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Platone (1)

filosofia



Platone (1)


Le opere di Platone sono dialoghi. Queste hanno la struttura del teatro. Il protagonista è quasi sempre Socrate. Il titolo del dialogo è dato dal tema oppure dal nome di un personaggio del dialogo. I dialoghi trattano diversi temi e vengono scanditi per presunta collocazione cronologica e in dialoghi giovanili socratici, dialoghi della maturità e dialoghi della vecchiaia.

Visto che da Parmenide in poi ciò che sembra essere non è, ne consegue che possiamo ipotizzare una conoscen 111d38b za apparente, illusoria, sensibile e quindi vera, autentica, reale, nascosta, indivisibile alla quale ci si può avvicinare ad esclusione, cioè rovesciando l'apparenza visibile e cercando ciò che l'apparenza cela. Questo processo può essere rappresentato in senso psicologico o cronologico. In senso psicologico è una ricerca che parte dall'esterno per poi rivolgersi all'interno. In senso cronologico a questo processo corrisponde una regressione, cioè un ritorno all'indietro, perché Platone presuppone che la verità nascosta nella nostra coscienza esista da sempre e quindi è possibile intravederla risalendo fino alla propria origine. Per entrare in questo processo, si usa analizzare che cos'è la reminiscenza. Per Platone esistono due tipi di conoscenza: una tecnica attraverso la pratica, una epistemica che prescinde dall'esperienza e consiste nell'eliminarsi di essa. Il processo epistemico consiste con la ricerca della vera sapienza e avviene ricordando progressivamente ciò che in qualche modo i sensi e il corpo fanno dimenticare. Se la verità esiste, esiste da sempre. Dunque, se noi non la percepiamo l'abbiamo dimenticata perché siamo prigionieri dei sensi. Quando noi ricerchiamo la verità in maniera teorica, ci liberiamo dell'influenza dei sensi e ricordiamo. Platone fa una serie di esempi. Si presuppone che la matematica sia difficile e che richieda competenze particolare. Il punto è che alcuni risolvono il problema immediatamente, altri hanno bisogno di più tempo. La differenza è che i primi hanno una migliore memoria inconscia, cioè le figure geometriche e i meccanismi emergono più rapidamente e facilmente. Gli altri, invece, faticano perché sono dominati dai sensi. Ciò avviene anche indipendentemente dall'età e dall'apprendimento. Quindi, paradossalmente, bisogna togliere l'esperienza, l'apparenza sociale, tutto, e rimane una capacità intuitiva che in alcuni è maggiore perché in alcuni scatta più facilmente e immediatamente. Ad esempio, lo schiavo a certe condizioni può risolvere problemi che un uomo incolto non è in grado di svolgere. Quindi, la ricerca della conoscenza è proprio ricerca di quella condizione psicologica che consente meglio di accostarsi al ricordo, di far risalire la consapevolezza. Ciò presuppone che la verità, quindi la realtà, costituisca rispetto al mondo reale un altrove. La realtà vera è da un'altra parte. In greco l'altrove è l'utopia. L'utopia, il non luogo, è il luogo non percepibile in cui dimora la verità. Essa non è mai dove la si cerca empiricamente, ma bisogna rovesciare ciò che sembra essere per avere l'intuizione dell'essere. La parola di Platone è "idea" (eidon). Questa è riconducibile alla doppia radice del verbo "vedere": "id" che significa "ho visto" e "ist" che è la "storia". Quindi, l'idea è ciò che ho visto, è nascosto da qualche parte in me e quando la individuo posso spiegarla. Osservando certi oggetti della stessa forma si può dire che sono diversi ma hanno in comune i lati e gli angoli. Quindi, queste figure sono legate tra loro dalla forma. L'idea di una figura è la sua appartenenza a una forma pura. Questo processo avviene attraverso la percezione sensibile. Quello che si percepisce è la differenza. Poi però, sbarazzandosi dell'astratto, si ottiene la sua forma pura contenuta esclusivamente nella nostra mente e conservata nella memoria.



Per quanto riguarda la conoscenza, essa per noi si basa sull'accumulazione delle informazioni nella memoria. Platone sfrutta un procedimento del tutto contrario. Prendere ciò che sembra essere ed eliminarlo per sottrazione. Dunque, la conoscenza è reminiscenza, cioè ricordo di una verità che esiste da sempre, nascosta in noi, che i sensi ci hanno fatto dimenticare. L'idea è ciò che ho visto e che mi sono dimenticato, ma in questo momento ricordo perfettamente. Dunque, è quella parte della realtà che esiste da sempre. Quindi, si distingue un mondo reale, fatto di esperienza, e un mondo di idee, fatto di verità. Anche la stessa scuola è una idea che è stata pensata, organizzata secondo principi che esistevano e determinati calcoli e misure, e poi costruita nelle sue fattezze reali con tutti i vari arredamenti sempre fatti a misura. Quindi, tutto esiste prima che venga attuato: l'idea ispira e precede il disegno che precede la costruzione.

Platone va al di là della matrice socratica: applica i principi socratici alla comprensione della realtà che è illusoria ma consente di intuire una realtà autentica fatta di idee che esiste altrove e senza la quale questa realtà non esiste. Sbarazzandosi degli errori si arriva ad ottenere la soluzione. Se l'operazione è svolta correttamente, si può raggiungere un obiettivo che esclude ciò che sembra essere per ottenere l'essere puro.

La prima percezione difensiva è qualunque cosa viene detta, anche se alla fine risulta conveniente, va messa in discussione. Sbarazzarsi di ciò che sembra essere, è fare un passo avanti, portarlo all'astratto è fare un secondo passo avanti e scoprire che esiste un secondo principio di verità fuori dalla nostra portata. Ciò che convince a sbarazzarsi dell'apparenza è il bisogno di libertà. La libertà è il non soggiacere passivamente a una qualsivoglia regola della quale non si sia compresa la ragione.


Platone (2)


Per Platone, l'oralità è superiore alla scrittura, perché consente di elaborare le informazioni, e la ricerca della verità avviene attraverso un dialogo constante con se stessi e con gli altri che fa emergere il ricordo della verità: la sapienza è celata, ma intuitivamente viene progressivamente svelata. Questo processo comporta un preciso problema che riguarda la struttura del linguaggio: come si devono usare le parole? All'oggetto che è ingannevole si sostituisce la forma essenziale dell'oggetto, il nome e l'idea. Si parte dal concreto che è ingannevole, ma la conoscenza consiste nella conoscenza dell'astratto. Questo andare verso l'astratto, comporta una scelta comunicativa ben precisa: il passaggio dal linguaggio letterale all'enunciato simbolico, cioè le parole non vengono usate per il loro significato immediato, ma per il loro significato traslato. Il linguaggio dialettico di Platone tende dal concreto all'astratto, si serve progressivamente di simboli. Quindi, le parole vanno depurate del loro significato immediato e portate a spiegare quello che vogliono dire. L'anima è definita "Psiche". L'anima è una categoria spirituale che, secondo i credenti, sopravvive alla morte. Ma, originariamente, la parola psiche indica semplicemente la manifestazione della vita: il punto di separazione tra l'organico e l'inorganico. Questa vita, che costituisce una novità, è ovviamente qualcosa di più e quindi qualcosa che si presuppone esista prima e indipendentemente per qualche suo aspetto. Dunque, prima ancora di essere una categoria spirituale, l'anima è l'essenza del corpo, ciò che spiega la ragione per cui l'inorganico si aggrega in un certo modo e dà luogo al corpo vivente. Quindi, quest'anima esiste prima del corpo e sopravvive al corpo: ne costituisce, dunque, l'idea. Il corpo è in quanto c'è l'anima che lo precede. La dottrina che Platone adotta è quella dei Pitagorici. Per cui, visto che l'anima è eterna come l'idea, quando il corpo muore essa si reincarna. Secondo i pitagorici, la reincarnazione avviene secondo cicli ben precisi che si concludono poi con la liberazione dell'anima da tutte le diverse forme corporee e la sua ascesa al cielo. Per i platonici le cose funzionano così con l'aggiunta di una connotazione morale: se un uomo si comporta nobilmente, la sua anima si reincarna in forma superiore. In ogni caso, l'anima si libera dal corpo e si ricongiunge all'idea.

"Mito della Biga Alata"

Il corpo si vede ma l'anima no. Ma l'anima esiste prima e dopo il corpo e ne costituisce la forma. Dunque non si può riconoscere il corpo senza l'anima. Quindi, paradossalmente, il corpo è il modo in cui la materia si è aggregata secondo le caratteristiche dell'anima. Quindi, l'anima è il legame dialettico che collega la materia del corpo all'idea ed è come ogni procedimento scomponibile nel solito numero 3: tesi, antitesi, sintesi.

Tesi. Il corpo per vivere ha bisogno di nutrirsi, quindi c'è un aspetto della sua anima che lo spinge alla ricerca del nutrimento. Ma, il fine ultimo della vita non è sopravvivere, ma usare la sopravvivenza per conseguire la ricerca dell'immortalità. Allora, c'è un'altra parte dell'anima che ci induce a trascurare il nutrimento per raggiungere gli scopi più nobili. Anche questa, se entra in conflitto con l'altra, non dà luogo a una armonia interiore. Dunque, bisogna riconoscere una sintesi che medi tra la tesi e l'antitesi per guidarla correttamente allo scopo. La biga alata è una rappresentazione simbolica dell'anima: Platone rappresenta l'anima come una biga tirata da due cavalli con un cavallo nero, pigro, e uno bianco, ardente. Questi due animali tirano il carro e possono determinare la sua vittoria nella gara. A regolarli c'è l'auriga che li incita o li frena. Il cavallo pigro, che vuole tornare alla stalla, è necessario, costituisce il supporto per ottenere lo scopo più alto. Esso è situato nello stomaco ed è l'anima concupiscibile, cioè l'anima che desidera: l'uomo desidera istintivamente la sopravvivenza e la riproduzione e quando quest'anima si manifesta tende a trovare ciò che gli serve per rafforzarsi. Il cavallo ardente, l'anima irascibile, è situato nel cuore ed è quella parte dell'anima che spinge a competere e vincere. Naturalmente, se cede l'uno o l'altro la biga cappotta. Quindi, è necessario che a regolare il rapporto tra questi due ci sia l'anima razionale situata nel cervello che come l'auriga guida l'intero corpo. Il mito è estremamente facile e di immediata codificazione, però contiene vari livelli di lettura. Questo è il primo livello simbolico di lettura, situato subito dopo il livello letterale. Ma ci sono gradi più complessi. Poiché i cavalli non sanno la funzione dell'auriga, mentre l'auriga sa la funzione dei cavalli, ne consegue che la forma razionale compiuta dell'anima non costituisce il punto di arrivo del procedimento dialettico, ma ne costituisce al tempo stesso il punto di arrivo in senso cronologico e il punto di partenza in senso logico, cioè è l'auriga che regola logicamente insieme. Lo schema per cui si riconosce il gioco, cronologicamente ci appartiene dal momento in cui lo comprendiamo, ma logicamente esiste da sempre. Per cui l'anima è trina, ma al tempo stesso non lo è, è una sola, perché la scomposizione è il procedimento che consente, al momento della ricomposizione, che era così già da prima, e che la parte e il tutto sono necessari l'uno all'altro. Per cui, l'unità ricomposta è ciò che si ricerca, che adesso si è compreso, ma esisteva prima della comprensione. Per i pitagorici questa unità è il numero 1. L'unità di Platone è invece l'idea, per cui la compiutezza di ciò che noi cerchiamo di comprendere è già presente nell'oggetto che si smonta e diventa manifesta a noi quando, dopo averla scomposta, la ricomponiamo. L'anima viene resa trina per spiegare la necessità di ogni parte alla funzione dell'intero che è la vita finalizzata al suo scopo più alto. Il senso del nostro vivere, per cui, non è nella vita come durata, ma nella vita come percorso in direzione di qualcosa che non è riducibile alla durata della vita stessa che, in quanto durata, non ha senso se non si colgono le sue cause e le sue finalità che ne costituiscono il senso. Per cui, se si dice che ogni uomo è mortale, si crea già la condizione per una scomposizione dialettica e ricomposizione che contiene in sé qualcosa di cui si coglie l'essenza e chi non è in grado di servirsi del linguaggio dialettico, ovviamente non coglie. L'enunciato sulla mortalità dell'uomo, contiene in il concetto di immortalità che consente di riconoscerne lo stato. Nella fiaba, il bambino sfrutta i sassi per segnare la strada del ritorno e assicurarsi quindi la sopravvivenza con un metodo davvero ingegnoso. Però è un po' meno ingegnoso quando decide di lasciare le briciole di pane, inconsapevole del fatto che gli uccelli le mangeranno. Lo stesso schema si ripete in tante storie e quindi c'è l'avvertimento di poter ritornare facendo attenzione alle variabili casuali. Dunque, più si estrae dal significato letterale e più complessa ne diventa l'interpretazione. Al grado più alto, arrivano anche a diventare dei veri e propri trattati di filosofia. Quindi, il linguaggio simbolico è il linguaggio della filosofia. Il linguaggio mitico appartiene alla religione, quello logico alla filosofia. Se si considera alla lettera alla fiaba, è un vero e proprio apologo di tipo religioso. Se la si interpreta, rivela l'esistenza al suo interno di un ragionamento. Quindi, svolto completamente il meccanismo dialettico, si arriva al rovesciamento. Nella religione, il logos si astrae e diventa il mito fondamentale, un principio religioso: Dio è la ragione di tutte le cose; la spiegazione avviene in forma mitica e simbolica, attraverso una serie di esempi comprensibili che devono essere sempre decodificati. La storia, ad esempio, è il racconto di qualcosa che è stato testimoniato. Però se non se ne comprende la ragione, può essere un racconto più o meno avvincente. Questi racconti, collegati tra loro, servono a comunicare in forma simbolica qualcosa che è già nella testa di chi opera la narrazione. Infatti, la storia si studia perché certe cose, una volta comprese da lontano, possono essere riprese per spiegare il presente. Il mutamento storico si riconduce ad un unico essere compiuto che è la spiegazione della storia. Questo procedimento è già presente in Platone, perché in realtà la reminescenza è il percorso che la mente dell'uomo compie in direzione della conoscenza. Però, questo percorso, paradossalmente, è un percorso a ritroso: tornare da un luogo in cui si è finiti senza sapere il motivo. In qualunque punto ci si trovi, è necessario chiedersi costantemente cosa si cela effettivamente dietro l'apparenza.



"Il mito della caverna"

C'è una caverna e sul fondo c'è una parete abbastanza liscia. Fuori della caverna c'è un muro, oltre c'è una strada e passa una processione. Le processioni portano le statue. Quindi ci sono gli uomini dietro il muro e le statue che sporgono al di sopra del muro. Al di là della processione c'è la fonte di luce, il sole. Nella caverna c'è uno schiavo legato, inchiodato, con lo sguardo costretto in direzione della parete di fondo. Il sole proietta le ombre delle statue sulla parete di fondo e chi guarda vede queste ombre muoversi e pensa che quella sia la realtà. Però poi cominciamo a farci delle domande. Scartando le risposte ovvie, le domande portano a mettere in discussione quello che si vede, se è davvero la realtà la rappresentazione delle ombre che cade sotto i nostri occhi. Lo schiavo legato che non è soddisfatto di ciò che gli appare, comincia ad agitarsi. Allenta i lacci, riesce a girare la testa e vede la bocca della caverna. Da là arrivano le ombre che non sono esseri reali. Si libera, risale la caverna, vede le statue che passano, riconosce gli esseri reali, esce, scavalca il muro, e scopre che gli uomini reali erano dietro le mura nascosti. Dunque, il processo conoscitivo nasce da un desiderio di libertà che ci induce a considerare illusorie le immagini che ci circondano e a cercarne l'origine sempre oltre, fino a raggiungere solo dopo la morte la piena consapevolezza della loro identità ideale. Questo descritto è un processo dialettico, la sua comunicazione è simbolica. Dunque, paradossalmente, ciò che ci spinge a cercare attraverso un processo dialettico la verità spiegando il percorso per giungerci, è un bisogno interiore di libertà che evidentemente esiste in noi e si manifesta indipendentemente dalla nostra percezione quotidiana della realtà circostante.




Platone (3)


Conoscere non è assolutamente accumulare esperienze, ma liberarsi dalle stesse, cioè usare l'esperienza al negativo, cioè qualcosa che va tolto per riscoprire l'idea. Nella dialettica di Parmenide, dialettica negativa, la ricerca della verità coincide con l'eliminazione dell'esperienza intesa come illusoria e quindi falsa: ciò che sembra essere non è. L'opinione non costituisce conoscenza, l'esperienza non dà alcuna conoscenza, inganna. Per Platone, vale la stessa dialettica negativa con una piccola differenza: la ricerca della verità passa attraverso l'eliminazione dell'errore, il superamento dell'esperienza, ma poiché essa contiene l'immagine indebolita dell'idea, la ricerca della verità avviene attraverso l'osservazione del mondo empirico finalizzata al suo superamento. Dunque, il divenire per Parmenide non esiste, è un'illusione, un inganno dei sensi; per Platone esiste in quanto è realtà semi-visibile nella quale noi riconosciamo la copia dell'idea. L'ideale greco di bellezza è un ideale stanco e atopico, cioè nel movimento dell'uomo reale viene colto un momento particolarissimo nel quale ogni parte è identificabile nella sua precisa peculiarità. Questo momento particolare è geometricamente riconoscibile, è rappresentato all'interno di un cerchio ideale e la posizione degli arti è riconducibile all'interno di un quadrato inscritto in quel cerchio e quindi delle diagonali di quel quadrato che sono i diametri perpendicolari del cerchio. Quindi, la figura non viene colta nella sua casualità, ma in un momento in cui è geometricamente determinabile. Dunque, la ricerca dello scultore è ricerca del realismo ma anche dell'armonia, cioè della proporzione geometrica e matematica: lo scultore ha colto l'essenziale, l'idea. Questo concetto ci induce a riconoscere nella osservazione della figura il tentativo di liberarsi del suo divenire, del suo continuo mutamento, e di cogliere il sue essere, l'essenza, l'idea. Dice Varone che dal punto di vista della riproduzione della realtà, l'artista si allontana dalla conoscenza perché riproduce una copia della realtà naturale. Poiché la realtà naturale è copia dell'idea, per Platone l'arte è una copia della copia, quindi è un ulteriore indebolimento dell'idea. Ma, paradossalmente, l'ammettere che l'idea è presente, anche se indebolita, nell'oggetto osservato fa sì che l'osservazione dell'oggetto venga condotta dall'artista in modo tale da escludere il suo apparire e movimento e ricercare la sua essenza, cioè la presenza dell'idea nell'oggetto. Quindi, per Platone, la realtà materiale è al tempo stesso illusione dei sensi ed esiste, in quanto luogo in cui l'idea viene riprodotta. Dunque, abbiamo due realtà: una apparente, quella in cui siamo immersi, e una autentica, che è quella che i sensi non colgono ma alla quale si può risalire attraversamento il ragionamento, la logica. Inoltre, non è escluso che la prima sia una copia della seconda. Quindi, per Parmenide l'esperienza è inganno e ragionamento è verità; per Platone l'esperienza è indebolimento rispetto alla verità che in qualche modo è presente in essa. Quindi, Platone non nega il mondo materiale, ma dice che è indebolimento della realtà autentica che è il mondo delle idee. Ma se il mondo della realtà empirica esiste, la filosofia delle idee è dualistica, cioè ammette l'esistenza di due livelli della realtà: quello autentico, delle idee, che noi intravediamo ma non conosciamo e quello meno autentico, che è il mondo della realtà empirica, materiale, attraverso il superamento del quale ci avviciniamo all'idea. Il suo schema, Platone lo riproduce in ogni campo, ricordando che tutto ciò che sembra essere non è e, quindi, la nostra vita non è rinunciare alla vita, ma passare attraverso la vita fisica alla vita spirituale che ne costituisce la motivazione di tutte le azioni quotidiane che hanno come scopo la salvezza dell'anima.

Platone è discepolo di Socrate, Socrate ha fornito un modello di comportamento per cui la vita è importante. Quello dei suoi discepoli, i socratici, è un vero e proprio progetto politico e soprattutto Platone teorizza questo progetto, contrariamente a Socrate, spiegando come deve essere lo stato nella sua opera più famosa.



"La Repubblica"

Lo stato è, al suo tempo, la polis e coloro che partecipano alla vita pubblica sono i cittadini. Ci sono tanti stati reali che tra loro sono più o meno differenti. Per esempio, Atena e Sparta sono molto diverse tra loro. Ma, tutti questi stati reali esistono ma costituiscono le copie più o meno indebolite dello stato vero che, naturalmente, è lo stato ideale che c'è nella nostra mente. Dunque, fine ultimo della filosofia in politica è avvicinarsi il più possibile nello stato materiale al governo ideale. Infatti, Platone cerca di attuare lo stato ideale e riesce a costituire nei pressi di Siracusa una piccola città secondo il modello socratico però non dura, perché la politica reale prevale in tutto il mondo greco e il suo tentativo fallisce. Dunque, per capire la politica di Platone bisogna conoscere lo stato ideale, ovvero quello che nella politica del suo tempo non esiste, è una specie di somma degli aspetti migliori degli stati reali. Non accetta l'Atene così com'è, ma per lui Sparta è fondata su principi morali e perciò guarda ad essa con notevole simpatia. Però, non dice che Sparta è lo stato ideale, ma assume, soprattutto in Sparta ma anche nelle altre città, i valori e gli aspetti che gli sembrano migliori. Lo stato ideale consta di tre classi. Al livello più basso ci sono i produttori, che devono lavorare per mantenere sé stessi e gli altri e hanno come incentivo. Quando, però, un cittadino porta il suo desiderio dal guadagno alla volontà di essere ricordato, passa alla classe superiore, ovvero quella dei guerrieri o custodi. Il guerriero non combatte per i soldi, non è mercenario, ma combatte per la patria avendo come unico scopo quello di essere ricordato dai suoi concittadini. Quindi, il guerriero garantisce glorie e difesa della polis, ma deve essere mantenuto da coloro che non hanno come scopo di essere ricordati. Tra i guerrieri, alcuni sopravvivono e costituiscono il minor numero. Quelli che arrivati a una certa età e dopo aver combattuto sono ancora vivi, costituiscono i filosofi. I filosofi, ovviamente, non hanno alcun interesse al guadagno, hanno dato prova di coraggio per la loro città, ma soprattutto hanno individuato lo scopo ultimo, autentico della politica, che non è quello di essere ricordati, ma quello di comprendere la naturale ideale e spirituale di quello che si sta realizzando. Dunque, i filosofi sono dominati dalla ragione e il bene che perseguono non è in questo mondo, non è nel quadrangolo o nel ricordo, ma è nella soddisfazione interiore di aver intuito e illuminato correttamente la strada della verità. Ovviamente, questi devono essere mantenuti dai produttori perché non hanno interesse al guadagno e devono essere mantenuti dagli altri. Questo è il comunismo platonico che non ha alcun legame con quello attuale. Quello moderno ha come obiettivo la concezione della proprietà dei mezzi di produzione dei beni; quello platonico è il mettere in comune ogni cosa, laddove il maggior numero degli abitanti, i produttori, non perseguono il comunismo, ma anzi desiderano accrescere attraverso il guadagno la proprietà dei beni. Per il guerriero, il massimo è morire difendendo la città ed essere ricordato dai suoi concittadini, non c'è interesse per il guadagno. I filosofi, invece, non possono avere delle proprietà, non possiedono dei beni. Quindi, i guerrieri e i filosofi praticano la condivisione dei beni, che non sono quelli propri ma sono divini. Dunque, non condividono il possesso dei beni. Governavano la città senza avere interessi per accumulare dei beni. Quindi, i filosofi sono in testa alla società per Platone, perché coltivano senza interesse particolare il bene comune.


Platone (4)


"Il mito del demiurgo"

Il demiurgo è una figura originata dal teatro greco. Nelle commedie, per farle finire bene, viene calata alla fine dall'alto una divinità, la quale opera il riconoscimento. Attraverso il riconoscimento, tutte le cose vanno al loro posto e la commedia può concludersi felicemente. Questa figura divina o semi-divina calata dall'alto si chiama demiurgo in greco, colui che pratica la mediazione tra il cielo e la terra. Il demiurgo, impietosito dalla sorte degli uomini, prende le idee molto rivoltanti dal mondo delle idee e le porta nelle cose, nell'esperienza. Le idee, imprigionate nella materia, anelano a ritornare alla loro condizione e quindi spingono l'uomo a realizzare la libertà, dove la libertà è quella delle idee che è contenuta in lui. Quindi è un elemento spirituale che si ritrova nella filosofia, intesa come desiderio di conoscenza. L'idea è desiderio di libertà. Dunque, il demiurgo è una figura simbolica ricorrente nel mondo greco che ha il compito di travasare le idee nel mondo reale. Queste idee così imprigionate desiderano tornare nel loro mondo e quindi costituiscono la spinta che induce a voler essere liberi, cioè la spinta verso la conoscenza. Questa spinta verso la conoscenza è il desiderio di libertà. Allora, il corpo e la realtà empirica costituiscono per le idee la necessità. È il desiderio che spinge l'uomo in direzione della libertà. Il corpo e la materia costituiscono rispetto alle idee la necessità. La materia è necessaria, non si può non ammetterla, a contenere nella realtà empirica l'idea. Per Parmenide non c'è questa necessità. Per Platone, invece, noi viviamo immersi nella necessità ed è questa che ci dà la spinta ad agire verso la conoscenza, la libertà.






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