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EMPIRISMO INGLESE E JOHN LOCKE
L'empirismo risulta caratterizzato dalla teoria della ragione come un insieme di poteri limitati dall'esperienza, intesa come fonte ed origine del processo conoscitivo e come criterio di verità o strumento di certificazione delle tesi dell'intelletto, valide solo se suscettibili di controllo empirico. L'empirismo, in antitesi al razionalismo, tende ad assumere un atteggiamento limitativo e critico nei confronti delle possibilità conoscitive dell'uomo, e segue un indirizzo anti-metafisico che respinge dalla ricerca legittima i problemi che non sono accessibili agli strumenti di cui l'uomo dispone.
Locke, ispiratosi a Hobbes, non attribuisce alla ragione tutti quei caratteri attribuiteli da Cartesio: essa non è uguale per tutti gli uomini, non è infallibile in quanto le idee p 626c21g ossono essere oscure, o non concatenabili tramite ragionamenti o anche perché può essere tratta in inganno da falsi principi del linguaggio; inoltre la ragione, non potendo ricavare da sé i principi, deve necessariamente ricavarli dall'esperienza. Ciononostante, la ragione è l'unica guida efficace di cui l'uomo dispone. Secondo L., però, prima di indagare circa i problemi solitamente trattati, era necessario esaminare le capacità dell'uomo e vedere quali oggetti il suo intelletto è o non è capace di considerare. Questo è il tema centrale del Saggio di L., con il quale si ebbe un primo approccio alla filosofia critica, diretta a stabilire le possibilità umane col riconoscimento dei limiti propri anch'essi dell'uomo, in quanto propri della sua ragione che deve fare i conti con l'esperienza, che fornisce alla ragione il materiale che essa adopera. La ragione combina e ordina questo materiale a suo modo, ma anche questa attività deve essere controllata dall'esperienza, in quanto altrimenti le sue costruzioni possono diventare arbitrarie e fantastiche.
Secondo L. l'oggetto della conoscenza è l'idea, che deriva direttamente dall'esperienza e che è quindi frutto della passività di quest'ultima di fronte alla realtà: e poiché la realtà si divide per l'uomo in realtà esterna (le cose naturali) ed interna (lo spirito), le idee si divideranno in idee di sensazione (se provenienti dall'esterno) e idee di riflessione (se derivanti dall'interno). L. rimane fedele al principio cartesiano che avere un'idea significa esserne cosciente, e le idee non esistono se non sono pensate, quindi L. critica le idee innate in quanto ritiene che esse siano raggiunte dal bambino nell'età della ragione come altre idee non considerate tali, e neanche i principi morali sono tali perché secondo L. hanno anch'essi bisogno di dimostrazione. Le idee si dividono invece in idee semplici e idee complesse, l'esperienza ci fornisce le idee semplici che sono poi elaborate dal nostro intelletto e riunite in idee complesse. Le idee semplici si dividono poi in idee primarie e secondarie, riprendendo la divisione galileiana di idee oggettive e soggettive. Il limite insuperabile dell'intelletto umano sta nell'impossibilità di creare idee semplici; nel ricevere le idee semplici l'intelletto è puramente passivo mentre diventa attivo nella fase di elaborazione delle idee complesse. Queste, secondo L., si possono ricondurre a tre categorie: modi, sostanze e relazioni. I modi sono idee non sussistenti di per sé, ma esistono solo in quanto manifestazioni di una sostanza; le sostanze sono esistenti di per sé; relazione è il confronto di un'idea con un'altra. Particolarmente importante è l'analisi di L. riguardo alle sostanze, che vengono considerate dall'uomo come idee semplici in quanto l'uomo non riesce ad ammettere l'esistenza indipendente di esse. Per questo motivo l'uomo si abitua ad ammettere l'esistenza di un sostrato del tutto arbitrario che ne costituisca la base, superando la testimonianza dell'esperienza. Ciò vale sia per la sostanza materiale che per quella spirituale: la prima è il substrato sconosciuto delle qualità sensibili, la seconda è quello delle operazioni dello spirito. L'attività dello spirito sta anche nel porre e nel riconoscere le relazioni, considerando che l'intelletto non si limita mai a considerare le cose nel loro isolamento, bensì cerca sempre di conoscere i rapporti in cui essa sta con le altre. Fra le relazioni fondamentali vi sono quelle di causa-effetto, identità-diversità. Un'altra attività dello spirito vi è la formazione di idee generali, che sono segni delle cose particolari fra cui è possibile riconoscere una certa somiglianza.
La conoscenza è direttamente derivante dalla ragione ma non si identifica con essa, in quanto non si riduce alle idee; bensì è la percezione di un accordo o di un disaccordo fra di loro. Essa può essere di due specie differenti: è intuitiva quando l'accordo o il disaccordo fra le idee è immediatamente visibile, ed è dimostrativa quando l'accordo o il disaccordo fra esse è reso evidente da altre idee intermedie chiamate prove, e consiste in una serie di conoscenze intuitive, ma specialmente in ragionamenti lunghi dove l'errore è più facile essa è meno certa di quella intuitiva. Accanto a queste due conoscenze ce n'è un'altra che è quella delle cose esistenti al di fuori delle idee in quanto L. è cosciente del fatto di aver ridotto la conoscenza a idee e rapporti fra idee. Secondo L. la conoscenza è vera solo se c'è conformità fra le idee e le cose reali. Ci sono tre ordini di realtà: io, Dio e le cose. Per la conoscenza dell'io L. si avvale del procedimento cartesiano, per l'esistenza di Dio, L. sostiene che il nulla non può produrre nulla e che se c'è qualcosa vuol dire che è stata prodotta da un'altra cosa, e non potendo risalire all'infinito si deve ammettere l'esistenza di Dio; in quanto all'esistenza delle cose, l'uomo non ha altro mezzo di conoscerle tranne che la sensazione attuale, ma non c'è nessun rapporto necessario fra l'idea e la cosa cui si riferisce. Ma il fatto che noi riceviamo attualmente l'idea significa che esiste in questo momento qualcosa fuori di noi che produce l'idea e che esiste la cosa che la produce in noi; secondo L. non è ammissibile che le nostre facoltà ci ingannino a tal punto. Queste ragioni valgono solo per l'istante in cui l'idea è ricevuta, quando la sensazione finisce la certezza dell'esistenza della cosa è sostituita dalla probabilità, in quanto L. ammette anche la conoscenza probabile, più estesa delle altre. Le conoscenze sono dominio della ragione, dalla quale si distingue la fede che è soltanto rivelazione, che però rimane comunque sotto il dominio della ragione perché solo essa può decidere sull'attendibilità e sul valore della rivelazione.
-La
politica- L. fu mosso
a scrivere il Saggio da problemi di tipo morale e politico, e tutta la sua vita
fu rivolta alla risoluzione di essi: sulla morale non ha lasciato scritti,
anche se dal Saggio sappiamo che era sostenitore del carattere razionale e
dimostrativo dell'etica: la ragione delle regole morali era l'utilità per la
conservazione della società e della felicità pubblica. Nel dominio politico e
religioso, invece, L. ha lasciato contributi fondamentali: l'Epistola sulla
tolleranza, i Due trattati sul governo civile,
Per
quanto riguarda la religione, nell'Epistola sulla tolleranza, L.
stabilisce il concetto di tolleranza attraverso un'analisi dei concetti di
Stato e di Chiesa e viene riconosciuto come punto d'incontro dei loro
rispettivi compiti. I compiti dello Stato non comprendono la salvezza
dell'anima, considerando che l'unico strumento di cui il magistrato dispone è
la costrizione e la fede non può essere indotta negli animi con la forza.
Neanche i cittadini e
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