscenze molto spesso avvengono semplicemente per ostensione (mostrare un oggetto per far capire cos'è spesso è meglio che spiegarlo a parole), altre volte comportano il ricorso all'elaborazione di scripts per la comprensione di sequenze di azioni e per l'elaborazioni di categorie mentali. Queste ultime comportano l'impiego di processi di inferenza per interpretare gli indizi presenti nella realtà.
La semantica cognitiva pone inoltre l'accento sulla stretta relazione tra significati e concetti, ovvero il significato come manifestazione comunicativa della struttura concettuale. Nella semantica cognitiva e dinamica si rifiutano forme di soggettivismo e relativismo e si adotta una concezione realista del significato. Il significato emerge dunque dalla elaborazione cognitiva e dalla rappresentazione mentale di un determinato oggetto o evento da parte dell'individuo. E' dunque una posizione referenziale in quanto vi è un ancoraggio alla realtà ma non in senso assoluto come nella semantica vero-condizionale.

·     555b16f ;    Verso una teoria unificata del significato.

Sono tre gli aspetti enfatizzati dalle teorie fin'ora esposte: la dimensione referenziale, quella inferenziale e quella differenziale.

- La dimensione referenziale.
Essa sottolinea la necessità di porre un rapporto tra significato e realtà. Il vincolo o riferimento alla realtà risulta necessario per non cadere nell'assoluto soggettivismo e relativismo. Tale riferimento tuttavia non va inteso come realtà oggettiva noumenica e totalmente indipendente dal soggetto, esso invece rimanda al contenuto dell'esperienza del parlante cioè al modo in cui il parlante ha conosciuto e percepito la realtà. Il rapporto tra significato e realtà è dunque mediato dall'esperienza del parlante. Tale esperienza è inoltre influenzata dalla cultura di appartenenza del parlante, essa è paragonabile a una lente che ingrandisce, rimpicciolisce o distorce la realtà attraverso un punto di vista comune che applicato ai fatti reali genera i significati. I significati sono dunque l'esito di un'attività culturale.

- La dimensione inferenziale.
Essa pone in evidenza l'organizzazione cognitiva dei significati, la quale implica che i significati rimandano a specifici concetti. I concetti sono costrutti mentali che servono a definire e categorizzare gli oggetti e gli eventi della realtà. Significati e concetti non coincidono ma sono interdipendenti. Non sempre un concetto ha il suo corrispettivo lessicale, oppure può averlo in una lingua e non in un altra per cui bisogna ricorrere a un giro di parole (
scarto lessicale). Talvolta capita l'opposto, ovvero si conosce il termine ma non il concetto (ignoranza concettuale) per es. il concetto di numero immaginario a meno che non si sia esperti in matematica è un termine a cui difficilmente possiamo associare il corrispettivo concetto. Anche nella polisemia non si ha una relazione biunivoca tra termine e concetto, infatti un verbo come consumare ha diversi significati che rimandano a diversi concetti (consumare il patrimonio, consumare il matrimonio, consumare il pranzo ecc.). Sul piano cognitivo dunque è importante l'inferenza per comprendere i significati di una frase o discorso, attraverso l'analisi del contesto di uso e l'uso degli indizi che via via emergono. Le parole in questo senso sono indizi linguistici da cui trarre ipotesi interpretative.

- La dimensione differenziale.
Il sistema differenziale sottolinea che il sistema linguistico contribuisce a costruire i significati attraverso i vincoli che le strutture semantiche impongono alle rappresentazioni mentali che accompagnano l'enunciato. La lingua, in quanto sistema di comunicazione, è un sistema di differenze attraverso cui è possibile generare variazioni linguistiche di significato in grado di influenzare la formazione di concetti.

In sintesi il significato è un percorso interpretativo e non semplicemente un dato di fatto da trasmettere da una mente a un'altre, esso è costruito e modificato costantemente dai partecipanti.

·     555b16f ;    Componenzialità e prototipicità del significato.

- La semantica a tratti.

Per la semantica a tratti il significato di una parola è scomponibile in diversi componenti più generali di senso. Due sono le condizioni:

a) Il significato è scomponibile in tratti semantici considerati come condizioni necessarie e sufficienti (CNS).
b) Il numero dei tratti semantici costituisce un inventario limitato.

La semantica a tratti impiega il metodo componenziale, per cui all'interno delle differenze fonetiche (differenze a livello sonoro) sono le differenze fonemiche ad avere valore linguistico. Il fonema svolge dunque una funzione distintiva. Il significato di una parola è dunque inteso come l'insieme finito di proprietà che fissano e determinano la sua estensione.



I principi del modello CNS sono:

a) nessun tratto può essere eliminato in quanto ognuno di essi è necessario
b) nessun tratto può essere aggiunto in quanto i tratti semantici sono condizioni sufficienti.
c) tutti i tratti hanno la medesima rilevanza, sono sullo stesso piano non organizzati gerarchicamente.
d) il significato di qualsiasi termine presenta confini netti e precisi di natura binaria (tutto o niente).

Tale modello dunque si presenta come modello binario in cui ogni tratto semantico è trattato in maniera dicotomica e privativa: la presenza di un tratto implica l'assenza del tratto opposto. Il modello CNS implica la distinzione netta tra conoscenze dizionariali costitutive del significato e conoscenze enciclopediche intese come conoscenze accessorie e secondarie.
In quest'ottica le componenti basilari del significato costituiscono proprietà analitiche, assolute non soggette a cambiamenti nel tempo
. Il significato è dunque univoco, assoluto e determinato dalle sue componenti costitutive Limiti della semantica a tratti.
I significati hanno confini definiti e sono considerati unità discrete per cui non sono concepibili sfumature o posizioni intermedie. Inoltre l'ipotesi che il significato sia costituito da un limitato e chiuso numero di tratti semantici non regge di fronte ad alcuni aspetti della realtà, per es. se indichiamo come tratto semantico per un cane l'avere quattro zampe come ci comportiamo di fronte a un cane che ha perso una zampa? Inoltre risulta impraticabile anche una distinzione netta tra i tratti semantici necessari e quelli accidentali, per ogni parola esiste una gradualità delle proprietà semantiche. Anche la netta distinzione tra conoscenze dizionariali e enciclopediche risulta inconsistente, in quanto sono entrambe costruzioni culturali nate da processi di convenzionalizzazione comunicativa esistenti in una data società. Dunque i dizionari non sono separabili dalle enciclopedie anzi sono enciclopedie in formato ridotto. Un altro fenomeno che mette in crisi il modello CNS è la vaghezza semantica attraverso cui è possibile classificare un oggetto ora come bicchiere, ora come tazza oppure come ciotola a seconda dell'uso che se ne fa. La linea di confine tra un significato e un altro molto spesso è vaga.

La semantica del prototipo.


La semantica del prototipo rimanda al concetto di categoria mentale e al processo di classificazione.
Il processo di categorizzazione: consiste nella segmentazione del flusso continuo della realtà e dell'esperienza in categorie (o classi) ed è un vincolo psicologico che rende possibile il funzionamento mentale degli esseri umani. Consente un notevole risparmio di energie cognitive (economia) e consente di organizzare il mondo secondo una serie di criteri (tassonomia). Le categorie possono essere analizzate secondo due dimensioni: una verticale, l'altra orizzontale.
La
dimensione verticale consente di collegare fra loro diverse categorie attraverso il processo di inclusione. Quanto più la categoria è inclusiva tanto più alto è il suo livello di astrazione. Rosch ha individuato tre livelli di inclusione dalla più inclusiva alla meno inclusiva: il livello sovraordinato (per es. l'arredamento), il livello di base (per es. la sedia) e il livello subordinato (per es. sedia da cucina, sedia a dondolo ecc.).
La
dimensione orizzontale riguarda il modo in cui ogni categoria è organizzata al suo interno. Fondamentale è il concetto di prototipo inteso come miglior rappresentante di una data categoria. Esistono due concezioni di prototipo:
1) Teoria standard del prototipo.
Questi studi considerano il prototipo come migliore esemplare di una data categoria, quello che al rappresenta meglio. Per esempio nella categoria uccello il passero, l'aquila o la rondine sono maggiormente rappresentativi di pollo o struzzo. I vari elementi di una categoria si confrontano fra di loro in base al
principio di somiglianza e analogia, cioè in base alla maggiore o minore somiglianza al prototipo, procedendo in maniera graduale ovvero dal più somigliante al meno somigliante o viceversa, attraverso attività logiche di natura inferenziale. Il prototipo presenta un'elevata stabilità intersoggettiva all'interno di una cultura che non si basa né sulla familiarità delle esperienze ne sulla frequenza lessicale, per es. il pollo che ha elevata familiarità ha scarsa rappresentatività nella categoria uccello.
Limiti della teoria standard del prototipo.
In questa teoria si confondono i concetti di rappresentatività e appartenenza alla categoria. Essi sono infatti due processi distinti. Un conto è la rappresentatività ovvero possedere il maggior numero di proprietà tipiche di una categoria, un conto è l'appartenenza a una categoria. L'appartenenza a una categoria va fondata su criteri più robusti e precisi come il possesso di alcune proprietà essenziali comuni a tutti i membri della medesima categoria.
Inoltre bisogna separare il concetto di prototipo da quello di struttura categoriale, il prototipo non rappresenta la struttura categoriale.

2) Teoria estesa del prototipo.
Più recentemente è stata elaborata una teoria "estesa" del prototipo, che rivede diverse assunzioni della teoria standard. In primo luogo si passa da un prototipo inteso come istanza reale a un prototipo inteso come costrutto mentale. In questo senso il prototipo diventa un insieme di proprietà astratte. Il prototipo diviene la configurazione degli effetti prototipici, ossia l'insieme delle proprietà che distinguono una categoria da un'altra. E' possibile distinguere tra prototipicità della categoria e tipicità di significato. La prima corrisponde alla maggiore o minore presenza di effetti prototipici; al seconda rimanda al concetto di valore medio.
Occorre inoltre distinguere tra le
proprietà essenziali e le proprietà tipiche. Le prime sono quelle comuni a tutti i membri di una categoria anche per quelli meno rappresentativi (per es. il pinguino per la categoria uccello), esse definiscono l'appartenenza categoriale non in senso positivo (come nel modello CNS) ma in senso negativo ovvero se un animale non possiede becco e non è oviparo non può appartenere alla categoria uccello.
Le seconde, le proprietà tipiche, sono intese come proprietà specifiche aggiunte, soggette a eccezioni e cancellabili. Per es. avere le piume è una proprietà tipica ma non essenziale in quanto i pinguini sono uccelli ma senza piume, oppure volare (lo struzzo non vola ed è un uccello). Al pari delle proprietà essenziali, quelle tipiche sono definite dalla cultura di appartenenza.
Il caso della polisemia e la somiglianza di famiglia.
I termini dotati di polisemia semantica sono quelle parole che hanno significati diversi lungo dimensioni distinte. Per es. la parola FRESCO significa: a) nuovo, recente, appena dato (dimensione temporale), b) in condizioni ottimali, incontaminato, puro (dimensione di stato positivo), c) "non caldo" (dimensione termica). Si nota che alcune dimensioni sono in parte sovrapponibili per es. a con b, e b con c. La spiegazione di questo fenomeno sembra essere la
somiglianza di famiglia. Per il concetto di gioco per esempio non esiste un prototipo, né un insieme di proprietà comuni, ma soltanto somiglianze parziali e locali.


·     555b16f ;    Stabilità e instabilità del significato.

Il significato di qualsiasi parola presenta al contempo elementi di stabilità e di instabilità, ovvero da un lato una certa costanza dall'altro una certa flessibilità o adattabilità in contesti diversi.

- La variabilità e la flessibilità del significato.

I significati di una parola o di un gesto non sono dati una volta e per tutte (come previsto nel modello CNS) ma la loro elaborazione è il risultato di una elaborazione eterogenea contingente e dinamica fra due o più persone. Ci sono diversi elementi che intervengono nella creazione dei significati in un determinato atto comunicativo: le scelte semiotiche, il genere discorsivo, le convenzioni comunicative, gli scopi dei parlanti ecc.
Numerosi fenomeni sono implicati in questo processo tra cui:
La cancellabilità dei tratti semantici in quanto essa si basa sulla
natura convenzionale del significato (storicamente e culturalmente definito) per cui è impossibile determinare le proprietà semantiche per i generi naturali e per gli artefatti.
Confini sfumati e continui
. Un enunciato è sfumato quando è dotato di opacità referenziale, ovvero quando i qualificatori e i quantificatori pongono il significato lungo un continuum semantico. Per es., una lezione può essere non male, Paola può essere abbastanza simpatica ecc. Quindi una parola può avere confini sfumati attraverso un rafforzamento o una diminuzione del valore semantico. In questa prospettiva il significato consiste in un fuzzy set cioè una classe di unità comunicative con una gradazione semantica continua.
Vaghezza semantica. Essa entra in gioco quando man mano ci allontaniamo dai casi standard (o prototipici) per cui il medesimo oggetto può essere alternativamente definito ora come bicchiere, ora come scodella oppure come ciotola.
Questi fenomeni conducono alla graduabilità semantica, per esempio la parola morto veicola significati diversi a seconda del contesto di uso e del suo impiego in espressioni popolari o modi di dire:
completamente morto, quasi morto, stanco morto, morto di sonno, morto stecchito ecc. Queste espressioni definiscono significati molto diversi fra loro che vanno da uno stato biologico ad una condizione psicologica.
L'importanza del contesto risulta molto evidente nel fenomeno della risemantizzazione contestuale. In questo caso il parlante può attribuire tratti semantici a un oggetto che di per sé non li possiede. Per es. posso chiamare
sedia un tavolo, una pila di libri, una cassa ecc, posso dire addirittura: non occupare la mia sedia. Il tavolo resta tavolo ma in quel particolare contesto funge da sedia ovvero consente l'azione del "sedersi". La risemantizzazione pone in evidenza l'estrema flessibilità dei significati. I fenomeni comunicativi sottesi all'instabilità e variabilità dei significati fin'ora menzionati sono alla base della plasticità dei significati. Essa consente ai parlanti di impiegare in modo flessibile i significati a seconda del contesto e delle intenzioni.

- La regolarità dei significati.

Se i fenomeni di instabilità e flessibilità dei significati venissero considerati in maniera esclusiva, essi condurrebbero certamente ad una prospettiva di incomunicabilità e di caos comunicativo. In realtà i fenomeni di instabilità semantica sono compensati da processi di stabilità semantica. Essi sono alla base dell'intellegibilità e comprensione reciproca fra i parlanti. Il significato di si presume la competenza è quello condiviso all'interno di una comunità di comunicatori. Si tratta dei
significati presuntivi di Levinson. La stabilità semantica implica una qualche forma di convenzione tra i parlanti in quanto appartenenti alla medesima cultura di riferimento. La cultura è un sistema di mediazione che fornisce griglie di categorie, di simboli e rappresentazioni mentali con cui interpretare il mondo, apprendere e condividere i processi di significazione. Si tratta di un processo di convenzionalizzazione. Esso richiede la partecipazione attiva degli interlocutori, la negoziazione delle regole, delle pratiche, dei valori e dei significati e conduce alla formazione ed elaborazione di una serie di format comunicativi. Ogni format è dato da una sequenza strutturata di scambi interattivi che consente di raggiungere insieme uno scopo, di seguire le medesime procedure e sistemi di regole, nonché di condividere il significato di ciò che si sta dicendo o facendo. In particolare i format comunicativi oscillano tra processi di riproduzione e processi di produzione. I format comunicativi grazie al primo tipo di processi tendono a ripetersi nel tempo in maniera stereotipata, generando vere e proprie "routine comunicative", nonché a stabilire una continuazione con le convenzioni semantiche e comunicative del passato. Tale ripetizione rende stabili e regolari i significati. La regolarità e stabilità dei significati si basa sulla regolarità e stabilità dei contesti. Il contesto standard è il contesto che presenta una elevata regolarità nelle interazioni, negli eventi e negli scambi comunicativi. Possiamo dire che la regolarità dei contesti è la regolarità dei significati. Mentre grazie ai processi di produzione, i format comunicativi non sono totalmente vincolati né determinati dal passato e dalla regolarità dei contesti ma prevedono e producono variazioni e deviazioni in base agli elementi di novità che ogni situazione comunicativa potenzialmente racchiude in sé. Tali processi di produzione richiedono un lavoro di riaggiustamento e negoziazione. Dunque componenti essenziali del significato sono: regolarità e variazione, che si presuppongono a vicenda e si completano. In sintesi stabilità e instabilità del significato creano lo spazio comunicativo dei significati e il loro equilibrio garantisce una comprensione ottimale tra i comunicanti. Se ci si accosta troppo alla stabilità si cade nel formalismo e nella rigidità, viceversa se ci si accosta troppo all'instabilità si cade nella confusione, nella contraddizione e nel caos comunicativo.

·     555b16f ;    Significato, contesto e indessicalità.

L'impostazione teorica fin qui esposta ci consente di superare
la concezione additiva del contesto, ovvero la concezione secondo cui testo e contesto siano due realtà indipendenti e che il contesto subentri ala testo per completarlo. Testo e contesto in realtà sono due aspetti del significato che interagiscono fra loro. Non c'è testo senza contesto (e viceversa).
Il contesto va inteso come
l'insieme delle condizioni, delle opportunità e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali, istituzionali e culturali che assieme a un dato testo genera il significato come unità comunicativa. Il contesto non un a priori oggettivo né tanto meno un contenitore vuoto, già dato, universale e uguale per tutti, bensì è il risultato di scelte e negoziazioni fatte dai comunicatori in un data situazione. Il contesto dipende anche dai numerosi punti di vista che si possono assumere di fronte a una data situazione (molteplicità contestuale) e dall'ordine gerarchico in cui ogni contesto particolare è inglobato in un altro più generale (gerarchia contestuale), il passaggio da un livello contestuale a un altro si chiama slittamento di contesto. Nel rapporto tra testo e contesto si fa riferimento a tre prospettive:

a) Prospettiva esternalista. Priorità del contesto sul testo. Il contesto è inteso come matrice del significato.
b) Prospettiva internalista. Priorità del testo sul contesto. La parola vincola l'applicabilità di taluni contesti, ovvero ogni parola o frase è applicabile ad alcuni possibili contesti e non ad altri.
c) Prospettiva interazionista. Tale prospettiva è quella in uso nella psicologia della comunicazione. Testo e contesto sono due entità che si integrano in modo intrinseco e dinamico. Il significato è la sintesi di un testo e di un contesto. Il significato è il risultato di una collaborazione fra gli interlocutori nell'uso del linguaggio in un dato contesto. Il significato emerge dalla partecipazione attiva a uno scambio comunicativo quindi non è prodotto da principi generali e astratti ma attivato in maniera contingente nel flusso delle interazioni degli interlocutori, per questo occorre parlare di gestione locale del significato.
Gli interlocutori possono gestire al meglio il fuoco comunicativo che riguarda il modo in cui essi orientano il loro interesse e l'attenzione sugli aspetti prominenti di un certo atto comunicativo. Si tratta di un processo attivo, dinamico e reciproco di condivisione che fornisce anche una cornice interpretativa di ciò che è detto in una data circostanza. Particolare importanza ha anche la deissi, costituito da numerosissime espressioni linguistiche che fanno riferimento diretto alla situazione comunicativa nel tempo e nello spazio. Il significato delle espressioni deittiche (o indessicali) può indicare un referente solo se è definito in modo preciso il contesto in cui ha luogo la frase, per es. la frase:
Fatti trovare qui fra dieci minuti, non può essere compresa se non si conoscono gli indici spaziali, temporali e contestuali. L'indice è un segno da cui inferire il significato. L'indessicalità ancora il significato e l'interpretazione di una frase al suo contesto d'uso.

·     555b16f ;    Significato letterale e significato figurato - Significato denotativo e significato connotativo.

Per denotazione s'intende l'attribuzione di un significato ovvio (o primario), convenzionale e neutro a una certa parola o espressione e implica l'insieme delle proprietà di base di una data categoria semantica. La connotazione è invece l'attribuzione di un significato associato o secondario a una parola in aggiunta a quello primario. Per es. le parola piccino, bimbo, pupo, bambino hanno lo stesso significato denotativo ma differente connotazione. Tuttavia questa distinzione appare superata considerando ciò che è stato detto fin'ora, ovvero parlare di un significato denotativo significa ammettere l'esistenza di un significato di base assoluto e oggettivo condiviso da tutti cosa che risulta impraticabile. In realtà in ogni parola o espressione coesistono diversi significati connotativi e denotativi interponessi in modo inestricabile.

-Oltre il significato letterale.

Il significato letterale concerne il
significato linguistico generato dalla combinazione delle singole parole presenti in un enunciato ed è il risultato di operazioni esclusivamente linguistiche. Si tratta del significato primario, semplice e immediato e rappresenta la base per qualunque interpretazione successiva. Il significato figurato invece implica l'uso simbolico e traslato del significato letterale attribuendogli un significato secondario.
Distinzione tra logica del linguaggio e logica della conversazione, la prima si riferisce ai significati letterali mentre la seconda si riferisce alle regole che le persone usano per inferire ciò che l'interlocutore intende comunicare e che sono alla base delle implicature conversazionali.
In realtà il significato letterale non è unicamente il risultato di una decodifica linguistica ma anch'esso è sottoposto a una interpretazione semantica.
La comprensione del significato figurato è rapida quanto quella del significato letterale.



- Il significato metaforico.

Il significato figurato si manifesta attraverso l'uso di una vasta gamma di figure retoriche (metonimia, sineddoche, iperbole, allegoria, anafora ecc.) e figure grammaticali (ellissi, pleonasmo, asindeto ecc.). Discorso a sé deve essere fatto per la metafora per cui si parla di significato metaforico. Tre sono i modelli per spiegare la metafora:

a) Modello semantico. Metafora intesa come anomalia o deviazione semantica: in essa vi è un errore denotativo poiché non può significare ciò che afferma direttamente. Deve essere operata una correzione che trasformi quest'anomalia attraverso una parafrasi letterale di senso compiuto.
b) Modello della comparazione. Risale ad Aristotele, esso prevede un confronto implicito e indiretto tra un primo termine (topic) e un secondo termine (vehicle) sulla base di una
condivisione di determinate proprietà (ground). Es.: Il lavoro è una prigione dove lavoro è il topic, prigione è il vehicle e le proprietà implicite condivise (ground) sono costrizione, chiusura in una realtà circoscritta ecc.
c) Modello dell'attribuzione di proprietà. In questo caso al topic vengono attribuite direttamente qualità del vehicle, per es.:
Il mio avvocato è uno squalo.


- Intenzione e comunicazione.

In linea di principio possiamo affermare che il significato non esiste se non vi è un'intenzione comunicativa. Il significato infatti non è altro che il collante tra certi contenuti mentali e l'intenzione di comunicarli. La condotta di una ricerca di senso è guidata dall'intenzionalità.

·     555b16f ;     555b16f ; Il concetto di intenzionalità.

L'essere umano è naturalmente dotato di intenzionalità. Dennett parla di atteggiamento intenzionale inteso come predisposizione ad interpretare l'azione di qualsiasi entità come se fosse pianificata in modo consapevole e intenzionale. Tale atteggiamento pone le basi per creare la prevedibilità nel corso delle interazioni umane in quanto siamo addestrati a riconoscere l'intenzionalità altrui anticipandone le azioni. Quando la comunicazione procede in maniera naturale e automatica vuol dire che le nostre aspettative sono state confermate (comunicazione per default), ma molto spesso accade che si verifichino delle rotture o deviazioni che generano sorpresa o anche allarme che innescano comportamenti di controllo e verifica. Esistono in generale due modi di intendere l'intenzionalità:

a) Proprietà essenziale della coscienza umana in quanto coscienza di qualcosa (Brentano). Intenzionalità intesa come direzionalità degli stati mentali verso un qualche aspetto del mondo fenomenico.

b) Proprietà di un'azione compiuta in modo deliberato, volontario e "di proposito" per raggiungere un certo scopo. In questo senso si contrappone ad "accidentale", "non fatto apposta".

In entrambi i casi l'intenzionalità è una proprietà di certi stati mentali. In psicologia si distinguono due tipi di intenzioni:

a) Intenzione antecedente: intesa come progettazione di un'azione.

b) Intenzione-in-azione: intasa come capacità di intervenire in circostanze impreviste.

Bisogna precisare che tutte le azioni intenzionali prevedono intenzioni-in-azione ma non necessariamente delle azioni antecedenti, ovvero non necessariamente tutte le intenzioni sono state pianificate. L'elaborazione dell'intenzionalità richiede uno stato di coscienza, ovvero consapevolezza sia della direzionalità che della volontarietà dell'azione. Il concetto di coscienza presenta diverse accezioni:

a) Consapevolezza percettiva e cognitiva, ovvero delle percezioni e dei pensieri.
b) Consapevolezza metacognitiva e introspettiva, ovvero dei propri processi mentali.
c) Funzione di monitoraggio e di controllo, ovvero condizione di vigilanza focalizzata.

Nei processi comunicativi la coscienza va intesa pragmaticamente, ovvero come un insieme di proprietà necessarie a far si che uno stato cosciente esista. Essa agisce in maniera seriale, ovvero un'azione alla volta a differenza dell'inconscio i cui processi operano contemporaneamente e in parallelo.
Bisogna inoltre fare una distinzione tra intenzione e desiderio: il desiderio è soddisfatto nel momento in cui si raggiunge il risultato desiderato, in qualunque modo esso sia raggiunto mentre per soddisfare l'intenzione è sufficiente mettere in atto quelle azioni necessarie a raggiungere lo scopo. Ancora bisogna distinguere tra intenzione e scelta: l'intenzione è un sottoinsieme di ciò che uno sceglie, una scelta può avere diverse conseguenze positive e negative quindi l'effetto indesiderato (ma previsto) di una scelta consapevole non è comunque oggetto dell'intenzione.
Nello scambio comunicativo tra i partecipanti si attua un gioco reciproco costituito da una "intenzionalizzazione" del parlante, ovvero la manifestazione di una data intenzione comunicativa, e da una "re-intenzionalizzazione" ovvero una interpretazione di questa da parte del destinatario. Occorre dire dunque che in uno scambio comunicativo non esiste chi conduce e chi è condotto, e che può parlarsi di comunicazione solo quando vi è intenzionalità: senza la presenza di un comportamento intenzionale il messaggio è soltanto informativo e non comunicativo. Vi è dunque una differenza tra il valore comunicativo e il valore informativo di un messaggio.


·     555b16f ;     555b16f ; L'intenzione comunicativa da parte del parlante.

- Livelli di intenzione.

Quando produce un atto comunicativo il soggetto ha un'intenzione globale di comunicare qualcosa a un destinatario. In questo processo comunicativo Grice distingue tra intenzione informativa, ovvero la semplice trasmissione di un contenuto, e intenzione comunicativa ovvero la volontà di rendere consapevole il destinatario di qualcosa di cui prima non era consapevole. Jaszczolt ha inoltre aggiunto il principio dell'intenzione primaria che consiste nell'intenzione referenziale ovvero la volontà di far riferimento a determinati aspetti dell'oggetto dello scambio comunicativo. L'intenzione globale va comunque intesa come intenzione unitaria, punto di sintesi tra mondo interno (ciò che il soggetto intende dire), mondo esterno (la realtà a cui si fa riferimento) e il messaggio prodotto (ciò che viene detto attraverso un sistema di comunicazione).

- La graduabilità della intenzione comunicativa.

L'intenzione comunicativa non è un'entità discreta, non è caratterizzata da un meccanismo del tipo "on-off" ma è una variabile continua ovvero caratterizzata da gradualità. Parliamo dunque di graduabilità intenzionale. Essa consente di mettere a fuoco i diversi atti comunicativi. Parlando di graduabilità si può parlare dunque di forza dell'intenzione. Essa dipende dall'importanza dei contenuti, dalla rilevanza dell'interlocutore e dalla natura del contesto. La forza dell'intenzione consiste nella messa a fuoco dell'atto comunicativo e nella precisione e puntualizzazione del messaggio. Esiste inoltre, all'interno di una comunicazione, una pluralità di intenzioni incastrate l'una nell'altra regolate da una gerarchia delle intenzioni. Per es. nel caso della comunicazione menzognera si ha una duplice intenzionalità: una nascosta e una manifesta, quest'ultima suddivisa in intenzione informativa (l'informazione falsa) e intenzione di sincerità ovvero il desiderio del parlante di essere creduto. Altro esempio è il principio "pars pro toto" ovvero il semplicissimo principio per cui l'uomo non può esprimere pienamente e totalmente tutte le sue intenzioni comunicative e giocoforza dovrà selezionare solo alcune delle opzioni possibili tenendo conto, appunto, della gerarchia delle intenzioni. Questa gradualità delle intenzioni richiede un complesso processo di regia cognitiva ed emotiva, da un lato ed è soggetto a sfumature, incertezze e ambiguità dall'altro, infatti un solo atto comunicativo può veicolare diverse intenzioni e l'interpretazione di tali intenzioni può portare a diversi esiti comunicativi. Tale pluralità comporta inevitabilmente l'opacità intenzionale poiché l'intenzione comunicativa è limitata, parziale e sfumata.

L'intenzione comunicativa e la sintonia semantica.

- Intenzione comunicativa e attenzione.

La gradualità e l'articolazione dei processi intenzionali consentono al parlante di manifestare un'intenzione comunicativa unitaria e globale. Contribuisce a tale unitarietà anche la stretta interdipendenza tra intenzione comunicativa e attenzione. L'attenzione presiede all'elaborazione delle informazioni attraverso due tipi di processamento: il processamento automatico e il processamento controllato. Il primo più rapido coinvolge solo la memoria a breve termine e non richiede risorse attentive di conseguenza tali processi si svolgono in parallelo e quindi possono svolgersi più processi contemporaneamente. Il secondo è più lento e richiede maggiori risorse attentive e si svolge in modo seriale quindi un processo per volta sotto il diretto controllo del soggetto (attenzione assidua). Il passaggio da un processamento controllato ad uno automatico avviene attraverso l'acquisizione delle abitudini. Un esempio di processamento automatico sono i saluti, mentre uno controllato è la comunicazione menzognera. Questi processi si dispongono lungo un continuum entro il quale possiamo individuare tre livelli (o categorie):
- Livello 0: Informazione. Ovvero quando il soggetto non ha una specifica intenzione comunicativa e reagisce in modo automatico a uno stimolo esterno.
- Livello 1: Intenzioni di primo livello. Vi è già comunicazione, queste intenzioni comprendono sia gli atti stereotipati (quali i saluti) sia gli atti comunicativi abituali e quotidiani. E' la comunicazione per default.
- Livello 2: Intenzioni di secondo livello. Ovvero quando il soggetto ha la consapevolezza di comunicare comunicando. E' la comunicazione focalizzata, per esempio la battuta di spirito, la comunicazione ironica, menzognera ecc. In questo caso entra in gioco l'attenzione focalizzata assidua.

- La sintonia semantica e l'ipotesi del "processore comunicativo centrale".

La sintonia semantica è un processo attraverso cui tutti i sistemi di significazione (verbali e non verbali) vengono coniugati in un atto unitario affinché si manifesti una intenzione comunicativa globale. Nel processo di significazione si giunge in tal modo al significato modale, ovvero il significato predominante e preponderante in condizioni per default. Tale significato tuttavia non è dato in maniera automatica e necessaria ma può essere oggetto di negoziazione fra i partecipanti. Si può ipotizzare che il processo della sintonia semantica sia generato da un processore comunicativo centrale (PCC). Esso può essere paragonato a un "sistema operativo" in quanto presiede ai processi esecutivi come pianificazione, rievocazione, produzione lessicale e sintattica e monitoraggio. Il PCC esercita un controllo consapevole sulle singole componenti semantiche per la determinazione finale del significato di un certo atto comunicativo. L'ipotesi del PCC è conforme al modello conessionista che prevede un processamento distribuito parallelo della conoscenza. In tal senso ogni entità mentale è costituita da un sistema di attivazione di diverse unità dove ognuna di esse rappresenta il grado di assenza o presenza di un certo significato o pensiero, per cui il significato e l'intenzione operano non in modo dicotomico ("tutto o niente") ma attraverso variazioni graduate e continue. Inoltre nell'ipotesi del PCC il significato è l'esito di tale sistema di attivazione e non semplicemente appartenente a un sistema di significati e simboli e ancora l'apprendimento è possibile anche a partire da singoli esempi.

L'ipotesi del PCC appare altresì conforme con il concetto di spazio globale di lavoro. Secondo questa impostazione l'intenzione comunicativa è il risultato dell'attività del sistema nervoso centrale in cui i diversi meccanismi (o processori) di elaborazione delle informazioni competono fra loro per avere accesso alla possibilità di trasmissione. Il processore che vince trasmette la sua informazione a tutto il sistema nervoso. Tale processo è governato dalla regia selettiva dell'attenzione del soggetto.


·     555b16f ;     555b16f ; L'intenzione comunicativa e la generazione del messaggio.

L'intenzione comunicativa è strettamente legata alla generazione del messaggio che consiste nell'organizzazione e collocazione di un atto comunicativo nel corso di una interazione fra due o più partecipanti.

- Il modello olistico-funzionale di Levelt.

Tale prospettiva identifica e categorizza le diverse unità dell'interazione comunicativa come entità globali aventi ciascuna la propria funzione. La comunicazione prevede l'intervento di diverse funzioni quali: la concettualizzazione del messaggio, la sua formulazione grammaticale e fonetica e la sua articolazione effettiva.
I processi di selezione e monitoraggio delle informazioni e la loro organizzazione costituiscono il Concettualizzatore. Per elaborare mentalmente un messaggio il soggetto deve avere accesso alle conoscenze dichiarative (proposizioni che mettono in relazione due o più elementi o idee) e alle conoscenze procedurali (che concernono i modi e i procedimenti necessari allo svolgere delle azioni) ovvero la "conoscenza in azione". Successivo alla concettualizzazione (rappresentazione mentale di quanto si intende comunicare) è il messaggio preverbale che è il risultato di una macro e micropianificazione. Tale messaggio preverbale (che costituisce l'output del concettualizzatore) diviene, una volta articolato, l'input del Formulatore. Quest'ultimo traduce la struttura concettuale in struttura linguistica, attraverso una codifica grammaticale che attraverso una costruzione sintattica del messaggio ne elabora una struttura di superficie e una codifica fonologica la cui funzione è quella di individuare il piano fonetico per ogni lemma. Tale piano fonetico diviene l'input per l'Articolatore che attraverso i muscoli facciali, la respirazione e gli organi di fonazione produce il discorso. Poiché il parlante è in grado di ascoltare ciò che dice, egli può compiere un'azione di auto-monitoraggio su quanto sta dicendo. Il modello di Levelt segue una pianificazione top-down (o prescrittiva) sottolineando il piano cognitivo sotteso alla generazione del messaggio. Il limite più importante di questo modello è la scarsa aderenza al contesto, ovvero una comunicazione intesa come attività decontestualizzata.

- Il modello della gestione locale del messaggio.

In questo modello la gestione di ogni messaggio dipende dalla capacità di gestione locale dei pensieri e delle condizioni contestuali da parte del parlante in rispondenza a una data intenzione comunicativa. Qui il contesto diviene molto importante e il messaggio costituisce il risultato di una scelta di certi pensieri e intenzioni al posto di altri. Tale scelta è collegata al "fuoco comunicativo" che è un processo attivo di concentrazione dell'attenzione e dell'interesse del parlante su certi aspetti della realtà e che produce pertinenza comunicativa. Il messaggio non è frutto di una pianificazione o un atto unificato e confezionato nella sua interezza ma è un insieme di pensieri che generano un certo percorso comunicativo entro il quale emerge il fuoco comunicativo guidato da una specifica intenzione. La differenza nei messaggi dipende dalle differenze dei soggetti che hanno diverse intenzioni e dalla varietà dei contesti e delle situazioni interattive.

·     555b16f ;     555b16f ; Intenzioni e strategie comunicative.

La generazione e la pianificazione di un messaggio comporta l'adozione di una strategia comunicativa. Ogni strategia è la scelta dell'azione comunicativa più appropriata in una data situazione. In tal senso ogni strategia è contingente in quanto pone a confronto diverse situazioni precedenti simili e adatta alla situazione la condotta ritenuta più opportuna. Vi è dunque in ogni strategia un elemento di novità poiché le strategie non seguono sequenze preordinate o preconfezionate ma si adattano alle situazioni sempre nuove. La scelta di una strategia implica un processo di calibrazione comunicativa che consiste in una organizzazione coerente e dinamica dei molteplici aspetti semantici, sintattici, espressivi, motori e fisici che costituiscono l'atto comunicativo. Purtroppo l'efficacia di tale processo è verificabile soltanto a posteriori in quanto solo dopo l'attuazione di una determinata strategia comunicativa siamo in grado di valutarne gli effetti.

·     555b16f ;     555b16f ; L'intenzione comunicativa da parte del destinatario.

Tradizionalmente al destinatario si dava molto poca importanza in quanto veniva descritto come semplice terminale ricevente del messaggio comunicativo. Tale visione passiva del destinatario verrà negli anni sensibilmente cambiata.

- L'ipotesi dell'intenzionalismo e il problema della trasparenza intenzionale.

Secondo la psicologia del senso comune il significato di un atto comunicativo dipende dall'intenzione del parlante e compito del destinatario è comprendere l'intenzione originale del parlante medesimo. Questa concezione è nota come intenzionalismo, ovvero l'intenzione del parlante pone dei vincoli al suo riconoscimento da parte del destinatario.
Grice a sua volta introduce il concetto della meaning-intention ovvero lo scambio comunicativo si spiega attraverso la reciproca consapevolezza tra parlante e destinatario ovvero A sa che B sa che A sa che B sa (e così via) che A ha un'intenzione comunicativa. Tale trasparenza intenzionale e l'intenzionalismo tuttavia non spiegano i meccanismi che sono alla base della produzione di senso nel corso degli scambi comunicativi.

- Dalla reciprocità intenzionale all'attribuzione dell'intenzione.

Grice ha basato l'analisi del significato e della conversazione sulla reciprocità intenzionale. Lo scambio comunicativo per avere successo deve essere caratterizzato non solo dalla manifestazione di un'intenzione comunicativa da parte del parlante ma anche dal suo riconoscimento da parte del destinatario. Questo concetto mette in luce il fatto che il destinatario è importante quanto il parlante in uno scambio comunicativo, ma per capire meglio il concetto di reciprocità intenzionale dobbiamo rifarci all'interazionismo simbolico di Mead. Presupposto per il riconoscimento dell'intenzione è l'analogia con il sé, ovvero: "Egli è come me. Di conseguenza, sono nella situazione di capire la sua intenzione." Tuttavia in questo scambio bidirezionale vi è una suddivisione asimmetrica della responsabilità comunicativa, ovvero il parlante risulta in un certo senso predominante sul destinatario in quanto conduce una sorta di "lavoro filologico" che il destinatario deve interpretare. Vi è una dipendenza semantica rispetto al parlante. L'atto comunicativo presenta una certa opacità intenzionale, di fronte alla quale il destinatario può commettere errori di interpretazione sia in eccesso che in difetto. Interpretare un'intenzione è come "leggere la mente dell'altro", tale attività è però parziale e limitata in quanto sempre mediata attraverso indizi e dispositivi comunicativi e ancora essa segue il principio del "totum ex parte" ovvero attribuire un'intenzione completa e coerente sulla base di indizi parziali.
Il riconoscimento di un'intenzione è dunque molto diversa dall'interpretazione, bisogna infatti introdurre il concetto di attribuzione di un'intenzione. Tale processo è autonomo, attivo, e soggettivo. Si procede dunque dal riconoscimento di un'intenzione e successivamente alla sua attribuzione. L'attribuzione di un'intenzione può essere anche volutamente lontana da quella riconosciuta, per raggiungere i propri scopi.

- La pluralità di interpretazioni dell'intenzione comunicativa.

Il destinatario nell'attribuire un'intenzione ha sempre a disposizione diverse alternative interpretative fra le quali scegliere, ovvero si troverà di fronte a una pluralità di interpretazioni. Ricordiamo per es. la distinzione tipica tra "significato letterale" e "significato autentico" che rimandano a interpretazioni più superficiali o più profonde. Secondo Bach il destinatario segue il "principio dell'assumere per garantito" ovvero la tendenza a cogliere il primo senso dell'atto comunicativo che gli viene in mente e che non è immediatamente contraddetto da un altro significato. Molto spesso nei giochi comunicativi è necessario andare a fondo nella ricerca della giusta interpretazione, poiché molto spesso si cade in errore se si segue sempre l'interpretazione più superficiale. Il significato dunque appartiene all'atto comunicativo per la sua posizione intermedia fra i partecipanti: esso è frutto dell'attività congiunta del parlante, che produce l'intenzione comunicativa e del destinatario che la interpreta.

·     555b16f ;     555b16f ; Processi di inferenza nell'attribuzione delle intenzioni comunicative.

Ricordiamo che i segni comunicativi hanno valore di indizio per cui nel processo di attribuzione di un'intenzione il destinatario deve necessariamente mettere in atto processi di inferenza. Si tratta dunque di una conoscenza inferenziale in quanto basata su ipotesi formulate sul significato del messaggio. Parliamo dunque di inferenza intesa come forma di ragionamento. Il destinatario inoltre fa riferimento ad una serie di modelli mentali, ovvero rappresentazioni mentali di situazioni reali, ipotetiche o immaginarie.

- L'inferenza non dimostrativa nell'attribuzione delle intenzioni comunicative.

Nell'ambito del processo di attribuzione di un'intenzione Sperber e Wilson hanno introdotto il concetto di inferenza non dimostrativa. L'inferenza dimostrativa consiste nell'applicare un insieme di regole deduttiva a un insieme di premesse di partenza. Ma nell'attività di attribuzione di un'informazione un'ipotesi può essere confermata ma non deduttivamente dimostrata per cui si fa ricorso ad una inferenza non dimostrativa. Nella comunicazione la forza di un'ipotesi non è nella sua validità logica ma nella sua plausibilità, efficacia e riuscita. L'inferenza non dimostrativa fa ricorso a procedimenti logici sia pur non perfetti, per spiegare in modo attendibile e verosimile ciò che è stato detto dal parlante procedendo secondo le cosiddette regole di eliminazione. Tra queste regole ricordiamo il modus ponendo ponens e il modus tollendo ponens. In base a queste regole il destinatario è in grado di fare delle implicazioni su quanto detto, cioè di inferire più di quanto venga detto.

- L'inferenza abduttiva e le euristiche nell'attribuzione delle intenzioni.

Peirce nell'analisi dei dispositivi razionali utilizzati per la comprensione dei messaggi comunicativi individua tre forme fondamentali di inferenza: deduzione, induzione e abduzione. Esse combinano in modo differente tre aspetti: una regola, un esempio particolare (o caso) e il risultato.
- La deduzione: E' un tipo di inferenza monotonica in cui si passa da una regola (generalizzazione) a un caso particolare.
- L'induzione: E' un tipo di inferenza non monotonica in cui si passa da un insieme di casi particolari a una generalizzazione (regola).
- L'abduzione: E' un tipo di inferenza non monotonica in cui si procede a ritroso dagli effetti alle cause nel tentativo di spiegare qualcosa che è già accaduto. In ambito scientifico si fa ricorso all'induzione ma in ambito comunicativo le persone ricorrono per lo più all'abduzione ovvero fanno congetture su quanto viene detto. Tale procedimento non è però esente da rischi infatti l'abduzione è influenzata da processi di fissazione comunicativa, ovvero una concentrazione attentiva eccessiva su aspetti parziali della comunicazione assumendo tali aspetti come la totalità del messaggio. Entrano qui in gioco dei procedimenti logici detti euristiche, ovvero delle forme semplificate di ragionamento che servono a ridurre la complessità degli elementi a disposizione per spiegare meglio quanto comunicato. Ricordiamo inoltre il ragionamento controfattuale che consiste in una simulazione mentale di un evento per modificarne gli esiti. Sono ragionamenti del tipo SE.ALLORA. Per es. Se avessi fatto la solita strada, non sarei rimasto bloccato nel traffico. Il pensiero controfattuale viene usato per esempio dai magistrati per valutare la ricostruzione dei fatti e per qualificare le intenzioni sul piano giuridico al fine di quantificare le responsabilità dei soggetti. Tali procedimenti (abduzione, euristiche e ragionamento controfattuale) messi in atto dal destinatario sono dunque basati su una razionalità limitata, imperfetta che procede attraverso un'esplorazione locale e progressiva dello scambio comunicativo.

Nei processi di produzione e attribuzione dell'intenzione comunicativa il parlante e il destinatario condividono la medesima responsabilità nella gestione della intenzione comunicativa. La comunicazione consiste infatti essenzialmente in una forma di partecipazione, poiché essa è il frutto di una collaborazione fra gli interlocutori. Quando due persone comunicano devono essenzialmente adattare reciprocamente i propri stili di comunicazione e sincronizzare i tempi stabilendo un ritmo comunicativo. Siamo di fronte a fenomeni di coordinazione interattiva e adattamento reciproco. A questo riguardo possiamo parlare di una proprietà globale e fondamentale della comunicazione che è la sincronia comunicativa. A tal proposito Giles e Smith hanno proposto la teoria dell'accomodazione comunicativa (CAT), secondo la quale gli interlocutori mettono in atto strategie di sintonizzazione e accomodazione attraverso l'uso di segnali linguistici e non linguistici, i quali possono essere convergenti o divergenti. Quando vi è convergenza le modalità comunicative dei partecipanti sono più omogenee mentre se vi è divergenza le differenze diventano sempre più grandi. Questi concetti risultano cruciali nelle fasi di transizione relazionale, infatti maggiore è la convergenza maggiori sono le possibilità che una comunicazione abbia esito positivo, per es. nella seduzione o nel rapporto medico-paziente.


·     555b16f ;     555b16f ; Le intenzioni collettive.


La comunicazione non è sempre diadica ma può, come sappiamo, coinvolgere molte persone. In questo caso, in termini di intenzionalità, si parla di intenzioni collettive. Secondo Searle vi sono essenzialmente due concezioni di intenzione collettiva, una capitalista e una socialista. La prima consiste nella somma di tutte le intenzioni presenti, la seconda consiste nella presenza di una coscienza di gruppo. Entrambe queste concezioni risultano impraticabili, quella capitalista perché additiva e meccanicistica che esclude il concetto di cooperazione che non è la semplice somma delle singole intenzioni, quella socialista perché attribuisce una coscienza al gruppo quando in realtà soltanto il singolo individuo ne è dotato. Sono da evitare dunque tutte le concezioni riduttive. I gruppi possono avere scopi condivisi e l'intenzione individuale risulta essere il mezzo attraverso cui raggiungere tale scopo. Ovviamente vi è una forma di interdipendenza e influenza reciproca fra i partecipanti.



- La comunicazione non verbale.

La comunicazione è un'attività complessa che fa riferimento ad una molteplicità di sistemi di segnalazione tra cui ricordiamo la comunicazione non verbale (CNV), detta anche "comunicazione extra-linguistica". In questo ambito esistono diverse aree e ciascuna costituisce un campo di ricerca a parte, per es. mimica facciale, i gesti, la postura, lo sguardo ecc.


·     555b16f ;     555b16f ; La comunicazione non verbale: dove la natura incontra la cultura.


Occorre innanzitutto indagare le origini della CNV. Secondo la psicologia ingenua la CNV è più spontanea e naturale della comunicazione verbale in quanto lascia trapelare stati d'animo anche contro la volontà ed è universale in quanto frutto dell'evoluzione filogenetica. A questo riguardo esistono posizioni differenti:
- La concezione innatista e la teoria neuroculturale: La concezione innatista della CNV fa riferimento alla prospettiva di Darwin secondo cui le espressioni facciali sono il risultato dell'evoluzione della specie umana e per questo universali. Si tratta di espressioni che permangono per abitudine ma la cui utilità è ormai svanita ed esprimono emozioni ancestrali. Nello stesso ambito si è sviluppata la teoria neuroculturale, secondo cui esiste un "programma nervoso" specifico per ogni emozione in grado di attivare l'azione coordinata dei muscoli facciali. Tale "programma nervoso" pur essendo prevalente può essere modificato o "inquinato" dalle cosiddette regole di esibizione, si tratta di regole apprese culturalmente e che consistono in: intensificazione, attenuazione, inibizione e mascheramento delle espressioni. In tal modo è possibile avere un controllo sulle espressioni facciali.
- La prospettiva culturalista: Secondo la prospettiva culturalista, "ciò che è mostrato dal volto è scritto nella cultura". In tal senso la CNV è appresa nel corso dell'infanzia al pari della lingua e quindi mostra differenze tra cultura e cultura. L'enfasi è posta sui processi di differenziazione.
- La prospettiva dell'interdipendenza fra natura e cultura: Sia l'innatismo che il culturalismo sono visioni parziali e unilaterali che tengono conto di un unico punto di vista. Oggi prende sempre più piede una prospettiva della interdipendenza fra natura e cultura per spiegare la CNV. Le strutture nervose e i processi neurofisiologici connessi alla CNV sono organizzati in maniera differente da cultura a cultura. Tali strutture sono sia il sistema piramidale sia il sistema extrapiramidale, che agiscono in modo coordinato e sincrono e in tale attività si integrano sia processi elementari automatici, sia processi volontari e consapevoli. Pertanto la CNV pur essendo vincolata a processi automatici di base non esula da processi di regolazione volontaria. Proprio grazie a tale plasticità della CNV è possibile l'apprendimento delle diverse forme di CNV, attraverso processi di condivisione convenzionale. In tal modo osserviamo che alcune culture inibiscono la comunicazione emotiva incoraggiando condotte soppressive per es. in Giappone mentre nelle culture latine è incoraggiata la comunicazione emotiva.


·     555b16f ;     555b16f ; Rapporto fra comunicazione verbale e non verbale.

Quando il destinatario interpreta un atto comunicativo del parlante fa riferimento, oltre che al codice linguistico, a una serie di sistemi non verbali di significazione e segnalazione come quello vocale, quello cinesico (movimenti del corpo, degli occhi e del volto), quello prossemico e quello cronemico. Ogni sistema contribuisce a definire una porzione di significato che partecipa alla configurazione del significato finale. Esistono due posizioni antitetiche in merito: a) una che contrappone dicotomicamente ciò che è linguistico da ciò che non è linguistico, b) un'altra che prevede processi di integrazione tra i diversi sistemi di segnalazione.

- L'ipotesi della contrapposizione dicotomica fra linguistico ed extra-linguistico.

Si tratta di una impostazione meccanicistica e additiva, in quanto ipotizza una distinzione dicotomica tra ciò che è linguistico e ciò che è extra-linguistico. Il significato emerge dalla semplice somma dl verbale con il non verbale. In tale prospettiva si è molto dibattuto su quanto ciascun elemento incida nella produzione di significato, da un lato c'è chi sostiene una netta predominanza del verbale sul non verbale dall'altra chi sostiene il contrario, alimentando notevolmente il concetto che vi sia contrapposizione tra i due aspetti. Le differenze tra verbale e non verbale sono state analizzate attraverso tre dimensioni:
Funzione denotativa vs. funzione connotativa: Il verbale avrebbe il compito di denotare, in quanto il codice linguistico fornisce conoscenze in modo preciso e definito, mentre il non verbale avrebbe il compito di connotare non avendo funzione semantica bensì espressiva. Per cui il verbale fornisce la configurazione semantica della comunicazione mentre il non verbale fornisce il solo aspetto affettivo. Tale ipotesi risulta insostenibile in virtù della sintonia semantica (Cap.7).
Arbitrario vs. Motivato: Il segno linguistico è arbitrario in quanto regolato da un rapporto di semplice contiguità, infatti basterebbe cambiare un semplice fonema e il significato cambia totalmente (es. lana / luna). Per contro gli elementi della CNV hanno un valore motivato, ovvero vi è un rapporto di similitudine tra l'unità non verbale e quanto viene detto.
Digitale vs. Analogico: Il codice linguistico è considerato digitale in quanto i segni linguistici sono diacritici distintivi e oppositivi per es. tra luna e lana non vi è un continuum ma una precisa distinzione. La CNV è invece considerata analogica in quanto suscettibile di variazioni continue (emotive per es.).

- L'autonomia dei sistemi non verbali e la loro interdipendenza semantica.

La prospettiva tradizionale appare ormai insostenibile poiché non spiega i fenomeni di composizione e articolazione del significato. Oggi prevale una concezione che rimanda a una interdipendenza fra i fenomeni verbali e quelli extra-linguistici, ovvero una visione integrata. Tale integrazione avviene grazie al processo della sintonia semantica. Tuttavia è bene ricordare che ognuno dei sistemi di segnalazione non verbale è dotato di una relativa autonomia, in quanto concorre in modo specifico e distinto a generare il profilo finale del significato. Tale autonomia rimanda al principio della modularità, poiché ogni sistema rimanda a un "modulo comunicativo" indipendente. Un modulo comunicativo è un processo di segnalazione dotato di specificità di dominio (classe di stimoli) e di dissociabilità funzionale (possibili dissociazioni funzionali specifiche). I contributi provenienti da ciascun sistema contribuiscono sincronicamente alla produzione del significato insieme alle caratteristiche contingenti della situazione. Entra in gioco qui l'interdipendenza semantica che è l'esito della sintonia semantica. Grazie a tale interdipendenza l'individuo ha la possibilità di attribuire pesi diversi alle singole componenti dell'atto comunicativo. Egli può accentuare il valore di una componente rispetto a un'altra ponendo le condizioni per una focalizzazione di un determinato percorso comunicativo e per la definizione del fuoco comunicativo. Sintonia e interdipendenza semantica consentono al parlante di giungere a una attenta calibrazione situazionale, ovvero alla produzione del "Messaggio giusto al momento giusto". Interdipendenza e sintonia semantica, focalizzazione comunicativa e calibrazione situazionale sono alla base dell'efficacia comunicativa.


·     555b16f ;     555b16f ; Il sistema vocale.

La voce manifesta e trasmette numerose componenti di significato oltre alle parole. Nell'atto di pronunciare una parola vengono fuori gli elementi segmentali ovvero quelli linguistici, e gli elementi soprasegmentali ovvero quelli paralinguistici relativi al tono, al ritmo, all'intensità dell'eloquio. La sintesi degli aspetti verbali e non verbali della voce costituisce l'atto fonopoietico. Esso fa riferimento al canale vocale-uditivo e consente la trasmissione e la ricezione di segnali a distanza anche in assenza di visione, è caratterizzato da rapida evanescenza e assicura un feedback completo.

- Le componenti della comunicazione vocale.

La voce intesa come sostanza fonica è composta da una serie di fenomeni e processi vocali tra cui ricordiamo: a) i riflessi (starnuto, rutto, sbadiglio, ecc.), i caratterizzatori vocali (riso, piano, singhiozzo) e le vocalizzazioni (uhm, ah, eh); b) le caratteristiche extra-linguistiche che possono essere organiche (anatomia dell'apparato fonatorio) e fonetiche (modalità con chi è impiegato l'apparato fonatorio); c) le caratteristiche paralinguistiche ovvero quelle proprietà acustiche transitorie che accompagnano la pronuncia e che possono cambiare da situazione a situazione.
Le caratteristiche paralinguistiche sono determinate da:
1) Il tono. Esso è dato dalla frequenza fondamentale Fo. Più le corde vocali sono tese più acuto è il tono, viceversa il tono è più grave.
2) L'intensità. E' il volume della voce. E' connesso all'accento enfatico con cui il soggetto intende sottolineare un determinato segmento comunicativo di un enunciato.
3) Il tempo. Esso si differenzia in durata ovvero il tempo impiegato ad esporre un enunciato, velocità di eloquio ovvero il numero di sillabe al secondo comprese le pause, velocità di articolazione ovvero in numero di sillabe al secondo escluse le pause, la pausa intesa come interruzione del parlato che è distinta in pause piene (con vocalizzazioni uhm., ehm.) e pause vuote (cioè periodi di silenzio).
Quindi l'atto fonopoietico è composto da:
Una componente vocale verbale: che comprende a) la pronuncia (fonologia), b) il vocabolario (lessico e semantica), c) la grammatica (morfologia e sintassi), d) il profilo prosodico (tonìa conclusiva, interrogativa, esclamativa ecc.), e) la prominenza (rilievo enfatico o accentuazione di un elemento).
Una componente vocale non verbale: che determina la qualità della voce di un individuo. Essa va intesa come "impronta vocalica" definita da a) fattori biologici (differenze fra uomo e donna, adulto e bambino ecc.), b) fattori sociali connessi alla cultura e la regione di provenienza o anche al ruolo professionale, c) fattori di personalità, connessi a tratti psicologici relativamente permanenti, d) fattori psicologici transitori collegati ad esperienze emotive o a fenomeni di discomunicazione quali menzogna, humour, ironia ecc.

- La voce delle emozioni.

Passiamo ora allo studio delle proprietà vocali per esprimere le emozioni, analizzando sia la fase di encoding che quella di decoding.
Fase di encoding. In questa fase vengono esaminati e misurati i correlati acustici dell'espressione vocale delle emozioni per porre in evidenza come ogni emozione sia caratterizzata da un preciso e distinto profilo vocale. La collera ad esempio è caratterizzata da un incremento della Fo, da un aumento dell'intensità della voce, dalla presenza di pause molto brevi o assenti, da un ritmo elevato. Gli studi sull'encoding vocale delle emozioni conferma la capacità del sistema vocale di trasmettere autonomamente precise e distinte informazioni sugli stati affettivi dell'individuo.
Fase di decoding. Le ricerche sulla fase di decoding concernono la capacità di riconoscere e inferire le emozioni del parlante prestando attenzione alle sole sue caratteristiche vocali. Da una rassegna della letteratura emerge un'accuratezza media nel riconoscimento pari al 60% (che scende al 56% eliminando le scelte corrette dovute al caso). Le emozioni più riconoscibili sono quelle negative come collera e paura in quanto legate alle condizioni di sopravvivenza degli individui.

- Il silenzio.

Il silenzio
in quanto assenza di parola costituisce un modo strategico di comunicare ed il suo significato varia in relazione al contesto e alle situazioni. Il valore comunicativo del silenzio è da attribuire alla sua ambiguità in quanto può essere il segnale di un ottimo rapporto e di comunicazione intensa oppure di una pessima relazione e di una comunicazione deteriorata. Gli aspetti comunicativi del silenzio riguardano: 1) i legami affettivi (il silenzio può essere indice di un legame profondo), 2) la funzione di valutazione (il silenzio può indicare approvazione o dissenso), 3) il processo di rivelazione (il silenzio può manifestare qualcosa o nascondere qualcosa), 4) una funzione di attivazione (il silenzio può indicare una forte concentrazione mentale o distrazione). Il silenzio è governato da un complesso di standard sociali che costituiscono le regole del silenzio. In generale il silenzio è associato a situazioni sociali in cui la relazione fra i partecipanti è incerta, poco conosciuta, vaga o ambigua. Inoltre il silenzio è associato a quelle situazioni sociali in cui vi è una distribuzione nota e asimmetrica del potere sociale fra i partecipanti, può infatti essere indice di superiorità sociale o inferiorità e quindi indicare lo status. Il silenzio inoltre presenta importanti variazioni culturali, nelle culture occidentali il silenzio viene evitato in quanto percepito come minaccia, invece in quelle orientali il silenzio è inteso positivamente come momento di riflessione.

·     555b16f ;     555b16f ; Il sistema cinesico.



Esso comprende i movimenti del corpo, degli occhi e del volto. I nostri movimenti non sono soltanto strumentali alle esecuzione di un compito o un'azione ma implicano la produzione e trasmissione di significati.

- La mimica facciale.

I movimenti del volto costituiscono un sistema semiotico privilegiato in quanto il volto è una regione elettiva del corpo per attirare l'attenzione e l'interesse altrui. Essi possono manifestare stati mentali, emozioni e atteggiamenti.
Ipotesi globale e ipotesi dinamica delle espressioni facciali. Un primo aspetto degno di nota riguarda i meccanismi sottesi alla produzione delle espressioni facciali. L'ipotesi globale ritiene che le configurazioni espressive del volto per manifestare i diversi stati emotivi sono Gestalt unitarie e chiuse, universalmente condivise, sostanzialmente fisse, di natura discreta, specifiche per ogni emozione e controllate da definiti e distinti programmi neuromotori innati. In tale visione si distinguono due livelli di analisi: 1) Livello molecolare, che riguarda i movimenti singoli e distinti dei muscoli facciali, 2) Livello molare, ovvero la configurazione finale che ne risulta (Ekman). Ekman e Frisen hanno elaborato il Facial Action Coding System (FACS) in riferimento al livello molecolare. Con questo sistema hanno individuato un continuum dei movimenti facciali in 44 unità di azione mediante le quali è possibile analizzare 7000 espressioni facciali nelle loro combinazioni. La teoria neuroculturale di Ekman ha combinato insieme il livello molecolare e il livello molare, attribuendo al primo l'azione del programma nervoso e affidando al secondo le regole di esibizione e modificazione dell'espressione emotiva. In alternativa a questa visione meccanicistica e additiva è stata proposta l'ipotesi dinamica per illustrare la genesi delle espressioni facciali. Essa prevede un processo sequenziale e cumulativo in ogni espressione facciale in quanto risultato dell'integrazione dinamica degli esiti delle singole fasi di valutazione della situazione interattiva ed emotiva. Le espressioni facciali costituiscono dunque configurazioni motorie momentanee, dotate di una notevole flessibilità e variabilità in virtù delle diverse situazioni e contesti.

Il valore emotivo vs. comunicativo delle espressioni facciali. Nell'ambito della psicologia delle espressioni facciali sono sorte due prospettive: una emotiva e una comunicativa. La prospettiva emotiva ritiene che le espressioni facciali hanno prevalentemente un valore emotivo in quanto sono immediate, spontanee e involontarie. Vi è isomorfismo tra espressione facciale ed emozione. L'emozione intesa come categoria e la relativa espressione facciale corrispondono ad una Gestalt unica, da qui i concetti di invariabilità culturale e universalismo. Secondo Ekman, sostenitore di tale prospettiva, le espressioni facciali sono un "segnale panculturale distintivo per ogni emozione". Una versione più "debole" della prospettiva emotiva è l'ipotesi dell'universalità minima ovvero l'ipotesi secondo cui esiste un certo grado di somiglianza tra culture diverse nel riconoscimento delle emozioni senza però prevedere un sistema di segnalazione innato delle emozioni. In opposizione alla prospettiva emotiva si pone la prospettiva comunicativa. In questa prospettiva le espressioni facciali hanno un valore eminentemente comunicativo poiché manifestano le intenzioni del soggetto il quale manifesta le diverse espressioni a seconda dei contesti e delle situazioni. Le espressioni facciali hanno valore sociale in quanto attraverso di esse i soggetti comunicano i loro obbiettivi e il fatto che tali espressioni permangano anche quando si è da soli è spiegato con il concetto della socialità implicita. Questa prospettiva pone una distinzione tra le espressioni facciali e stati interni in quanto non tutto ciò che appare sul volto è manifestazione di stati interni, inoltre ogni stato interno può essere espresso in modi differenti. Scompaiono dunque espressioni come "espressione autentica" ed "espressione falsa" in quanto ogni espressione è "messaggio". Il contesto assume una notevole importanza in questa prospettiva, infatti un'espressione facciale estrapolata dal suo contesto può risultare molto difficile da interpretare. La prospettiva comunicativa però non si contrappone in maniera imprescindibile dalla prospettiva emotiva anzi il dibattito attuale propone un'integrazione di quest'ultima nella prima.
Il sorriso. Il sorriso è uno dei segnali fondamentali della specie umana. Esso è simile filogeneticamente al "mostrare i denti in silenzio" delle scimmie come atto di sottomissione per acquietare e rasserenare il partner. Ekman e Frisen hanno individuato diciannove configurazioni diverse di sorriso tra cui ricordiamo il sorriso spontaneo (sorriso di Duchenne) in cui sono coinvolti tutti i muscoli facciali e vengono mostrati i denti, o il sorriso simulato (sorriso non-Duchenne) che coinvolge solo i muscoli zigomatici senza una partecipazione completa del volto. Studiosi come Darwin ed Ekman ritengono che il sorriso sia associato ad una esperienza di gioia o felicita, ciò però non sembra corretto in quanto non sempre tali emozioni si esprimono con il sorriso ovvero non c'è un legame necessario tra sorriso e d emozioni. Il sorriso è invece connesso all'interazione sociale in quanto promotore dell'affinità relazionale e regolatore dei rapporti sociali.

- Lo sguardo.

Al pari del sorriso lo sguardo rappresenta un potente segnale comunicativo a livello non verbale. L'occhio è una struttura nervosa molto complessa infatti sei dei dodici nervi cranici sono coinvolti nell'attività oculare. Inoltre i muscoli extraoculari sono i più innervati dell'organismo. La percezione visiva di un altro individuo è basilare per la sopravvivenza individuale e della specie. In particolare il contatto oculare (o sguardo reciproco) aumenta l'attivazione nervosa in molte specie, compresa quella umana.
Sguardo e conversazione. Nelle culture occidentali, durante la conversazione quotidiana, lo sguardo occupa una posizione preponderante e serve a catturare l'attenzione e l'interesse dell'interlocutore e a inviare e ricevere informazioni. Lo sguardo è un segnale efficace per gestire la regolazione dei turni. Lo sguardo funge da segnale di appello col quale si mostra la propria disponibilità a iniziare un'interazione. Nell'ambito della regolazione dei turni lo sguardo svolge una funzione di sincronizzazione (per evitare sovrapposizioni nell'avvicendamento dei turni), di monitoraggio (come dispositivo di controllo dell'interazione) e di segnalazione (mezzo con cui manifestare le proprie intenzioni).
Lo sguardo e la gestione dell'immagine personale. L'uso dello sguardo è inoltre strettamente legato alla determinazione di una propria immagine personale. Esso dimostra maggiore competenza, intelligenza, credibilità infatti si ha la convinzione (erronea) che chi guarda negli occhi non dica menzogne. Lo sguardo inoltre regola i rapporti di vicinanza e distanza nella gestione dell'intimità. Con lo sguardo possiamo cercare e ottenere consenso al proprio punto di vista in una conversazione. Anche le emozioni influiscono sullo sguardo nel senso che le emozioni positive incrementano i contatti oculari mentre quelle negative provocano un abbassamento dello sguardo.
La fissazione oculare. La fissazione oculare è un sguardo prolungato fra due persone che non può essere ignorato. Esso può avere valore diverso a seconda delle situazioni e dei contesti. Può essere percepito infatti come minaccia di pericolo da cui l'avvertenza popolare di non guardare in faccia agli estranei oppure nell'ambito della seduzione come "colpo di fulmine" o "amore a prima vista".
I gesti. I gesti, a differenza degli altri movimenti, sono azioni motorie coordinate e circoscritte, volte a generare un significato e a raggiungere uno scopo. E' opportuno procedere a una classificazione dei gesti anche allo stato attuale non c'è una categorizzazione condivisa tra gli studiosi.
Tipologia dei gesti:
a) Gesticolazione (gesti iconici o lessicali). Tali gesti sono definiti anche "illustratori" in quanto accompagnano il discorso. Possono essere "iconici" quando si riferiscono a realtà concrete o "metaforici" quando si riferiscono a concetti astratti. I questa categoria rientrano i gesti regolatori che servono alla sincronizzazione degli scambi nel corso della conversazione. Tutti questi gesti sono poco o per nulla convenzionalizzati in quanto ogni individuo tende a realizzare la propria serie idiosincratica di gesti.
b) Pantomima. Sono i gesti che costituiscono l'imitazione o rappresentazione motoria di un'azione, di una scena o di una situazione.
c) Emblemi (gesti simbolici). Sono gesti notevolmente convenzionalizzati come il segnale OK. Sono gesti solitamente compiuti a distanza e in assenza di linguaggio.
d) Gesti deittici. Sono movimenti di norma compiuti con l'indice per indicare un certo oggetto, una direzione o un evento a distanza. Anch'essi sono notevolmente convenzionalizzati.
e)Gesti motori (o percussioni). Sono movimenti semplici, ripetuti in successione e ritmici (per es. il tamburellare con le dita) che possono o meno accompagnare il discorso. Possono essere gesti di auto-contatto o di auto-manipolazione e anche se molto diffusi sono poco convenzionalizzati.
f)Linguaggio dei segni. E' il linguaggio utilizzato dai sordomuti e ha le proprietà di un linguaggio vero e proprio in termini di arbitrarietà nella relazione fra segno e referente. E' pienamente convenzionalizzato all'interno della comunità dei partecipanti ed è interessante notare che ogni linguaggio dei segni presenta variazioni dialettali in funzione delle comunità locali.

Gesti e parole. I gesti contribuiscono in maniera attiva alla precisazione del significato di un enunciato. Essi costituiscono un modo spaziale di rappresentazione simbolica e integrano il percorso proposizionale del significato attivato dal linguaggio, infatti il parlante produce gesti anche in assenza dell'interlocutore (per es. al telefono). E' interessante notare che nell'afasia scompaiono simultaneamente il linguaggio e i gesti iconici associati. I gesti iconici rendono più preciso e completo un significato in quanto possono offrire una rappresentazione spaziale di ciò che si sta enunciando o descrivendo. Inoltre i gesti hanno un valore pragmatico in quanto costituiscono dei marcatori dell'atteggiamento, possono infatti trasmettere irritazione, perplessità, disapprovazione di quanto un altro sta dicendo. Gesto e discorso sono generati simultaneamente dalla stessa rappresentazione di ciò che si comunica, manifestano la stessa intenzione comunicativa.
Gesti e culture. I gesti, più degli altri sistemi non verbali, presentano notevoli variazioni culturali. Infatti anche i cenni di dire sì o no col capo non sono universali, per esempio in Europa settentrionale scuotere il capo in senso verticale vuol dire si e in senso orizzontale vuol dire no, in Bulgaria accade il contrario oppure in Italia meridionale un colpo di testa all'indietro vuol dire no.


·     555b16f ;     555b16f ; Il sistema prossemico e aptico.

Il sistema prossemico e il sistema aptico sono sistemi di contatto. La prossemica concerne la percezione, l'organizzazione e l'uso dello spazio della distanza e del territorio nei confronti degli altri; l'aptica fa riferimento all'insieme di azioni di contatto corporeo con gli l'altro.

- Prossemica e territorialità.

L'uso dello spazio e della distanza implica un equilibrio instabile tra processi affiliativi (di avvicinamento) ed esigenze di riservatezza (di distanziamento). Viviamo dunque cercando il contatto con gli altri quindi la vicinanza spaziale ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di difendere il nostro spazio personale, la nostra privatezza. Questo equilibrio tra distanza e vicinanza è mediato attraverso la gestione della propria territorialità. Il territorio è un'area geografica che ha importanti risvolti psicologici. Esso si distingue in territorio pubblico e territorio domestico. Il primo è regolato da norme e vicoli ufficiali, il secondo è il territorio in cui l'individuo sente la libertà di muoversi in maniera regolare e abituale. Il territorio pubblico e quello domestico sono divisi da confini ben precisi sia fisici che psicologici. Il territorio pubblico può essere "marcato" attraverso la CNV, quindi attraverso segnali ben precisi. La gestione del territorio concerne anche la regolazione della distanza spaziale, che è un buon indicatore della distanza comunicativa tra gli individui. Solitamente distinguiamo tra:

Zona intima: (da 0 a 0,5 metri circa), è la distanza delle relazioni intime, ci si può toccare e si può sentire l'odore dell'altro.
Zona personale: (da 0,5 a 1 metro circa), è l'area invisibile che circonda continuamente il nostro corpo, è possibile il contatto ma non è possibile sentire l'odore dell'altro.
Zona sociale: (da 1 a 3,5/4 metri circa), è la zona dei rapporti meno personali ma dove l'individuo sente di potersi muovere liberamente come nell'ufficio o nel club degli amici.
Zona pubblica: (oltre i 4 metri), è la distanza tenuta in situazioni pubbliche.

La distanza ha un alto valore comunicativo in quanto può favorire l'intimità o comunicare la propria disposizione a relazionarsi o meno con l'altro. Anche la prossemica presenta notevoli differenze culturali e in generale possiamo distinguere tra culture della vicinanza e culture della distanza.

- L'aptica e il contatto corporeo.

L'aptica concerne le azioni di contatto corporeo nei confronti di altri. Si tratta di un bisogno fondamentale nella specie umana ma anche in quella di alcune specie animali. L'attività di grooming nelle scimmie occupa gran parte della giornata e serve a stabilire rapporti di affiliazione, di dominanza o sottomissione. Il tatto nel bambino piccolo è il principale veicolo comunicativo sia fisiologico (allattamento) che psicologico (rassicurazione). Nell'ambito dell'aptica distinguiamo le sequenze di contatto reciproco, che consistono nella successione di due o più azioni di contatto, e il contatto individuale che è unidirezionale ed è rivolto da un soggetto a un altro.  Per entrambi i tipi di contatto distinguiamo regioni del corpo "vulnerabili" e "non vulnerabili", le prime possono essere toccate solo dagli intimi o dagli specialisti, le seconde come mani, spalle, braccia possono essere toccate anche dagli estranei. Toccare gli altri comunque è un atto comunicativo non verbale che influenza la qualità della relazione tra due individui. Nei rapporti amorosi il contatto corporeo invia segnali di affetto e di attrazione sessuale, tali atteggiamenti in pubblico comunicano un segno di legame che individua la coppia che desidera essere lasciata sola. Il contatto può anche regolare rapporti di dominanza e potere poiché di solito chi occupa una posizione sociale dominante può toccare chi ritrova in una posizione di minor potere e non viceversa. In numerose circostanze il contatto è regolato da rituali, per esempio le congratulazioni nello sport, la stretta di mano in occasioni convenzionalizzate (religiose o laiche). Il contatto fisico può avere una serie di effetti contrapposti, in generale la persona che tocca è ritenuta più cordiale, simpatica, disponibile e estroversa. Esistono però anche per l'aptica notevoli differenze culturali. Anche in questo caso possiamo distinguere le culture del contatto (arabe e latine) dalle culture del non contatto (nordiche, giapponese e indiana).

·     555b16f ;     555b16f ; Il sistema cronemico


La cronemica concerne il modo in cui gli individui percepiscono e usano il tempo per organizzare le loro attività e per scandire la propria esperienza. La cronemica fa parte della cronobiologia ed è influenzata dai ritmi circadiani ovvero quei cicli fisiologici e psicologici del soggetto nelle 24 ore. Distinguiamo i cicli infradiani (cicli superiori a un giorno come il ciclo mestruale) e i cicli ultradiani (diversi cicli al giorno come il ritmo respiratorio). Tali ritmi sono influenzati da agenti sincronizzatori ambientali tra cui il più importante e il ciclo luce/buio. Ma esistono anche numerosi sincronizzatori connessi a fattori culturali, per cui possiamo distinguere tra culture veloci e culture lente. Le prime più tipicamente occidentali sono caratterizzate da clima freddo, orientamento individualistico teso al successo, progettualità orientata al futuro, equiparazione tempo/denaro, tendenza a svolgere un'attività alla volta nel minor tempo possibile. Le seconde invece sono più ancorate al presente e al passato, sono caratterizzate da clima più caldo, bassa industrializzazione, possibilità di svolgere pi attività contemporaneamente senza porsi limiti temporali, importanza notevole data alle pause come occasione di riflessione.


·     555b16f ;     555b16f ; Le funzioni della comunicazione non verbale.

- La metafunzione relazionale della comunicazione non verbale.

La CNV, come abbiamo già detto, contribuisce in maniera attiva alla produzione del significato accompagnando il sistema linguistico. Bisogna però precisare i limiti della CNV. Innanzitutto è necessario sottolineare un aspetto importante ovvero che la rappresentazione proposizionale appartiene soltanto al sistema linguistico, eccezion fatta per il linguaggio dei segni. Per cui la CNV può fornire soltanto una rappresentazione spaziale e motoria della realtà, ciò è dovuto a un grado limitato di convenzionalizzazione. Infatti esclusi i gesti emblematici, tutti i gesti sono poco o nulla convenzionalizzati. Dobbiamo chiederci dunque come mai continuiamo ad usare la CNV. Non può essere spiegata con Darwin che definiva i gesti come "inutili vestigia di abitudini ancestrali" ma possiamo affermare che la CNV costituisce la componente relazionale della comunicazione. Infatti la comunicazione non è costituita soltanto da "che cosa" è comunicato (componente proposizionale) ma anche dal "come" è comunicato (componente relazionale). Infatti nel comunicare non solo trasmettiamo consapevolmente informazioni agli altri ma intessiamo con loro relazioni sociali. Questa dunque è la funzione di base della CNV (metafunzione). Infatti i segnali non verbali servono a generare e sviluppare un'interazione con gli altri, a mantenere e rinnovare le relazioni nel corso del tempo, a cambiare una relazione, a estinguere una relazione. In generale l'efficacia relazionale della CNV dipende dalla stretta connessione tra interazione e relazione.

- Le principali funzioni psicologiche della comunicazione non verbale.

La CNV risulta fondamentale sul piano relazionale e interviene in diversi aspetti psicologici.
La manifestazione delle emozioni e dell'intimità:
Anzitutto al CNV serve a esprimere le emozioni. Infatti se esse fossero affidate esclusivamente al sistema linguistico non troverebbero modo di manifestarsi. L'enunciato Ti amo può assumere significati moto diversi tra loro a seconda dei gesti, delle espressioni facciali e del tono con cui viene detto. L'insieme dei segnali non verbali fornisce un quadro generale da cui è possibile operare le opportune inferenze per l'attribuzione di una certa emozione all'interlocutore. I segnali non verbali di segnalazione e significazione presentano un certo grado di universalità in quanto i movimenti sottesi ai segni sono governati da strutture e meccanismi neurobiologici geneticamente definiti, ma anche una notevole variabilità dovuta a differenze culturali, di personalità e situazionale. I segni non verbali possono essere o meno sottoposti a un certo controllo, e possono variare da un grado assai ridotto di controllo a un grado elevato di volontarietà. Nel primo caso si tratta di esternalizzazione più o meno automatica di quanto il soggetto prova dentro di sé (per es. trasalire in caso di forte rumore) oppure in altre circostanze, per es. in situazioni ufficiali, formali e solenni, possiamo governare e gestire i segnali non verbali guidati da una precisa intenzione per raggiungere un determinato scopo. In modo analogo la CNV svolge una funzione fondamentale nelle relazioni d'intimità. Quando la distanza interpersonale si riduce, aumentano la frequenza e l'intensità dei sorrisi, dei contatti oculari e corporei; si riduce lo spazio prossemico, la voce diventa flessibile, modulata e calda, aumenta la sincronizzazione degli scambi.
Relazione di potere e persuasione:
Per la specie umana come per quella animale la CNV assume una funzione essenziale nella definizione, difesa e mantenimento della dominanza. Sono numerosi i segnali non verbali che stabiliscono rapporti di dominanza e sottomissione. L'abbigliamento, la postura, lo sguardo: per es. tenere il mento proteso in avanti è un segnale di dominanza. Chi domina inoltre tiene il turno e interrompe più frequentemente gli altri per imporre il proprio ritmo di eloquio. Anche la territorialità è un segno non verbale di potere. Chi è dominante segnala la sua posizione con un uso attento dello spazio in termini di quantità e qualità. Dispone di uno spazio più ampio e limita notevolmente l'accesso agli altri. Analogamente il processo di persuasione è influenzato da segnali non verbali. Chi guarda più l'interlocutore, lo tocca lievemente ogni tanto, veste in modo appropriato ed elegante, non si tiene a distanza ha maggiori probabilità di ottenere condiscendenza.



- Discorso e conversazione.

·     555b16f ;    Le origini della scienza discorsiva.


- Una definizione del concetto di "discorso".


Ogni disciplina scientifica è un universo di discorso soggetto a continue riformulazioni. Ogni sapere scientifico è una pratica discorsiva regolata da specifiche procedure di produzione di senso o significazione. Curvare l'intero sistema scientifico nell'orizzonte del discorso significa sottolineare la dinamicità, l'apertura, la provvisorietà e l'inarrestabilità della ricerca. Parliamo di scienza discorsiva in contrapposizione alla scienza cognitiva sviluppatasi con l'avvento dell'informatica. In entrambi i casi gli studiosi sono aperti all'interdisciplinarità, in quanto interessati a due dimensioni della comunicazione umana decisive quanto rispondenti a logiche differenti: l'informazione e il significato. Nelle culture occidentali notiamo una polisemia che assegna al "discorso" il compito di dare consistenza alla razionalità e di prendersi cura degli eventi, infatti in greco logos significa tanto "parola" quanto "ragione" e in ebraico parola si dice dabar che significa anche "evento". Nel suo senso più ristretto "discorso" significa due cose: 1) Il parlare di qualcuno, ovvero la pratica di costruzione di senso che avviene negli scambi comunicativi con gli altri (per es. Il Presidente ha tenuto un importante discorso alla Camera). 2) Un "parlare comune", ovvero una qualsiasi pratica semiotica tesa a determinare intenzioni globali proiettate su un unico orizzonte di riferimento per es. politico, religioso, scientifico ecc. (per es. "discorso di Sinistra", "discorso di Destra", "discorso Positivista" ecc.). Se ci soffermiamo a considerare il discorso come qualsiasi pratica di produzione di senso ci rendiamo conto che la società umana è costruita discorsivamente.

- Scienza discorsiva e postmoderno.

La recente "svolta discorsiva" delle scienze umane è in sintonia con le istanze del postmoderno, orientamento teorico teso a rivedere i fondamenti del sapere umano ancorato al modernismo meccanicistico. Nella tradizione moderna la psiche è considerata una "macchina" autosufficiente, dotata di procedure autonome per rapportarsi al mondo; la psicologia moderna infatti tende ad analizzare separatamente le singole funzioni della mente come se fossero entità autonome. La psicologia postmoderna invece studia il funzionamento della mente nei contesti effettivi di vita quotidiana delle persone. Il modernismo studia il linguaggio come specchio della mente, della sua organizzazione, delle intenzioni, motivazioni e sentimenti. Il postmoderno ricorre al termine "discorso" come ragnatela tessuta autopoieticamente da cui l'uomo trae il senso globale della sua identità e della sua appartenenza a una comunità socioculturale. Si ha dunque uno slittamento dal linguaggio specchio della "realtà" al discorso che crea la realtà.


- Tra realismo e costruzionismo sociale.

Il postmodernismo mette quindi in discussione l'oggettivismo del modernismo opponendo, alla realtà come "dato", una realtà come "costrutto". La scienza moderna si è costruita intorno all'oggettivismo che costituisce una "posizione predefinita", più che una teoria, che pone la realtà come qualcosa che esiste al di fuori dell'uomo e che è conoscibile in maniera, appunto, oggettiva. Invece per il costruzionismo sociale sono le pratiche discorsive che creano l'orizzonte di riferimento attraverso cui l'uomo definisce ciò che è reale, in parole povere la realtà emerge dalle pratiche discorsive. Nella sua versione radicale il costruzionismo sociale sfocia nel relativismo, nel solipsismo e nell'idealismo. Nella versione debole il sociocostruzionimo rifiuta il relativismo approdando a un "realismo critico" (è possibile conoscere qualcosa della realtà quale essa è) opposto a un "realismo ingenuo" tipico del modernismo e del senso comune.


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- Le origini dell'analisi del discorso.

Entro l'orizzonte del costruzionismo sociale ha preso forma negli ultimi trent'anni un orientamento di studio noto come Analisi del Discorso (AD). Si tratta dello studio della produzione di senso attraverso pratiche discorsive. Pur nella varietà degli approcci gli studiosi condividono due assunti di base: 1) la natura socio-costruttiva della conoscenza, 2) il carattere interazionale del significato. Gli studi sulla discorsività umana cominciano ad avere maggiore salienza nel 1964, ma ci vorranno altri dieci anni per vedere i primi risultati essendo all'epoca molto in voga la posizione innatista di Chomsky. L'opposizione al paradigma di Chomsky produsse due principali direzioni di ricerca caratterizzabili come Analisi del Discorso: l'una è la linguistica testuale che sottolinea l'aspetto Gestaltico del parlare, l'altra è la pragmatica linguistica che analizza il parlare come azione.
- Foucault collega la produzione dei discorsi alle forme di potere. La finalità ultima del discorso è il raggiungimento di un ordine: la regolarità del mondo una volta enunciata dà alla sua parvenza di ragionevolezza il valore di comando.
- Habermas invece collega alla nozione di "discorso" l'aspirazione ad un'etica sociale. Il discorso individua quella "situazione linguistica ideale" che possiamo riconoscere come istanza regolatrice suprema della socialità umana.
- Van Dijk invece introduce una nuova direzione di ricerca chiamata Analisi Critica del Discorso (ACD).

- Il "Circolo di Bachtin"-

Intorno agli anni '20 e '30 del Novecento opera a Pietroburgo e a Vitebsk un gruppo di intellettuali noto come Circolo di Batchin, dal nome dello studioso che lo anima. Nelle loro discussioni vennero filtrati i principi del marxismo per adattarli alle scienze del linguaggio e della letteratura. Il punto di partenza è il dialogismo, secondo cui il significato di un testo - da una frase a un romanzo - è dato non solo dal suo autore ma anche dalla relazione col suo destinatario. Esiste dunque una sorta di dialogo tra autore e destinatario. Il dialogismo si specifica nel concetto di eteroglossia, che mia ad evidenziare la trama polifonica sottesa all'atto comunicativo. Secondo Batchin il significato di una parola è una mera potenzialità che si realizza allorché la parola incontra un "contesto di enunciazione". Il dialogo è il modello di comunicazione umana anche della comunicazione interiore dove il monologo interno della coscienza è un confronto di più voci. Batchin ha elaborato la distinzione del discorso in generi primari e generi secondari. I primi danno vita alla comunicazione così come avviene quotidianamente nella vita di tutti i giorni, i secondi invece sono definiti istituzionalmente (dibattiti parlamentari, comizi, seminari ecc.). Batchin è certamente un precursore del sociocostruzionimo in quanto sostiene che "l'espressione organizza l'esperienza".

- Il punto di vista della etnometodologia.

L'etnometodologia è lo studio dell'insieme delle pratiche concrete che i membri di una società usano per agire al suo interno e delle tecniche cui fanno ricorso per interpretare il loro mondo sociale. L'etnometodologia tende a cogliere il punto di vista del soggetto e la sua percezione delle attività tipiche della sua cultura o gruppo di appartenenza. L'obiettivo è quello di rendere esplicito ciò che è implicito. L'assunto di base è che le attività attraverso cui si producono e si gestiscono le relazioni quotidiane sono "spiegabili" in base agli stessi procedimenti messi in atto dai soggetti. Per raggiungere tale "spiegabilità" l'etnometodologia fa ricorso a due caratteristiche fondamentali delle pratiche quotidiane: l'indessicalità e la riflessività. La prima si riferisce al fatto che le attività pratiche sono strettamente legate al contesto di uso e di conseguenza il loro significato dipende dalle condizioni contestuali; quindi si prediligono spiegazioni locali e contingenti piuttosto che oggettive e che fanno riferimento a categorie universali. La seconda, che fa riferimento all'indessicalità, è la riflessività delle spiegazioni. Con questo concetto si vuole superare la dicotomia tra le "pratiche quotidiane" e la loro spiegazione. I membri di una comunità costruiscono e spiegano l'organizzazione sociale interna utilizzando procedure identiche, ovvero la società fornisce le categorie sia per interpretare che per interagire. Possiamo dunque dire che l'etnometodologia è lo studio delle pratiche discorsive.

- Testo ed enunciazione.

Anche dalla linguistica provengono importanti contributi per comprendere i processi sottesi alle pratiche discorsive. A livello "micro" abbiamo i morfemi (unità semplici dotate di significato) e le frasi (totalità organizzate che organizzano i fonemi e i sintagmi). A livello "macro" bisogna introdurre la nozione di testo. La linguistica testuale ha individuato diverse regole della testualità, quali:
1) la coesione (rispetto della grammatica)
2) la coerenza (attinenza a un particolare tema)
3) l'intenzionalità (sintonia con gli scopi del parlante)
4) l'accettabilità (considerazione delle aspettative e delle capacità inferenziale dell'uditorio)
5) la situazionalità (congruenza con le circostanze)
6) l'informatività (indica il grado di prevedibilità di ciò che le componenti testuali propongono in base alla loro probabilità attesa)
7) l'intertestualità (esibisce il gioco dei rinvii e dei richiami tra le componenti testuali per cui ogni testo è riconoscibile per il sistema di somiglianze e differenze rispetto ad altri testi.
I linguisti dell'enunciazione mirano a reperire gli ancoraggi della soggettività alla situazione di interlocuzione. Tra gli strumenti discorsivi che gli esseri umani utilizzano per individuarsi come soggetti ci sono le espressioni deittiche come i pronomi personali, dimostrativi, locuzioni spazio-temporali.

Contesto e diatesto.

La pratica discorsiva mira a far risaltare il valore di ciò che le persone fanno con le parole. La prospettiva pragmatica fa inevitabilmente riferimento alla teoria degli atti linguistici. La nozione di azione sociale è la base fornita dalla pragmatica linguistica all'AD, poiché interessata a reperire l'ordine interazionale del discorso. Il discorso è un costrutto teorico intrinsecamente interattivo: se qualcuno parla necessariamente c'è un destinatario, anche nel caso del monologo è previsto uno sdoppiamento tra il "sé parlante" e il "sé in ascolto". Il discorso richiede l'apporto di un'intenzione condivisa entro cui le parole, i gesti e i segni ricevono il loro significato dall'uso che le persone ne fanno all'interno delle interazioni. L'interazione discorsiva è resa possibile dall'attivazione tacita di uno sfondo di conoscenze condivise. Non sarebbe possibile una comunicazione qualora mancasse un'intersoggettività condivisa. In questo ambito la funzione del contesto assume una rilevanza fondamentale per l'attribuzione di senso di ciò che avviene in un'interazione. Halliday ha analizzato l'azione del contesto sul testo in termini di tre dimensioni: il campo (che cosa dice?), il tenore (perché dice ciò che dice?), e il modo (come appare per come lo dice?). La nozione di contesto come diatesto mette in evidenza che il contesto non si limita a far da cornice agli enunciati ma penetra nell'azione dialogica della loro progettazione da parte degli interlocutori.

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La metodologia dell'AD, vista la sua configurazione teorica, è di natura qualitativa in quanto le pratiche di produzione di senso sono connesse alle variazioni contestuali e alle implicazioni soggettive. Tuttavia è possibile e utile fare ricorso a metodi quantitativi, per es. nel misurare la frequenza di una data parola o di un gesto. L'AD fa inevitabilmente riferimento alle risorse interpretative dei partecipanti all'interazione discorsiva. Non possiamo parlare di metodo ma di metodi dell'AD riferiti ai diversi quadri teorici. Le interazioni discorsive possono essere esaminate in diversi modi e con diverse finalità, per cui la variazione dei risultati è considerata ricchezza interpretativa e non come fonte di errore. E' possibile comunque tracciare alcune linee guida di AD su cui esiste unanime consenso tra gli studiosi. Esse concernono i seguenti aspetti: a) naturalità, b) con testualità, c) oralità, d) socialità, e) indessicalità, f) sequenzialità, g) costruttività, h) dimensionalità, i) significanza, l) regolarità. Pur nella varietà di questi aspetti ogni metodologia tende ad attuare un proprio percorso. Per esempio l'Analisi Proposizionale del Discorso integra metodi qualitativi e quantitativi avvalendosi del supporto informatico.

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Quando l'AD incontra gli interessi della psicologia ecco che nasce un nuovo ambito. La psicologia discorsiva ha come oggetto di indagine la produzione, la comprensione e lo scambio del significato come fulcro che attiva la mente. In questa prospettiva prevale una psicologia dell'azione intesa appunto come studio di ciò che le persone fanno con le parole. Il passaggio dalla "rappresentazione" all' "azione" implicato dalla psicologia discorsiva è ben esemplificato dal concetto di repertorio interpretativo: infatti non si dà prima una rappresentazione di un fenomeno e poi la sua diffusione attraversi il linguaggio, ma è la pratica discorsiva a fornire (o imporre) un certo punto di vista. Questa impostazione non è antitetica alla psicologia cognitiva, che anzi valorizza gli aspetti cognitivi della comprensione, produzione e rievocazione dei testi. Nei processi di comprensione del discorso si assiste a una oscillazione tra il senso comune e il senso critico, l'uno che dà per scontata la comprensione automatica, l'altro che ritiene impossibile una corrispondenza tra le menti. Emerge dunque il paradosso per cui le persone sono e non sono in grado di capirsi. E' opportuno ricordare quindi i concetti di opacità intenzionale e di stabilità e instabilità dei significati. Si riscopre dunque la retorica come studio dell'impianto argomentativo delle pratiche discorsive. Infatti i processi comunicativi sono tendenzialmente confronti fra argomentazioni. In questo gioco le pratiche discorsive contribuiscono alla definizione dell'identità personale e si assiste a meccanismi come il posizionamento e il resoconto. Nel gioco interattivo del discorso ogni parlante posiziona sé e gli altri attribuendo intenzioni o qualità.

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Nell'ambito delle pratiche discorsive un posto di rilievo è occupato dalla conversazione, ovvero quelle forme di interazioni discorsive in cui due o più partecipanti si alternano spontaneamente a parlare. Si tratta di un'attività polifonica che occupa buona parte del tempo libero ma anche di quello lavorativo. In generale si può intendere la conversazione come il risultato di un'interazione tra due o più individui, spesso caratterizzati da interessi divergenti, orientati al raggiungimento di uno scopo. L'analisi della conversazione ha lo scopo di individuare regolarità, routine e procedure della conversazione e di rendere leggibili i fenomeni comunicativi sottesi a questa pratica ricorrente.



- Organizzazione complessiva della conversazione.

Innanzitutto la conversazione è un'interazione comunicativa caratterizzata da una enorme variabilità e flessibilità, ovvero può coinvolgere due o più partecipanti, essere più o meno formale, durare pochi minuti o delle ore, riguardare qualsiasi argomento. Nonostante la sua apparente caoticità, dovuta essenzialmente al suo carattere spontaneo, la conversazione presenta una organizzazione complessiva che risponde a una struttura socialmente condivisa. In linea di massima la conversazione è caratterizzata da tre fasi: 1) Apertura (identificazione e riconoscimento reciproco dei partecipanti), 2) Argomentazioni (sviluppo di uno o più argomenti), 3) Chiusura.
La sezione di apertura comprende l'avvio della conversazione da parte di uno dei due partecipanti attraverso saluti più o meno formali. Essi hanno una funzione introduttiva e rispondono a regole convenzionali, esempio di apertura:

A: Ciao Paola! Come stai?
B: Io bene, e tu?
A: Anch'io, tutto bene. E' da un po' che non ci si vede.

Il saluto implica il riconoscimento reciproco fra le persone, invece qualora i due fossero estranei di solito c'è un terzo che introduce i due.

Argomenti. Dopo i saluti la conversazione prevede lo sviluppo di uno o più argomenti. La durata di tale sviluppo varia a seconda dell'argomento, può essere molto breve se si tratta di chiedere una semplice informazione. Lo sviluppo degli argomenti implica un impegno comunicativo personale e diretto dei partecipanti soprattutto se sono due, se invece sono numerosi qualcuno può rimanere maggiormente in secondo piano. L'articolazione degli argomenti non segue regola o una sistematicità, essa infatti è per lo più casuale soprattutto se si procede per associazione libera. Ogni argomento affrontato ha un potenziale di continuità più o meno cogente che dà la possibilità all'interlocutore di proseguire e manifestare il suo punto di vista. L'argomento ha dunque una sua inerzia comunicativa che da a tutti la possibilità di discorrere nel medesimo ambito
[h1] . Tale continuità consiste essenzialmente nella condivisione di un dato fuoco comunicativo, ovvero la condivisione del medesimo percorso di senso. Un cambiamento di argomento può essere marcato e segnalato sul piano comunicativo sia a livello verbale, sia a livello non verbale. In sostanza si può comunicare esplicitamente la volontà di introdurre un nuovo argomento oppure implicitamente attraverso un gesto o un cambiamento di tono della voce.
Sezione di chiusura. La chiusura di norma avviene in maniera dolce con la presenza di coppie adiacenti e simmetriche, come in:
A: Ok Paola, allora ci vediamo alle tre al bar.
B: Va bene.
A: Va bene?
B: D'accordo. Ci vediamo là.
A: Va bene. Ciao.
B: Ciao.

Tale ripetizione serve a gestire il momento della chiusura e della separazione, anche se momentanea.

L'avvicendamento dei turni.

Si ha una conversazione quando si ha un avvicendamento dei turni: i turni in una conversazione a due si susseguono secondo una sequenza del tipo A-B-A-B ecc. Possono verificarsi delle sovrapposizioni tra i due parlanti me è singolare notare che esse occupano, normalmente, meno del 5% della conversazione e durano pochi decimi di secondo ciascuna. La conversazione dunque, nonostante le apparenze, è una interazione molto ordinata. A riguardo è stato osservato un sistema a gestione locale che consente l'alternanza fluida dei turni. Ogni parlante è responsabile della costruzione del turno, inteso come unità minima di parole compresa tra due possibili segnali di intesa fra i partecipanti. Il turno diviene così una unità comunicativa che è frutto di una azione coordinata tra i partecipanti. Il punto finale di tale unità è il punto in cui i partecipanti possono avvicendarsi nel turno: si tratta di un punto di rilevanza transizionale (PRT) che segna il momento in cui è possibile che si verifichi uno scambio del turno fra parlante e ascoltatore. Tale passaggio è regolato dalla minimizzazione della pausa fra i turni (gap) nell'ordine dei decimi di secondo, nella cultura Occidentale, al fine di rendere più fluida la conversazione. I PRT sono regolati da una serie di regole che consentono uno spazio di negoziazione fra i parlanti. Riportiamo alcune di queste regole (valide per lo più nella cultura Occidentali):
- Conservazione del turno. Un parlante può comunicare di voler conservare il turno e quindi di proseguire a parlare innalzando la media di intensità della voce alla fine di un enunciato e/o incrementando la velocità di articolazione impedendo così un'eventuale interruzione. Anche una pausa piena può indicare che è terminato un pensiero ma non tutto il discorso.
- Cessione del turno. Quando un parlante vuole cedere il turno solitamente lo fa utilizzando le pause vuote. Tali pause indicano che la presa del turno da parte dell'interlocutore è accettata o richiesta. L'interlocutore può anche essere invitato esplicitamente a prendere il turno attraverso una vera e propria richiesta di intervento con domande del tipo: Giusto? D'accordo? Non è vero? Ecc.
- Richiesta del turno. E' una situazione standard cercare di interrompere il parlante per prendere la parola ma può succedere che il parlante non faccia pause abbastanza lunghe da consentire uno scambio di turno. L'interlocutore fa dunque ricorso ai cosiddetti inizi balbettanti (ad es. io.io.io. , ma.ma.ma.) oppure con continui cenni di assenso verbali e non o ancora impadronendosi del turno alzando la voce in modo da superare quella del parlante.
- Rifiuto del turno. Altra situazione è quella in cui il parlante manifesta la sua intenzione di cedere il turno e l'ascoltatore rifiuta incoraggiandolo a proseguire con cenni di assenso ed espressioni facciali di approvazione.
- Conversazione continua o discontinua. La continuità o la discontinuità di una conversazione dipende dalla frequenza e dalla durata dei silenzi fra un turno e quello successivo. Il silenzio interno durante un turno è considerato una pausa che per essere tollerata non deve essere troppo lunga. Di norma il silenzio viene minimizzato con la presa di turno da parte dell'interlocutore. Un silenzio prolungato può costituire una scorrettezza comunicativa che può esprimere scarso interesse per l'interazione, disattenzione o anche un rifiuto non ancora esplicitato a seguito di una proposta o un invito.
Il silenzio inoltre serve ad evitare le sovrapposizioni e, qualora si verifichino, entrano in gioco un sistema di risoluzione rapida per cui uno dei due smette di parlare e l'altro sintetizza ciò che è risultato incomprensibile a causa della sovrapposizione. La gestione dei turni è dunque l'esito di un processo di negoziazione comunicativa.

- Le sequenze complementari.

Le sequenze complementari rappresentano un altro processo conversazionali a gestione locale. Sequenze complementari tipiche sono le coppie domanda/risposta, saluti/saluti, invito/accettazione, scuse/minimizzazione ecc. Queste sequenze hanno le seguenti caratteristiche: a) sono adiacenti fra loro, b) sono prodotte da parlanti diversi, c) si distinguono in una "prima parte" e una "parte complementare", d) costituiscono routine comunicative.
- Il concetto di preferenza. Le componenti complementari possono essere preferenziali o non preferenziali. Preferenza è intesa a livello comunicativo come marcatezza. Le componenti preferenziali sono "non marcate" ovvero semplici e fluenti, quelle non preferenziali sono invece "marcate" e più complesse ed elaborate.
- Secondi turni non preferenziali. In linea generale dall'analisi di protocolli di molte conversazioni emerge che i complementi preferenziali sono solitamente i consensi mentre quelli non preferenziali sono i rifiuti. D solito i secondi turni non preferenziali sono caratterizzati da alcuni indizi quali: a) indugio, b) prefazione prima di manifestare il rifiuto, c) spiegazione per giustificare il rifiuto.
- Le sequenze preferenziali e la correzione. Il concetto di preferenzialità si estende anche ad altri fenomeni comunicativi quali la correzione in caso di errori o fraintendimenti. La procedura di correzione serve a mantenere la continuità della conversazione e ad affrontare eventuali incomprensioni. Le sequenze preferenziali della correzione prevedono questo ordine: a) correzione spontanea, b) correzione sollecitata attraverso l'iniziatore di correzione del turno successivo, c) correzione sollecitata dall'interlocutore.

- Le pre-sequenze.

Le pre-sequenze sono scambi comunicativi che prevedono turni preliminari come:
A: Che fai Giorgio?
B: Niente.
A: Hai voglia di venire al bar con me?

In sostanza l'appello preliminare di A anticipa il turno successivo in cui spiega le ragioni dell'appello. Le pre-sequenze si manifestano anche nei pre-annunci dove: a) Il turno preliminare serve a richiamare l'attenzione e l'interesse dell'interlocutore, b) l'interlocutore si mostra interessato, c) il parlante finisce di spiegare ciò che ha preannunciato. Se però l'interlocutore è già a conoscenza di ciò che è stato preannunciato lo scambio perde il suo valore conversazionale. Anche le pre-richieste costituiscono un modo di gestire uno scambio delicato fra i partecipanti e preparano il parlante a un accoglimento o a un rifiuto.

- Variazioni culturali nella conversazione.

La conversazione rappresenta un sistema comunicativo universale in quanto si ritrova in tutte le culture. Tuttavia alcune differenze e variazioni culturali sono presenti. Emergono differenze soprattutto in termini di loquacità e di frequenza nell'attività di conversare. Le popolazioni africane, sudamericane e latine sono molto loquaci e considerano il silenzio pesante e minaccioso mentre alcune popolazioni dell'India meridionale parlano pochissimo e anzi considerano offensive le persone loquaci. In alcune culture (asiatiche, indiane) è fondamentale conoscere la status sociale dell'interlocutore per stabilire che forme linguistiche usare. Nelle culture occidentali la gerarchia sociale non ha più alcuna importanza. Anche nella gestione delle coppie adiacenti come i saluti troviamo notevoli differenze culturali. In alcune culture chi è socialmente inferiore deve salutare per primo. Inoltre molto spesso il saluto è legato alle condizioni di salute dell'interlocutore per es. Come stai? How do you do? Comment ca va? Ecc. In Giappone una domanda del genere è altamente offensiva. Ci sono differenze culturali anche nella durata media delle pause tra un turno e l'altro, negli USA è di circa 0,5 secondi mentre in Francia e in Italia è di 0,3, ciò può provocare sovrapposizioni tra interlocutori di culture diverse.



-     555b16f ;    Discomunicazione e comunicazione patologica


·     555b16f ;     555b16f ; Verso una definizione di discomunicazione.

Innanzitutto dobbiamo sottolineare quanto la comunicazione possa essere efficace pur non dovendo essere necessariamente esplicita. Dobbiamo altresì dire che la comunicazione è sempre un'attività a rischio per cui l'idea di base della psicologia del senso comune della trasparenza semantica e intenzionale va superata. Rispetto alla comunicazione per default parliamo di discomunicazione in tutti quei casi in cui gli aspetti impliciti e indiretti della comunicazione prevalgono su quelli espliciti e diretti. E' un dire per non dire. La discomunicazione non è soltanto una mancanza o violazione delle regole di comunicazione, ma comprende anche la comunicazione ironica, menzognera, deduttiva il linguaggio figurato, della finzione e la parodia. Non è possibile tracciare un confine preciso tra comunicazione per default e discomunicazione, fra esse infatti c'è un continuum che impedisce una separazione o dicotomia. Più che nella comunicazione per default, nella discomunicazione abbiamo una condizione di opacità intenzionale in quanto l'intenzione comunicativa dell'attore risulta essere diversa da quella espressiva (o informativa). La discomunicazione conduce dunque a un messaggio plurivoco lasciando al destinatario la responsabilità di sciogliere l'ambiguità e di scegliere un percorso di senso fra quelli suggeriti dall'attore. Per cui la discomunicazione non va vista solo come una mancanza o violazione di regole comunicativa ma anche come un'opportunità di arricchire la comunicazione. La discomunicazione è alla base della comunicazione intrigante, intesa come dimensione peculiare della comunicazione umana.

·     555b16f ;     555b16f ; La comunicazione ironica.

Tradizionalmente l'ironia è considerata al pari di altre figure retoriche come l'antinomia, la metafora, l'iperbole ecc. Essa è basata sull'antifrasi: cioè esprimere un enunciato per fare intendere l'opposto del suo significato lessicale. Osserviamo infatti un'inversione semantica tra il significato lessicale (manifesto) e il significato implicito. Ironia deriva del Greco
eirwneia , che significa "finzione". L'ironia non è solo una figura retorica o uno stratagemma linguistico ma è anche uno strumento per gestire significati e relazioni.

- La famiglia delle ironie.

L'ironia non è un fenomeno unico e fisso, bensì compre una famiglia di processi discomunicativi che qui elenchiamo:
L'ironia sarcastica: consiste nel disprezzare il partner attraverso parole di elogio, ha lo scopo di mantenere un atteggiamento fortemente critico ma senza scomporsi.
L'ironia bonaria: consiste nell'elogiare il partner con espressioni di critica, serve a stemperare l'euforia e a mitigare l'imbarazzo che deriverebbe da un elogio esplicito.
L'ironia socratica: è un modo di esprimersi elegante, garbato e ingegnoso per criticare mode e dogmi senza sbilanciarsi né compromettersi.
L'ironia scherzosa: è la classica battuta di spirito che serve a sdrammatizzare una situazione sconveniente o conflittuale.
Nelle società occidentali pare si faccia uso più spesso dell'ironia sarcastica poiché, secondo l'ipotesi dell'asimmetria dell'affetto, la natura intrinseca dell'ironia è nella volontà di attaccare o di aggredire.

- Principali teorie sulla comunicazione ironica.

La prospettiva razionalista. Impostazione avanzata da Grice che ha formalizzato il concetto di antifrasi. L'enunciato ironico consiste nel "dire p facendo capire non-p"; l'ironia consiste dunque nella trasgressione della massima di Qualità. L'ironia comunque è una strategia comunicativa indiretta ma chiara, non equivoca.
La prospettiva machiavellica. L'ironia può essere considerata come un'azione comunicativa volta ad ottenere degli effetti sul partner senza considerare il rispetto delle regole formali della conversazione e della veridicità di ciò che si dice. L'attenzione si sposta dunque dall'analisi della composizione linguistica ai processi relazionali. L'ironia in questo caso è una violazione delle attese contestuali. E' in gioco un tipico cambiamento di "passo", ovvero il passaggio dal serio allo scherzoso o dal letterale all'ironico.
La teoria ecoica (o della menzione). Sperber e Wilson hanno individuato altri aspetti psicologici dell'ironia e la hanno intesa come rievocazione di pensiero, azione e atteggiamento tipico del partner. Con un commento ironico il parlante produce un enunciato che fa da eco a quanto detto in precedenza dal partner. In questo caso la comunicazione ironica è sia una menzione implicita(eco) di quanto detto dal partner, sia la manifestazione di un atteggiamento verso il pensiero del partner. In questo ambito si pone la cosiddetta ironia citazionale, ovvero l'ironia intesa come citazione di quanto avvenuto prima.
La prospettiva teatrale. La comunicazione ironica è stata interpretata anche come "finzione". Si tratta di una finzione trasparente in quanto il parlante fa finta di credervi e al contempo, attraverso segnali paralinguistici, fa capire che si tratta di una finzione. Anche la simulazione rientra in questa prospettiva e consiste nell'enunciare una frase in tono serio (per es. un elogio) ma che in realtà nasconde un significato sarcastico per il reale destinatario che , da complice, riesce a comprenderlo. Per es. la frase di A: Ottima questa cena a base di funghi porcini risulta essere un elogio per B (un estraneo qualunque) ma non per C che insieme ad A condivide la conoscenza del fatto che D (un amico comune) è allergico ai funghi. C comprende, in quanto complice, il significato ironico che quella frase ha per D. In tal senso l'ironia si avvicina alla parodia, che si fonda sul principio dell'antinomia. La parodia mette in chiaro una contrapposizione tra due termini, per es. tra un personaggio e un avvenimento (o evento, circostanza). Ma ironia e parodia implicano una forma di complicità tra parlante e destinatario che consiste nella condivisione di uno specifico patrimonio di conoscenze.

- Funzioni psicologiche della comunicazione ironica.

La comunicazione ironica è una comunicazione obliqua in quanto mostra ciò che nasconde e nasconde ciò che dice. E' un dire per non dire. L'ironia è una maschera densa di senso che rende molto flessibili i confini del significato. Essa rappresenta emblematicamente la dialogicità discorsiva secondo cui la parola non è unidimensionale (monosemia) ma plurivoca (polisemica). Sul piano psicologico essa svolge alcune funzioni.
- Comunicazione ironica come rispetto delle convenzioni (come aggirare la censura in modo culturalmente corretto).
Si può ricorrere all'ironia per dire efficacemente ma implicitamente (diplomaticamente) ciò che risulterebbe sconveniente e scorretto se detto nelle forme esplicite. Ciò serve anche a gestire in maniera ottimale le relazioni interpersonali , l'immagine di sé e l'autocontrollo rispettando appieno le norme della desiderabilità sociale e i canoni impliciti della propria cultura. Lo humour inglese risponde proprio a queste caratteristiche e inoltre ha la funzione di separarsi dalle emozioni controllandole.
- Comunicazione ironica come confine di riservatezza (come proteggere lo spazio personale).
Si può usare l'ironia anche per conservare dignità e contegno. Infatti l'ironia serve anche a tutelare il proprio spazio personale e a proteggere la propria riservatezza (Privacy). L'ironista in questo senso non scopre apertamente le sue carte proprio per tutelare una sua posizione lasciando spazio aperto alle interpretazioni.
- Comunicazione ironica come ambiguità relazionale (come rinegoziare i significati).
Un vantaggio dell'ironista sta nel fatto che la comunicazione è in bilico tra l'esplicito e l'implicito, in modo tale egli può spostare il confine semantico fra le diverse possibili interpretazioni. L'ironista gode dell'efficacia della parola e dell'innocenza del silenzio, per cui possiamo parlare di polisemia pragmatica in quanto il messaggio ironico offre diversi percorsi di senso lasciando al destinatario la responsabilità di dare una interpretazione. In tal modo l'ironista si libera della responsabilità comunicativa. L'ironia quindi serve a regolare il peso dell'implicito attraverso una mitigazione dell'implicito o una accentuazione dell'implicito. Un commento sarcastico a una brutta figura è più leggero di un insulto aperto (mitigazione), oppure può essere più mirato e calcolato (accentuazione) e quindi più incisivo di una critica aperta.




- La voce dell'ironia.

Anche l'intonazione della voce caratterizza un enunciato ironico. Studi sperimentali sulla voce dell'ironia dimostrano che, in generale, il tono di voce utilizzato nella comunicazione ironica è acuto e modulato , di intensità elevata e dal ritmo rallentato. Ci sono poi differenze a seconda se si tratta di ironia sarcastica o bonaria. Differenze di tono esistono anche tra la comunicazione ironica e quella menzognera, infatti le parole dell'ironia sono finte mentre quelle della menzogna sono false.

- Lo script ironico.

Occorre illustrare come, a livello psicologico, l'ironia sia un gioco comunicativo di "fioretto". Infatti i duellanti impugnano il fioretto, non la spada e infatti colpiscono pungendo con eleganza. Il commento ironico segue uno script ironico (un copione) che si svolge in diverse fasi:
- Premessa. E' il bagaglio di conoscenze (testuali o contestuali) reciproche condivise dagli interlocutori e costituisce l'orizzonte di riferimento all'interno del quale si colloca lo scambio ironico.
- Evento focale. Tale evento costituisce l'oggetto del commento ironico. Esso può accadere in maniera indipendente dagli interlocutori.
- Commento ironico. E' la manifestazione di una determinata intenzione comunicativa da parte dell'autore con la quale può elogiare, disprezzare, sdrammatizzare l'evento focale.
- Effetto ironico. Il commento ironico produrrà un certo effetto. La natura di questo effetto dipende dall'interpretazione che il destinatario fa del commento ironico. Le contromosse del destinatario infatti possono essere tre: a) il fraintendimento, ovvero il destinatario non coglie l'intenzione ironica e si ferma al significato letterale, b) il disconoscimento, ovvero il destinatario comprende l'intenzione ironica ma per convenienza fa finta di nulla e si ferma di proposito al significato letterale, c) il touchè, l'ironia coglie nel segno e il destinatario accetta di essere stato colpito mostrandosi divertito o ferito.

·     555b16f ;     555b16f ; La comunicazione seduttiva.

Lo studio dei processi comunicativi che regolano la vicinanza e la distanza fisica e psicologica tra gli individui è un ambito molto importante in psicologia della comunicazione. La regolazione di tali processi è complessa, dinamica e suscettibile di continue variazioni. La seduzione è un importante processo di avvicinamento tra le persone il cui esito sperato è quello di una riduzione drastica della distanza psicologica fra due individui. Essa può essere definita come una sequenza strategica e intenzionale di mosse il cui traguardo è quello di attrarre (anche sul piano sessuale) un'altra persona (di solito, di sesso opposto). La seduzione ha lo scopo di raggiungere una relazione intima con il partner e può essere guidata da sentimenti forti quali l'innamoramento o dall'esigenza di provare la propria competenza interattiva. La seduzione è accompagnata da un processo comunicativo specifico che chiamiamo comunicazione seduttiva.

"Dall'essere qualunque all'essere qualcuno".

Nella specie umana come in quella animale il corteggiamento assume particolare rilevanza che ha come fine ultimo quello di avere una discendenza. In generale possiamo parlare di differenze di genere nella pratica del corteggiamento (effetto Coolidge). Infatti le femmine sono più attente alla cura della prole e prediligono il maschio dominante e forte quale protezione per se e per la prole, i maschi invece sono attenti alla riproduzione e quindi prediligono la quantità di accoppiamenti. Per la specie umana l'effetto Coolidge si traduce in una ostentazione di forza e di ricchezze da parte del maschio quale promessa implicita di mantenimento della prole e di una cura per la bellezza, per la giovinezza e la salute da parte delle donne per manifestare la propria fertilità. Entro questa cornice si svolge la danza del corteggiamento. Il punto di partenza è la individuazione e selezione del partner, in secondo luogo si cerca di stabilire un contatto attraverso strategie di esibizione per farsi notare e per farsi scegliere, poi stabilire un reciproco avvicinamento riducendo progressivamente il grado di incertezza e concludere con la decisione di mantenere il legame più o meno stabilmente.

La paradossalità della comunicazione seduttiva.

Il primo obiettivo del seduttore è quello di emergere dall'anonimato e di cambiare status: dall'essere qualunque all'essere qualcuno. In questa fase di esibizione emergono gli aspetti "estetici" della comunicazione. In questa fase il seduttore tende ad esaltare le qualità e i punti di forza in suo possesso e a mascherare i limiti e i difetti fino a diventare oggetto del desiderio per l'altro. Durante il corteggiamento il seduttore tende ad apparire diverso e migliore di quello che è in realtà; da questo punto di vista la seduzione presenta analogie con la comunicazione menzognera. Tuttavia lo scopo non è quello di ingannare bensì di esaltare la propria immagine per esaltare l'immagine dell'altro. L'interazione seduttiva è simile alla recitazione teatrale, in quanto il seduttore assume un certo ruolo nel palcoscenico relazionale riuscendo a camuffare in modo positivo la propria identità. Si tratta della strategia dell'apparenza dove si crea uno spazio comunicativo intermedio tra il falso, il finto e il reale, come il trucco che maschera i lineamenti del volto lasciandoli intravedere o esaltandoli. Siamo di fronte ad una esibizione paradossale poiché pur essendo esplicita non è dichiarata. La finalità della non formalizzazione sta nel proteggersi da un rifiuto netto ed esplicito ma anche nell'evitare una invadenza eccessiva che risulterebbe controproducente. Una volta stabilito un contatto con il partner segue la fase di avvicinamento reciproco, che favorisce l'apertura graduale e reciproca attraverso uno scambio di conoscenze sulla propria vita. Tale narrazione di sé favorisce una graduale riduzione dell'incertezza.

L'obliquità della comunicazione seduttiva.

L'interazione seduttiva si avvale di una comunicazione obliqua e indiretta. Il seduttore deve dire abbastanza ma non troppo. Infatti dichiarazioni esplicite e aperte possono risultate azzardate e testimoniare una scarsa abilità seduttiva. Bisogna infatti lasciare margini di negoziazione, ovvero dare la possibilità al partner di intervenire nella contrattazione relazionale e di entrare nel gioco della seduzione. In questo senso parliamo di comunicazione intrigante ovvero di forme allusive che dicono senza dire. Il processo di seduzione deve dunque essere un processo di conquista reciproca, in cui entrambi i partner hanno la possibilità di fare la propria parte. Una strategia obliqua è per esempio quella della vulnerabilità, ovvero il seduttore si mostra debole e sottomesso come un bimbo in modo da favorire l'avvicinamento del partner e raggiungere un maggiore livello di intimità.

Modalità non verbali nella comunicazione seduttiva.

La comunicazione seduttiva si avvale anche delle modalità non verbali per attirare l'attenzione e sedurre l'eventuale partner. Lo scambio degli sguardi è un segnale preciso di attrazione verso il partner e la dilatazione della pupilla né è la testimonianza concreta. Le donne ricercano e lanciano gli sguardi più degli uomini. Anche il sorriso timido (coy smile) è un segnale ricorrente nella seduzione, soprattutto nelle donne. Inoltre in un incontro iniziale la sincronizzazione dei gesti favorisce molto l'interesse reciproco. Anche la voce attraente è associata ai giudizi di piacevolezza e desiderabilità sociale. Esiste un profilo di voce dei seduttori efficaci e uno dei seduttori non efficaci. I primi sanno modulare la voce in modo più flessibile e mutevole durante l'interazione seduttiva e sanno esibire vocalmente la loro socievolezza, entusiasmo e virilità. I non efficaci hanno invece una voce debole, monotona e piatta che pur risultando calda viene considerata noiosa. Il buon seduttore deve inoltre sintonizzarsi con il partner attraverso una attenta valutazione dei suoi feedback.

·     555b16f ;     555b16f ; La comunicazione menzognera.

Riguardo alla comunicazione menzognera possiamo individuare due ambiti di ricerca: a) Studi naturalistici sul campo (studi sui comportamenti ingannevoli nella vita quotidiana), b) Studi sperimentali di laboratorio ( studio degli aspetti cognitivi, emotivi e comunicativi dell'agire menzognero. Tale comportamento è molto più diffuso di quanto non si creda.





- La "famiglia" degli inganni.

Le proprietà essenziali della comunicazione ingannevole sono tre: a) la falsità di contenuto di quanto si è detto, b) la consapevolezza di tale falsità, c) l'intenzione di ingannare il destinatario. Per cui l'inganno si differenzia dall'errore (falso non consapevole) e dalla finzione (parodia, barzelletta, far finta ecc.). La menzogna dunque è un atto comunicativo consapevole e deliberato di ingannare qualcuno che non è consapevole e non desidera essere ingannato. L'intenzione di ingannare sta nel far credere al destinatario ciò che il parlante sa non essere vero. Tuttavia l'inganno non è una categoria comunicativa omogenea, infatti esistono diverse sottocategorie:
Omissione. Il parlante omette, di proposito, di fornire alcune informazioni essenziali per gli scopi del destinatario.
Occultamento. Il parlante nasconde alcune informazioni essenziali fornendone altre secondarie - anche se vere - in modo da creare false credenze nel destinatario.
Falsificazione. Il parlante fornisce informazioni che sa essere false.
Mascheramento. Il parlante cela informazioni pertinenti fornendone altre false.
Le categorie di menzogna qui riportate non sono da considerarsi discrete e separate da confini precisi, infatti esiste un continuum di fenomeni ingannevoli che possono essere caratterizzati da "somiglianze di famiglia".

- Principali teorie sulla comunicazione menzognera.

- La manipolazione dell'informazione. Information Manipulation Theory Proposta da McCornack, secondo questa teoria i comunicatori manipolano e trasformano le informazioni lungo diverse dimensioni andando da una rappresentazione distorta degli eventi fino a una vera e propria falsificazione. Partendo dal principio di Cooperazione e dalle massime di Grice (Qualità, quantità, Pertinenza e Modo) questa teoria considera l'inganno come la violazione di una o più di tali massime.
- L'interazione interpersonale. Interpersonal Deception Theory. Elaborata da Buller e Burgoon. Questa teoria considera l'inganno alla luce di una impostazione strategica e lo considera una forma di comunicazione a sé stante distinta da quella veritiera. In tal senso la menzogna serve a controllare strategicamente le informazioni. Nell'interazione ingannevole la teoria prevede la comunicazione strategica e quella non strategica. La prima è l'attuazione predeterminata di uno scopo che consiste fondamentalmente nel presentarsi come persona onesta e affidabile mentre si sta dicendo il falso. Mentre la comunicazione non strategica della menzogna è caratterizzata da indizi di smascheramento. Essa si configura specialmente nelle situazioni impreviste. Gli indizi sono principalmente legati alla manifestazione di emozioni e nervosismo, da espressioni facciali di spiacevolezza e disagio e da segnali di incompetenza comunicativa come ripetizioni, pause piene e vuote ecc.

- La discomunicazione menzognera. Deceptive Miscommunication Theory. di Anolli, Balconi e Ciceri. Questa teoria considera la menzogna un fenomeno eterogeneo distinguendo menzogne ad alto contenuto e menzogne a basso contenuto. Le prime si distinguono dalle seconde per le conseguenze serie che provocano sia per il parlante che per il destinatario. Questa teoria ritiene che vi sia una gestione locale della menzogna attraverso regole connesse al contesto e alla condivisione di un fuoco comunicativo.

- L'intenzione di mentire.

La comunicazione menzognera è caratterizzata da una rilevante complessità intenzionale. Infatti esistono diversi livelli intenzionali che caratterizzano il mentire: a) intenzione nascosta (il parlante falsifica e manipola le informazioni ma tale intenzione non deve trapelare), b) intenzione manifesta (il parlante intende trasmettere l'informazione falsificata e manipolata al destinatario). Questo livello si articola in due livelli: b1) intenzione informativa (il parlante desidera che il destinatario accolga l'informazione manipolata come se fosse vera), b2) intenzione di "sincerità" (il parlante desidera che il destinatario creda che ciò che egli ha detto è vero. "Voglio che tu creda che io credo a ciò che dico". Esiste tuttavia una gradazione intenzionale nel mentire che va dalla menzogna convenzionale a basso contenuto, alla menzogna spudorata ad alto contenuto. L'intenzione di mentire non è un atto gratuito o un atto di follia bensì il frutto di una valutazione della situazione al fine di raggiungere uno stato di cose desiderabile ovvero un ottimo locale. Per cui le menzogne sono guidate da svariate motivazioni che vanno da quelle per mantenere uno stato di cose (una relazione, la privacy, salvare la reputazione ecc.) con menzogne benevole, fino a quelle per ottenere vantaggi a discapito degli altri con menzogne di sfruttamento.

- L'impegno cognitivo della comunicazione menzognera.

Secondo alcuni studiosi la comunicazione menzognera è più impegnativa di quella veritiera sul piano cognitivo, in quanto l'elaborazione di una menzogna coerente con la situazione contingente è molto complessa. Quest'affermazione è oggi oggetto di dibattito
- L'ipotesi del "carico cognitivo".
Alcuni ritengono che la comunicazione menzognera sia più impegnativa di quella veritiera perché si tratta di costruire dal nulla un messaggio in modo coerente, compatibile con le conoscenze del partner e rispettando i vincoli della situazione contingente. McCornack dimostra che queste condizioni non sono valide in quanto anche il messaggio veritiero deve essere coerente, compatibile con le conoscenze del partner e rispettoso dei vincoli della situazione. In sostanza McCornack ritiene che talvolta può essere molto più impegnativo dire la verità che mentire.
- La variabilità dell'impegno cognitivo nella comunicazione menzognera.
Bisogna innanzitutto distinguere tra menzogne preparate e menzogne impreparate ma soprattutto tra menzogne a basso contenuto e menzogne ad alto contenuto. Le prime sono dette nelle conversazioni quotidiane e non hanno lo specifico intento di ingannare, esse sono le bugie pedagogiche e le bugie "innocenti". Le seconde comportano conseguenze serie sia per chi mente, esponendosi ad alto rischio, sia per il destinatario che viene pesantemente ingannato. Nelle menzogne ad alto contenuto emerge che l'impegno cognitivo è considerevolmente maggiore.
- La pianificazione e l'elaborazione cognitiva del messaggio menzognero.
Le qualità emergenti della relazione comunicativa sono create dalla dinamica delle reciproche azioni dei due comunicanti. Quindi il messaggio menzognero risulta sempre ancorato al contesto e riflette il flusso di pensieri e di azioni esistenti tra gli interlocutori. Si tratta dunque di una gestione locale della sequenza degli scambi comunicativi. Importante per il mentitore è la spontaneità che può essere compromessa da condizioni di ipercontrollo o di mancanza di controllo. Nel primo caso il mentitore, per un eccesso di forme di controllo, rimane immobile e mostra scarse variazioni di intensità del tono vocale, mentre nel secondo caso il mentitore non riesce a controllarsi manifestando incertezza dell'esprimersi e una notevole automanipolazione. In entrambi i casi parliamo di mentitori ingenui, mentre i mentitore abili hanno una impostazione vocale e posturale del tutto simile a quella che hanno nella comunicazione veritiera.
- Modi di dire e di scoprire la menzogna.
Si può mentire in tanti modi diversi, non esiste un repertorio fisso e stabile di modi di mentire. Tuttavia è possibile parlare di stili comunicativi ricorrenti nella comunicazione menzognera.
Stile linguistico. Uno stile linguistico va inteso come un'organizzazione articolata e dinamica di micro e macro-componenti del linguaggio con la quale produrre determinati effetti sul destinatario. C'è uno stile improntato sull'ambiguità e prolissità in cui il mentitore utilizza spesso modificatori con valenza dubitativa (forse, circa, un po' ecc.), livellatori (tutti, nessuno) e predicati epistemici (penso, suppongo, credo ecc.), oppure frasi lunghe piene di informazioni secondarie e irrilevanti. In tal modo il mentitore diluisce la falsità rendendola meno identificabile. Vi è poi uno stile improntato all'assertività e all'evitamento ellittico con cui il mentitore utilizza forme reticenti per esprimersi, in sostanza il mentitore si propone di esimersi dal dire utilizzando frasi brevi e pause vuote e piene più lunghe. Il terzo stile è quello dell'impersonalizzazione attraverso un uso limitato di auto-riferimenti e l'utilizzo di forme impersonali quali "si dice", "pare che" con le quali il mentitore si deresponsabilizza da ciò che sta dicendo.
- Stili non verbali della menzogna.
Anche per gli indizi non verbali non esiste un repertorio fisso e stabile. Per quanto riguarda l'attività motoria vi sono mentitori che attuano condotte guidate dall'ipercontrollo, quindi staticità nei gesti e nella postura, o da mancanza di controllo con frequenti cambi di postura, sguardo basso, frequente automanipolazione. Di conseguenza gli indizi di smascheramento sono molto variabili poiché individuali e contingenti. Anche la voce è stata oggetto di analisi, ma anche qui si riscontra una notevole variabilità.
- L'abilità di scoprire la menzogna.
L'abilità di scoprire la menzogna è connessa all'abilità di mentire. In realtà non esistono dati certi circa la possibilità di scoprire la menzogna ma in linea generale le persone più abili a smascherare i mentitori sono quelle che in qualche modo hanno a che fare con la pratica del mentire (delinquenti, spie, poliziotti, psicologi clinici).

- Quale miglior mentitore che il mentitore sincero?

Altro aspetto importante è la competenza della comunicazione menzognera. L'ipotesi strutturale della capacità menzognera è legata alla personalità machiavellica, l'ipotesi funzionale all'autoinganno.
- Personalità machiavellica e comunicazione menzognera. La personalità machiavellica è un costrutto psicologico che identifica quelle persone che tendono a manipolare gli altri per scopi di adattamento. Sono abili quindi nell'inganno, mostrandosi sinceri ed affidabili ma soprattutto impassibili mentre mentono. Sono meno coinvolti sul piano emotivo e meno preoccupati di salvare la faccia in situazioni imbarazzanti.
- L'autoinganno. Riguarda soprattutto la possibilità di mentire agli altri in modo credibile, poiché se il falso diventa vero ai miei occhi perché non dovrebbe apparire varo agli occhi degli altri? In tal modo si incappa in due paradossi: a) Paradosso statico, ovvero il mentitore accetta sia P(vero) che non-p(falso), b) Paradosso dinamico, il mentitore, che conosce il vero, inventa una falsa credenza a cui credere. Questi paradossi vengono esplicati in vario modo. In base alla teoria della razionalità limitata chi si autoinganna sceglie le ragioni più funzionali ai suoi scopi piuttosto che quelle più valide. Il modello della divisione mentale invece fa una distinzione tra coscienza primaria e coscienza secondaria, introducendo l'inconscio come base per l'inconsapevolezza dell'autoinganno. Il modello "deflazionistico" introduce il concetto di distorsione cognitiva attraverso cui l'autoingannatore reinterpreta la credenza ritenuta minacciosa.

·     555b16f ;     555b16f ; La comunicazione patologica.

La comunicazione è una attività relazionale che va a toccare le radici della identità personale e della posizione sociale di ciascun individuo. Alla comunicazione è legato il benessere e il disagio psicologico. Infatti la sofferenza psicologica è legata a quanto gli altri ci comunicano e alle difficoltà comunicative.

- La comunicazione schizofrenica.

La schizofrenia, com'è noto, è una grave forma di disagio psichico. Il soggetto schizofrenico si mostra estremamente sospettoso e vive in uno stato di ipervigilanza e di iperintenzionalità, ovvero si mostra attento ad ogni piccolo particolare dando ad ognuno un significato particolare e bizzarro. Egli crea uno stacco abissale tra il suo mondo interno e la realtà che interpreta continuamente secondo la sua "logica". La comunicazione dello schizofrenico è contraddittoria, frammentaria, ricca di neologismi e sgrammaticata. Il risultato è una comunicazione inafferrabile e incomprensibile. Occorre dunque comprendere i modelli schizofrenici di comunicazione. Innanzitutto dobbiamo precisare che lo stile schizofrenico di comunicazione non appartiene soltanto al soggetto schizofrenico ma anche agli altri membri della famiglia entro cui si genera un "sistema modello" di comunicazione patologica. Ciò è dovuto all'impossibilità di definire le relazioni tra i partecipanti in quanto si tratta di una relazione instabile e fluttuante per via di inafferrabili giochi psicologici. Mancando una definizione di relazione viene a mancare la relazione stessa e la comunicazione risulta impossibile. La comunicazione schizofrenica dunque si basa sulla richiesta assurda e paradossale di cambiare una definizione di relazione che non è mai stata definita. In un contesto del genere i significati evaporano in quanto la contraddittorietà, la vaghezza e l'ambiguità rendono la situazione relazionale caotica e imprevedibile, caratterizzata da impenetrabilità e imprendibilità. Queste condizioni sono alla base dei giochi psicotici, quali tradimenti e alleanze tra il soggetto schizofrenico e i membri della famiglia che possono generare vere e proprie tempeste emotive dagli esisti infausti.

- La comunicazione paradossale.

Vi sono tre tipi di paradosso nella comunicazione: a) l'antinomia logica, b) l'antinomia semantica, c) il paradosso pragmatico, consistente in ingiunzioni e predizioni. Analizzeremo quest'ultimo tipo di paradosso. L'ingiunzione "Sii spontaneo" è un esempio paradigmatico del paradosso pragmatico, infatti chiunque riceva questo messaggio si trova in una posizione insostenibile in quanto per obbedire a tale ingiunzione deve di fatti disobbedirgli. Queste forme di comunicazione paradossale sono molto frequenti in gruppi che prevedono dilemmi fra appartenenza leale e autonomia, sottomissione e indipendenza, obbedienza e spontaneità come famiglie, sindacati partiti ecc. La teoria del doppio legame è un modello esplicativo di queste forme di comunicazione. Quando ad esempio il bambino che vede la mamma irritata le domanda il perché e la mamma risponde che si è sbagliato e anzi gli chiede di riconoscere che non è irritata si stabilisce una comunicazione di doppio legame in quanto ciò che è manifesto a livello non verbale (irritazione) viene smentito e contraddetto al livello verbale. In tal modo si crea una desincronizzazione e una desintonizzazione tra livello verbale e non verbale ottenendo come risultato una frammentazione e dispersione del significato.

- Le squalifiche conversazionali.

Si parla di squalifica conversazionale quando, durante la conversazione, il destinatario attua un passaggio di argomento introducendone uno incoerente con quello precedente e in maniera del tutto arbitraria, ovvero non rispettando gli inserti, gli incassamenti e le associazioni libere che regolano la turnazione. Il risultato è una disconferma attraverso cui il destinatario ignora il parlante disconoscendo l'argomento che egli ha introdotto.



















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