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Eterno ritorno e responsabilità dell'uomo.
[L'idea
dell'eterno ritorno dell'eguale] significa infatti, almeno in un primo senso,
quella coscienza eraclitea chiarissima del fluire e del passare incessante di
tutte le cose, coscienza che, a chi non abbia un coraggio super umano,
toglierebbe ogni capacità di agire. Questo primo significato dell'idea
dell'eterno ritorno spiega anche in che senso il primo nichilista compiuto sia
anche quello che per primo supera il nichilismo. Si può dire che l'ultimo
gradino della scala del nichilismo (insensatezza di tutte le cose dato il
divenire inarrestabile) è anche il primo passo nel superamento di esso. Capire
questo significa capire anche in che senso la prospettiva di Nietzsche è ben
lontano dall'affidare il filosofare e la verità all'arbitrio e all'irrazionale.
Se infatti il divenire è un eterno ritorno dell'eguale, cioè non ha una
direzione né uno sviluppo come voleva lo storicismo, la decisione per un verso
diventa un assoluto, per l'altro diventa determinante non di un solo punto
della storia, ma della storia nella sua totalità. Sono questi caratteri che,
apparentemente in contraddizione, Nietzsche attribuisce appunto alla decisione
una volta che si sia riconosciuto l'eterno ritorno dell'eguale.
Anzitutto: se il divenire non è uno sviluppo organizzato secondo leggi, ogni
punto di esso equivarrà ad ogni altro punto (anzi, in realtà non si
distingueranno) e nessuno potrà avere una priorità di valore sugli altri;
nessuna decisione potrà dirsi d 555d35f eterminata o condizionata da altro. In un mondo
dove non c'è storia come divenire storicistico, la decisione è davvero un
assoluto. È la decisione non inclusa in nessun orizzonte, ma semmai istituente
un orizzonte, che sembra costituire il problema del frammento autobiografico
del 63. Essa non è in un mondo, ma appunto, come dirà l'ultima lettera a Burckhardt, fonda e istituisce, crea il mondo. È di questo
che dev'essere cosciente il superuomo nietzscheano. Può questa consapevolezza risolversi in
leggerezza o arbitrio? Che cosa c'è di più severo dell'imperativo: agisci come
se quello che stai per fare dovesse ripetersi eternamente?
Il pensiero dell'eterno ritorno e così piuttosto un appello alla responsabilità
e alla assunzione di responsabilità. Il mondo è diventato favola: ciò significa
che non c'è nessuna garanzia di ciò che facciamo o diciamo, che tutta la
responsabilità ricade su di noi. Anche la morte di Dio, che Zarathustra
annuncia, non è altro che la fine delle garanzie di cui si era circondato
l'uomo della metafisica tradizionale per liberarsi dalla responsabilità piena
delle sue azioni. È infatti "il dio morale" che è morto, cioè il dio
dell'ordine costituito una volta per tutte.
L'uomo nuovo che Nietzsche progetta e a cui vuole preparare la via con il suo
pensiero è l'uomo capace di assumersi in pieno alle proprie responsabilità.
Ecco perché nei frammenti del Wille zur Macht, l'opera che Nietzsche
progettava come summa del suo pensiero e che non portò mai a termine, a tanta
importanza il concetto di Rangordnung, di gerarchia di
valori, ma nel suo aspetto dinamico, come istituzione di questo ordine dei
valori.
Si è voluto interpretare soprattutto questo aspetto del pensiero di Nietzsche
come una apologia dell'autoritarismo, delle superomismo politico di cui la
prima metà del novecento ci ha dato alcuni tristi esempi. In realtà la
fondazione e la promulgazione di tavole di valori è un compito che Nietzsche
propone a tutti gli uomini. Egli si rende però conto che, per fondare
autenticamente dei valori, per fare qualcosa di significativo nella storia,
occorre esservi preparati. Tutti sono chiamati a fare qualcosa di
significativo, ma pochi ci riescono.
Ridotta così, la posizione di Nietzsche diventa addirittura banale. E lo
sarebbe, se non ci fosse al fondo di essa sempre qualcosa di misterioso e di
difficilmente esprimibile al di fuori dell'aura mitica dentro cui Nietzsche
volutamente lo lascia. Un intero libro del Wille zur Macht porta il titolo (deciso
da gli editori, ma sulla base di appunti di Nietzsche) di "disciplina e
educazione"; ma meglio ancora Zucht (disciplina)
andrebbe tradotto con allevamento, e si usa ugualmente per gli animali. È noto
del resto quanto Nietzsche insista sul concetto di razza, e anche questo lo ha
fatto annoverare tra i profeti del nazismo. Ma chi cerchi di interpretare
questo concetto in fedeltà al significato complessivo del pensiero di Nietzsche
riconoscerà che, con questa insistenza sulla razza più che sull'educazione nel
senso consueto della parola, Nietzsche non vuol far altro che accentuare il carattere
remoto, e perciò più biologico che pedagogico e culturale, della preparazione
occorrente all'uomo che fa qualcosa di decisivo nella storia, quel superuomo
capace di sopportare l'idea dell'eterno ritorno e di accampare la sua decisione
al di fuori degli orizzonti stabiliti, al di fuori di ogni garanzia.
È questa, per esempio, la ragione per cui filosofi non si diventa, ma si nasce.
"Per stimare il valore delle cose non basta conoscerle, seppur questo è
necessario. Bisogna che si possa assegnare loro il valore, bisogna essere uno
che ha il diritto di assegnare valori". Ora, chi mi dà il diritto di
considerarmi legislatore? È bensì un diritto che si ha in quanto si decide di
prenderlo, ma anche questa decisione implica una sorta di predestinazione.
"C'è qualcosa nel fondo dello spirito che non si può insegnare: un masso
granitico di fato, di decisione già presa su tutti i problemi nel loro
commisurarsi e riferirsi a noi, e insieme un diritto a determinati problemi, un
loro essere segnati a fuoco col nostro nome".
Questa predestinazione non vuol dire niente altro se non che la possibilità per
l'uomo di fare qualcosa di significativo nella storia nasce da un radicamento
remoto, da un rapporto originario che forse risponde proprio al problema
restato aperto nel frammento autobiografico del 63. È vero che non viene
risolta la questione dell'orizzonte dell'azione e della decisione, anzi la
decisione e l'azione soltanto sono capaci di fondare l'orizzonte. Ma il
frammento del 63 accennava già a qualcos'altro, che qui sembra venire ora in
piena evidenza, e cioè la presenza di una forza reggente e guidante. Prima
delle parole conclusive che abbiamo riportato all'inizio, Nietzsche scriveva in
quelle pagine: "così, io posso guardare con gratitudine a tutto quanto mi
è accaduto finora, sia esso gioia o dolore, e gli eventi mi hanno finora
condotto con un bambino...". Questa forza che guida l'uomo, che fa cadere
a un certo punto con potere irresistibile i legami che lo racchiudevano, è ora
il radicamento remoto che permette al superuomo di essere quello che è, di
sopportare la difficile idea dell'eterno ritorno e di decidere accampando la
propria decisione nell'eternità.
6. Decisione e rapporto con l'essere.
Si
scopre qui l'ultimo e più profondo significato dell'idea dell'eterno ritorno,
quello che, nonostante tutto, potrebbe far parlare, in senso molto largo, di un
Nietzsche religioso, o almeno certamente di un Nietzsche ontologo
o ontologista. Se è vero, da un lato, che la
decisione non ha un orizzonte precostituito ma anzi fonda essa stessa il
proprio orizzonte, propri perché il divenire storico non ha più quel senso
reggente che gli aveva riconosciuto lo storicismo, è anche vero che il potere
di decidere viene all'uomo non per un atto arbitrario, ma per una sorta di remoto
radicamento di cui Nietzsche dice poco, e a cui allude con molte metafore
biologiche, compresa quella di razza. Ora, questo radicamento fa pensare che la
decisione, nonostante tutto, si definisce pure in rapporto a qualcosa, benché
questo qualcosa non possa essere né il mondo (della natura o della storia) ne
Dio, inteso nel senso tradizionale. C'è insomma, al di là della caduta degli
orizzonti, un rapporto costitutivo della decisione e del superuomo.
Che cos'è questo rapporto, e con che cosa? L'unica risposta possibile, che
Nietzsche non ha dato esplicitamente ma che si deve ipotizzare in base al resto
del suo pensiero, è che questo rapporto che fonda e costituisce originariamente
la decisione - la quale a sua volta sta alla base del tempo, delle sue dimensioni
di passato e di futuro, e di tutti i rapporti storicamente individuati - sia il
rapporto con la totalità dell'essere: "accettare e approvare un singolo
fatto significa approvare il tutto, la totalità del passato e del
presente".
Della resto, è anche questo un senso possibile dei discorsi sulla
responsabilità di ogni singola decisione, nella quale è implicato il destino di
tutto. Demolita la struttura seriale del tempo, o almeno riconosciutala come
non originaria, anche la decisione non si colloca più in rapporto con questo
quel momento del tempo, ma con la totalità del divenire e dell'essere (non più
distinti, a loro volta, come stabilità-verità e apparenza ingannevole). E da
questo rapporto, come sembra già suggerire il frammento autobiografico del 63,
viene qualificata e in un certo senso determinata.
È il rapporto con il tutto, il remoto radicamento nella totalità dell'essere
che dà al filosofo il diritto di filosofare, cioè di legiferare. Vale a dire,
tradotto al livello del discorso sulla storia da cui siamo mossi, che il
divenire della storia è garantito come divenire e come novità solo in quanto
scaturisce da una origine, da un essere che ha come caratteristica la
creatività, l'originarietà nel senso appunto di
essere un'origine permanente e sempre attiva, non mai accaduta una volta per
tutte, delle cose.
Se il divenire della storia fosse affidato a una decisione arbitraria dell'uomo
non si potrebbe parlare di vera novità. Niente più del cosiddetto arbitrario è
legato alle condizioni esistenti: l'umore, l'eredità biologica, le preferenze
istintive. Nietzsche non vede la storia come natura in questo senso, nel senso
cioè che la novità storica sia un prodotto dell'istinto o della
"vita" nel senso banale e bruto del termine. La storia è per lui
natura semmai in un altro senso, nel senso della parola greca physis, che vuol dire forza originante, scaturigine
permanente, sorgente attuale della novità, origine, nascimento. È questa, in
ultima analisi, la ragione per cui per Nietzsche non si può parlare di un mondo
dato una volta per tutte in rapporto a cui la proposizione si verifichi vera in
quanto conforme. Non esiste il mondo, esistono dei mondi come posizioni sempre
in movimento dell'origine, la quale genera i mondi come, o in quanto (e forse è
lo stesso), genera le prospettive entro cui essi si rivelano. Il modo di
accostarsi alla verità non è quindi quello di arrivare a vedere finalmente le
cose come stanno, giacché esse non "stanno" affatto, ma piuttosto - e
qui andiamo ancora oltre la lettera dei testi nietzscheani
- mantenersi in rapporto con l'origine, evitare di perdersi all'interno della
propria prospettiva storica assolutizzandola,
identificandola immediatamente con la realtà. Tutto questo è contenuto
nell'idea Nietzscheana dell'eterno ritorno dell'eguale,
e l'uomo che Nietzsche vuol preparare con la sua filosofia, il superuomo, e
quello capaci di vivere in questo mondo, nell'essere così inteso e compresa.
Nietzsche non manca, paradossalmente, di dare una specie di giustificazione
storica della sua esigenza di una nuova umanità. È quella che si può trovare
per esempio nell'aforisma 953 del Wille zur Macht, proprio nel libro
intitolato Zucht und Zuchtung.
Con il progresso della tecnica, l'uomo avrà bisogno di sempre meno virtù per
sopravvivere nel mondo, giacché le esterne condizioni di difficoltà da cui le
virtù erano state originate saranno scomparse. A questo punto, davanti all'uomo
si apriranno due vie: o abbandonarsi totalmente alla mediocrità e alla
massificazione, perdendo, con la necessità di ingegnarsi, anche tutte le virtù
che via via nella storia aveva acquistato, in un
processo involutivo che non sappiamo dove si fermerebbe; oppure dedicarsi
consapevolmente alla propria auto formazione, divenuta finalmente libera dalla
casualità impostagli dalle varie esigenze esteriori.
Se si vuole, il mondo in cui la verità come stabilità e diventata favola è il
nuovo mondo della tecnica, dove sempre più vien in
luce che le cose non sono quali sono, ma quali noi le facciamo. Anche il senso
del termine e del concetto di essere, in un mondo in cui l'uomo non incontra
più ciò che è, ma ciò che è stato prodotto, devono rinnovarsi. L'essere, pensa
Nietzsche, non può più apparirci come la stabilità del dato, ma come la
dinamicità dell'origine permanentemente viva e originante. E anche l'uomo in
questo mondo non è più lo stesso. Quale egli debba divenire possiamo solo
ipotizzare in maniera approssimativa. Quello che sappiamo è che, per essere
uomo in questo mondo, egli deve cominciare ad assumersi in pieno le proprie
responsabilità.
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