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Cartesio - CRITICA DEL SAPERE TRADIZIONALE.

filosofia



Cartesio


CRITICA DEL SAPERE TRADIZIONALE.


"Mi ritrovai sperduto tra tanti dubbi ed errori che mi pareva di non avere, nel cercar di istruirmi, fatto altro profitto che d'avere scoperto di più in più la mia ignoranza"


In un brano autobiografico Cartesio (1596-1650) si espresse con que 929e43j ste parole, riguardo agli esiti dell'educazione da lui ricevuta presso il Collegio gesuitico a La Flèche, peraltro in una delle migliori scuole d'Europa, come il filosofo stesso riconobbe. La critica di Cartesio era rivolta alla filosofia e alla logica tradizionali, ma anche all'aritmetica e alla geometria. In particolare sulla filosofia egli scrisse che "benchè essa sia stata coltivata dagli spiriti più eccellenti che siano vissuti, non vanta ancora cosa alcuna di cui non si discuta e la quale però non sia dubbia"; il giudizio del filosofo sulla logica tradizionale fu ancora più severo: Cartesio ne negò qualsiasi forza fondazionale e ogni capacità euristica.



In campo geometrico e matematico egli sostenne che i procedimenti fino ad allora elaborati, per quanto lineari, non erano sorretti da un chiaro indirizzo metodologico. Cartesio evidenziò in queste discipline la mancanza di una guida in grado di accompagnare gli studiosi nella soluzione di nuovi problemi: la geometria e la matematica erano state precedentemente elaborate fuori dal contesto di un buon metodo. Lo studioso elaborò la geometria analitica, applicando l'algebra alla geometria (dato che entrambe si ispirano allo stesso metodo), formulando quindi un metodo unico e scientifico che fa corrispondere determinate equazioni a determinate figure.


Ciò su cui Cartesio attira l'attenzione è il fondamento che consenta all'uomo un nuovo tipo di conoscenza della totalità del reale: occorrevano nuovi principi, diversi da quelli aristotelici, cui la cultura accademica era ancora gelosamente fedele.


.E FORMULAZIONE DELLE QUATTRO REGOLE DEL METODO


Come Cartesio scrisse nelle Regulae ad directionem ingenii, egli voleva offrire "regole certe e facili che, da chiunque siano esattamente osservate, gli renderanno impossibile prendere il falso per il vero e, senza alcun inutile sforzo mentale, ma aumentando sempre gradatamente la scienz, lo condurranno alla conoscenza vera di tutto ciò che sarà capace di conoscere".


Le regole furono ridotte da ventuno (nelle Regulae ad directionem ingenii) a quattro (nel Discorso sul metodo).

Regola dell'evidenza: "Non devesi accettare nella propria mente come vera alcuna idea che non appaia tale con ogni evidenza".

Più che una regola si tratta del principio normativo fondamentale. L'atto intellettuale con cui si raggiunge l'evidenza è l'atto intuitivo, che si autofonda e si autogiustifica, nasce dalla sola luce della ragione ed è più certo della stessa deduzione.

Regola dell'analisi: "Dividere ogni problema preso a studiare in tante parti minori , quante fosse possibile e necessario per meglio risolverlo".

Questa fase è essenziale perché se per la certezza è necessaria l'evidenza,e per l'evidenza è necessaria l'intuizione, per l'intuizione è necessaria la semplicità che si raggiunge attraverso la scomposizione in varie piccole parti del complesso. Questa è la via che permette di sfuggire alle presuntuose generlizzazioni e di trovare il falso e l'errore nel procedimento, facendo giungere alla conclusione tappa dopo tappa.

Regola della sintesi: "La terza regola è quella di condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei più complessi; e supponendo un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono naturalmente gli altri".

Regola della enumerazione: è infine necessario ripercorrere tutti i passaggi per accertarsi che non si sia commesso un errore. "L'ultima regola è quella di far dovunque enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non aver omesso nulla".




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