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CRITICA DELLA RAGION PRATICA

filosofia



CRITICA DELLA RAGION PRATICA


IL CONCETTO DI RAGION PRATICA

La ragione umana è anche ragione pratica, cioè è capace di determinare la volontà e l'azione morale.

Lo scopo della nuova opera non è quello di criticare la "ragion pura pratica", nello stesso modo in cui si era trattato precedentemente della ragion pura teoretica. Infatti la ragion pratica non corre il rischio di andare oltre i suoi limiti: essa ha il compito di determinare la volontà e quindi ha sicuramente una realtà oggettiva.

Di conseguenza, basta provare che esiste una ragion pratica che da sola (cioè senza l'intervento della sensibilità) può determinare la volontà, per eliminare 323i83d ogni problema riguardo alla sua legittimità.

E' UNA CRITICA DELLA RAGION PRATICA CHE RESTA LEGATA ALL'ESPERIENZA.





LA LEGGE MORALE

I PRINCIPI PRATICI sono le determinazioni generali della volontà, sotto cui stanno molte regole pratiche particolari; essi sono:

MASSIME: sono i principi pratici che valgono solo per i singoli soggetti che se le propongono, e sono quindi soggettive

IMPERATIVI: sono principi pratici validi per tutti, e quindi oggettivi; possono essere di due tipi:

IPOTETICI: determinano la volontà solo a condizione che essa voglia raggiungere determinati scopi, e valgono per tutti quelli che si propongono quell'obiettivo

CATEGORICI: determinano la volontà non per ottenere un certo effetto, ma semplicemente come volontà.


Le leggi morali sono imperativi categorici: esse però possono non attuarsi, poiché la volontà umana è soggetta anche alle inclinazioni sensibili e non solo alla ragione; la necessità della legge morale consiste nel valere per tutti gli esseri razionali senza eccezione.



L'ESSENZA DELL'IMPERATIVO CATEGORICO

L'imperativo categorico non può consistere nel comandare determinate cose, quindi la legge morale prescinde dal suo contenuto: infatti se si subordina la legge morale al suo contenuto si cade nell'empirismo e nell'utilitarismo.


Nella legge, prescindendo dal suo contenuto, non resta altro che la forma: quindi l'essenza dell'imperativo consiste nel suo valere in virtù della sua forma di legge.

La legge morale è tale perché mi consente di rispettarla in quanto legge ("devi perché devi") ed è tale perché vale universalmente senza eccezioni.



LE FORMULE DELL'IMPERATIVO CATEGORICO

Le espressioni dell'imperativo categorico sono tre:

"Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione universale"

riguarda la LEGGE, che coincide con la volontà personale

"Agisci in modo da considerare l'umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, e mai come semplice mezzo"

riguarda l'UOMO, che viene posto al di sopra di tutto

"Agisci in modo che la volontà, con la sua massima, possa considerarsi come universalmente legislatrice rispetto a sé medesima"

riguarda la VOLONTA', che serva a dare la legge a noi stessi



LA LIBERTA'

L'esistenza della legge morale si pone alla coscienza come un fatto compiuto, che non ha bisogno di giustificazioni, e questo fatto si può spiegare solo se si ammette la libertà. Quindi noi acquistiamo coscienza della libertà perché prima di tutto abbiamo coscienza del dovere.

L'imperativo che mi comanda di volere secondo la pura forma della legge mi comanda quindi la libertà: non si tratta di un giudizio analitico, ma sintetico a priori, poiché mi dice qualcosa di nuovo. La cosa particolare è che parla non di una dimensione fenomenica ma noumenica, anche se non me la fa cogliere nella sua essenza: si tratta dell'unico caso di giudizio sintetico a priori non fenomenico.

La libertà è l'indipendenza della volontà dalla legge naturale dei fenomeni, cioè dal meccanismo causale; nella dialettica della ragion pura essa da luogo a un'antinomia, mentre spiega tutto nella sfera morale, e per questo noi ne prendiamo coscienza per via morale.

Quindi: noi conosciamo prima la legge morale, e poi da questo comprendiamo come suo fondamento la libertà ("devi dunque puoi").


L'AUTONOMIA MORALE

La volontà è dotata del concetto di AUTONOMIA, cioè è in grado di determinarsi da sé. Il suo contrario è l'ETERONOMIA, cioè il far dipendere la volontà da qualcosa che è altro da lei. Tutte le etiche che si fondano sui contenuti compromettono l'autonomia della volontà, poiché implicano una sua dipendenza dalle cose: questo errore è proprio di ogni etica che si fonda sulla ricerca della felicità, poiché introduce fini materiali. L'uomo deve invece agire non per ottenere la felicità ma per il puro dovere: così diventa degno di felicità.


IL BENE MORALE

Le etiche prekantiane determinavano i concetti di bene morale e male morale e da qui procedevano a dedurre la legge morale. Kant rovescia la questione: il concetto di bene e male morale va determinato dopo la legge morale; infatti è l'intuizione (o volontà) pura che fa essere buono ciò che essa vuole.

In che modo si può passare ai contenuti particolari? Kant ricorre a uno schema con cui, elevando la ,massima soggettiva all'universalità si è in grado di capire se questa è massima morale oppure no.


IL RISPETTO

Per essere morale, la volontà che sta alla base dell'azione deve essere determinata dalla sola legge e non da altri sentimenti.

Kant attribuisce valore solo al sentimento del RISPETTO, che nasce su un fondamento intellettuale e razionale, poiché è suscitato dalla ragione stessa; il rispetto nasce di fronte all'uomo che incarna la legge morale, ed è l'unico sentimento che l'uomo può conoscere a priori.

In un essere perfetto la legge morale è legge di santità, in un essere finito è dovere.


I POSTULATI

Quelli che nella Critica della Ragion Pura davano luogo ad antinomie (libertà, immortalità dell'anima, Dio) diventano ora postulati, cioè presupposti che autorizzano concetti di cui altrimenti non si potrebbe affermare neanche la possibilità. Bisogna ammettere la loro esistenza per poter spiegare la legge morale.

la libertà è postulata per il fatto che è possibile concepire la volontà pura come causa libera

Dio è postulato poiché la legge morale mi comanda di essere virtuoso e questo mi rende degno di felicità; questa felicità non si attua in questo mondo e quindi è lecito concepire un altro mondo in cui Dio adegua ai meriti e alla virtù la nostra felicità

l'immortalità dell'anima è postulata perché la santità richiesta dal sommo bene è un processo che può realizzarsi solo all'infinito











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