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La prima formulazione del concetto di posse: 1450 De mente

filosofia



L'intento dell'analisi che segue è quello di mostrare l'importanza del concetto di posse all'interno della concezione del principio uni-trino per quanto concerne sia Dio sia tutta la realtà. Tale importanza deriva sicuramente dalla possibilità di sottolineare l'elemento dinamico, creativo se vogliamo, riscontrabile all'interno della concezione cusaniana di Trinità, e dalla maggiore chiarezza che la spiegazione dell'uni-trinità assume se trattata attraverso tale concetto. Non è, e questo vale per qualunque altro tassello del pensiero cusaniano, un concetto a-problematico. La problematicità intrinseca della questione considerata deriva in particolar modo dal fatto che questo concetto non è né un concetto nascente dal nulla, né un concetto isolato. Non è un concetto nascente dal nulla perché la problematica relativa alla Trinità era già precedentemente presente nel pensiero di Cusano e perché dobbiamo comprendere che tale concetto deve necessariamente essere inserito nella più ampia questione riguardante il significato del termine infinità così spesso utilizzato da Cusano, termine comprendente quella questione anch'essa problematica concernente la coincidenza degli opposti come fondamento dell'essere di tutti gli enti: è come se Cusano avesse avuto la necessità di inserire un nuovo concetto per poter spiegare senza equivoci e in modo più chiaro problematiche comunque già presenti nel suo pensiero.

Non è possibile parlare di sviluppo del concetto di posse all'interno del pensiero di Cusano, infatti parlare di sviluppo implicherebbe la presenza di cambiamenti che nella problematica da noi analizzata non sussistono: il concetto da noi preso in esame resta, infatti, pressoché invariato nelle sue successive apparizioni pur prendendo forme sempre diverse. Le forme diverse che il concetto analizzato assume sono da Cusano stesso considerate come diretta conseguenza della complessità della problematica analizzata: afferma, infatti, Cusano nel De Possest a proposito della questione della Trinità "se ne può parlare a lungo 818e49i in modo sempre vario, anche se del tutto insufficiente". Questo elemento è ulteriormente reso complesso dalle implicazioni che il concetto di posse ha con altre fondamentali questioni che Cusano si pone, tanto che si potrebbe quasi parlare di una sorta di strumentalizzazione di tale concetto ai fini di chiarificare altre problematiche: nei testi successivi al 1450 il concetto di posse non ha più soltanto la funzione di fare da supporto per una migliore formulazione della Trinità, ma si inserisce nelle più vaste questioni della denominazione divina, della conoscenza che l'uomo può avere di Dio, della costituzione dell'uomo in quanto creatura di Dio e della relazione Dio - creatura. Come vedremo, la questione più strettamente connessa al concetto di posse è quella relativa alla denominazione divina, ma è importante notare anche che proprio l'immissione di tale concetto all'interno del pensiero cusaniano comporta la necessità di portare amplificazioni e chiarimenti anche all'interno della questione della conoscenza che l'uomo può avere di Dio. Dal mio punto di vista è possibile, infatti, notare due diversi orientamenti su questa questione: la considerazione della conoscenza oscura ed enigmatica di Dio così come è stata delineata nel De docta ignorantia e la concezione, che invece vediamo delinearsi proprio a partire dai dialoghi dell'idiota e che resterà pressoché invariata nelle opere successive tanto da trovare la sua completa espressione negli ultimi testi di Cusano, secondo cui il principio fondante dell'essere - potere assoluto - è caratterizzato da immediata evidenza, ricordando però che questa immediata evidenza non è conoscenza di Dio, bensì visione di Dio.



Abbiamo sopra affermato che il concetto di posse non subisce mutamenti all'interno del pensiero di Cusano, ma, come avremo più avanti modo di vedere, per quanto riguarda la prospettiva della denominazione divina, che è la prospettiva più importante in questo contesto e che, quindi sarà centrale nel corso di questa analisi, tale concetto assume connotazioni diverse: Cusano, infatti, nella scelta della migliore denominazione di Dio oscilla tra il termine posse e il termine possest (posse - esse). Il problema della denominazione divina è un problema per noi centrale perché scaturisce direttamente dalla questione della Trinità: arrivare a comprendere l'essenza uni-trina di Dio è strettamente connessa alla problematica riguardante quale sia il termine migliore per denominare questa essenza, il termine migliore per denominare Dio racchiudente, quindi, gli elementi dell'uni-trinità che lo caratterizzano.

La nostra analisi avrà come punto di partenza la prima formulazione dell'uni-trinità di Dio e di tutto il reale compreso l'uomo e la mente umana come la incontriamo nel De mente. Successivamente avremo modo di analizzare il De possest soffermandoci sulla denominazione di Dio come possest, per poi arrivare a spiegare il cambiamento di questa concezione all'interno del De apice theoriae. L'analisi del De apice theoriae affiancata all'analisi del Compendium, i testi considerati come una sorta di testamento filosofico di Cusano, ci saranno utili per chiarificare i punti oscuri relativi al concetto di posse


a.  La prima formulazione del concetto di posse: 1450 De mente

Il concetto di posse, concetto a cui Cusano ha già accennato nei testi precedenti, trova la sua prima reale formulazione, e quindi potremmo dire la sua origine, nel capitolo XI del De mente, il capitolo dedicato alla Trinità: il concetto di posse sembra, infatti, essere la formulazione dinamica migliore per rappresentare l'elemento attivo della radice trinitaria di Dio e di tutto il creato nella sua sintesi di potenza e atto. Il tema dichiarato del capitolo XI concerne, infatti, come Cusano stesso afferma attraverso le parole del filosofo, la Trinità di Dio e la trinità della mente.

Il primo tentativo di definizione di Dio in cui ci imbattiamo lo identifica con l'eternità semplicissima, in quanto "connessione che è prima di ogni divisione" e che "deve essere unita e connessa prima di ogni divisione"; la perfezione divina si identifica con l'unità divina in quanto in Dio si ha l'universalità delle cose. Aggiunge Cusano che "tutte le cose sono fatte nel potere" ed è proprio da queste considerazioni[1] che prende origine la prima formulazione del concetto di posse, attraverso una generale e preliminare descrizione di ciò che Cusano intende con poter fare e poter esser fatto, cioè i due elementi che nella loro connessione costituiscono proprio, come vedremo, l'uni-trinità. È da notare che la questione concernente l'uni-trinità descrivibile attraverso il concetto di posse è qui inserita per poter meglio comprendere che cosa Dio stesso sia: Cusano, infatti, prima afferma che Dio è la perfezione eterna che connette in sé l'universalità delle cose e poi inserisce il concetto di uni-trinità per poter comprendere come l'universalità delle cose sia in Dio. Questo a voler significare che il concetto di posse non è inserito semplicemente per parlare della questione della Trinità nel miglior modo possibile bensì Cusano tratta della questione della Trinità, oltre che per la sua estrema importanza, anche perché essa comporta una chiarezza maggiore nell'esplicazione di altre problematiche. Risulta, quindi, già abbastanza chiara la connessione, che avevo precedentemente di passaggio operato, tra il concetto di posse e il problema della denominazione di Dio per quanto, in questo contesto, tale problema non sia principale: ricordo, infatti, che qui non siamo nell'ambito della ricerca di un giusto nominativo per Dio, bensì ciò che Cusano tenta di fare è trovare la migliore formulazione per spiegare l'essenza uni-trina di Dio e successivamente anche di tutta la realtà.

Leggiamo che se tutte le cose "poterono esser fatte, il poter fare era necessario prima che esse fossero"; quindi, "tutte le cose sono nel poter fare prima dell'universalità (universitas rerum) temporale di esse"[2]. Questa universalità delle cose può essere vista con l'occhio della mente nell'assoluto poter esser fatto e nell'assoluto poter fare. Affinché l'universalità delle cose, così descritta, venga in essere è necessario il nesso del poter esser fatto (posse fieri) e del poter fare (posse facere) . Il concetto che sino a questo punto Cusano ha tentato di descrivere deve essere considerato come la base concettuale da cui Cusano parte per spiegare sia l'uni-Trinità di Dio, sia l'uni-trinità di tutto il creato. Affermando, infatti, che "prima di ogni esistenza temporale delle cose tutte sono nel nesso (assoluto) che procede dal poter esser fatto assoluto e dal poter fare assoluto", Cusano aggiunge che "questi tre assoluti, prima di ogni tempo, sono l'eternità semplice" considerata come unità uniente (unitas uniens), con un solo assoluto in modo infinito ed una sola divinità. Cusano attribuisce al poter esser fatto l'elemento dell'unità e al poter fare l'elemento dell'uguaglianza che presuppone l'unità da cui deriva il nesso. La mente eterna, quindi, intende tutte le cose nell'unità, nell'uguaglianza dell'unità e nel nesso di entrambe. Per cui essendo compresenti questi tre elementi, che sono si indipendenti l'uno dall'altro, ma che costituiscono un'unità, Dio e tutto il creato devono essere considerati come uni-trini. Lo schema della radice trinitaria che viene così delineandosi e che deve sempre essere tenuto in considerazione nell'analisi delle successive considerazioni può essere così rappresentato

Poter esser fatto ------------ Unità

Poter fare ----- ----- --------- Uguaglianza Uni-trinità divina e uni-trinità di tutto il

Nesso creato


Dopo aver così descritto la radice dinamica trinitaria insita nell'essenza divina Cusano estende il modello ricavato a tutte le cose create, quindi, anche all'uomo e alla mente umana. Ma prima di operare questo passaggio vorrei porre l'attenzione sull'aggettivo da me utilizzato "dinamica": la radice trinitaria che abbiamo sopra descritto risulta dinamica perché contempla il poter fare: è il poter fare l'elemento dinamico dell'uni-trinità che sussiste di per sé, ma che è anche presupposto dallo stesso poter esser fatto; in Dio il poter fare nel nesso con l'elemento del poter esser fatto comporta la caratteristica divina di unità uniente e, quindi, dinamica, di unità che connette in sé tutta la molteplicità. Passando ora a considerare l'uni-trinità insita nelle cose create Cusano afferma che dato che "tutti i principiati hanno in sé una similitudine del principio", in tutti i principiati "si ritrova la trinità nell'unità della sostanza a similitudine della trinità vera e dell'unità della sostanza del principio eterno". Queste affermazioni si basano sulle constatazioni da Cusano precedentemente argomentate, in questo stesso dialogo ma anche in testi precedenti, secondo cui il mondo sensibile è immagine di Dio e, quindi, anche l'uomo, essendo creato da Dio, è immagine di Dio e la sua mente è immagine della mente eterna. Da questo punto di vista, quindi, nei principiati è riscontrabile il "poter esser fatto che discende dalla virtù infinita dell'unità", "il poter fare che discende dalla virtù dell'assoluta uguaglianza e la composizione di entrambi che discende dal nesso assoluto".[4] E questo è il motivo per cui la mente umana, immagine della mente divina, "cerca di scoprire la misura di sé nella mente eterna come similitudine nella verità". Nella mente umana, che non può possedere la perfezione caratteristica della mente divina che intende tutto simultaneamente proprio in quanto ne è solo immagine, l'uni-trinità è descrivibile nel miglior modo come costituita dal poter essere assimilato, dal poter assimilare e dal nesso di entrambi.

Poter esser fatto ------- Poter essere assimilato

Poter fare ----- ----- ---- Poter assimilare    Uni-trinità della mente umana

Connessione ----------- Connessione


Grazie a tale uni-trinità la mente umana è in grado di intendere a similitudine della mente divina, ma a differenza di essa non può intendere simultaneamente bensì secondo una successione: "quando si muove per intendere premette qualcosa a similitudine del poter essere fatto o della materia" (fa i generi), "alla quale aggiunge altre a similitudine del poter fare o della forma" (stabilisce le differenze) "ed allora intende a similitudine del composto dell'uno e dell'altro" (fa le specie e gli individui).

Dalle considerazioni sopra esposte si evince che tutto ciò che è in atto è in modo trino[5]. Leggiamo, infatti, che tutte le cose come sono in atto sono nella materia, nella forma e nella connessione da cui deriva, quindi, che l'unità è indivisa e una.

Dalle prime considerazioni che abbiamo fatto del concetto di posse si viene così delineando una sorta di giustificazione a ciò che ho precedentemente affermato riguardo alle connessioni che tale concetto intraprende con svariate altre problematiche del pensiero cusaniano: in questo brevissimo capitolo del De mente, infatti, Cusano non soltanto espone la radice trinitaria di Dio e del creato come connessione di poter fare e di poter essere fatto e, quindi, di unità e uguaglianza, ma considera le questioni concernenti il rapporto tra Dio e uomo, il rapporto tra la mente divina e la mente umana e il problema della conoscenza dell'uomo, questioni queste che, come avremo modo di vedere resteranno sempre ancorate al concetto di posse in tutte le sue molteplici esposizioni.


b.  Dio come posse - esse: 1460 De possest



Nel De mente, come abbiamo sopra tentato di mostrare, Cusano ha esposto il concetto di posse in tutta la sua portata e problematicità rendendo anche evidenti i molteplici rapporti che intrattiene con le altre problematiche del suo pensiero. Nel De possest Cusano considera il concetto di posse da una prospettiva diversa rispetto alla precedente. Se nel De mente, infatti, l'intento principale di Cusano era quello di mostrare i caratteri dell'essenza uni-trina di Dio e dell'uomo, in questo contesto, invece, l'intento di Cusano si identifica con la ricerca della giusta denominazione di Dio. Le conclusioni a cui perveniamo trattando il problema da questa prospettiva sono parzialmente diverse rispetto alle conclusioni precedenti: ciò che potevamo evincere dalla prima esposizione del concetto di posse era la possibilità di denominare Dio col termine posse absolutum; questa concezione resta in parte salda in quanto il posse viene ancora considerato elemento fondamentale dell'essenza divina, ma la questione concernente la denominazione di Dio subisce una sorta di alterazione in quanto la migliore denominazione di Dio è qui, come vedremo tra poco, identificata col termine possest. È bene anticipare che, però, la denominazione di Dio di cui ho appena dato un accenno non resterà immutata: Cusano, in seguito, tornerà a denominare Dio col termine posse,  come vedremo più avanti parlando del De apice theoriae.

All'inizio del De possest Cusano tratta della radice trinitaria nei termini aristotelici di potenza e atto, dottrina aristotelica che, come sappiamo, viene da Cusano superata considerando la coincidenza di questi due elementi. Potremmo suddividere il ragionamento di Cusano riguardo a potenza e atto in quattro passaggi fondamentali:

"ogni creatura esistente in atto può essere" o, generalizzando tale affermazione, tutto ciò che è in atto può essere; se ciò è vero deve esistere l'attualità assoluta "in virtù della quale le cose in atto sono ciò che sono".[6]

ma, se abbiamo detto che ciò che è in atto può essere, aggiunge giustamente Cusano, anche l'attualità assoluta può essere.[7]

ma nel caso della possibilità d'essere dell'attualità assoluta, noi non possiamo affermare che essa preceda o segua l'attualità: se, infatti, la possibilità assoluta precedesse l'attualità assoluta dovremmo risalire ad un'altra attualità assoluta precedente tale possibilità e se, invece, la possibilità assoluta seguisse l'attualità assoluta quest'ultima non sarebbe possibile.[8] Dobbiamo, quindi, affermare che in Dio possibilità e attualità sono coeterni.

perciò l' uni-Trinità divina può essere così schematizzata

Possibilità assoluta

Attualità assoluta

Nesso

Questi tre elementi sono coeterni o meglio "sono eterni in modo da essere la stessa eternità" e questa eternità è, ovviamente, Dio.

Arrivato così a comprendere Dio da questo punto di vista Cusano precisa che, se in Dio attualità e possibilità sono coeterni, noi troviamo la distinzione tra potenza e atto posteriormente a Dio stesso[9]. In Dio, quindi, potenza e atto sono la stessa cosa. Qui troviamo una delle definizioni più importanti che Cusano costruisce di Dio: "Dio è in atto tutto ciò cui si può attribuire la possibilità di essere"; Dio è tutto il possibile, infatti, "nulla può essere che Dio non sia in atto". Considerando Dio da questo punto di vista si evince che tutte le cose sono complicate in Dio: "esse tutte complicitamente sono in Dio sono Dio, come esplicitamente nel mondo creato sono mondo" .

Risulta semplice, quindi, comprendere che se l'intento con cui Cusano ha scritto questo testo è quello della denominazione di Dio, il perno su cui fa leva è il pensiero di Dio come coincidenza degli opposti: pensiero che è da Cusano stesso ripreso in questo contesto laddove afferma che "Dio è una grandezza parimenti massima e minima", "grandezza assolutamente massima e minima ad un tempo, il che significa grandezza infinita ed indivisibile, verità e misura di ogni grandezza finita".[11]

Ritorniamo all'intento principale di Cusano, quello della ricerca della denominazione di Dio: afferma, Cusano "né un nome, né la denominazione di una cosa, né alcunché di quanto conviene alla grandezza creata si può dire convenientemente di Dio, perché c'è una differenza infinita"[12], ma, aggiunge, non dobbiamo arrestarci alle parole, dobbiamo trasferire i termini al poter essere in modo intellettuale . Dopo aver affermato che Dio è in atto tutto ciò che può essere Cusano aggiunge che "è tutte le cose in modo da non poter essere altro", che "è dovunque in modo da non poter essere in altro luogo" e che è la misura adeguatissima di tutte le cose "in modo da non poter essere più uguale"; Dio è, quindi, "sciolto da ogni opposizione". Il termine che secondo Cusano può significare in modo semplice tutta questa complessità è il termine possest, cioè la congiunzione di posse e esse: "è un nome abbastanza appropriato a Dio, secondo il concetto umano". Possest è "un nome che abbraccia tutti i nomi e parimenti nessuno"; è il concetto semplice in cui tutte le cose risultano complicate. Il possest è ed abbraccia tutte le cose poiché nulla è o può divenire che non vi sia incluso, in lui tutte le cose sono e si muovono e sono ciò che sono. "Se non c'è il poter essere non c'è nulla, se c'è tutte le cose sono ciò che sono in lui": ciò che fu fatto fu da sempre nel poter essere senza del quale nulla fu fatto .

Cusano sembra, quindi, attribuire al termine possest tutta la problematicità e complessità intrinseca della connessione esistente tra potenza e atto, tra poter fare e poter esser fatto. Potremmo riassumere tutto questo riportando qui un'ulteriore affermazione che Cusano fa in questo stesso contesto: "ogni creatura, che può dal non essere venire all'essere, si trova là dove il potere è essere, ed è lo stesso possest" . Molte delle considerazioni successive sono nient'altro che ripetizioni di questi stessi concetti in modi più o meno chiari ed esplicativi; riporto una di queste affermazioni che credo possa risultare particolarmente utile per comprendere appieno tale messaggio: "concepisci il potere assoluto come quello che complica ogni potere, al di sopra dell'attività e della passività, al di sopra del poter fare e del poter esser fatto; e concepisci il potere stesso come essere in atto. Quest'essere tu dici che è in atto ogni poter essere, cioè che è assoluto, e vuoi dire che, ove ogni potere è in atto, ivi s'è arrivati al primo principio onnipotente" .

Dopo aver così denominato Dio, Cusano spiega come l'intelletto umano possa arrivare a scoprire qualcosa dell'incomprensibile. Cusano afferma che il possest non può essere colto da nessun grado di conoscenza e che l'intelletto umano finito non è in grado di comprendere la virtù infinta; perché l'individuo possa comprendere la virtù infinita deve abbandonare ogni cosa e trascendere il suo stesso intelletto[19]. Attraverso tale operazione di trascendenza e applicando il possest a qualcosa che ha nome, esso diviene immagine atta ad ascendere a ciò che è innominabile . Il possest risulta in questo modo avere un significato semplice capace di condurre l'uomo in modo enigmatico ad una qualche osservazione intorno a Dio.

A conclusione di tali considerazioni Cusano inserisce nel possest le problematiche inerenti alla contrapposizione essere - non essere. Afferma Cusano che il possest non può essere ciò che non è; in lui, infatti, il non essere significa tutte le cose e si identifica, quindi, con la necessità assoluta dell'essere. Ma il non essere presuppone l'essere nel principio assoluto: in Dio il poter fare si identifica col non essere che, a sua volta, si identifica col poter esser fatto. Quindi, la negazione non essere presuppone l'essere ma parallelamente lo nega: l'essere presupposto dalla negazione è, quindi, anteriore alla negazione stessa ed è eterno. Conseguentemente vediamo Dio prima del non essere: nessun essere di lui viene negato. L'essere di Dio è tutto l'essere di tutte le cose che sono o che possono essere: di Dio neghiamo tutto ciò che segue al non essere. È questo il motivo fondante che porterà poi Cusano in un altro contesto, ma sempre in correlazione alla questione della denominazione divina, ad utilizzare come nominativo di Dio il termine non-aliud, non altro, termine che potrebbe essere, quindi, considerato come parallelo al termine posse.

È importante a questo punto osservare che le basi per il cambiamento di prospettiva per quanto concerne la denominazione divina, cambiamento che come vedremo tra breve ha sede nel De apice theoriae, sono poste proprio in questo testo laddove Cusano distingue tra potere passivo e potere attivo invece di parlare di potenza e atto: "se tu fossi l'autore del libro che scrivi, nel tuo potere attivo, cioè nello stesso scrivere il libro, risulterebbe complicato il potere passivo, cioè il poter esser scritto del libro, perché il suo non essere avrebbe l'essere nel tuo potere"[21]. Cusano interpreta così la possibilità d'esser fatto come possibilità passiva e la possibilità di poter fare come possibilità attiva. Da questo punto di vista, che mette in risalto la possibilità nella molteplicità delle sue accezioni, risulta chiaro quale sia l'idea di base che porterà Cusano a denominare Dio col termine posse.




c.   Le conclusioni di Cusano: 1464 De apice theoriae e Compendium

Nel De apice theoriae e nel Compendium troviamo il tentativo di chiarificare ogni possibile equivoco riguardo al concetto di posse e a tutti i concetti che abbiamo visto ad esso affiancarsi. In questi due testi, quindi, non troviamo nuove concezioni, ma solo nuove esposizioni chiarificatorie degli stessi concetti da Cusano precedentemente analizzati.

È questo il motivo principale per cui il De apice theoriae deve essere considerato come il testo in cui il concetto di posse trova la sua migliore espressione e chiarificazione e, questo, sia per la dettagliata descrizione che di esso viene data durante il breve dialogo, sia per il memoriale dell'apice della teoria tracciato nelle ultime pagine che esplica alcuni tratti del concetto analizzato in un chiaro e conciso elenco.

Nel De apice theoriae siamo, come abbiamo più sopra già avuto modo di affermare, nuovamente nell'ambito della ricerca della giusta denominazione di Dio e l'impostazione del discorso è nuovamente quella di tipo aristotelico così come l'abbiamo incontrata nel De possest.

Cusano parte col considerare la quiddità come potere. All'inizio del dialogo, infatti, Cusano fa affermare al cardinale che "la quiddità deve essere cercata al di là di ogni potenza conoscitiva, prima di ogni varietà ed opposizione"; la quiddità è considerata come "in sé sussistente", come "la sussistenza invariabile di tutte le sostanze" e come non moltiplicabile né plurificabile. La quiddità risulta essere diversa per ogni ente, ma è la medesima ipostasi per tutti. Se così è e considerando che la stessa ipostasi può essere, essa non lo può senza potere. Dunque il potere stesso è da Cusano considerato come ciò senza il quale nulla può nulla e ciò di cui nulla più sussistente può esservi per cui il potere è identificabile con la quiddità stessa senza la quale nulla può essere: il posse è considerato, quindi, come il principio da cui tutto deriva sulla base anche della già citata considerazione di potenza e atto nei termini di possibilità passiva e possibilità attiva.[22] La considerazione del posse da questo punto di vista ne mostra l'aspetto superiore rispetto alla stessa coincidenza di potenza e atto: il posse rappresenta nel modo migliore l'unità divina e il suo carattere attivo e creativo. È proprio a partire da queste affermazioni che troviamo forse la più importante e chiara esposizione del concetto di posse in relazione alla denominazione di Dio: "meglio del nome possest e di qualunque altro nome, il potere stesso, di cui nulla può essere più potente, e che è anteriore ad ogni cosa e migliore di tutto, è di gran lunga più adatto a denominare quell'essere senza del quale nulla può essere, vivere, intendere. Se esso può avere un nome, la migliore denominazione sarà quella di <<potere>>, di cui nulla può essere più perfetto, e credo non vi sia altro nome più vero, più chiaro o più facile" . Dio, quindi, non è più denominato col termine possest bensì col termine posse.

Chiunque sia dotato di mente, secondo Cusano, sa che "tutto ciò che è, è in quanto può essere e che senza potere nulla può nulla, né essere, né avere, né fare, né patire"; chiunque sia dotato di mente sa che "ogni potente presuppone lo stesso potere" il quale è tanto necessario che nulla può essere senza presupporlo. Cusano afferma, infatti, successivamente[24] che in tutte le cose causate e principiate vediamo il potere della causa prima e del primo principio e ribadisce che tale potere è quiddità e ipostasi di ogni cosa e "nella sua potestà sono contenute necessariamente sia le cose che sono sia quelle che non sono". È facile ritrovare tutte queste considerazioni nei testi precedenti di Cusano, anche nella stessa prima formulazione del De mente; l'unico punto quindi di forza di questo testo è, oltre alla magnifica chiarezza con cui tali concetti sono esposti, proprio il passaggio dal possest al posse nella terminologia di Dio: Cusano ritorna alle sue più vecchie concezioni e questo può farci vedere il De apice theoriae come una sorta di ultima presa di posizione di Cusano.

Nello stesso contesto Cusano introduce la metafora della luce[26] per meglio esplicare i contenuti da lui appena esposti, metafora secondo cui le cose sono manifestazioni del posse così come la luce è l'invisibile ipostasi di ogni colore, resa visibile nei vari colori. Leggiamo, infatti, che alcuni secondo Cusano hanno chiamato il potere stesso luce intendendo con tale termine "la luce di tutte le cose che possono risplendere, poiché nulla può essere più chiaro e più bello dello stesso potere". La luce sensibile è ciò senza cui la visione sensibile non esisterebbe e l'ipostasi di ogni colore e di ogni visibile è la luce stessa. "Ma la chiarezza della luce, come è in sé, supera la potenza visiva". Infatti essa viene vista come si manifesta nei visibili, ma non come è in sé. "Colui che nei visibili vede invisibile la chiarezza della luce", per quanto non possa vedere in sé tale chiarezza, la vede in modo più vero. Tale descrizione deve essere trasportata dall'ambito del sensibile a quello dell'intellegibile. Una volta compiuto tale passaggio si arriva a comprendere che i vari enti sono ciò che possono essere e posseggono ciò che hanno avuto dallo stesso potere. Da questo punto di vista i vari enti sono i modi vari di apparire o manifestazioni dello stesso potere. Tuttavia, essendo essi solo manifestazioni, non possono contenere in modo perfetto il potere come esso è in sé, per cui l'intelletto umano non è in grado di comprendere la verità in modo assoluto. Ma, aggiunge Cusano , l'individuo può scoprire l'incomprensibile attraverso la visione della mente (considerata, quindi, come diversa ma superiore alla capacità di comprendere: diversa in quanto non è comprensione; superiore perché la semplice comprensione umana intuisce Dio in modo equivoco mentre la visione della mente umana arriva a vedere ciò che è incomprensibile). Cusano fa, quindi, leva sull'immediata evidenza del posse absolutum e, quindi, della possibilità di cogliere Dio nella sua immediata evidenza quale fondamento dell'essere ricordando però che questa visione che l'individuo può arrivare ad avere di Dio non è identificabile con la conoscenza (questa concezione che si differenzia da ciò che Cusano aveva affermato internamente alla teoria della dotta ignoranza secondo cui Dio, essendo al di là della possibilità cognitiva umana, può essere colto solo in modo oscuro). Questa concezione dell'immediata evidenza del posse absolutum, come avevamo già visto, è in stretta correlazione col concetto di posse e sorge proprio a partire dai Dialoghi dell'idiota, ma è meglio esplicato attraverso l'utilizzo di questa metafora e del termine visione della mente.

Secondo quanto sopra detto possiamo così riassumere: Dio è il potere stesso che appare in modi di essere vari e differenti in base alle specie[29] e che, se anche non può essere intuito in modo perfetto dall'intelletto umano, può comunque essere scoperto con la visione della mente umana.

Come ho sopra affermato il De apice theoriae è seguito da un memoriale che riassume i concetti espressi riguardo al posse con l'aggiunta di chiarimenti e possibili conseguenze.


Anche nel Compendium, del quale prendiamo qui in considerazione il capitolo il capitolo X, il concetto di posse è inserito nella più ampia questione del principio, ma qui la priorità è data alla questione dell'essere piuttosto che alla questione concernente la conoscenza. Anche in questo caso non ci sono novità rilevanti rispetto ai testi precedenti, ma chiarificazioni al problema analizzato.

All'inizio del capitolo X[30] Cusano parla del principio onnipotente nei termini di "ciò cui nulla può essere anteriore e più potente". Cusano, per trattare nel miglior modo possibile del principio onnipotente, sceglie quattro termini: potere, eguale, uno e simile. Non esiste niente che sia anteriore al potere cioè a "ciò di cui nulla è più potente" e per questo motivo il potere viene qui identificato col principio onnipotente stesso. Infatti, continua Cusano, il potere "è anteriore all'essere e al non essere", è anteriore al fare e all'esser fatto: nulla è se non può essere e nulla non è se non può non essere; nulla fa se non può fare e nulla è fatto se non può esser fatto. Nessuna di tutte le cose che non sono il potere stesso può essere o esser conosciuta senza di esso; tutto ciò che può esser o esser conosciuto risulta complicato nel potere e gli appartiene. Tali considerazioni, come è facilmente constatabile, non apportano alcun cambiamento al concetto di posse così come era stato delineato nei testi precedenti. Passando poi agli altri termini, Cusano parla dell'uguaglianza relativa al posse portatrice di unità e della produzione del simile, tratti questi che erano già stati considerati, ma che qui trovano la loro forma riassuntiva più adatta a portare chiarificazioni. Cusano afferma che l'uguale, poiché appartiene al potere, "è prima di tutte le cose come il potere di cui è l'uguale"; "nella propria eguaglianza il potere si manifesta potentissimo", infatti, "potere generare da sé l'eguaglianza di se stesso è suprema manifestazione di potenza". La mente vede che il potere, la sua uguaglianza e la loro unione costituiscono un unico principio quanto mai potente uguale e uno. Il potere mediante l'eguaglianza produce il simile: tutto ciò che è, e non è, lo stesso principio è, quindi, similitudine del principio.











Quindi riassumendo dal fatto che: tutte le cose sono nel potere; la loro universalità è in Dio che quindi le connette tutte e connette anche tutte le loro possibilità d'essere.

De mente Leo S. Olschki Editore 2003, pag. 63



De mente pag. 64

De mente pag. 64

De mente pag. 66

De possest pag. 243

De possest pag. 243

Vedi De possest pag. 243

"In tutto ciò che è posteriore a Lui c'è distinzione di potenza e atto, cosicché Dio soltanto è ciò che egli può essere" De possest pag. 245

De possest pag. 247

De possest pag. 247

De possest pag. 247

De possest pag. 249

De possest pag. 251

De possest pag. 251

De possest pag. 253

De possest pag. 263

De possest pag. 265

De possest pag. 255

De possest pag. 263

De possest pag. 267

Tutte queste considerazioni si trovano in De apice theoriae pag. 367

De apice theoriae pag. 369

De apice theoriae pag. 371

Considerazioni riscontrabili in De apice theoriae pag. 369 e pag. 371

L'esposizione della metafora della luce ha inizio in De apice theoriae pag. 371

Vedi De apice theoriae pag. 373

Così come è possibile leggere nelle considerazioni in De apice theoriae pag. 373 e pag. 375

Vedi De apice theoriae pag. 377-9

Compendium pag. 347

Tutte le considerazioni sopra esposte si trovano in Compendium pag. 347






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