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Enea e il Mediterraneo

filosofia



Enea e il Mediterraneo


La storia di Enea trova maggiore spazio nella mitologia e nella poesia latina che in quella greca: le sue gesta occupavano già una parte notevole nell'Iliade, ma Virgilio ne fece il protagonista assoluto del suo poema, rendendone la personalità unica ed estremamente moderna per il modo con cui l'eroe troiano interpretò l'esistenza e per l'atteggiamento che assunse di fronte ad essa; inoltre l'itinerario del suo viaggio e le tappe sulle coste del Mediterraneo fanno pensare quasi ad una mitica presa di possesso da parte del presunto antenato dei Romani di quel mare che essi amavano chiamare " nostrum ".


Il viaggio di Enea da Troia alla foce del Tevere
Da Gaetana Miglioli, Il romanzo della mitologia dalla A alla Z,
Messina-Firenze, casa editrice G. D'Anna, 1991

Particolare della carta



Nato dall'unione tra Anchise e Afrodite, trascorse l'infanzia e la prima giovinezza sul monte Ida, sul quale si appartò poi a vivere serenamente col padre Anchise, la moglie Creusa e il figlioletto Ascanio, nei primi tempi della guerra di Troia, alla quale egli, amante della pace, er 828b18i a contrario. Ma fu costretto a prendere le armi per difendere se stesso e la vita dei suoi cari il giorno che arrivò sull'Ida Achille con i suoi Mirmidoni, che egli respinse con coraggio e accanimento.


Achille si prepara alla battaglia. Vaso, VI sec. a.C.,
Atene, Museo Archeologico Nazionale


Coinvolto ormai nella guerra, prese parte a diverse azioni, finché Troia cadde ed Enea assistette con estrema angoscia alle ultime ore della città; con un gruppo di compagni tentò di opporsi ai nemici combattendo, finché la madre Afrodite gli mostrò l'inutilità del suo gesto, rivelandogli che il destino gli affidava un compito molto più importante: cercare la salvezza e un futuro in una nuova patria, portandovi i Penati di Troia.

Così l'eroe, vinta - con l'aiuto di un prodigio divino - la resistenza del padre Anchise che, vecchio e stanco, avrebbe preferito non lasciare la terra in cui era sempre vissuto e dove avrebbe voluto esser sepolto, lasciò la città ancora in fiamme.


Enea sacrifica ai Penati. Rilievo, I sec. a. C., Roma, Ara Pacis Augustae


Caricatosi sulle spalle il padre che recava in mano i sacri Penati, preso per mano il figlioletto Ascanio e seguito dalla moglie Creusa, si avviò al porto di Antandro, che aveva indicato come luogo del raduno ai pochi Troiani superstiti decisi a partire insieme a lui; qui giunto si accorse però che Creusa non c'era più. Disperato tornò indietro a cercarla, a chiamarla, ma tutto fu vano, e infine l'ombra dell'amata moglie gli apparve esortandolo a partire, a mettersi in salvo con il loro figlio e con gli altri; lei sarebbe per sempre rimasta tra le ceneri di Troia, ma col pensiero li avrebbe accompagnati nel viaggio e nelle nuove vicende che li aspettavano.

Molte furono le tappe del viaggio, pieno di avventure, contrattempi, episodi dolorosi, avvenimenti prodigiosi. I profughi furono dapprima in Tracia, dove Enea parlò con l'ombra di Polidoro, l'infelice figlio di Priamo: il padre l'aveva mandato, perché si salvasse insieme con buona parte del tesoro troiano, presso il re del luogo, Polimestore, il quale però, alla notizia della caduta di Troia, l'aveva fatto uccidere per impadronirsi del tesoro.

Lasciato quel luogo infido, dove regnava chi non aveva rispetto né per le leggi divine né per quelle umane, Enea andò a Delo a consultare l'oracolo, che lo esortò a cercare la sua antica patria; pensando che l'oracolo alludesse a Creta, da cui proveniva uno dei più antichi re di Troia, si recò quindi in quell'isola; ma i Penati gli apparvero in sogno avvertendolo che la terra che doveva cercare, l'Enotria o Italia, era più ad ovest.

Si accinse quindi ad attraversare il mare Ionio; ma la dea Giunone, a lui avversa, suscitò una violenta tempesta che spinse le navi sulle isole Strofadi, da cui i profughi furono costretti a ripartire subito dalle mostruose Arpie guidate da Celeno, che si erano gettate in volo sui loro cibi, contaminandoli.

Enea si recò allora in Epiro da Eleno, uno dei figli di Priamo che, come sua sorella Cassandra, aveva il dono della profezia ed era divenuto re in seguito ad una vicenda straordinaria. Il figlio di Achille, Pirro-Neottolemo, lo aveva portato via da Troia come schiavo; del bottino faceva parte anche Andromaca, la vedova di Ettore, che Pirro aveva dato in sposa ad Eleno; quando poi il violento figlio di Achille fu ucciso, gli abitanti del luogo chiesero ad Eleno di diventare il loro re.



Enea fu lieto di sapere che un troiano di stirpe regale avesse avuto una buona sorte, ma fu profondamente afflitto quando vide Andromaca: impietrita nel dolore e lontana nella mente, rievocava ogni giorno, con offerte e preghiere presso un falso sarcofago di Ettore che era stato eretto a Butroto, la sua tragedia di donna cui avevano ucciso il marito ed il figlio.

Lasciata Butroto Enea, seguendo il consiglio di Eleno, si diresse verso la Sicilia, la circumnavigò per evitare Scilla e Cariddi e si fermò ad Erice, dove ebbe il dolore di perdere il padre Anchise, indebolito dalle fatiche del viaggio; sepolto il padre riprese il mare ma di nuovo una violenta tempesta fece smarrire la rotta alle navi e le sospinse sulla costa dell'Africa.

La nave di Enea approdò in un porto tranquillo, ma egli temeva, insieme ai pochi scampati, di aver perso tutti gli altri compagni; mentre disperato perlustrava il luogo, incontrò sua madre Afrodite in veste di fanciulla, che lo confortò e gli consigliò di presentarsi a Didone, regina del luogo e chiederle ospitalità.


Le navi troiane approdano a Cartagine. Mosaico dalla villa romana di Lullingstone
nel Kent, U.K., conservato presso il Castle Museum di Taunton, Somerset


Enea quindi, con pochi compagni e con il figlio, si diresse verso la città indicatagli, nella quale fervevano i lavori di costruzione di edifici, strade, templi; era avvolto da una nube prodigiosa che gli permetteva di non esser visto, e così giunse fino al trono dal quale la regina Didone esercitava la giustizia e impartiva ordini.

Vide allora che erano appena giunti a chiedere ospitalità e aiuto anche i compagni che aveva creduto persi nel naufragio e, dissoltasi la nube che lo avvolgeva, si unì agli amici nella supplica alla Regina, che accolse con benevolenza le preghiere dei naufraghi e ospitò Enea nel suo palazzo insieme al figlio Ascanio.


Nel mosaico di Lullingstone, Enea, Didone e Ascanio partecipano a una battuta di caccia


Anche Didone era una profuga, fuggita dalla patria con alcuni fedeli compagni dopo che le era stato ucciso in una congiura il marito Sicheo; subito attratta dall'eroe troiano, concepì per lui una profonda passione e insieme la speranza che egli rimanesse a dividere con lei il fardello del comando; d'altra parte anche Enea si sentì legato da un fortissimo sentimento a quella donna coraggiosa, che gli fece dimenticare tutto, e in particolare il dovere impostogli dagli dei della ricerca di una nuova patria; Giove allora mandò Mercurio a ricordargli il suo destino, ed egli dovette dire addio alla regina Didone.

Mosaico di Lullingstone: nasce l'amore tra Enea e Didone

Mosaico di Lullingstone: Enea, Ascanio, Afrodite e Didone




Secondo Salvatore Conte (www.queendido.org), autore del dramma teatrale in quattro atti Didone Liberata: L'autentica Didone di Virgilio, le quattro figure a destra rappresentano Enea, Ascanio, Didone e Anna, sorella della Regina.


Didone tentò in ogni modo di trattenerlo, ma alla fine, di fronte alla sua decisione irrevocabile, presa dalla disperazione al pensiero di un futuro quanto mai triste, si tolse la vita; ed Enea dalla nave già al largo della sponda africana, affranto e impotente, vide il rogo alzarsi dal palazzo reale come un luttuoso segnale.

L'eroe troiano e i suoi compagni, partiti alla volta dell'Italia, fecero prima una breve tappa in Sicilia, ad Erice, per rendere gli onori funebri ad Anchise, colà sepolto, poi arrivarono finalmente in Italia, a Cuma, dove Enea dovette fermarsi per interrogare la Sibilla; ma prima di scendere con lei nel regno dei morti, dette sepoltura al trombettiere Miseno sul promontorio che da lui prese il nome di Capo Miseno: costui aveva osato sfidare gli dei ed era stato precipitato in mare dal dio Tritone. La Sibilla lo accompagnò nell' Averno perché egli ottenesse dal padre notizie sui suoi discendenti e sulle vicende che ad essi sarebbero state legate.

Il viaggio riprese; vi fu un'ultima sosta per rendere onoranze funebri alla nutrice Caieta - dalla quale derivò il nome della città, in seguito chiamata Gaeta - finché le navi approdarono sulle rive del Tevere; e qui avvenne un prodigio: le navi si tramutarono in ninfe e si allontanarono in mare, e da ciò Enea comprese di essere arrivato nel luogo designato dagli dei, dove le sue peregrinazioni sarebbero finite.

Ma non erano finite le difficoltà. Fu accolto con tutti gli onori da Latino, re della città di Laurento, che gli offerse in sposa la figlia Lavinia, seguendo i segni divini che gli avevano profetizzato necessario tale matrimonio; fu tuttavia avversato dalla moglie di Latino, Amata, e dal pretendente di Lavinia, Turno re dei Rutuli, che raccolse molte genti del circondario e mosse guerra a quello che riteneva un usurpatore.

Come sempre era avvenuto da parte di Enea nei riguardi della guerra, egli si batté con onore ma a malincuore e solo per realizzare il disegno divino, e alla fine si compì anche il destino di Turno, che cadde sotto i colpi dell'eroe troiano.

Con la morte di Turno finisce in Virgilio la storia delle peregrinazioni di Enea, ma le leggende antiche tramandavano le sue ultime vicende, raccontando che durante un combattimento contro gli Etruschi, che erano stati alleati di Turno, nel culmine di un'improvvisa tempesta scomparve e Venere lo trasportò nell'Olimpo, dove divenne una divinità, onorata in seguito dai Romani col nome di Giove Indigete. Il figlio di Enea, Ascanio-Iulo fondò poi la città di Albalonga e dalla sua stirpe ebbe origine la famiglia Giulia.

La figura del " pius Aeneas " - di questo eroe che, pur non amando la guerra, combatté per difendere la sua antica e la sua nuova patria, che si mostrò sempre ossequioso verso gli dei, premuroso verso la famiglia, rispettoso delle leggi divine ed umane, e soprattutto affrontò sempre la vita con un grande senso di responsabilità, volendo portare a termine ad ogni costo i compiti che il destino gli aveva affidato - ritorna, durante il Medioevo in tutte le riduzioni, parafrasi, imitazioni che si fecero del poema virgiliano.

Nel Rinascimento essa diventa uno dei modelli ideali della tradizione epico-cavalleresca, e la sentiamo presente all'Ariosto nella figurazione di Ruggero, e al Tasso in quella del "pio" Buglione.







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