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IL PIO ALBERGO TRIVULZIO: LE ISTITUZIONI ASSISTENZIALI NELLA MILANO SETTECENTESCA

politica



UNIVERSITA' CATTOLICA DEL

SACRO CUORE


Facoltà di Scienze politiche






IL PIO ALBERGO TRIVULZIO: LE ISTITUZIONI ASSISTENZIALI NELLA MILANO SETTECENTESCA







Capitolo 1


CARITA' E ASSISTENZA IN LOMBARDIA NEL PERIODO DELLE RIFORME


1.1 - L'impianto del riformismo.

"Nel nome del Signore l'anno dalla sua nascita Mille settecento sessanta sei.giorno di Sabato ventitré del mese di Agosto circa le ore tredici. L'Inevitabile Tributo di morte a cui sono indistintamente soggetti i Viventi.".

Con queste parole, si apre il testamento del Principe Antonio Tolomeo Trivulzio, che con tale documento, destinava tutte le sue sostanze all'erezione di un ospizio per i poveri, nel suo stesso palazzo a Milano, in contrada della Signora. L'anno dopo, il 30 dicembre del 1767, il Trivulzio moriva ed i suoi esecutori testamentari decisero di affidare al padre barnabita Ermenegildo Pini, scienziato ed architetto di fama, il compito di ristrutturare il palazzo nobiliare ed adattarlo alle esigenze di un ricovero assistenziale, legando perennemente al nome di Trivulzio una delle più importanti e generose istituzioni filantropiche, tuttora dedita alla cura e all'assistenza dei poveri e dei vecchi non autosufficienti.

Per comprendere il clima che ha reso possibile la nascita di questa, come di altre istituzioni di carità e beneficenza in Lombardia, sembra necessario, anche dal punto di vista storico, prendere in considerazione il riformismo illuminista austriaco a Milano nella seconda metà del Settecento, soprattutto quello che ha coinciso con i provvedimenti innovativi di Maria Teresa e di suo figlio primogenito, l'Imperatore Giuseppe II in campo sociale (1).

Tra le riforme attuate in campo sociale poi, proprio il settore sanitario-assistenziale veniva privilegiato dal governo di Vienna come uno dei settori amministrativi più importanti dello Stato, anche per il suo impatto con la politica di controllo sociale e di interventismo pubblico sulla società civile.

Non a caso, uno dei primi documenti di riforma, datato 29 settembre 1749, proclamava come l'intero programma di rinnovamento della pubblica amministrazione dovesse appunto iniziare "cominciando da quella parte del Magistrato alla Sanità, riguardando questa l'importante assunto della pubblica salute di tutto il Dominio, a cui sopraintende, e l'interiore polizia di questa Metropoli per le altre incombenze"(2).

In realtà, secondo la fonte, si trattava di modificare completamente la Pianta del Tribunale di Sanità, dotandola di un nuovo regolamento che vincolasse tale Magistratura molto più rigidamente alla volontà del governo centrale, consentendo nel contempo al Sovrano di intervenire più direttamente in campi ed istituzioni che, da sempre, erano monopolizzati dall'attività degli enti ecclesiastici e dei collegi nobiliari.

Nello schema riformatore teresiano e, soprattutto, Giuseppino, dopo il 1780, la 'rivoluzione' in campo assistenziale, che porterà anche alla nascita del Pio Albergo Trivulzio ed alla più generale riforma del settore ospedaliero e degli istituti di beneficenza, può essere interpretato anche come un momento di lotta intrapresa dal governo austriaco e completato da Napoleone, contro il particolarismo nobiliare ed ecclesiastico, fondato sul riconoscimento di antichi privilegi di origine feudale (3).

Dunque, un programma concreto di interventi governativi, destinato a modificare fortemente gli equilibri sociali da lungo tempo consolidati nel ducato di Milano e che diventerà operativo e di più ampio respiro soprattutto verso la fine del 1765, quando verrà istituita la Giunta economale per le materie ecclesiastiche e miste che si sarebbe dovuta occupare anche dei Luoghi pii.

Un organo di centralizzazione amministrativa e, nello stesso tempo, di laicizzazione della cultura milanese, che saprà rivendicare alla sfera pubblica tutte quelle materie prima in mano alla sfera privata, alla nobiltà e al clero.

Con la nascita della Giunta, l'intervento statale divenne più organico e si manifestò, tanto attraverso un'opera di ispezione, consistente nella 'visita' governativa dei luoghi pii e degli ospedali, quanto nell'inserimento della beneficenza tra le competenze della Giunta stessa.

Dopo appena due anni, tale istituto venne rafforzato e riorganizzato; i suoi poteri vennero estesi e, a dimostrazione di una più diretta dipendenza dalla Corte di Vienna, a presiedere tale nuova Giunta economale venne chiamato lo stesso Ministro plenipotenziario Conte di Firmian, fedele esecutore della politica dell'Imperatrice Maria Teresa a Milano.

A partire dal 1765 dunque, si può dire che inizi il vero controllo dello Stato sull'assistenza che, nella sua azione, mescolava i provvedimenti di beneficenza, assistenza e carità, con quelli destinati ad un ferreo controllo sull'ordine pubblico, proprio nei confronti degli infermi, dei vagabondi, dei poveri e degli sbandati come categorie sociali particolarmente a rischio.

Nei principi dell'illuminismo, applicati sul piano amministrativo, si potevano infatti riscontrare all'egalitarismo fondato sulla ragione universale, anche la filantropia, la solidarietà umana, il recupero sociale, la giustizia nei confronti dei più deboli; tutti valori nuovi che però avrebbero dovuto essere imposti 'dall'alto', dalla Corte, senza più la mediazione del clero e della nobiltà, in un'ottica di centralizzazione e di assoluto controllo della dinamica sociale.

Tutte le riforme in campo sociale, dall'assistenza all'istruzione, dalla beneficenza alla sanità, dalle strutture carcerarie agli orfanotrofi, vennero preparate dal lavoro di Giunte di studio che provvedevano a trasmettere al governo dettagliate relazioni sulla situazione oggetto dei provvedimenti, fornendo analisi e proposte e delle quali facevano parte, in qualità di membri, molti tra i più significativi rappresentanti della cultura illuministica lombarda, quali Verri, Beccaria, Frisi, Bovara, Daverio ecc., in una sorta di 'collaborazione' tra dominati e dominanti, tra intellettuali e potere, in un equilibrio che verrà bruscamente interrotto con l'avvento al trono, nel 1780, di Giuseppe II che, invece, agirà 'da solo', in modo molto più radicale, imponendo il proprio disegno razionale ed autoritario di pubblica amministrazione (4).

Nella logica di questa nuova volontà di intervento governativo sulla società civile, si colloca anche l'istituzione del Pio Albergo Trivulzio, come struttura assistenziale che ben sembra riflettere la filantropia del periodo, preoccupata tanto della 'felicità' dei sudditi, quanto e soprattutto, della vigilanza sulla loro vita privata e sulle conseguenze che un eventuale malcontento popolare avrebbe potuto avere sulla stabilità istituzionale e sulla tranquillità sociale. Afferma, a tale proposito, il Capra:

"Nato come frutto del desiderio di gloria e della filantropia illuminata di uno spirito inquieto e originale, il Pio Albergo Trivulzio si caratterizzava al tempo stesso come tipico prodotto dei tempi nuovi, all'incrocio tra beneficenza privata e controllo sociale" (5).

Dunque, un'istituzione che, come tutte le altre nate dai provvedimenti riformatori settecenteschi, si proponeva di rinsaldare lo stretto nesso tra 'polizia' e 'filantropia', tra concreto aiuto nei confronti dei più deboli e controllo assoluto sulla vita pubblica.

Prima dell'esperienza riformatrice asburgica, durante il lungo periodo della dominazione spagnola, il problema del rapporto delle autorità con i mendicanti, i poveri, gli 'oziosi e vagabondi', si esprimeva solo in termini di repressione; pene pecuniarie e corporali, carcere e pena di morte, erano previste negli Statuti, nelle Grida e nelle Nuove Costituzioni del 1541 di Carlo V, contro tutti coloro che, con il proprio comportamento, provocavano disordini, davano scandalo, commettevano reati e, così facendo, mettevano in pericolo l'ordine pubblico; i mendicanti forestieri poi, erano particolarmente mal visti dalle autorità costituite, in quanto potenziali portatori di contagio, come testimonia il contenuto di una grida del 1587, dove, tra l'altro, veniva affermato: "La moltitudine de i tanti forestieri poveri, che hora si veggono concorrere in questo Stato, forse con speranza di poter o chiedendo elemosine o in altra maniera riparar meglio qui la loro miserabilità, che non nei loro paesi, et il loro abitare, et dormire lordamente, et in mucchi, et la mala qualità de cibi, che per forza convien credere che usino, et habbiano ad usare, fa con ragione reputare molto facile, che se ne cagionino et scoprano, se non vi si pone qualche avvertenza et rimedio, molte infirmità pericolosissime di contagione" (6).

Di qui tutta una serie di provvedimenti punitivi che si proponevano di limitare i danni del disagio sociale e che consideravano gli infermi, i miserabili, i vagabondi come pericoli e minacce per la comunità sociale e per la stabilità stessa delle istituzioni, come 'nemici' da respingere con fermezza, abbandonati soltanto alla carità e alla pietà delle Congregazioni religiose, senza alcun impegno da parte del governo di indagare sulle cause 'sociali' alla base della condizione di disagio. In questo senso quindi, i nuovi principi illuministici, ispiratori delle riforme costituirono, come si cercherà di dimostrare, un grande progresso verso una concezione più 'umana' dell'assistenza.

Prima del periodo delle riforme dunque, allo Stato era demandato il compito di controllare e reprimere le pericolose conseguenze sociali del fenomeno del pauperismo, mentre alla nobiltà, e soprattutto alla Chiesa, quello di assistere moralmente, spiritualmente ed anche materialmente, ampie fasce della popolazione milanese in condizioni di grave disagio, o ritenute 'incurabili', dal punto di vista sanitario, 'irrecuperabili', dal punto di vista sociale.

Milano poi, secondo quanto sostenuto a livello storiografico (7), aveva sempre mantenuto una tradizione filantropica laica che, attraverso lasciti e donazioni patrimoniali, aveva visto nascere una rete di istituzioni benefiche ed assistenziali, fin dall'epoca medioevale, in alternativa all'interesse del patriziato e delle autorità ecclesiastiche sulla materia; un interesse che i riformatori austriaci del secondo settecento ritenevano essenzialmente clientelare, suscettibile di determinare, attraverso la pratica assistenziale, veri e propri centri di potere. Non a caso, la già menzionata Giunta economale per le materie ecclesiastiche e miste, in un suo intervento del 26 marzo del 1771 affermava: "Li capitoli de' luoghi pii, almeno principalmente, sono composti de' nobili e patrizi. L'amministrazione suddetta è tutta gratuita; eppure si fanno passi ed impegni per essere ammesso ne' medesimi. Quello dunque che si valuta è il potere gratificare gli amorevoli colle incombenze de' luoghi pii, ed il potere usare arbitrii nella distribuzione delle doti ed elemosine." (8).

Il che equivaleva a sostenere che, secondo i membri del nuovo organo dell'amministrazione teresiana, i nobili ed il clero avevano assoluta libertà di azione e ciò consentiva loro ogni tipo di abuso e di favoritismo nell'assegnazione dell'assistenza ed ogni tipo di affare personale con l'impiego delle sostanze destinate alla beneficenza.

Come si è cercato di sottolineare dunque, estendere il controllo governativo all'intero settore assistenziale, costituiva, per la Corte di Vienna, non solo un obiettivo politico di grande importanza, ma anche un momento essenziale di una più generale battaglia contro il particolarismo nobiliare ed ecclesiastico, destinata ad esautorare la vecchia classe dirigente ed a laicizzare la cultura, oltre che a centralizzare del tutto il potere, attraverso un'opera radicale di razionalizzazione amministrativa.

Così in Lombardia, come già era avvenuto in altri Stati europei, alla tradizionale concezione della beneficenza e dell'assistenza come doveri cristiani nel solco della carità evangelica, si andava sostituendo una concezione razionale che orientava il problema essenzialmente in termini di utilità e di sicurezza sociale, di controllo poliziesco sulla dinamica sociale.

Dunque, i nuovi provvedimenti dell'amministrazione austriaca nel settore assistenziale, sembrano contribuire in modo molto significativo, al passaggio dalla cultura dello Stato d'antico regime, a quella di un 'nuovo' Stato laico dove il potere era tutto concentrato sulla Corte e sulla sua fedele burocrazia.

1.2 - L'attività della Giunta economale.

Nella realizzazione del programma riformatore, il governo utilizzava l'opera di Giunte di studio che avevano lo scopo di preparare il terreno alla effettiva riforma, poi realizzata concretamente dal governo; Giunte che agivano alle dirette dipendenze del Ministro Plenipotenziario, Conte di Firmian e sotto il controllo dello stesso Governatore, principe di Kaunitz, che operavano il collegamento tra il potere centrale e la burocrazia incaricata di operare in senso riformatore.

Si pensi, ad esempio, alla Giunta degli Studi, che aveva preparato e reso possibile la riforma della pubblica istruzione, a partire dal 1765, togliendo ai nobili, e soprattutto al clero, il monopolio dell'insegnamento, anche attraverso una radicale modifica in senso scientifico, dei programmi scolastici, tanto per le scuole milanesi, quanto per l'Università di Pavia; una riforma che, come avverrà per quella assistenziale, oggetto di approfondimento del presente lavoro, contribuirà a caratterizzare sempre di più la politica di interventismo statale nei settori più delicati della pubblica amministrazione, dando vita al modello di 'welfare' che, grazie anche all'apporto delle riforme napoleoniche, caratterizzerà tutta l'epoca liberale del secolo XIX (9).

Nel 1767 dunque, iniziano i veri e propri interventi della Giunta economale per le materie ecclesiastiche e miste, con l'avviamento di numerose e scrupolose 'inchieste' nei confronti di luoghi pii, confraternite, ospedali, chiese parrocchiali, istituzioni di carità, al fine di verificarne lo stato delle condizioni e proporre al governo gli eventuali rimedi.

Una prima e severa inchiesta che, non a caso, incontrerà la ferma opposizione delle autorità nobiliari ed ecclesiastiche preposte alla direzione del settore che avvertivano l'inizio della fine dei loro tradizionali privilegi; una lunga e capillare indagine sui mali della pratica assistenziale, realizzata in cinque anni di lavoro, non senza "gravissimi contrasti colli rispettivi deputati de' Luoghi Pii, i quali di mala voglia soffrivano di vedersi obbligati a rendere conto alli regi della loro amministrazione per l'avanti del tutto indipendente" (10).

Già nelle parole di queste prime relazioni al governo da parte delle Giunte, sembra emergere il grande contrasto tra due diversi modi di intendere la pubblica amministrazione e la gestione del potere e la grandissima preoccupazione degli Ordini nobiliari e delle Congregazioni religiose che si rendevano conto di perdere il controllo della politica assistenziale, da sempre nelle loro mani.

Il presupposto di qualsiasi provvedimento riformatore in campo assistenziale, come in qualunque altro settore della pubblica amministrazione, avrebbe dovuto essere la lotta all'egemonia culturale ecclesiastica che doveva passare anche per la confisca di beni appartenenti al clero o la soppressione di enti e confraternite religiose, con il conseguente incameramento dei beni da parte dello Stato.

A giustificazione dei provvedimenti restrittivi delle proprietà della Chiesa, le Giunte che preparavano con le loro inchieste le riforme governative, sostenevano come solo alla Corte e al suo governo centrale spettasse il compito di provvedere all'edificazione del nuovo Stato sociale, della nuova amministrazione pubblica e dell'educazione e dell'assistenza dei cittadini.

Nella relazione della Giunta Pecci-Daverio sulla riforma della pubblica istruzione, ad esempio, si affermava: "Non v'ha dubbio, che ciò possa farsi dal Sov 454j97e rano senza invadere le competenze sacerdotali. L'esistenza civile nello Stato di qualsivoglia Corpo dipende dalla Laicale, e non mai Ecclesiastica Potestà, ed è speciale in questo Dominio la buona, ed antica Regola di Governo che le Confraternite, e Consorzi Laicali non hanno il Legale costitutivo di Corpo se non mediante la deputazione di un Uomo del Principe che interviene e legittima le loro Adunanze e (quindi) si procedesse alla soppressione delle Confraternite suddette mediante l'uso della Potestà laicale soltanto" (11).

Una precisa presa di posizione dell'Imperatrice Maria Teresa, diretta conseguenza dei principi del giurisdizionalismo illuminista, resa ancora più rigorosa dalla soppressione della Compagnia di Gesù del 1772 e dai successivi provvedimenti del figlio primogenito Giuseppe II, fautore di un programma riformatore assolutamente laico e razionale, come testimonieranno i decreti governativi del 1786 che rivoluzioneranno completamente l'assetto dell'apparato statale.

Il primo provvedimento concreto della nuova Giunta economale in materia assistenziale era stato quello di elaborare un 'Regolamento per la distribuzione delle doti e limosine de' Luoghi Pii in Milano', al fine di evitare, per quanto possibile, gli sprechi di danaro e gli arbitri nella distribuzione delle risorse e di prevedere l'istituzione di un organo stabile, dipendente dal potere centrale, composto di vari deputati, che avesse la funzione di coordinare le varie forme di 'aiuto' pubblico e privato e, nello stesso tempo, finanziare, sotto lo stretto controllo del Ministro e del Governatore, l'intera attività assistenziale. In particolare il Kaunitz, invitava il nuovo organismo a "sussidiare tra le fondazioni pie le più utili allo Stato, come sono gli ospedali e gli orfanotrofi" (12), in una sua lettera al Ministro Firmian.

Proprio l'interesse dell'amministrazione asburgica e del Governatore Kaunitz in particolare, per il problema degli orfani, definiti, 'figli diretti dello Stato', sembra dimostrare i nuovi principi relativi all'assistenza e al recupero sociale, frutto del pragmatismo di Vienna che pensava all'avviamento professionale, all'educazione, al mantenimento dei bambini e dei giovani in difficoltà, per formare nuovi cittadini maggiormente utili allo Stato e agli interessi della Corona, controllando nello stesso tempo, tutte le aree del disagio sociale.

Nel caldeggiare l'erezione di un nuovo Orfanotrofio pubblico, il Governatore, chiedeva al Governo di mettere a disposizione della Giunta ".alcuni mezzi per maggiormente ampliare una fondazione tanto vantaggiosa, e necessaria in questo Paese, dove è marcabile il difetto di trascurare l'educazione degli orfani e degli abbandonati da loro Parenti, per cui poi tante volte ne nascono conseguenze le più infelici e deplorabili", non mancando soprattutto di sottolineare come la nuova struttura avrebbe dovuto essere "Laicale e sottoposta all'immediata Regia Protezione" (13).

Quindi, era il potere pubblico che avrebbe dovuto provvedere alla dinamica assistenziale, anche per occupare tutti quegli spazi lasciati liberi dalle classi dirigenti d'antico regime; su queste materie poi, "lo scontro con l'autorità della Chiesa, detentrice di un tradizionale monopolio culturale ed organizzativo, diviene aspro ed inevitabile anche proprio per l'estrema importanza della posta in gioco, trattandosi del controllo sull'educazione dei cittadini. In tal modo la cura, l'assistenza, il mantenimento e l'avviamento professionale di orfani, giovani detenuti nelle case di correzione, invalidi ed in genere cittadini più deboli ed indifesi della categoria sociale, diventa un impegno prioritario della politica governativa e, nello stesso tempo, una adeguata e coerente risposta ai nuovi principi filantropici di solidarietà e di giustizia; una sorta di modello alternativo proposto dallo Stato alla pratica delle opere di carità degli enti ecclesiastici, un impegno dell'amministrazione pubblica come servizio reso alla comunità in contrapposizione alla tradizionale dottrina della Chiesa in campo sociale" (14).

Conseguentemente, vennero soppressi gli antichi ospizi dei pellegrini, mentre i locali ed i redditi, una volta proprietà della Chiesa, vennero utilizzati per la realizzazione del nuovo progetto edilizio e per il mantenimento della nuova burocrazia, legata saldamente al potere centrale da un nuovo e più 'moderno' rapporto di pubblico impiego, la nuova Pianta dei salariati, che si prefiggeva di rivedere radicalmente l'organigramma di tutti i dipendenti dello Stato.

Una politica frutto anche della distinzione operata dai riformatori illuministi tra poveri 'validi', che bisognava comunque recuperare ed avviare al lavoro nell'interesse dello Stato e poveri 'invalidi' che, invece, avevano diritto alla pubblica assistenza, non potendo comunque essere più 'utili' alla collettività.

La riforma della struttura assistenziale, resa possibile anche grazie al lavoro dei deputati della Giunta economale, si inseriva, come già sottolineato, in un più vasto piano innovatore che finirà per coinvolgere tutte le istituzioni dello Stato di Milano del secondo Settecento, fino alla 'rottura' definitiva con la vecchia tradizione nobiliare lombarda, verificatasi con la prima Repubblica Cisalpina del 1796, l'esperienza rivoluzionaria e la stabilizzazione del regime napoleonico.

Contemporaneamente infatti al programma assistenziale, veniva avviata la riforma della pubblica istruzione, dall'Università di Pavia alle Scuole Palatine e messa in cantiere l'istruzione professionale; il Senato, antico organo di origine feudale, espressione del privilegio nobiliare, veniva riformato e ridotto nelle sue attribuzioni (15), soprattutto quelle in campo pedagogico, ora affidate ad una Deputazione agli studi di emanazione governativa; il Magistrato Camerale, che aveva il monopolio della gestione finanziaria ed era composto dal patriziato, veniva abolito e sostituito con il Supremo Consiglio di Economia, che, tra i suoi membri, annoverava il nuovo patriziato intellettuale dei Verri e dei Beccaria e che si sarebbe dovuto occupare di tutta l'attività commerciale del Ducato, in stretto collegamento con il Ministro, il Governatore e lo stesso Governo centrale (16); il Consiglio d'Italia, che si occupava dei domini italiani di Casa d'Austria, diventava Dipartimento d'Italia, quasi per sottolinearne, anche nel nome, il carattere burocratico e la sua assoluta dipendenza dalla volontà sovrana.

Tutto quindi sembrava radicalmente cambiare per lasciare posto ad un nuovo Stato burocratico dove il Principe doveva essere costantemente informato su tutta la vita dei sudditi in modo che controllo e assistenza, vigilanza e intervento potessero bilanciarsi equilibratamente ed il potere della Corte non incontrasse più alcun limite nelle pretese e nei privilegi degli enti ecclesiastici e degli ordini nobiliari.

In ogni caso, i provvedimenti che determinarono una vera e propria rivoluzione in campo assistenziale, vennero emanati dopo la morte di Maria Teresa nel 1780, dal nuovo Imperatore Giuseppe II, da sempre particolarmente sensibile, anche per motivi ideologici, a rivendicare direttamente allo Stato la responsabilità dell'intervento in tutti i settori della pubblica amministrazione, soprattutto in quelli di natura sociale.

Durante il decennio del suo governo, il nuovo Sovrano, che già dal 1765 affiancava la madre come correggente, seppe realizzare un rigoroso programma di riforme, alla luce del quale lo Stato si profilava come un meccanismo razionalmente congegnato. In questo quadro razionalissimo, lo Stato assumeva la totale direzione della vita del Paese.

Alla luce del suo giurisdizionalismo radicale, Giuseppe II, burocratizzò le forme e la gerarchia del potere, eliminando le vecchie Magistrature nobiliari e, in genere, tutte le strutture intermedie; così, l'amministrazione non era più impersonata da officiali, ma da funzionari, da impiegati, da burocrati, per i quali veniva stabilito uno specifico ordinamento di carriera che precisava uffici, diritti, doveri, stipendi e pensioni; la legge, come potere impersonale, alla base del nuovo rapporto di pubblico impiego, al posto del rapporto personale di origine feudale.

Il 1786 è l'anno nel quale si concretizza il piano di ristrutturazione degli apparati amministrativi, con immediata conseguenza sulla gestione delle politiche assistenziali: vengono abrogate le leggi precedenti, gli Statuti, le Nuove Costituzioni ed antichi organi, quali il Senato, il Magistrato Camerale e la Congregazione dello Stato vengono soppressi.

Al vertice del nuovo impianto istituzionale, viene messo ora il Ministro Plenipotenziario, fedele esecutore degli ordini provenienti da Vienna, al di sotto del quale viene posto un Consiglio di Governo, suddiviso in sei Dipartimenti, che accentra tutti i poteri amministrativi (17).

In tale schema razionale, le antiche province, che risalivano ancora all'epoca dei Visconti, venivano soppresse ed il territorio suddiviso in otto Circoscrizioni, ciascuna delle quali facente capo ad un Intendente, vertice dell'amministrazione ed organo politico. All'interno poi di ogni Circoscrizione, vi erano otto Congregazioni municipali, con a capo un Prefetto, controllato dall'Intendente; una struttura quindi estremamente razionale, tipica delle teorie illuministiche che, nelle intenzioni dei riformatori, avrebbe permesso al Sovrano di controllare tutto il potere e, nello stesso tempo di intervenire direttamente in tutti i campi della vita sociale.

Contemporaneamente, il despota illuminato, porta avanti una drastica offensiva contro i privilegi ed i beni ecclesiastici che ebbe come conseguenza la soppressione degli ordini contemplativi, ritenuti 'inutili' agli interessi dello Stato, e l'abolizione dei privilegi del foro ecclesiastico e di ogni diritto di immunità finanziaria.

Inoltre, era il Sovrano che designava i Vescovi, curava la formazione del Clero nel Seminario generale di Pavia e dava le principali direttive in materia di predicazione e di redazione del catechismo (18). Secondo la concezione politica di Giuseppe II, il fine dello Stato era quello di creare un numero sempre maggiore di pubblici servizi, contemporaneamente ad un sempre crescente controllo sulla vita economico sociale, allo scopo di realizzare i due fondamentali obiettivi, inscindibili tra loro, dell'azione di governo: la prosperità economica e la felicità materiale dei sudditi; in tale prospettiva dunque va anche inserita l'azione del governo relativa alla ristrutturazione dell'intero sistema assistenziale ed ospedaliero, di cui l'erezione del Pio Albergo Trivulzio rappresenta solo una tappa importante.

1.3 - La statizzazione dell'assistenza di Giuseppe II.

Come si è cercato precedentemente di sottolineare, mentre il processo riformatore dell'Imperatrice Maria Teresa in campo sociale, sembrava procedere in modo equilibrato, mescolando elementi di novità ad elementi di continuità e tenendo anche conto del contributo operativo delle èlites culturali lombarde, l'azione di Giuseppe II invece, intendeva far interamente ricadere la responsabilità dei provvedimenti di riforma sul governo centrale, intendendo il settore assistenziale niente più che uno dei tanti rami della pubblica amministrazione che andavano radicalmente cambiati, anche per contrastare sempre più efficacemente le resistenze del ceto nobiliare e della Chiesa.

Durante il decennio del suo governo, dal 1780 al 1790, venne attuata una vera e propria rivoluzione in campo assistenziale che, per molti aspetti, sembra anticipare l'impianto riformatore francese del periodo napoleonico (19).

Come uno dei tanti settori della pubblica amministrazione dunque, il settore assistenziale venne trasformato in senso burocratico, anche per controllare più direttamente l'impegno finanziario e, soprattutto, lo spreco del pubblico danaro, attraverso un'opera di centralizzazione del potere, dove ogni decisione dipendeva comunque dal governo; in quest'ottica di razionalizzazione amministrativa, il regio dispaccio del 5 dicembre del 1783, imponeva la riunione dei luoghi pii sotto un'unica voce amministrativa, la presentazione annua di un dettagliato rendiconto sulla situazione finanziaria e, dal punto di vista politico, la totale subordinazione di tutti gli amministratori alle direttive delle Giunta Economale (20).

Quest'ultima essendo una diretta emanazione della volontà del governo centrale e, quindi, della corte, poteva esercitare pieni poteri, riformando e, spesso, cancellando i vecchi statuti ed i vecchi ordinamenti che, fin dall'epoca medioevale, disciplinavano la struttura assistenziale a Milano.

Contemporaneamente, tutti i capitoli, le congregazioni, gli enti che fino a quel momento avevano amministrato i luoghi pii, venivano dichiarati decaduti e sostituiti con deputati nominati dal governo, che si sarebbero dovuti limitare ad eseguire fedelmente e burocraticamente gli ordini impartiti dal Sovrano, senza più alcun potere autonomo in materia; una materia che particolarmente preoccupava Giuseppe II, proprio per il grande coinvolgimento delle congregazioni ecclesiastiche e per l'influsso della Chiesa in campo pedagogico - assistenziale che, da questo momento, sarebbe dovuto essere sostituito da una cultura laica, frutto delle idee giurisdizionaliste dell'Imperatore, che avrebbe rivendicato solo allo Stato l'intera responsabilità della materia, come, ad esempio era già avvenuto con la riforma della pubblica istruzione e dell'Università di Pavia.

L'unificazione e la razionalizzazione amministrativa degli enti assistenziali, si sarebbe poi concretizzata con l'istituzione della figura dell'Amministratore Unico, mentre le funzioni di direzione e di controllo sarebbero state d'ora in avanti esercitate da un nuovo organo, diretta dipendenza del governo centrale, la Giunta delle pie fondazioni, che avrebbe esercitato l'intera supervisione della materia. Questa nuova Giunta, che si inquadra nell'ottica del riformismo amministrativo già iniziato con Maria Teresa, era presieduta da un Delegato regio ed era composta da un Vice-Presidente e da quattro Assessori, ciascuno dei quali, come moderni Ministri, doveva essere responsabile di uno dei quattro settori nei quali era divisa la materia assistenziale: il primo si occupava degli ospedali e delle strutture ad essi collegate, il secondo, degli orfani, degli esposti, dell'infanzia abbandonata ed in genere dell'educazione della gioventù, con un'attenzione particolare per le problematiche relative al recupero sociale; il terzo settore poi riguardava gli aspetti finanziari connessi ai lasciti e alle donazioni, avendo per oggetto le elemosine, le doti ed in generale tutti i sussidi. Il quarto infine, aveva per oggetto l'amministrazione della struttura di ricovero comprendente le case per vecchi, malati incurabili, persone non autosufficienti e malati di mente (21).

Come già era avvenuto relativamente alla riforma scolastica, anche in questo caso, viene avviata la statalizzazione del pubblico servizio che avrà anche delle importanti conseguenze sul piano della stratificazione sociale, con la rivendicazione da parte dello Stato di tutti gli 'oggetti' di sanità, beneficenza, carità; così si arriverà all'emanazione dei vari regolamenti governativi in materia, come il Regolamento generale per gli oggetti di sanità che stabiliva, già nel primo articolo come tutti i servizi relativi alle materie assistenziali, sarebbero, d'ora in avanti, dipesi direttamente dal Regio Imperiale Consiglio di Governo, il che voleva dire dallo stesso Imperatore, che pretendeva di essere costantemente informato sui provvedimenti in materia (22).

Inizia così una sorta di nazionalizzazione delle problematiche assistenziali, conservata anche dai successori di Giuseppe II, come il fratello Leopoldo II o come l'Arciduca Ferdinando, Governatore e Capitano generale della Lombardia austriaca che ribadendo l'interesse del governo per la normativa assistenziale, faceva presente, in una sua lettera dell'11 luglio del 1793, "la necessità di provvedere alla costante prosperità delle Pie Fondazioni dello Stato di Milano non ancora bastevolmente assicurata anche per le difficoltà di combinare tra loro le diverse disposizioni emanate sotto i Regni degli Augusti Nostri Predecessori" (23).

Un esempio di questa nuova logica governativa di centralizzazione burocratica in campo assistenziale, può essere l'evoluzione del Pio Istituto Santa Corona, un'istituzione assistenziale che sembrava esprimere la concezione della carità e della beneficenza del patriziato milanese, luogo, allo stesso tempo di potere della nobiltà e del clero che, dopo i provvedimenti di Giuseppe II, in particolare dopo la riforma del 1784, perdeva la sua 'autonomia', incorporandosi con un altro istituto, il luogo pio degli Infermi di San Simpliciano, affidandone il controllo e la direzione ad un unico amministratore di nomina regia. Una logica che verrà mantenuta ed anzi completata anche dall'amministrazione napoleonica a Milano, durante la prima Cisalpina, se è vero che nei primi provvedimenti francesi di razionalizzazione amministrativa, ci si preoccupava di ribadire come "Gli stabilimenti di pubblica beneficenza, istruzione, ed utilità sono sotto l'immediata ispezione e direzione delle rispettive Municipalità nel Circondario delle quali esistono gli indicati stabilimenti" e, per sottolineare l'impegno del governo in questo senso, veniva ordinato come "L'amministrazione de' Fondi appartenenti ad istituti di pubblica beneficenza, d'istruzione, ed utilità, spetta alle Municipalità" (24).

Dunque, la strada aperta dalle riforme austriache del secondo Settecento, viene ripercorsa, in modo ancora più deciso dal governo napoleonico in Lombardia, con un impegno ancora maggiore verso la laicizzazione della cultura, la lotta contro ogni retaggio d'antico regime ed un impegno ancora più forte in campo ideologico - propagandistico, per fare della politica assistenziale uno dei più solidi punti di riferimento sui quali costruire il 'nuovo' Stato.

Tornando ai provvedimenti di Giuseppe II che, di fatto, rappresentano la premessa della rivoluzione in campo assistenziale, essi si erano concentrati anche sulla soppressione degli enti religiosi, sui conventi e sulle congregazioni ecclesiastiche, per incamerarne i beni ed adibirne i locali alla pratica del ricovero e della cura, anche perché, questo era un modo per combattere gli 'oziosi e vagabondi' e, quindi, per avere sempre in mano il controllo del tessuto sociale.

Per questo anche l'Imperatore si avvalse dell'opera della nuova Giunta delle Pie Fondazioni che doveva assistere e reprimere, ospitare gli indigenti, gli invalidi e, nello stesso tempo, emanare provvedimenti contro i poveri sorpresi a mendicare, come le leggi del 1784 contro la questua, con i relativi provvedimenti punitivi.

L'attività di tale Giunta però non convinse del tutto l'Imperatore, secondo il quale i suoi membri non erano sufficientemente esperti nel problema e, dunque, non erano in grado di realizzare le sue aspettative; pertanto, Giuseppe II, prima ridusse il numero dei membri a soli quattro e, successivamente, nel 1786, l'anno delle grandi trasformazioni istituzionali, la trasformò in una Commissione delle pie fondazioni, aggregandola al Consiglio di Governo al fine di poterla più direttamente controllare.

In questi anni, lo Stato rivendicherà la materia relativa ai Monti di Pietà e la gestione della Casa degli esposti, oltre alla responsabilità degli orfanotrofi, anche per cercare, come già è stato ricordato, di recuperare ed avviare al lavoro e all'istruzione le fasce giovanili più 'deboli' della popolazione, attivando un modello burocratico ad imitazione di quello che già aveva dato buoni risultati a Vienna.

Nelle Memorie della Commissione delle pie fondazioni, i deputati governativi scriveranno un bilancio molto positivo della propria attività riformatrice, vantando, tra l'altro, il totale controllo del potere pubblico sull'assistenza, avendo ".introdotto un miglior trattamento de' poveri infermi negli spedali, una polizia ed assistenza dapprima non conosciuta; aumentato di un terzo di più il numero degli orfani ricoverati; migliorata la loro educazione fisica, morale e nelle arti; accresciuto parimenti di moltissimo il numero di poveri vecchi impotenti ricoverati nelle pie case, od assistiti con giornale sussidio; tolti tutti gli arbitrii, eliminati gli abusi sia nell'amministrazione che nella conversione delle annue entrate; pubblicati colle stampe li conti annuali." (25).

NOTE AL PRIMO CAPITOLO

Sul periodo del riformismo illuminista in Lombardia, vedi A. DE MADDALENA, E. ROTELLI, G. BARBARISI (a cura di) Economia, istituzioni, cultura nell'età di Maria Teresa, Bologna 1982; C. CAPRA, D. SELLA Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796, Torino 1984; C. MOZZARELLI Sovrano, società e amministrazione locale nella Lombardia Teresiana (1749 - 1758), Bologna 1982.

In ASCM Dicasteri 340.

Sull'argomento vedi C. MOZZARELLI Per la storia del pubblico impiego nello Stato moderno: il caso della Lombardia austriaca, Milano 1972; U. PETRONIO Il Senato di Milano, Milano 1972; D. CARPANETTO L'Italia del settecento: illuminismo e movimento riformatore, Torino 1980.

Sulla figura di Giuseppe II, vedi F. VENTURI (a cura di ) L'Europa delle Corti alla fine dell'antico regime, Roma 1991; D. CARPANETTO, G. RICUPERATI L'Italia del settecento. Crisi, trasformazioni, lumi, Bari 1986.

Vedi C. CAPRA Il principe Trivulzio e la fondazione del Pio Albergo, in " Dalla carità all'assistenza", Atti del Convegno, Milano 1992, pag. 73.

G. LIVA Il controllo e la repressione degli 'oziosi e vagabondi': la legislazione in età spagnola, in D. ZARDIN (a cura di) La città e i poveri. Milano e le terre lombarde dal Rinascimento all'età spagnola, Milano 1995.

A tale proposito, vedi L. VITALI La beneficenza in Milano, notizie storico, economico, statistiche, Milano 1880; A. NOTO Gli amici dei poveri di Milano. Sei secoli di lasciti e donativi cronologicamente disposti, Milano 1953; A. ANNONI Assistenza e beneficenza nell'età delle riforme, in A. DE MADDALENA, E. ROTELLI, G. BARBARISI Economia .cit.

ASM Luoghi Pii p.a. cartella n.1.

Sull'argomento vedi anche M. SCAZZOSO Istruzione professionale e società nella Lombardia austriaca, Milano 1995; M. T. CIGOLINI L'istruzione elementare a Pavia dalle riforme teresiane al risorgimento, Milano 1983; E. CHINEA Dalle antiche Botteghe d'Arti e Mestieri alle prime Scuole Industriali e Commerciali in Lombardia, Milano 1993; P. VACCARI Storia dell'Università di Pavia, Pavia 1957; F. VENTURI Riformatori lombardi del Settecento, Torino 1978.

ASM Luoghi Pii p.a. cartella n.1.

ASM Studi p.a. parte generale cartella n. 205, in M. SCAZZOSO Istruzione..cit. pp. 80-81.

Lettera di Kaunitz a Firmian del 20 agosto 1772 in ASM Culto p. a. cartella n. 46.

ASM Luoghi Pii p.a. cartella n. 320

In M. SCAZZOSO Istruzione.cit. pag. 101.

Sull'attività del Senato vedi U. PETRONIO Il Senato di Milano, Milano 1972.

Su quest'ultimo organo vedi M. SCAZZOSO Tentativi di riforma burocratica nella Lombardia austriaca: il Supremo Consiglio di Economia (1765 - 1771), in "Archivio Storico Lombardo", Milano 1977.

Ciascun Dipartimento poi, aveva competenza in uno specifico settore amministrativo: diplomazia, giustizia, finanze, acque, strade e boschi, agricoltura, commercio e industria, sanità e polizia.

Sui complessi rapporti tra lo Stato e la Chiesa nel settecento, vedi D. BARILLARO Società civile e società religiosa. Dalla Riforma alla Restaurazione, Milano 1978; A. WANDRUZKA Il riformismo cattolico settecentesco in Italia e in Austria, 'Storia e politica' 1965 pp. 385 - 398; A. C. JEMOLO Stato e Chiesa negli scrittori italiani del Seicento e Settecento, Napoli 1972.

Sulla politica napoleonica in Italia, con riferimento anche all'intervento sociale dello Stato, vedi E. PAGANO Il Comune di Milano nell'età napoleonica (1800 - 1814), Milano 1994; E. ROTA Milano napoleonica, in 'Storia di Milano' vol. XIII, L'età napoleonica (1976 - 1814); C. CAPRA L'età rivoluzionaria e napoleonica in Italia (1796 - 1815), Torino 1978.

Il Dispaccio si trova in ASM Dispacci Reali p.a. cartella 263.

La documentazione relativa è in ASM Luoghi Pii p.a. cartella 4.

Il Regolamento del 1787 relativo agli 'oggetti di sanità' si trova in ASCM Dicasteri busta 340.

ASCM Materie busta 57, beneficenza 1495 - 1801.

ASCM Materie busta 866.

Memoria della Commissione delle Pie Fondazioni a generale schiarimento dei rilievi dei vescovi e dei pubblici della Lombardia, in ASM Luoghi Pii p. a. cartella 1.

Capitolo 2


LA NASCITA DEL PIO ALBERGO TRIVULZIO


2.1 - La riorganizzazione della struttura assistenziale.

Come si è potuto precedentemente sottolineare, l'interesse della Corte asburgica e di Giuseppe II in particolare per gli 'oggetti di sanità' sembrava esulare la semplice preoccupazione per la salute dei sudditi e riguardava il fatto che le materie assistenziali preoccupavano il governo proprio perché poste in riferimento a fasce di popolazione maggiormente emarginate e, quindi, potenzialmente più 'pericolose' per la stabilità del potere. Non a caso, il Regio Imperiale Consiglio di Governo, diretta emanazione del Sovrano, aveva rivendicato l'intera responsabilità delle problematiche connesse, per meglio seguirne l'evoluzione in senso riformatore.

Le Intendenze Politiche poi, quali rami burocratici della nuova pubblica amministrazione, avrebbero dovuto sollecitamente riferire al governo per i provvedimenti del caso.

Il 29 marzo del 1787, il nuovo Ministro Conte di Wilzeck, emanava, per conto del Sovrano il nuovo 'Regolamento generale per gli oggetti di sanità da osservarsi nella Lombardia austriaca', nel quale, già all'articolo 1 si rivendicava l'intera materia al Consiglio di Governo, riaffermando la preoccupazione della Corte di "avere le notizie, di quanto in un affare così interessante succede fuori Stato", affidando, nel contempo, alle Intendenze Politiche, il compito di vigilare "sopra tutti gli oggetti di Sanità, ed inviligeranno sulla condotta, che intorno a tale articolo terranno le rispettive Congregazioni Municipali, i Deputati dell'Estimo, ed i Regi Cancellieri" (1).

Dal punto di vista delle strutture assistenziali, proprio intaccando i privilegi e le autonomie dei corpi nobiliari e degli enti religiosi, si verificò una riqualificazione dell'intero sistema ospedaliero, destinato ad essere non solo un centro di cura delle malattie, ma anche un centro di ricerca scientifica e di addestramento professionale per gli operatori sanitari.

Dalla riformata Facoltà di Medicina dell'Università di Pavia, partono nuovi piani e regolamenti per ospedali e farmacie, contemporaneamente a precise disposizioni per la prevenzione, oltre che la cura, delle malattie e lo studio delle cause delle malattie epidemiche, anche e soprattutto nelle campagne.

Con le riforme, tendono a moltiplicarsi gli interventi di ammodernamento dei vari ricoveri e di razionalizzazione dei servizi sanitari, oltre alla sperimentazione di nuove iniziative, come le Scuole del popolo che, grazie all'opera della Giunta Pecci-Daverio, videro nascere in Lombardia un nuovo sistema scolastico, ispirato ai principi della ricerca scientifica e alla rivalutazione del metodo sperimentale, in contrapposizione alle vecchie scuole gesuitiche; e ciò, soprattutto dopo che il Papa Clemente XIV, sulla spinta delle nuove idee giurisdizionaliste, sarà costretto, nel 1773, a sopprimere la Compagnia di Gesù (2).

Già fin dal 1767, il regio economo Don Michele Daverio, aveva presentato a Giuseppe II, un progetto relativo alla riorganizzazione dell'edilizia assistenziale e del personale amministrativo, in soccorso della popolazione più povera di Milano, nel quale si denunciava che il primo problema da risolvere per il governo di sua Maestà era finanziario e residenziale nello stesso tempo.

Era dunque necessario che il governo si 'autofinanziasse' attraverso la soppressione delle proprietà ecclesiastiche ed il relativo incameramento dei beni, decretando di adibire le proprietà immobiliari del clero e del patriziato al ricovero dei bisognosi, degli infermi, di chiunque non fosse in grado di mantenersi.

A tale proposito, il Daverio, in una sua memoria al Sovrano del 3 luglio del 1769, tra l'altro, sosteneva "A due oggetti pertanto si restringono le mire contemplate dalla Giunta per le provvidenze da darsi da Sua Maestà relative alla visita de' Luoghi pii: Primo: di provvedere agli Alberghi e Conservatori de' poveri infermi ed impotenti. Il secondo oggetto è di soccorrere le famiglie povere della Città, che non ponno né devono entrare nelli Conservatori, ma che col giornaliero lavoro non ponno guadagnare il di loro sostentamento, principalmente se sono cariche di figli ed in tempo d'infermità" (3).

Così vengono potenziati ricoveri già esistenti e se ne creano di nuovi; viene migliorata la struttura dell'Ospedale Maggiore di Milano, mentre, con il testamento di cui si parlerà tra breve, viene istituito il Pio Albergo dei Poveri, legato al nome della famiglia Trivulzio "ad uso d'un Ospitale per gl'impotenti per vecchiaia o abituali infermità" (4).

Per quanto poi riguardava il settore elemosiniero, il già menzionato 'Regolamento per la distribuzione delle doti e limosine de' Luoghi pii in Milano', che aveva assegnato ad una Congregazione di deputati di nomina governativa il compito di sovraintendere all'intera materia, istituiva un sistema assistenziale a somiglianza di quello esistente a Vienna, frutto degli ordini del nuovo Dipartimento d'Italia che intendeva amministrare il delicato settore in modo razionale e burocratico, con un ferreo controllo del governo centrale, soprattutto per quanto riguardava gli aspetti finanziari che, fin dall'inizio della dominazione preoccupavano in modo prioritario i reggenti austriaci. Riunendo tutti i 'luoghi' in un'unica amministrazione pubblica direttamente responsabile verso il Ministro ed il Governatore che avevano il compito di mediare con la Corte, trasmettendo gli ordini sul territorio, il Sovrano era convinto di poter controllare l'intero settore assistenziale, incidendo direttamente sulla politica gestionale, sulla scelta dei deputati, sugli investimenti finanziari, sui provvedimenti restrittivi destinati a limitare le interferenze degli ordini nobiliari e dell'autorità ecclesiastica.

In questo senso, per poter intervenire più efficacemente sul 'terreno' da sempre esclusivo degli enti religiosi, l'amministrazione austriaca aveva assimilato tutte le materie assistenziali, di carità e beneficenza alle materie ecclesiastiche, rompendo quel privilegio di origine feudale che il clero e la nobiltà avevano così gelosamente difeso da secoli; con le riforme i sudditi avrebbero potuto aspirare alla loro 'felicità' ed in cambio della loro fedeltà, avrebbero potuto godere, come i sudditi di altri paesi europei più avanzati, dell'assistenza pubblica, annoverata tra i principali obblighi dello Stato.

Giuseppe II poi, sull'esempio degli Istituti per i poveri, riformati in Austria ed in Boemia, che provvedevano all'assistenza di ogni tipo di emarginazione sociale, aveva anche a Milano creato l'Istituto generale delle elemosine, nel 1784, destinando ingenti somme di danaro per la cura e l'educazione dei fanciulli ed il mantenimento dei vecchi non autosufficienti, affidando, come già ricordato nel capitolo precedente, l'amministrazione ad una Commissione governativa.

Il primo problema che si presentava era quello relativo ad una sorta di censimento degli assistiti, soprattutto per evitare promiscuità e disordini, trasferendo coattivamente, quando occorresse, i ricoverati da un istituto ad un altro più idoneo alla patologia; un ordine razionale dunque nella divisione dei ricoveri che, sul modello austriaco, divideva tutte le fondazioni in quattro classi, ciascuna affidata ad un assessore della Giunta: nella prima, dovevano essere ospitati i fanciulli, orfani, esposti ed abbandonati; nella seconda, gli ammalati, con riferimento soprattutto all'Ospedale Maggiore; nella terza i vecchi 'impotenti per malattia', che saranno appunto ospitati nel Pio Albergo Trivulzio; nell'ultima, infine, si dovevano raccogliere tutte le donazioni patrimoniali ed istituire la Casa di lavoro volontario.

Per quanto riguardava la gestione patrimoniale e le fonti di finanziamento dei nuovi istituti di ricovero, vennero aboliti i vecchi capitoli di tradizione ecclesiastica ed al loro posto, la responsabilità relativa venne affidata ai Regi Amministratori, che dipendevano direttamente dalla Giunta governativa. Inoltre, tale funzione venne separata dalla gestione amministrativa vera e propria e ricondotta all'attività di gestione di bilancio pubblico, servizio che lo Stato doveva sostenere attraverso il lavoro esecutivo dei suoi deputati che dovevano agire per burocratizzare l'assistenza (5); su questo punto, l'amministrazione austriaca si era fin dall'inizio mostrata molto attenta relativamente a tutto ciò che atteneva al risanamento finanziario, volendo che tutte le principali fonti di finanziamento fossero 'pubbliche' proprio per poterne controllare meglio le fonti ed applicare anche all'amministrazione finanziaria lombarda, i principi del cameralismo (6) già in vigore nella capitale: Lo stesso Governatore Kaunitz ribadirà a più riprese il massimo interesse dello Stato sulla gestione finanziaria degli enti assistenziali e di carità, come quando, ad esempio, nel 1785, in una lettera alla Giunta delle pie fondazioni, scriveva: "Il patrimonio de' poveri può e deve essere riguardato del pari col patrimonio pubblico; ed in mancanza di quello sarebbe obbligo dello Stato il provvedervi, come si fa in altri paesi ben regolati, e specialmente in Inghilterra, dove le tasse per questo titolo sono assai considerabili" (7).

Un'affermazione molto importante, che interpretava pienamente il pensiero dell'Imperatore Giuseppe II, dal quale comincerà a farsi strada l'idea di un 'diritto' all'assistenza che il cittadino poteva pretendere e che lo Stato era obbligato ad offrire, sotto forma di sevizio pubblico; un modo con cui anche lo Stato si impegnava a realizzare un minimo di perequazione tributaria, prelevando coattivamente dalle ricchezze di tutti una parte non indifferente di sostanze da destinare alla pubblica beneficenza.

In questo senso dunque, la riforma della politica assistenziale realizzata dalla Corte asburgica in Lombardia nel secondo Settecento, può anche essere interpretata in modo strumentale rispetto ad un più generale quadro riformatore che aveva come risultato finale la costruzione di un 'nuovo' Stato laico che, con la progressiva riduzione del potere della nobiltà e del clero, avrebbe centralizzato tutta l'amministrazione nelle mani del governo, fedele esecutore degli ordini impartiti da Vienna; la 'modernità' più evidente, sottolineata dalla principale storiografia del periodo (8), stava proprio nel nuovo modo di interpretare il ruolo pubblico in campo sociale, attraverso il diretto intervento governativo nelle materie assistenziali, come essenziale premessa per un più ferreo controllo del potere, unitamente ad un nuovo modo di concepire la stratificazione sociale.

Una nuova concezione riformatrice, proseguita, come si è detto, nell'esperienza francese e napoleonica, fino alla Restaurazione che si fondava su tre regole fondamentali, osservate poi anche dallo Stato liberale del secolo XIX, che erano il concentramento delle funzioni amministrative, la statalizzazione delle strutture assistenziali e la pubblicizzazione dei relativi servizi (9). Dunque, rigore finanziario, realizzato anche con provvedimenti coattivi di soppressione dei beni patrimoniali della Chiesa, limitazione del privilegio nobiliare, attraverso la formazione di un nuovo personale 'borghese' alla direzione dei servizi assistenziali, maggior controllo e più rigorosa repressione nell'applicazione delle leggi e concentramento di tutto il potere nelle mani dell'autorità governativa, sembrano i cardini principali della nuova politica interventistica di Vienna che hanno grandemente contribuito a cambiare radicalmente la concezione della pubblica assistenza e del relativo servizio.

I nuovi provvedimenti riformatori costituivano anche un mezzo di risanamento finanziario del dominio lombardo, dopo anni di cattiva gestione patrimoniale legata soprattutto al periodo spagnolo (10), che aveva conservato antichi privilegi ed immunità ed esenzioni di origine feudale, delle quali fruivano essenzialmente il clero ed il patriziato; il governo imperiale così, sollecitava continuamente i funzionari dell'amministrazione regia a presentare i bilanci e le situazioni patrimoniali del settore assistenziale, perché la Corte ne fosse costantemente tenuta al corrente.

In una lettera del 25 maggio del 1784, ad esempio, il Ministro Wilzeck, fedele esecutore della politica di Giuseppe II, si preoccupava di avere al più presto a disposizione le note finanziarie relative alle fonti di finanziamento della beneficenza, per controllarle e sottoporle a Vienna, facendo presente che: "Dovendo, secondo i Superiori Ordini, e le Istruzioni abbassate per il buon regolamento di tutte le Opere pie in generale essere già compilato il Bilancio per l'anno 1783, si prevengono i rispettivi Capitoli, Deputati, ed Amministratori delle medesime, di rimetterlo nel prossimo mese di Luglio, qualora non lo avessero già presentato, all'Ufficio del Regio Economato per il solito regolare esame. Siccome poi in conseguenza delle Sovrane Determinazioni dovranno stabilirsi alcuni nuovi Regolamenti per la migliore Sistemazione delle Pie Istituzioni; così si ordina ai Capitoli, Deputati, Amministratori di nulla innovare per ora in pendenza degli ennunziati nuovi Regolamenti, tanto nel provvedere Impieghi, che si renderebbero vacanti, quanto nel fare Contratti di Alienazioni, Transazioni ecc.; ma di riferire le occorrenze al Governo, che nelle particolari circostanze di mano in mano, ed in vista del bisogno, dichiarerà interinalmente a loro regola le Superiori intenzioni" (11).

Dunque un pressante invito ad uniformarsi scrupolosamente alle disposizioni governative in materia, minacciando anche gli eventuali trasgressori che: "Qualunque Disposizione fatta Contro quest'Ordine, dopo la pubblicazione del medesimo, sarà considerata come illegale, e nulla; e si procederà contro i Contravventori con quelle provvidenze, che si troveranno convenire, per assicurare l'esatto adempimento delle Superiori risoluzioni".

Il Ministro Plenipotenziario dunque pretendeva di essere subito sempre informato di tutto ciò che riguardava il finanziamento delle attività 'sociali', come si verificava anche, ad esempio, nel caso del finanziamento della pubblica istruzione, come testimonia una lettera dello stesso 1784, nella quale egli faceva presente: "S.A.R. ordina alla Camera dei Conti due Bilanci uno Preventivo dell'anno 1784 di tutte le rendite e l'altro consuntivo a tutto il 1783 di tutta l'amministrazione della Cassa di Pubblica Istruzione onde accompagnarli alla Corte di Vienna, vuole essi siano compilati a norma dell'allegato elenco"; ed ancora, sempre nella stessa materia: "la Regia Imperiale Corte desiderando vedere i Bilanci della Cassa della Pubblica Istruzione, S.A.R. ha voluto di nuovo prendere quest'affare in considerazione per stabilire, e regolare anche questa parte di contabilità col metodo praticato per gli altri bilanci" (12).

Le due fonti, relative a due diverse materie dell'intervento dello Stato in campo sociale, dimostrano la volontà pratica dell'amministrazione asburgica di controllare ogni dettaglio dei programmi di riforma, soprattutto quando dovevano essere stanziati fondi di pubblica utilità e si sarebbe potuto manifestare il rischio di sprechi o di operazioni finanziarie non conformi ai dettami della nuova legislazione; una preoccupazione tipica della cultura amministrativa austriaca del settecento che, nei suoi provvedimenti innovatori sembrava trasferire il pragmatismo ed il rigore già sperimentati nelle riforme amministrative in Austria, in Boemia ed in tutti i territori governati dagli Asburgo.

2.2 - Le origini del Pio Albergo

Fin dall'epoca feudale, il problema dell'emarginazione sociale, con i suoi corollari di vagabondaggio, criminalità e mendicità, aveva rappresentato per lo Stato di Milano, come per tutto il resto d'Europa, un gravissimo problema, con anche pesanti risvolti relativamente alla tutela dell'ordine pubblico e alla stessa stabilità dei vari governi che, con diversi mezzi repressivi, avevano cercato di trovare delle soluzioni concrete (13), lasciando poi quasi esclusivamente agli enti ecclesiastici il compito di provvedere alle relative problematiche assistenziali. Nella seconda metà del secolo XVII, durante la dominazione spagnola, si cominciò ad avvertire la necessità di intervenire in modo strutturale sul problema, avviando un'opera di ricognizione e di censimento della 'povertà oziosa' e dei mali che ne seguivano, ponendo in risalto l'esigenza che, anche lo Stato, dovesse impegnarsi a predisporre 'luoghi' idonei al ricovero e al controllo di tale ampio fenomeno, anche se, come è stato sottolineato nel capitolo precedente, sarà solo con il riformismo illuminista settecentesco, che si riuscirà a concretizzare un vero e proprio programma organico di intervento nel settore.

Nel 1671, ad esempio, venne effettuata a Milano, ad opera del governo di Madrid, una prima classificazione della popolazione 'povera', nella quale, i bisognosi erano stati suddivisi in quattro principali categorie: coloro che erano colpiti da una completa infermità e non avrebbero potuto svolgere alcun lavoro e nemmeno mendicare, coloro che presentavano difficoltà allo svolgimento di una vita normale, coloro che, pur affetti da qualche infermità, avrebbero potuto essere inseriti nella vita sociale ed infine coloro che, definiti 'oziosi e vagabondi', esercitavano la mendicità e la questua come mestiere, rappresentando un serio problema per la tranquillità sociale (14).

Una distinzione tra poveri 'malati' e poveri 'sani' che verrà riconosciuta valida anche alla vigilia delle riforme austriache, che punteranno molto sulle forme di recupero sociale degli infermi non ritenuti 'cronici' e sugli sbandati, orfani, ospiti delle case di correzione, ritenuti abili al lavoro e al perseguimento dell'interesse pubblico. Poveri 'buoni' e poveri 'cattivi', nei confronti dei quali il governo avrebbe dovuto predisporre un trattamento differenziato, approntando un adeguato sistema di cura, controllo e reinserimento sociale.

Con la salita al potere, nel 1740, di Maria Teresa d'Austria, il problema comincerà, come già si è precedentemente anticipato, ad essere affrontato in modo organico e radicale nel contesto di un più generale progetto di rinnovamento sociale ed amministrativo. Lo stesso senatore Gabriele Verri, zio del più famoso Pietro, animatore del riformismo economico - finanziario, aveva proposto come soluzione alla dilagante ed ormai incontrollabile povertà, l'istituzione di un albergo per i più diseredati, anche per contrastare, in questo campo l'egemonia e l'attività della Chiesa, razionalizzando, nello stesso tempo, le istituzioni di carità, armonizzandole con i nuovi principi illuministici dell'arte di governo.

Come sostiene il Capra, si trattò anche di "una sfida tra potere temporale e spirituale, che si concluse qualche anno più tardi con una generale riforma, che passò attraverso la soppressione di numerosi enti assistenziali e la secolarizzazione dei rimanenti" (15).

In questo clima, a partire dagli anni '50 del secolo XVIII, si deve anche collocare la pressante richiesta del Principe Antonio Tolomeo Trivulzio di erigere, con il contributo testamentario di un lascito di danaro e di proprietà immobiliari, un albergo destinato ai poveri della città di Milano (16). Il Trivulzio, in questo senso appoggiato dal potente Governatore Conte Carlo di Firmian, diede così vita ad un ampio carteggio fatto di suppliche alla Corte che culminò nella stesura del testamento del 23 agosto del 1766 che, di fatto, istituiva la nuova struttura di ricovero.

Un testamento riconosciuto ed approvato dal governo di Sua Maestà con un dispaccio del 18 dicembre dello stesso anno che, tra l'altro, concedeva al Trivulzio stesso, la disponibilità dei suoi feudi fuori dalla città, come quello di Casalpusterlengo, proprio poco tempo prima della sua morte, avvenuta il 30 dicembre 1767.

Numerose sono le fonti d'archivio che testimoniano la volontà del Principe di voler donare alla città di Milano un ricovero per i suoi poveri ed emarginati, nello spirito della nuova filantropia settecentesca, alternativa alla carità ecclesiastica. Nel febbraio del 1766, ad esempio, il governo affidava al senatore Pecci, già membro della Giunta per la riforma della pubblica istruzione e al questore Ottolini, il compito di fare da tramite tra le richieste del Trivulzio ed i provvedimenti del governo centrale, concedendo al nobile milanese di "essere messo in libertà di seguire le pie sue intenzioni dirette a costituire un Albergo dei Poveri dal fondo de' suoi effetti", naturalmente sotto la guida e la vigilanza del potente Ministro Plenipotenziario Principe di Kaunitz e dello stesso Governatore Firmian. Tutto ciò affinché la stessa Corte potesse avere "una idea chiara della natura, e di tutte le circostanze dell'Affare di cui si tratta, onde poter abbassare con piena cognizione di causa quegli Ordini, che stimeremo convenire" (17). Ancora il Governatore Firmian raccomandava poi l'utilità pubblica ed il valore morale della decisione del Trivulzio, "cioè nell'istituzione che egli aveva divisato di fare in codesta città di un Albergo dei Poveri con disporre in favore del medesimo di tutto il suo Patrimonio", nominando il nuovo Albergo come suo erede universale, compresi i feudi fuori città.

Nel prendere ulteriormente visione delle continue suppliche rivolte al governo dal patrizio milanese, ancora il Firmian, al fine di favorirne ed accelerarne il buon esito, faceva presente alla Corte: "ci fece nello stesso suo ricorso istanza esso Principe Trivulzio di accordare al medesimo Luogo Pio la Reale nostra Protezione e di abilitarlo a poter conseguire oltre i fondi di prima dotazione qualunque altra eredità, legati , e donazioni, che potessero per qualsivoglia contratto, o per ultima volontà derivargli in appresso"; concludendo poi la nota con vivo compiacimento, così poteva sintetizzare le deliberazioni sovrane: "Ad oggetto dunque di accordare la pia intenzione del summenzionato Principe Trivulzio gli permettiamo di fondare, e istituire per un atto di ultima volontà, qual è la testamentaria disposizione da lui esibita, e nelle forme, che in essa è esposto il nuovo Albergo dei Poveri con la facoltà di disporre di tutte le sostanze allodiali (ossia di tutte quelle terre libere da infeudazioni), salve però sempre le ragioni di qualunque terzo in favore di detto Pio Luogo.graziosamente accordandogli come Laicale da qui per allora la supplicata Regia nostra Protezione" (18).

Le richieste del Principe milanese dunque, sembravano coincidere anche con gli stessi interessi della Corte di Vienna che, almeno durante il periodo di Maria Teresa, si dimostrava favorevole a 'coinvolgere' direttamente nel processo riformatore le èlites culturali lombarde, nel comune spirito di condivisione degli ideali illuministici; un atteggiamento che, come si avrà modo di dimostrare, cambierà radicalmente con l'avvento al trono del figlio primogenito Giuseppe II, intenzionato ad agire 'da solo', in modo autoritario, radicale e molto razionale, escludendo qualsiasi forma di collaborazione, anche con gli strati più disponibili della società.

L'accettazione della donazione patrizia da parte del governo, grazie anche al lavoro di mediazione del Governatore Firmian, si spiega con il rinnovato interesse della Corte di Vienna nei confronti delle più generali tematiche connesse al recupero sociale posto in essere in quegli anni, ad esempio nei confronti dell'erezione di orfanotrofi e case di ricovero e cura, soprattutto nei confronti di quelle categorie di poveri considerati 'buoni', cioè recuperabili alla società attraverso l'avviamento al lavoro.

Anche nel caso degli orfanotrofi infatti, si trattava di intervenire in campo sociale, sostituendo il ruolo da sempre occupato dagli ordini nobiliari e, più ancora, dal clero ed anche in questo caso, le suppliche alla Corte, tramite il Governatore o il Ministro Plenipotenziario, richiedevano che i 'luoghi pii' avessero un'impostazione ed un'amministrazione laica e fossero messi sotto la diretta protezione delle autorità governative; come nel caso della supplica del regio Visitatore Vismara, fatta pervenire allo stesso ministro Kaunitz, di autorizzare la costruzione di un nuovo orfanotrofio, anche per l'avviamento al lavoro dei fanciulli, intervenendo finanziariamente in un'opera i cui risultati non potevano non interessare anche l'amministrazione statale che toglieva dall'abbandono dei fanciulli, formandoli, nello stesso tempo, in modo professionale.

Per questo, il Visitatore Vismara, le cui funzioni erano quelle ricoperte da un Ispettore alle fabbriche, caldeggiava l'approvazione del provvedimento con la solita richiesta: "Potrà adeguarsi Sua Maestà di approvare le regole del nuovo Orfanotrofio, dichiarandolo Laicale sottoposto all'immediata Regia Protezione" (19); la stessa formula usata anche per perorare la causa del Pio Albergo dei Poveri, dopo aver soppresso gli ospedali di ispirazione religiosa ed averne incamerato i beni. Suppliche e provvedimenti governativi che sembrano sempre ricadere sotto quella logica illuministica che voleva, dall'alto, coniugare assistenza e controllo, aiuto e vigilanza.

In entrambi i casi, i provvedimenti governativi miravano a non fare rimanere nell'ozio infermi 'validi' ed orfani, avviandoli ad un minimo di inserimento sociale, contro il costante pericolo del vagabondaggio e della mendicità, difendendo meglio la società civile e riaffermando l'autorità del potere centrale in tutti gli aspetti della vita dello Stato, cercando di andare oltre alle soluzioni poste in essere durante l'epoca dell'antico regime che non potevano limitarsi che al momento 'repressivo' come testimoniano le grida e le leggi punitive di tutti i reati connessi al 'vagabondaggio' (20).

Si trattava di un problema enorme che aveva pesanti risvolti in tutte le società europee del secolo XVIII, per le sue dimensioni e per l'effetto 'destabilizzante' nei confronti delle istituzioni governative, tanto in ordine alla criminalità, quanto in ordine alla diffusione di epidemie e contagi di ogni genere dei quali, secondo le autorità governative, erano soprattutto responsabili i vagabondi che venivano da fuori; a tale proposito, Gian Rinaldo Carli, che nel 1765 era stato chiamato da Maria Teresa a presiedere il nuovo organo finanziario dello Stato, il Supremo Consiglio di Economia (21), in un suo saggio del 1768, ricordato dal Capra (22), calcolava che in Milano ci fossero "più di ventimila sedicenti poveri che ricevevano o minestra o pane o vestito", poveri che vivevano "più a carico che per utile al pubblico", mentre il Governatore Firmian segnalava al Ministro Kaunitz la presenza "tra forestieri e nazionali di circa 1200 individui, dei quali più di 300 persone impotenti e mostruose".

Dunque una riforma organica e radicale si imponeva ed anche da questo punto di vista, si può spiegare la relativa facilità con la quale il Principe Trivulzio aveva potuto dar corso alle sue filantropiche intenzioni; nello stesso tempo, si può anche comprendere il perché del problema fosse investito direttamente il governo e, soprattutto il Ministro degli Interni, tanto nel periodo austriaco, quanto ed ancora di più in quello napoleonico.

2.3 - Il Testamento del Principe Antonio Tolomeo Trivulzio

Un Dispaccio sovrano del 18 dicembre del 1766, grazie anche al contributo e all'appoggio del Governatore Carlo di Firmian, approvava il testamento del Principe Trivulzio e, nello stesso tempo, lo autorizzava a disporre, per la sua donazione, anche dei feudi di Casalpusterlengo, Trivulza e Mirandola, orinandone la vendita entro i prossimi cinque anni.

Prendeva così consistenza concreta l'Albergo dei poveri, voluto fortemente dal patrizio milanese, che sarà inaugurato nel 1771, quattro anni dopo la morte del suo benefattore, con l'accoglimento dei primi cento invalidi.

Il suo atto istitutivo, il testamento redatto dal Notaio Macchio il 23 agosto del 1766, può definirsi come "un documento emblematico e fondamentale: in esso si rispecchiano le contemporanee istanze di soccorso ai poveri e di disciplinamento della realtà assistenziale lombarda" (23); un documento tipico del suo tempo, chiara testimonianza dello spirito filantropico di una certa parte della nobiltà milanese che, pur richiamandosi ai fondamentali valori della tradizione cattolica, sembrava anche 'suggerito' dai nuovi principi illuministici laici basati sul riconoscimento dell'uguaglianza, della giustizia e della 'bontà' naturale di ogni individuo 'rischiarata' dalla ragione.

Il Notaio Giuseppe Macchio, prende dunque atto che, con tale documento, il Trivulzio istituiva suo erede "L'Albergo de' Poveri impotenti da erigersi in questa città" (24), frutto di un atto di liberalità, nello spirito della grande tradizione della beneficenza milanese verso i più sfortunati, con il beneplacito del governo di Sua Maestà, l'Imperatrice Maria Teresa.

Il richiamo a questa tradizione lombarda sembra subito manifestarsi con la formula di apertura: "Primieramente, come fedele Cattolico", con la quale il Trivulzio sottolineava i suoi valori di riferimento di fondo in sintonia con lo spirito del ceto nobiliare, legato alla religione e ai suoi principi.

L'invocazione a Dio, alla Madonna e ai Santi, tra i quali emergeva la figura di S. Carlo Borromeo, testimonia, tanto l'attaccamento delle famiglie patrizie alla religione cattolica, quanto la costante presenza delle radici teologiche del servizio verso il prossimo, della carità, della beneficenza e dell'amore per il prossimo (25).

A riprova di questa impostazione, il Principe lasciava, a titolo di legato, "lire cento Imperiali a Luoghi di Terra Santa, ne' quali Nostro Signore Gesù Cristo sparse il preziosissimo suo Sangue per Redenzione dell'Uman genere.per la Redenzione de' Cattolici dalla Schiavitù de' Barbari", mentre, esprimendo le sue ultime volontà, raccomandava l'anima a Dio.

Completato tale iniziale 'atto di fede', il testamento era tutto rivolto al grande progetto che aveva occupato i pensieri negli ultimi anni di vita del Trivulzio: far diventare l'Albergo dei Poveri suo unico erede universale, realizzando così il sogno di completare il percorso della propria vita con un atto d'amore verso il prossimo, sull'esempio della carità evangelica; così dunque disponeva il documento: "In tutti poi li miei beni, mobili, gioie, argenti, danari, scritture, nomi de' debitori, stabili, ragioni, crediti, ed azioni, ed ogni altra cosa in qualsivoglia modo a me spettante, e che possi aspettare, che ho, e lascerò in tempo di mia morte, niente eccettuato, ho istituito, ed istituisco mio erede universale, nominandolo colla mia propria bocca, come l'ho nominato, e nomino l'Albergo dei Poveri, che dovrà subito dopo la mia morte erigersi in questa Città di Milano nel mio Palazzo d'Abitazione, ed altre Case contigue sotto l'intitolazione del Glorioso S. Carlo, e S. Luigi Gonzaga, e con una Iscrizione indicante colla maggiore semplicità in Italiano la memoria dell'Istitutore"; nello stesso tempo, veniva data agli esecutori testamentari l'autorizzazione ad agire in conseguenza di tali ultime volontà.

Inoltre, poiché tra le principali preoccupazioni del Trivulzio vi era quella di reperire tutti i fondi necessari al sostentamento della grande impresa, veniva specificato che, relativamente ai feudi di proprietà della famiglia ubicati fuori da Milano, come il già menzionato feudo di Casalpusterlengo, riconosciuti da un dispaccio reale dello stesso Imperatore Carlo VI, padre di Maria Teresa, "è mia precisa volontà di comprendere il detto feudo, e sue pertinenze con tutte le rendite, sì feudali, che regali, ed allodiali, se piacerà a Sua Maestà mia Clementissima Padrona, come umilissimamente imploro, di estendere la detta facoltà come sopra a favore dell'Istituto, e nominato Luogo Pio", mentre, con riferimento alle altre proprietà immobiliari, egli proibiva "ogni e qualunque alienazione.pagati però che siano i miei debiti, ed adempiti i pesi, che vanno ingiunti al mio patrimonio"; una disposizione che costringerà gli esecutori testamentari ad un paziente lavoro di ricostruzione delle passività e delle attività, anche tramite un inventario dei beni mobili e di quelli immobili, che verrà ultimato nel marzo del 1768; per la precisione, secondo i calcoli della Cenedella, "furono alienati al pubblico incanto i mobili, gli argenti e i gioielli e nello stesso anno si poté procedere al ministro plenipotenziario Firmian, per conto del fisco regio, del feudo imperiale di Retegno e Bettole, per la considerevole somma di 280.000 lire milanesi, in parziale pagamento dei debiti lasciati dal principe" (26).

Stabilite le disposizioni più propriamente finanziarie, il testamento ribadiva solennemente il carattere 'pubblico' della nuova istituzione, non dipendente dall'autorità religiosa, ma collegata all'amministrazione governativa, nello spirito di tutte le altre istituzioni nate dal rinnovamento illuministico avviato da Maria Teresa dopo il 1740: "Dichiaro inoltre, che l'Albergo de' Poveri debba essere il Luogo Pio Laicale, e sotto l'immediata Protezione di Sua Maestà; al qual effetto supplico umilissimamente la Maestà Vostra a voler accordare il suo Clementissimo Beneplacito alla fondazione, e dotazione, come sopra, del Luogo Pio, ed a dichiararlo nell'atto della erezione medesima sottoposto alla immediata Regia Protezione con tutti quelli altri Privilegi, che piacerà alla M. S. concedergli per renderlo capace a conseguire donazioni, Legati, e Successioni, ed a possedere eziando stabili in questo suo Dominio" (27).

Per quanto poi riguardava i soggetti destinatari del nuovo ricovero, il testamento specificava come "l'Albergo debba servire per Poveri Nazionali, e non Forestieri, preferendosi quelli della Città agli altri del Ducato, e che non possano mai riceversi i Poveri validi, e robusti, ma bensì soltanto gli Impotenti per età, per difetto corporale ed infermità, e questi dell'uno, e dell'altro sesso con distinzione però di quartiere, come prescriverò, o verrà prescritto dalla Congregazione da istituirsi, come abbasso" (28).

Dunque, le condizioni per essere ammessi al ricovero nella nuova istituzione, erano due: quella di non essere 'forestiero', ma abitante della città e quella di non essere povero 'valido', ma persona malata e comunque non autosufficiente; il principio, si ricollega anche a quanto precedentemente accennato a proposito della classificazione tipicamente 'illuministica' tra poveri 'sani' che non dovevano essere semplicemente assistiti ma inseriti nella società attraverso l'avviamento professionale e poveri 'malati' ai quali, soli, competeva il pieno diritto all'assistenza gratuita.

Una conseguenza della logica di razionalizzazione tipica del periodo che, in modo molto realistico, anche attraverso la politica assistenziale, poneva l'interesse dello Stato comunque al centro dei provvedimenti di riforma.

Importante sembra anche la preoccupazione legata al precedente stato di disordine e di promiscuità che suggeriva al Trivulzio l'idea di predisporre strutture assistenziali separate dal punto di vista del sesso e della patologia; un'impostazione che sarà alla base dei provvedimenti ottocenteschi di riforma del sistema ospedaliero, aprendo la strada della ricerca scientifica e della specializzazione.

Per quanto riguardava poi l'amministrazione vera e propria del nuovo Pio Albergo, secondo le disposizioni testamentarie, essa avrebbe dovuto essere affidata ad un collegio ristretto composto da 12 deputati più un Presidente (Priore), che durava in carica per un anno; il primo Priore, sarebbe stato eletto dal Consiglio stesso, mentre, per gli anni successivi, ci sarebbe dovuta essere una rotazione a seconda delle precedenze.

Per quanto riguardava i singoli deputati, la loro nomina spettava al Cardinale Arcivescovo, al Presidente del Senato ed al Vicario di Provvisione, almeno nelle prime fasi di vita del nuovo organo e, al fine di una più ampia rappresentanza nell'amministrazione del Pio Albergo, quattro deputati dovevano essere scelti dall'autorità ecclesiastica, quattro dai deputati dei luoghi pii ed infine quattro "a pieno arbitrio delli succennati Elettori, ne' quali pienamente confido, che faranno per eleggere sempre persone le più probe, ed idonee della Città", anche al fine di garantire la continuità dell'azione assistenziale poi, i deputati duravano in carica tutta la vita e dovevano decidere collegialmente.

Per quanto riguardava le necessità spirituali delle persone ricoverate, il testamento prevedeva come della struttura assistenziale dovessero fare parte "due Sacerdoti Confessori, uno col titolo di Rettore, che farà il Capo, ed avrà l'annuo assegnamento di cinquanta Zecchini oltre la Tavola; e l'altro che si chiamerà Vice - Rettore con la prestazione pure annua di Zecchini quaranta similmente oltre la Tavola, e questi saranno continua residenza nel Quartiere degli Uomini, ed avranno l'obbligo di celebrare quotidianamente la Messa nelle rispettive Cappelle con applicare il Divin Sacrificio in suffragio mio, d'amministrare i Santissimi Sacramenti della Confessione, e dell'Eucarestia, di fare i Sermoni, ed il Catechismo, ed invigilare sopra i costumi di ciascuno. Questi saranno ammovibili ad arbitrio della Congregazione direttrice dell'Albergo, e si eleggeranno di tempo in tempo dal Sig. Prevosto Generale degli Obbligati di questa Città, dovendo uno d'essi assistere agli Uomini, e l'altro alle Donne" (29).

La presenza di sacerdoti che provvedessero all'attività pastorale nell'ambito delle istituzioni volute dallo Stato, era tipica di tutte le strutture amministrative create dal riformismo, dalle scuole, alle fabbriche, dagli istituti correzionali a quelli più genericamente assistenziali, anche se, durante il regno di Giuseppe II, il numero degli ecclesiastici venne ridimensionato e le relative attribuzioni maggiormente sottoposte al controllo governativo.

Sempre dal punto di vista amministrativo poi, il Trivulzio, aveva istituito, oltre ai dodici Deputati, anche un Sindaco che doveva svolgere le funzioni di Cancelliere; il primo Sindaco era nominato nello stesso testamento, nella persona di Giuseppe Antonio Pellegrini, già membro del Supremo Consiglio di Economia, mentre per i successivi, la responsabilità veniva attribuita alla Congregazione di Stato, che doveva anche nominare un sostituto, fissandone, nello stesso tempo, lo stipendio. Inoltre, a completamento della struttura amministrativa del Pio Albergo, il testamento nominava un Agente Generale, responsabile dell'Archivio, un Cassiere ed un Ragioniere per le incombenze finanziarie, aiutati da un altro funzionario con funzioni esecutive; tutte figure per le quali venivano fissati stipendio e pensione; ed ancora: "Un Maggiordomo della Pia Casa col suo Coadiutore, al primo de' quali uffici nomino Giuseppe Frigerio, ed al secondo Antonio Gasparini, quando al tempo di mia morte si trovino al mio servizio, costituendo al primo Ufficio il salario di annui zecchini cinquanta, oltre l'Alloggio, e la Tavola, ed all'altro zecchini trenta, oltre l'Alloggio, e Tavola suddetta con quelle incombenze, ed obblighi, che saranno o da me, o dalla Congregazione dichiarati" (30).

Nella sua meticolosità, il Principe aveva con il testamento previsto anche le incombenze apparentemente meno rilevanti, prevedendo anche degli uffici minori, come la portineria, l'infermeria, il guardaroba, la dispensa, la cucina, la cantina, il forno per il pane.

Anche per queste incombenze, la responsabilità della scelta delle persone chiamate a ricoprirle era demandata alla Congregazione che, in tale scelta, avrebbe dovuto comunque sempre preferire il personale proveniente dalla stessa casa Trivulzio, già al servizio del nobile milanese, facendo sì che tutto questo personale abbia una "onesta gratificazione per una sola volta ad arbitrio della piena Congregazione, lasciando pure al di lei arbitrio il continuare, o rimovere anche li presenti miei Agenti Forensi, Fattori, e Compari, secondo i loro diporti e fedeltà". (31).

Relativamente al solo settore femminile della Pia Casa, che, come si è già detto, doveva essere tenuto separato da quello maschile, era stabilita la presenza di una Priora e di una Sottopriora, nominate dallo stesso Trivulzio che ne avrebbe anche stabilito le condizioni economiche.

Dal punto di vista dell'organizzazione della vita quotidiana all'interno dell'Albergo, il testamento si limitava ad anticipare un prossimo Regolamento riguardante "il vitto, vestito, fattibili lavoreri, ed opere pie, nelle quali dovranno esercitarsi giornalmente li detti Poveri dell'uno, e dell'altro sesso, il che, se non sarà da me fatto, si dovrà prescrivere dalla Congregazione coll'approvazione del Governo, e delli tre nominati Elettori de' Deputati della Congregazione". Un nuovo regolamento che contemplasse una sorta di avviamento al lavoro anche per i poveri ricoverati, sempre nell'ottica di quel programma illuministico di recupero sociale e di diversa considerazione della persona umana, dei suoi diritti, della sua dignità.

Come già per le scuole, gli ospedali e le fabbriche, anche per la nuova casa di ricovero era previsto il controllo di due Visitatori della Casa Pia, nominati dall'Arcivescovo, dal Presidente del Senato e dal Vicario di Provvisione, i quali duravano in carica un anno e dovevano verificare l'andamento generale della nuova istituzione assistenziale.

I Visitatori costituivano organi di controllo e di accentramento amministrativo, ossia dei funzionari governativi, attraverso i quali, la Corte era costantemente tenuta informata in merito alla corretta attuazione del programma riformatore, nelle scuole, nelle fabbriche, in campo sanitario ed assistenziale; con riferimento al nuovo Albergo dei Poveri poi, questi ultimi, avrebbero dovuto essere selezionati "de' più probi ed idonei di questa Città", e la loro principale attribuzione avrebbe dovuto essere quella di "vedere e riferire a suddetti tre Elettori (il Vescovo, il Presidente del Senato ed il Vicario di Provvisione), se sia osservato il Regolamento interno del Luogo Pio, e di riconoscere, ed approvare i Conti d'amministrazione dell'anno precedente, con darne copia del Bilancio sottoscritto da Deputati".

In conclusione del suo testamento infine, il Principe Trivulzio si dichiarava libero di "levare, ed ordinare qualsivoglia Legati tanto pii, che profani per semplici schedule da me firmate" e, nello stesso tempo, procedeva alla nomina degli esecutori testamentari che avrebbero poi dovuto fare "un esatto Inventario di tutta la mia sostanza, e con l'opera del suddetto mio Agente Generale far prendere l'immediato possesso de' miei Beni in nome del suddetto mio Erede istituito, con dare tutte quelle disposizioni, che sono del loro Istituto" (32).

NOTE AL SECONDO CAPITOLO

ASCM Dicasteri cartella 340.

Sulla riforma degli studi, vedi M. SCAZZOSO Istruzione professionale e società nella Lombardia austriaca, Milano 1994; H. REINALTER Le riforme universitarie in Austria al tempo di Maria Teresa, in A. DE MADDALENA cit. pp. 829 - 844.

ASM Culto p. a. cartella 34.

Sul tema vedi, A. MALAMANI L'organizzazione sanitaria nella Lombardia austriaca ed anche A. ANNONI Assistenza e beneficenza nell'età delle riforme, in A. DE MADDALENA op. cit., Bologna 1982.

Sulla politica assistenziale del modello di Stato di tipo moderno vedi anche CH. THILLY (a cura di) La formazione degli Stati nazionali nell'Europa occidentale, Bologna 1984 e M. CATTINI La genesi della società contemporanea europea, Parma 1990.

Per quanto riguarda il contributo del cameralismo al progetto riformatore vedi P. SCHIERA Dall'arte di governo alla scienza dello Stato: il Cameralismo e l'assolutismo tedesco, Milano 1968; C. MOZZARELLI Il Magistrato Camerale della Lombardia austriaca, Vienna 1989.

Vedi M. BASCAPE' Gli interventi teresiana e giuseppini contro il pauperismo: dai progetti degli anni cinquanta all'Istituto generale delle elemosine, in M. CASTELLOTTI - E. BRESSAN (a cura di ) Cultura, Religione e Trasformazione sociale. Milano e la Lombardia dalle riforme all'unità, Atti del Convegno, Milano 2001, pag. 124.

Sulla politica generale del riformismo vedi F. VENTURI Settecento riformatore, Torino 1969; C. MOZZARELLI - G. VENTURI (a cura di) L'Europa delle Corti alla fine dell'antico regime, Roma 1991.

Sul tema vedi A. LIVA Carità ed assistenza nell'età della Restaurazione: aspetti del processo di pubblicizzazione, in M. CASTELLOTTI - E. BRESSAN (a cura di) Cultura.cit. pag. 261.

Sull'amministrazione finanziaria durante il periodo della dominazione spagnola vedi anche G. VIGO Fisco e società nella Lombardia del Cinquecento, Bologna 1979.

ASM T. N. A. 30

ASM Studi p. a. cartella n. 137.

Sulla povertà europea dal medioevo al Rinascimento vedi anche D. ZARDIN (a cura di) La città e di poveri. Milano e le terre lombarde dal Rinascimento all'età spagnola, Milano 1995.

Sull'argomento vedi G. COSMACINI - C. CENEDELLA I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Bari 1994.

In G. COSMACINI cit.pag. 96.

Sulla figura del Principe Trivulzio vedi C. CREMONINI Ritratto inedito di un celebre benefattore: vita e opinioni del principe Antonio Tolomeo Gallio Trivulzio, in Dalla carità all'assistenza. Orfani, vecchi e poveri a Milano tra Settecento e Ottocento, Atti del Convegno, Milano 1993.

ASM T. N. A. 30.

ASM T. N. A. 30.

ASM Luoghi Pii p. a. cartella 320.

Sull'argomento vedi A. LIVA Criminalità e giustizia nel ducato di Milano tra Cinque e Seicento. Aspetti della società lombarda in età spagnola, Como 1985.

Sull'attività di tale Magistratura, vedi M. SCAZZOSO Tentativi di riforma burocratica nella Lombardia austriaca: il Supremo Consiglio di Economia (1765 - 1771), in 'Archivio Storico Lombardo', Milano 1977.

Vedi C. CAPRA Il Pio Albergo Trivulzio:un'eredità del secolo dei lumi, in La nascita del Pio Albergo Trivulzio. Orfani, vecchi e poveri a Milano tra Settecento e Ottocento, Milano 1993 pag. 13.

In G. COSMACINI - C. CENEDELLA I vecchi e la cura.cit. pag. 101.

Il testamento del Principe Trivulzio è collocato in ASM, Nuovo Archivio Trivulzio (TNA), cartella 50.

Sul rapporto tra religione e carità nel periodo delle riforme, vedi anche M. MARCOCCHI Fermenti di spiritualità in Lombardia tra Sette e Ottocento, in M. CASTELLOTTI - E. BRESSAN (a cura di) Cultura, Religione e Trasformazione sociale. Milano e la Lombardia dalle riforme all'unità, Atti del Convegno, Milano 2001, pp. 15-43.

C. CENEDELLA I vecchi.cit. pag. 102.

ASM T.N.A. cartella 50.

ASM Idem.

ASM Idem.

ASM Idem.

ASM Idem.

ASM Idem.

Capitolo 3


AMMINISTRAZIONE E ATTIVITA' DEL PIO ALBERGO


3.1 - L'attuazione del testamento.

Con la nomina degli esecutori testamentari e la successiva morte del Principe Trivulzio, nel dicembre del 1767, si apriva la fase della concreta realizzazione delle volontà del nobile milanese, relative all'erezione della nuova Casa per i poveri, alla sua organizzazione, ai suoi regolamenti interni, alla selezione del personale addetto, alla gestione del bilancio ed al finanziamento della sua benefica iniziativa; da questo punto di vista, il documento testamentario di cui si è parlato nel capitolo precedente, costituisce un esempio di come, in questo periodo, privato e pubblico possano mescolarsi nell'ottica del riformismo illuminista, visto che, in un documento privato come il testamento, sembravano riflettersi le istanze di aiuto ai bisognosi e, nello stesso tempo, i fondamenti di una nuova regolamentazione della realtà assistenziale milanese.

Un documento emblematico anche di una società che stava cambiando in senso laico, dove anche il filantropo 'privato', sembrava inserirsi in un più generale programma di 'pubblico' rinnovamento delle istituzioni assistenziali, lasciando suo erede universale una casa di ricovero per i poveri, luogo pio e laicale, posta sotto la immediata e diretta protezione della stessa Imperatrice Maria Teresa, nella quale l'organizzazione veniva comunque controllata e gestita dal governo centrale che provvedeva a nominare i responsabili e che sarebbe servita come punto di partenza e di riferimento di un più generale riassetto dell'intero sistema assistenziale lombardo.

Un documento nel quale sembra soprattutto emergere la preoccupazione da parte del benefattore, di provvedere alla capacità economica di autosostentamento del luogo pio che sembra spiegare il coinvolgimento nella massa attiva dei crediti, anche dei feudi di famiglia ubicati fuori dal territorio di Milano.

Una preoccupazione che sarà successivamente fatta propria dallo Stato, in particolare dopo i radicali provvedimenti di Giuseppe II, che affiderà alla già menzionata Giunta governativa il compito di intervenire in materia al fine di "rendere più semplice l'Amministrazione dei Luoghi Pii, e più utile al sollievo de' Poveri la distribuzione delle Elemosine, e la prestazione dei Sussidi caritatevoli che si somministrano dalle pie Fondazioni" (1); dunque, nell'interesse delle persone bisognose ed in ultima analisi, dell'intera società, l'intera amministrazione patrimoniale della nuova istituzione assistenziale, passava nelle mani pubbliche, attraverso l'intervento del governo e della stessa Corte, anche per limitare ulteriormente il potere dei nobili e del clero in questi campi.

Passava nelle mani di una Giunta che, dal punto di vista operativo, era burocraticamente strutturata come un ministero, con un Presidente, il Conte Trotti, un Assessore responsabile del dipartimento della contabilità e del bilancio di tutte le pie fondazioni, un Deputato responsabile della politica ospedaliera e di tutte le materie connesse all'assistenza agli invalidi, un altro Deputato responsabile degli orfanotrofi, degli esposti e, più in generale dell'educazione della gioventù, un Consigliere responsabile della distribuzione delle elemosine e degli altri sussidi di carità ed, infine un ultimo Deputato incaricato del mantenimento delle strutture di ricovero per vecchi non autosufficienti e persone affette da malattie incurabili. Un personale amministrativo scelto dal governo che doveva "rimettere prontamente alla Giunta i Bilanci delle rispettive Amministrazioni, indicando lo stato attivo e passivo dei Luoghi Pii, con una Nota esatta, e classificata di tutte le Elemosine, somministrazioni, ed altri pesi appartenenti alla Causa pia, di cui si tratta; e di più la Nota distinta delle rispettive Doti già assegnate nel corso dell'anno, ma non ancora verificate, ed effettivamente pagate"(2).

Una cura meticolosa dunque per la contabilità finanziaria dei luoghi pii che riflette la grande attenzione dimostrata sempre dall'amministrazione austriaca per la contabilità dello Stato in genere, fatta di controlli accurati, di relazioni dettagliate, di bilanci espressi tanto in termini di competenza, quanto in termini di cassa, che dimostrano la 'modernità' dell'intera politica finanziaria attuata da Vienna anche nei territori subordinati al fine di governare meglio i domini, anche allo scopo di 'sfruttarli' meglio, come anche il caso di Milano sembra dimostrare (3).

Concludendo poi la disposizione governativa, si faceva ancora presente come "a quest'effetto ad ogni richiesta sarà rimessa dalla stessa Giunta la Modula delle Tabelle per classificare con metodo tutti gli Articoli, ai quali dovrà altresì aggiungersi la qualità, e l'indole del Luogo Pio, e gli esistenti Patronati, con i Diritti di nomine, o collazioni competenti alle private Famiglie, o alle Comunità Religiose"(4).

La fonte in questione sembra indicativa di come il governo asburgico si stava apprestando a governare, dal punto di vista economico - finanziario anche la nuova istituzione assistenziale, rivendicando il totale controllo sui funzionari burocratici e sui mezzi a disposizione dell'opera di carità, ponendo le basi per la successiva statalizzazione dell'intera materia, realizzata prima con i provvedimenti dell'amministrazione napoleonica e poi, durante la restaurazione ed il primo periodo dell'epoca liberale.

Relativamente al Pio Albergo Trivulzio dunque, gli esecutori testamentari avrebbero dovuto iniziare la loro opera partendo dalla struttura, ossia adattare il palazzo patrizio dei Trivulzio, in contrada della Signora a Milano, a casa di ricovero ed assistenza per i poveri e gli infermi, trasformando le stanze di quella che era un'abitazione privata in saloni d'accoglienza per i degenti, ricavando anche gli opportuni locali per lo studio medico, l'infermeria, il refettorio, la lavanderia, gli uffici amministrativi eccetera (5).

Come si è già visto nel capitolo precedente, il compito di ristrutturare il Palazzo nobiliare per adattarlo a Casa di ricovero, venne dagli esecutori testamentari affidato al Padre Ermenegildo Pini, il quale presentò un progetto molto complesso e oneroso che prevedeva, tra l'altro, l'abbattimento di intere parti della residenza patrizia e la costruzione ex-novo di padiglioni capaci di ospitare la nuova struttura assistenziale; un progetto che però, proprio per il suo costo esorbitante, non incontrò il favore degli esecutori testamentari che, invece, scelsero una soluzione più 'economica', in grado di conciliare l'esigenze di soccorso con quelle di bilancio, che prevedeva delle modifiche meno radicali, dei lavori di semplice adattamento che, oltre tutto, avrebbero potuto essere portate a termine in tempi più rapidi. Così, i lavori di ristrutturazione, poterono essere completati in pochi mesi e la nuova istituzione, nata dall'eredità Trivulzio, poteva essere inaugurata, nel gennaio del 1771, con l'accoglimento dei primi cento ospiti, tanto di sesso maschile che femminile.

Agli amministratori del luogo pio, spettava anche l'incombenza di redigere gli elenchi dei primi poveri ricoverati e di classificarli in base a dei parametri quali l'età, il tipo di patologia, il lavoro precedentemente svolto, per arrivare ad operare una sorta di distinzione tra poveri 'sani', che potevano quindi svolgere una qualche mansione e poveri 'malati', non più in grado di essere inseriti nel circuito sociale, sempre tenendo conto delle precise parole del testamento che impedivano il ricovero nella nuova Casa ai "poveri validi e robusti", nei confronti dei quali, l'amministrazione governativa aveva già predisposto un piano di recupero sociale all'interno delle nuove strutture professionali, come sembrano anche dimostrare le riforme nel campo della pubblica istruzione, della giustizia correzionale e della 'polizia' penitenziaria, dove il governo si era impegnato in un programma riformatore che si proponeva di combattere la piaga del vagabondaggio ozioso anche con l'avviamento al lavoro.

Qualche tempo dopo, sul finire dello stesso 1771, i poveri ricoverati al Pio Albergo divennero 150 e, quindi, l'esigenza di una loro più completa classificazione divenne più urgente, anche al fine di studiare soluzioni migliori ed avvicinarsi ai fenomeni del pauperismo e dell'infermità fisica e mentale in modo più scientifico, come anche sembravano esigere i principi della cultura illuministica del tempo, tutti incentrati sulla ricerca e sulla sperimentazione di fenomeni come la pazzia, il contagio, la vecchiaia.

Da questa esigenza, venne prodotta un'ampia documentazione sulla 'popolazione' ricoverata che gli esecutori testamentari del Trivulzio, nel momento di lasciare l'incarico, trasmisero al Capitolo dei deputati, consistente in una dettagliata relazione dell'attività svolta, in una certo numero di tabelle statistiche sui ricoveri e sulla gestione finanziaria della nuova realtà assistenziale e che completava una prima esperienza positiva di avviamento dell'attività assistenziale. Sostiene a tale proposito il Cosmacini: "La chiusura dei bilanci in attivo fu dovuta senza dubbio, nei primi anni, all'intervento diretto dei sovrani, che concessero deroghe alle leggi che congelavano i patrimoni terrieri dei luoghi pii, decretarono annessioni giuridiche e patrimoniali di altri enti e, con diversi interventi, attribuirono una notevole liquidità al Pio Albergo. Già a partire dal 1770, ad esempio, Maria Teresa aveva assegnato un'annua entrata di 5.000 lire sul ricavato delle elemosine della soppressa Certosa di Pavia" (6).

Dunque come per altre attività di tipo sociale, il governo di Vienna, utilizzava i fondi ricavati dalla soppressione degli enti religiosi e dalla conseguente vendita dei beni mobili ed immobili, per finanziare l'assistenza pubblica, così come la scuola e tutte le varie forme di intervento nei confronti della società civile.

L'edificio nobiliare destinato a diventare albergo dei poveri, in una zona centrale di Milano, secondo il contributo della Scotti Tosini, era "un edificio dotato di una corte monumentale, con ingresso da via della Signora, e con una seconda corte rustica, adiacente sul lato nord, attorno alla quale stava anche la scuderia; infine un terzo nucleo, non meno rilevante, guardava a oriente su un piccolo giardino dei fiori rivolto al Naviglio, anche grazie a un piccolo poggiolo; infine un giardino affiancava il palazzo sul lato meridionale. Nonostante la compattezza della struttura, ciascuno di questi nuclei presentava di certo significative caratteristiche del momento in cui era stato costruito" (7).

Dunque una tipica costruzione patrizia di origine rinascimentale il cui adattamento a struttura assistenziale ed ospedaliera avrebbe comunque comportato un rilevante impegno finanziario, affrontato dal governo di Maria Teresa anche attraverso l'incameramento dei beni e delle proprietà ecclesiastiche di cui si faceva precedentemente cenno, fino a quando, a metà degli anni ottanta, Giuseppe II, riformerà radicalmente tutta la materia, sciogliendo i Capitoli dei deputati, composti da ecclesiastici e nobili ed affidando tutta la responsabilità politico-amministrativa alla Giunta delle Pie Fondazioni, nominata e controllata dalla Corte. Una riforma quest'ultima, fin troppo radicale al punto che, per ricucire il rapporto con la società civile lombarda, dopo la morte di Giuseppe II, nel 1790, il nuovo sovrano Leopoldo II, ripristinerà il Capitolo dei deputati, varando, nello stesso tempo un nuovo regolamento per la gestione dei luoghi pii (8).

In ogni caso, in qualunque momento del riformismo asburgico in Lombardia, anche relativamente all'intervento in campo assistenziale, la preoccupazione principale del governo sarà l'impegno finanziario, da coordinarsi con tutti gli altri provvedimenti generali destinati ad una corretta amministrazione dello Stato, ad un controllo della spesa pubblica, ad una politica di bilancio conforme ai principi razionali, formatisi nella cultura cameralistica austriaca e che avevano trovato un fertile terreno nella cultura degli intellettuali milanesi del Settecento, come Verri e Beccaria.

Come già per la riforma degli studi, la presentazione di corretti bilanci al governo costituiva la più importante incombenza per tutti coloro che avevano responsabilità amministrative all'interno dell'ente, soprattutto dopo l'avvento al trono di Giuseppe II che destinava una cura particolare ai provvedimenti finanziari; così, nella ricognizione archivistica, emergono numerosi documenti di richiamo governativo ai funzionari responsabili della politica di bilancio delle pie Cause, che sempre pongono in rilievo l'esigenza che nulla possa sfuggire, in tale materia, al controllo superiore.

Il nuovo Ministro Plenipotenziario Conte di Wilzeck, ad esempio, in un suo ordine del 25 maggio del 1784, faceva presente che: "Dovendo, secondo i Superiori Ordini, e le Istruzioni abbassate per il buon regolamento di tutte le Opere pie in generale essere già compilato il Bilancio per l'anno 1783, si prevengono i rispettivi Capitoli, Deputati, Amministratori delle medesime, di rimetterlo nel prossimo mese di Luglio, qualora non lo avessero già presentato, all'Ufficio del Regio Economato per il solito regolare esame"(9); in previsione poi di sostanziali cambiamenti che avrebbero portato alla soppressione dei Capitoli delle pie fondazioni, il Wilzeck continuava: "Siccome poi in conseguenza delle Sovrane Determinazioni dovranno stabilirsi alcuni nuovi Regolamenti per la migliore Sistemazione delle Pie Istituzioni; Così si ordina ai Capitoli, Deputati, Amministratori di nulla innovare per ora in pendenza degli annunziati nuovi Regolamenti, tanto nel provvedere Impieghi, che si rendessero vacanti, quanto nel fare Contratti di Alienazione, Transazioni ecc.; ma di riferire le occorrenze al Governo, che nelle particolari circostanze di mano in mano, ed in vista del bisogno, dichiarerà interinalmente a loro regola le Superiori intenzioni"(10).

Un esplicito richiamo quindi a non compiere alcun passo nell'amministrazione dei luoghi pii, prima di averlo concordato con il governo centrale e, dunque, con la Corte di Vienna. Non sembra infine casuale il fatto che tale ordinanza del Ministro Wilzeck, sia stata anche sottoscritta da due 'funzionari' come il Pecci ed il Bovara, che prima di occuparsi delle Case pie, avevano fatto parte della Giunta degli Studi, con Maria Teresa, a testimonianza della continuità dell'azione riformatrice del governo austriaco in campo sociale (11).

Sempre nel 1784 poi, la Giunta delle pie Fondazioni, specificava anche le modalità tecniche relative alla presentazione dei bilanci, predisponendo dei moduli stampati apposta per la redazione dei documenti economici, comprensivi di stato passivo ed attivo, di schede per le singole voci, di elenchi per materia che avrebbero dovuto consentire una generale uniformità alla gestione della contabilità dello Stato; dice infatti la fonte: "Per togliere ogni equivoco, e dissonanza, che potesse nascere nell'esecuzione del Decreto Governativo de' 15 dello scorso Luglio abbassato alle rispettive Amministrazioni delle Pie cause cadenti sotto l'ispezione della Reale Giunta, in quella parte che riguarda i Bilanci coll'indicazione dello Stato Attivo, e Passivo, e per sempre più facilitarne l'esecuzione, si è creduto di far disporre una Modula tanto del Prospetto, che degli Allegati, che si rimettono qui uniti, acciò possano servire di norma, e di direzione; avvertendo che questa operazione dovrà essere ultimata, e trasmessa alla Giunta delle Pie Fondazioni entro il venturo mese di Settembre. Nel supposto che qualche caso, o circostanza particolare esigessero delle spiegazioni, od avvertenze, dovranno queste rimandarsi nella Relazione, colla quale verrà accompagnato il detto Prospetto, o se ne formerà un Allegato separato"(12).

Alla lettera, seguivano poi i relativi moduli che mostravano con precisione come il bilancio avrebbe dovuto essere compilato secondo le regole di chiarezza e precisione che diventeranno comuni ad ogni tipo di moderna gestione della contabilità.

Oltre ad una rigorosissima politica di bilancio, nelle materie assistenziali, il governo pretendeva che ogni ritardo nei pagamenti dovuti, dovesse comportare una penale a favore dello Stato nell'ordine del cinque per cento, allo scopo di premere su tutti coloro che a qualche titolo fossero coinvolti nell'amministrazione delle opere pie ed obbligarli al rispetto delle relative reciproche responsabilità; ancora la Giunta, nel febbraio del 1785, stabiliva: "Ad oggetto d'obbligare li rispettivi Affittuari a pagare ne' convenuti termini il loro debito, ed in caso di ritardo resti indennizzata la Causa Pia, Sua Altezza Reale ha determinato per massima generale, che in tutti i Capitoli de' Contratti d'affitto per le Case, e Fondi di ragione de' Luoghi Pii della Lombardia Austriaca da deliberarsi immancabilmente all'asta vi si debba inserire il seguente Patto. Che ritardandosi dall'Affittuario il pagamento del Fitto per un mese dopo la scadenza delle rate, dovrà pagare il cinque per cento in regola d'anno per quella somma, e tempo, in cui sarà stato moroso, senza che perciò faccia di bisogno d'alcuna interpellazione né giudiziale, né stragiudiziale. La Regia Giunta delle Pie Fondazioni rende intesi gli Amministratori tanto stabili che interinale di tutti i Luoghi Pii della Lombardia Austriaca, affinché da questo giorno in avanti letteralmente inseriscano ne' Capitoli d'affitto il Patto sopra espresso, prevenendoli, che non verrà approvato alcun Contratto, che non porte seco il menzionato obbligo"(13).

I documenti presi in considerazione dunque, sembrano ancora una volta dimostrare il preciso impegno del governo, attraverso l'opera della Giunta delle Pie Fondazioni, di vigilare su tutta l'attività dei nuovi enti assistenziali, soprattutto per quello che concerneva gli aspetti legati all'amministrazione finanziaria.

3.2 - Il regolamento interno del Pio Luogo.

Definiti gli aspetti più importanti connessi alla gestione economica del nuovo Albergo dei poveri, in sintonia con i criteri di gestione dell'intera politica di intervento statale, vennero emanati una serie di provvedimenti relativi al funzionamento interno che riguardavano tanto il comportamento del personale preposto, quanto quello dei degenti ricoverati.

Come già si è anticipato, il testamento del Principe Trivulzio aveva dotato la nuova Casa di personale laico ed ecclesiastico per adempiere tanto alle funzioni di ordinaria amministrazione materiale, quanto a quelle più spiccatamente spirituali, dai due sacerdoti all'archivista, dal ragioniere al cassiere, tutti incaricati di svolgere un compito specifico da coordinarsi con i provvedimenti emanati dalla Giunta in ottemperanza agli ordini governativi.

Per quanto riguardava le regole relative al comportamento dei poveri ricoverati, la prima era quella della assoluta separazione tra uomini e donne, relativamente all'uso delle strutture e degli spazi per evidenti ragioni di ordine generale; la regola, in tal senso, era molto precisa: "Li poveri ricoverati nel Pio Albergo Trivulzio non potranno sotto qualunque pretesto trasferirsi tanto li uomini nel quartiere delle donne, quanto le donne in quello degli uomini, e se occorrerà, che qualche povero, o povera debbano conferire tra di loro, sarà ciò accordato nel solo rispettivo lavorerio col permesso del Deputato di settimana qualora si trovi nel pio albergo, o del Mastro della pia casa"(14).

Solo quindi all'interno del luogo di lavoro istituito presso la Casa e con l'autorizzazione del personale responsabile sarebbero, d'ora in avanti, stati possibili contatti tra donne e uomini, in ossequio a nuove norme di tipo sanitario che il governo aveva direttamente ereditato dall'esempio di quanto già era avvenuto nella realtà assistenziale viennese dove la nuova riforma ospedaliera aveva posto le basi per un riassetto definitivo dell'intero sistema, grazie anche alle conquiste del progresso scientifico, particolarmente favorite dal pensiero illuminista(15).

L'aspetto veramente innovativo della politica assistenziale all'interno delle case di ricovero era l'impegno della nuova amministrazione verso l'occupazione dei degenti, verso un loro impiego in qualche lavoro, anche minimo, qualora, ovviamente fossero stati in grado di farlo; si trattava di un impegno che, fin dalle prime riforme di Maria Teresa, il governo si era assunto in Lombardia, conseguenza dell'idea illuministica che tutti gli uomini, in quanto uguali e dotati di ragione, dovessero essere messi in condizione dallo Stato di contribuire, anche attraverso il lavoro, al progresso della Nazione ed all'emancipazione sociale. Così si era già verificato nel corso della riforma degli studi e delle istituzioni pedagogiche in genere, degli orfanotrofi, delle case di correzione, dove il problema non era più solo quello di reprimere, ma anche quello di cercare un minimo di inserimento sociale, anche attraverso l'avviamento professionale; un rimedio contro la povertà 'oziosa', fonte di gran parte dei mali della società milanese come

di quella europea del tempo.

Per quanto riguardava gli orfani, ad esempio, il Visitatore Don Gaetano Vismara, in una sua lettera del 27 marzo del 1770, dando seguito alle volontà imposte da Maria Teresa in materia di cura dei fanciulli abbandonati, scriveva: "mi sono abboccato col Marchese Antonio Molinari Regio Direttore di queste Fabbriche per conciliare il modo più vantaggioso d'impiegare ed ammaestrare gli Orfani. Di comune consenso fu stabilito essere per ora meglio il permettere che gli orfani suddetti vadano fuori di casa alle rispettive botteghe per apprendere quelle arti, o mestieri alle quali inclinino. Due ragioni fortissime concorrono per prova di questo assunto: La prima si è, che se si volesse mettere nella casa dell'orfanatrofio qualche Fabbrica, di tela, lana, o cose simili per conto del Luogo Pio o di qualche Mercante, come intendo praticarsi nella casa di Correzione..Si è per altro fissato, che nella casa dell'orfanatrofio vi sia stabilmente un maestro di Disegno, studio assolutamente necessario per riuscire con felicità nella maggior parte dei mestieri, ne' quali possano gli orfani occuparsi"(16).

Una proposta alla quale risponde positivamente il Ministro Plenipotenziario Principe di Kaunitz due mesi dopo, disponendo subito l'istituzione "di questo nuovo orfanatrofio, il quale dichiariamo laicale, ed immediatamente sottoposto alla Regia Protezione per far apprendere a detti orfani qualche arte secondo le rispettive inclinazioni, abilità, e forze di ciascuno concedendo Noi fin d'ora ai medesimi il Privilegio di poter esercitare le Arti nella Città e nella Campagna e di dover essere matricolati senza pagamento, qualora ne saranno stati giudicati idonei" (17).

Come è stato sostenuto, "dietro tali provvedimenti sembra così manifestarsi l'intento tipicamente illuministico di realizzare l'utile sociale unitamente al vantaggio economico, facendo degli orfani e degli ospiti delle case correzionali operai ed artigiani"(18).

Allo stesso modo, anche nel caso del Pio Albergo Trivulzio, si voleva che quest'ultimo non rappresentasse esclusivamente un luogo di 'deposito' per poveri vecchi senza alcuna speranza, ma che anche costituisse una struttura dove i degenti potessero comunque essere 'occupati' e sentirsi in qualche modo utili ed attivi, seguendo un preciso programma terapeutico, oltre ad un rigoroso regolamento disciplinare. Infatti, era stabilito che tutti i degenti 'sani' si dovessero occupare di qualche lavoro che la direzione dell'istituto avrebbe dovuto trovare compatibilmente con le capacità e la salute di ognuno, come "il far stringhe, bindello, incannar filo ed ogni altro lavoro semplice e facile ad eseguirsi sarà il trattenimento per gli uomini quando non abbiano altro mestiere compatibile colle loro forze. La filatura di lino, il far calze, merletti e simili manifatture formeranno l'utile occupazione delle donne. Quelli poi, che non saranno idonei o per la loro assoluta impotenza, o per la loro ignoranza per alcun mestiere dovranno abilitarsi a concorrere a qualche opera, o servigio interessante il bene del Pio Luogo, sempre compatibilmente colle loro forze acciò non abbiano a rimaner oziosi"(19).

Dunque, come già negli altri casi di 'controllo' sociale, anche presso il Pio Albergo, la regola era quella di impegnare le persone assistite attraverso una qualunque occupazione, anche minimale, come parte fondamentale della cura e come nuovo modo di considerare l'aiuto ai più deboli, ponendo così le premesse di ciò che poi, nel secolo seguente, comincerà a diventare un diritto generalmente riconosciuto, quello alla salute ed all'assistenza pubblica.

Nella sistemazione degli spazi dell'ex palazzo patrizio dei Trivulzio, ci si occupava infatti di trovare una sistemazione per il 'lavorerio', il luogo dove gli ospiti che erano in grado di farlo, avrebbero potuto esercitare le proprie capacità e, compatibilmente con le loro forze, rendersi utili, impiegando il tempo in modo non solamente passivo, producendo, ad esempio, dei piccoli oggetti da poter utilizzare all'interno dell'istituto, oppure, nel caso delle donne, dei lavori di ricamo che avrebbero potuto anche essere portati all'esterno.

Nella relazione degli esecutori, seguita al testamento, si affermava che i poveri avrebbero dovuto lavorare "secondo la propria idoneità e forza" a vantaggio del Pio Albergo, anche se tale vantaggio era spesso insignificante; ma la cosa importante era, nella nuova strategia di cura, tenere gli ospiti occupati per procurare all'istituto "quanto bisognevole" in campi di applicazione quali "le manifatture di sartoria" e la confezione di tele, ricami, calze, scarpe e piccoli oggetti in genere (20).

In conseguenza di tale attività produttiva, agli ospiti della pia istituzione poi veniva accordato un terzo del guadagno ottenuto dalla produzione di ogni genere di manufatto, anche se il regolamento vietava espressamente il lavoro dietro commissione esterna.

Nella visione pragmatica ed utilitaristica, tipica dell'amministrazione asburgica del secondo Settecento, che tendeva a conciliare la 'filantropia' con la 'polizia', l'aiuto verso i poveri con il controllo sociale, il lavoro all'interno delle strutture di ricovero rappresentava, nello stesso tempo, un modo per tenere positivamente occupati i degenti ed anche un modo per contribuire al rilancio dell'industria manifatturiera lombarda, attraverso l'impiego di una manodopera molto particolare che, in qualche modo, ripagava i costi pubblici del mantenimento presso gli istituti assistenziali.

Prova ne è che, durante tutto il periodo del riformismo, soprattutto nell'epoca di Giuseppe II (1780-1790), si moltiplicarono le istituzioni di questo tipo che si proponevano, anche attraverso il lavoro, il controllo e la cura della mendicità oziosa e pericolosa e, contestualmente, un incremento della produzione artigianale; nascono così gli orfanatrofi, come quello di S. Pietro in Gessate di cui si è precedentemente fatto cenno che, considerando gli orfani 'figli diretti dello Stato', si impegnava al loro avviamento professionale; come le varie Pie Case d'Industria, fondazioni come quella di San Vincenzo istituita da Giuseppe II nel dicembre del 1784 al fine di creare uno "stabilimento mercantile" per aiutare i poveri nell'attività lavorativa (21), uomini e donne assistiti da "maestri tessitori", da un calzolaio e da "maestre per cucire e far calze".

Per quanto riguardava la Pia Casa di Lavoro in San Vincenzo, fin dalla sua nascita, essa fu in grado di produrre manufatti in numero considerevole e con una certa continuità al punto che: "un'attenta programmazione regolava poi lo smercio di gran parte delle 'mercanzie' prodotte, stabilendo che la Casa di Lavoro dovesse innanzi tutto rifornire gli ospedali e gli orfanatrofi milanesi della biancheria di dotazione ordinaria, comprendente lenzuola, tovaglie e divise per i ricoverati. Veniva in tal modo applicato un sistema di produzione e distribuzione in circuito chiuso dei manufatti confezionati, che trovavano uno sbocco garantito nelle commesse governative. Il resto veniva venduto nei mercati della città"(22).

Istituzioni di questo tipo andarono così incrementandosi tra sette e ottocento, come la Pia Casa di Santa Caterina alla Ruota che si occupava dell'infanzia abbandonata ed 'esposta', l'orfanatrofio femminile della Stella, voluto da Maria Teresa, la Pia Casa degli Incurabili di Abbiategrasso, sorta per volontà di Giuseppe II con lo scopo di accogliere i vecchi poveri e non autosufficienti, affetti da 'impotenza assoluta' e comunque non in grado di vivere al di fuori di una struttura di ricovero. E poi ancora l'orfanatrofio dei Martinitt voluto da Maria Teresa che, nel suo dispaccio del 5 settembre 1768, faceva presente la sua volontà di erigere "una Casa o sia ospizio per il mantenimento e buona educazione di Fanciulli orfanelli, ed abbandonati da loro Parenti" (23) e la Senavra, nata come ricovero per malati di mente e voluta dalla stessa Imperatrice con un provvedimento del 1775. Infine le già ricordate scuole-officina, le Case della Fabbrica, vere nuove istituzioni di tipo professionale ad indirizzo tecnico - commerciale, ormai inserite nel tessuto industriale della società milanese, come le scuole tessili, auroseriche, di disegno applicato, di meccanica, di insegnamento delle lingue.

Quindi la struttura organizzativa del Pio Albergo Trivulzio, nonché le sue finalità, non costituivano sicuramente un caso isolato nel panorama di rinnovamento delle istituzioni sociali della Lombardia settecentesca, ma si inseriva in un più ampio programma di riforma dello Stato in senso amministrativo che si proponeva l'accentramento del potere nelle mani della Corte e il ridimensionamento delle attribuzioni e delle prerogative del clero e della nobiltà su queste materie.

Tornando poi al caso del Pio Albergo, molto precisi erano gli obblighi relativi ad ogni singolo paziente ricoverato, affissi sopra i muri delle camerate ricavate dalle ex stanze del palazzo patrizio, come 'obblighi da osservarsi da ciascun povero dimorante nel Pio Albergo Trivulzio', che scandivano i ritmi delle giornate ed avevano per oggetto la disciplina, il lavoro, l'igiene, l'alimentazione, gli orari, le eventuali sanzioni previste per i trasgressori. Un regolamento che voleva disciplinare la vita all'interno della casa di ricovero, ispirato a quei criteri di efficienza, scientificità e convenienza di cui si è precedentemente detto e che, prima di tutto, precisava quale fosse la dotazione personale di ogni singolo povero degente: "avrà ciascun povero il suo letto consistente in due cavalletti, un pagliericcio, materasso, capezzale, e cuscino, coperte di lana, ed una copertina di colore durevole per potersi lavare essendo lorda, oltre la bisognevole biancheria da cambiarsi ne' tempi prescritti. Avrà pure ciascun povero una piccola cassapanca per riporvi le cose bisognevoli perché non vi sia alcuna cosa sparsa sopra i letti, né sopra l'anzidetta cassapanca, o altrove"(24). I letti dovevano essere sistemati ogni mattina dagli stessi ricoverati, salvo i casi nei quali questi ultimi non fossero in grado di provvedere autonomamente per motivi di salute e la giornata 'tipo' era caratterizzata da degli orari prestabiliti che iniziavano con la sveglia all'Ave Maria e proseguivano con la pulizia personale, la partecipazione alla messa e l'inizio dell'attività lavorativa, ovviamente solo per quelle persone che fossero in grado di farlo. Un giorno alla settimana era consentito uscire dall'Istituto, ma con dei vincoli molto precisi legati al rientro per pranzo e cena, al divieto di frequentare luoghi come le osterie o portare all'esterno 'cose' di proprietà dell'ente assistenziale, magari semplicemente del pane da rivendere fuori in cambio di danaro o di qualche altro favore.

Così, dopo aver richiamato nel primo articolo del Regolamento il divieto di promiscuità e la netta separazione del settore maschile da quello femminile, con l'articolo secondo, iniziava la programmazione della giornata di ogni povero 'sano', stabilendosi come: "Alla mattina dovrà ciascun dimorante ne' Dormitori alzarsi dal letto al segno della levata, indi farsi il suo letto, pettinarsi, lavarsi, pulire le scarpe, ed abiti, ed al terzo segno della S. Messa portarsi unitamente agli altri all'Oratorio per ascoltarla, collocandosi ne' rispettivi luoghi assegnati, con buon ordine, e con quiete"(25). Una volta terminata la Messa e fatta la colazione, ognuno doveva avere qualcosa da fare, senza sostare oziosamente nei dormitori generando disordine o 'vagare per la Pia Casa', ma mettendosi subito a disposizione dei Sovrintendenti della Casa che avrebbero assegnato a ciascuno le relative incombenze ed autorizzato eventualmente i ricoverati ad uscire fino allo scoccare del mezzogiorno, quando tutti avrebbero dovuto riunirsi per il pranzo nei posti rigorosamente assegnati, dopo aver recitato il De profundis in suffragio dei benefattori. Tutti allora dovevano mangiare in silenzio ed in modo composto e, relativamente al cibo offerto dal refettorio, era stabilito che "a ciascun povero sarà distribuita a pranzo una discreta porzione di minestra mischiata frequentemente con verdura, o legumi, il pane bisognevole, once quattordici di vino, ne' giorni di grasso due once di carne cotta, qualche volta secondo le stagioni mischiata con verzure, od altra cosa, e ne' giorni di magro verdura, ova e simili; a cena poi avranno minestra di verdura, o pasta, o panatella, alternando con insalata due, o tre volte la settimana, od altra cosa, che venga stimata più a proposito per la loro salubrità, ed once sette di vino, oltre poi once sei in fette di pane per la colazione, ed altre once quattro al dopopranzo per la merenda" (26). Quindi, si può sottolineare come l'amministrazione austriaca chiamata a vigilare sul trattamento dei poveri nelle Case istituite con le riforme, si preoccupasse di razionalizzare il più possibile il funzionamento delle stesse, cercando di aiutare, ma senza sprechi, di assistere, ma senza compromettere il bilancio dello Stato e quindi di prevedere attraverso le norme, anche i minimi particolari affinché tutto si potesse svolgere nel più perfetto ordine quasi si trattasse di una struttura di tipo militare; occorreva infatti osservare il silenzio, stare al proprio posto, eliminare i poveri abiti personali, per indossare una divisa che andava portata sempre, anche quando ci si recava all'esterno dell'istituto e, soprattutto, obbedire tempestivamente ai richiami delle persone preposte alla vigilanza e alla cura. Consumato il pranzo, gli 'ospiti' avevano a disposizione qualche ora di riposo o di ricreazione, prima di riprendere l'ordinaria occupazione all'interno del 'lavorerio'; alla sera, la cena, la recita del Rosario e, subito dopo, "dovranno tutti ritirarsi nel proprio Dormitorio, e dentro breve spazio ricoverarsi a letto, conservando un rigoroso silenzio per non disturbare la quiete degli altri". Vi erano poi le disposizioni relative agli obblighi di natura religiosa, come la partecipazione alla Messa domenicale, alla dottrina, alla recita del Rosario, dei Salmi e delle Litanie e come l'obbligo della partecipazione ai funerali di qualche ricoverato o l'obbligo della preghiera e della Comunione.

Infine, vi erano nel Regolamento anche disposizioni riguardanti le sanzioni comminate dai responsabili dell'amministrazione dell'Albergo, contro coloro che non si fossero spontaneamente adeguati al rispetto delle regole: provvedimenti punitivi che andavano dalla semplice ammonizione, fino all'espulsione dall'istituto; recitava infatti l'articolo 31: "Chi trasgredirà anche in parte quanto sopra prescritto, o turbasse l'interna quiete del Pio Albergo, verrà per la prima volta corretto con le ammonizioni, ed essendo recidivo con castighi, secondo le circostanze, ma quando poi fosse contumace nelle trasgressioni, e disubbidiente, o commettesse qualche grave delitto si passerà irremissibilmente alla di lui espulsione dal Pio Albergo, in cui non sarà mai che possa essere riammesso, come si è sempre praticato dal principio della fondazione dello stesso Pio Albergo in avanti."(27).

3.3 - L'organizzazione del personale.

Come si è visto dunque dalle norme del Regolamento affisso nelle camerate dell'ospizio, la vita all'interno dell'Albergo dei poveri si doveva svolgere in modo ordinato nel pieno rispetto di regole molto precise e vincolanti, imposte dal governo e fatte osservare dalla Giunta delle Pie Fondazioni e dagli organi direttamente investiti della gestione del problema assistenziale. Regole che riguardavano anche il comportamento dei degenti quando erano autorizzati ad uscire dalla Casa, una volta la settimana, e che comportavano sempre una sanzione, come quella per cui "la prima volta, che qualche Povero, o Povera risulterà colpevole, non potrà per un mese sortire da Casa"; ed ancora, "se risulterà recidivo, oltre la proibizione suddetta di sortire da Casa per un mese, gli verrà per detto tempo levata ancora la razione del vino"(28).

A vigilare sul rispetto di tali norme, provvedeva un apparato burocratico responsabile, in gran parte già previsto nel testamento originario del Principe Trivulzio e che andrà aumentando nel tempo con l'evoluzione delle problematiche sociali e le nuove necessità di controllo e profilassi medica. Da questo punto di vista, l'Albergo dei Poveri era governato da una sorta di Consiglio di Amministrazione, il già menzionato Capitolo dei Deputati, che decideva sulla politica generale dell'ente, sull'assunzione in carico di nuovi bisognosi, sulle modificazioni dell'organico con la relativa specificazione delle competenze, sull'impegno finanziario, sempre in stretto collegamento con il governo centrale attraverso le competenze molto ampie del Ministro Plenipotenziario. Vi erano poi le figure esplicitamente religiose come il Rettore, il Vice-Rettore che venivano scelti dal Preposto Generale degli Oblati e che, vivendo all'interno dello stesso Albergo, provvedevano a tutte le necessità spirituali, dalla celebrazione della messa, alla recita del Rosario alla generica assistenza spirituale.

Per quanto riguardava invece l'amministrazione vera e propria dell'istituto, il personale era diviso in personale burocratico e personale sanitario; alla prima categoria apparteneva il Procuratore Generale che aveva la responsabilità della esatta conservazione di tutti gli atti relativi al funzionamento della pia Casa e svolgeva un compito di tipo notarile, determinando la validità formale della documentazione e che era aiutato, nel suo lavoro, da un Vicecancelliere Archivista che si occupava della catalogazione materiale degli atti.

I problemi di tipo economico-finanziario, erano, come già visto, di competenza di un Ragioniere, responsabile per l'intera attività di bilancio che, come visto nei documenti, doveva essere espresso tanto in termini di competenza quanto in termini di cassa, e di un Cassiere che doveva sovrintendere alla liquidità del nuovo ente assistenziale. A questo personale direttivo, si doveva poi aggiungere un personale al quale erano affidate mansioni meramente esecutive e che era inquadrato in un ruolo organico di tipo burocratico, come il Maggiordomo per l'amministrazione generale della Casa, il Guardarobiere che controllava la disponibilità di tutte le dotazioni personali dei poveri, il Dispensiere impegnato nella vigilanza sulle scorte alimentari; vi erano poi, il Soprastante al Lavorerio che aveva il compito di dirigere l'attività dei ricoverati coordinando il lavoro all'interno del luogo predisposto dal regolamento e controllando anche l'eventuale 'esportazione' dei manufatti fuori dall'istituto, la Priora che vigilava sul rispetto del regolamento interno, il Refettoriere, il Portiere, il Portinaio, il Cuciniere, il Prestinaio ed il Facchino di Cantina, tutte cariche che venivano assunte dai responsabili del Pio Albergo, attraverso regolari bandi di concorso, dopo l'accettazione delle domande da parte del Consiglio di Amministrazione.

Compito specifico del personale amministrativo era poi quello di controllare il vestiario degli ospiti dell'Albergo che doveva seguire delle regole di ordine e di decoro, in parte già espresse dallo stesso Principe Trivulzio nel testamento nel quale si diceva: "Dichiaro che mi riservo di formare le regole riguardanti il vitto, vestito, fattibili lavoreri ed opere pie, nelle quali dovranno esercitarsi giornalmente li detti poveri, dell'uno e dell'altro sesso" (29); regole che riguardavano anche il lavaggio ed il ricambio dei capi di abbigliamento, necessarie a garantire comunque 'decoro e decenza che si conviene ai poveri'.

Una cura che il personale doveva avere provvedendo anche, quando fosse necessario, ad appaltare i lavori di pulizia all'esterno attraverso gare e bandi al fine di contenere i costi e raggiungere lo scopo di 'conservare' i poveri degenti in condizioni dignitose; nel dicembre del 1786, in pieno periodo giuseppino ad esempio, l'amministrazione del Pio Albergo aveva pubblicato un bando di gara nel quale si diceva: "Si vuole Appaltare per anni tre la Lavatura della Biancheria inserviente nel Pio Albergo Trivulzio; Perciò s'avvisa chiunque aspiri al suddetto Appalto di comparire nel detto Pio Albergo Trivulzio il giorno di Lunedì 15 del prossimo Gennaio alle ore dieci, dove in vista de Capitoli si delibererà all'Asta a che avrà fatto migliore oblazione."(30). Più in generale, il personale era responsabile di tutto ciò che riguardava i ricoverati, a cominciare proprio dalla pulizia personale e del proprio posto letto fino al comportamento, al lavoro e alla disciplina ed anche al trasporto in infermeria qualora ciò fosse richiesto dall'aggravamento delle condizioni di salute del paziente; l'ordine, l'assistenza, il decoro, la disciplina e la cura, come rimedi al vagabondaggio, alla povertà oziosa, alla mendicità ad ogni tipo di manifestazione che potesse, in qualche modo, disturbare la tranquillità sociale e consentisse al governo il pieno controllo della società civile, soprattutto nelle sue componenti più a rischio.

NOTE AL TERZO CAPITOLO

ASM T.N.A. cartella 30, dispaccio del 15 luglio del 1784.

ASM Idem

Sull'amministrazione di Milano, anche dal punto di vista finanziario, vedi L. SEBASTIANI La tassazione degli enti ecclesiastici nella Lombardia teresiana Milano 1969 e S. ZANINELLI (a cura di) La proprietà fondiaria in Lombardia dal catasto teresiana all'età napoleonica Milano 1986.

ASM Idem

Vedi A. SCOTTI TOSINI Il Palazzo dei Trivulzio in via della Signora e il principe Antonio Tolomeo Trivulzio, in Dalla carità all'assistenza. Orfani, vecchi e poveri a Milano tra Sette e Ottocento, Atti del Convegno, Milano 1993 pp. 101 - 120.

Vedi G. COSMACINI C. CENEDELLA I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Bari 1994 pag. 108.

A. SCOTTI TOSINI cit. pag. 106.


Sul raffronto tra il programma riformatore dei due Sovrani, Giuseppe II e Leopoldo II, vedi C. MOZZARELLI Per la storia del pubblico impiego nello Stato moderno: il caso della Lombardia austriaca, Milano 1972.

ASM T.N.A. cartella 30, dispaccio di Wilzeck del 25 maggio del 1784.

ASM Idem

Sulla riforma degli studi vedi M. SCAZZOSO Istruzione professionale e società nella Lombardia austriaca, Milano 1994.

ASM T.N.A. cartella 29.

ASM T.N.A. cartella 25.

C. CENEDELLA cit. pag. 113

Sulle conquiste scientifiche dell'illuminismo a Vienna vedi P. CHAUNU La civiltà dell'Europa dei lumi, Bologna 1987; R.J.W. EVANS Felix Austria. L'ascesa della monarchia asburgica 1500-1700, Bologna 1981.

ASM Luoghi Pii p. a. parte generale cartella 320.

ASM Idem

M. SCAZZOSO cit. pag. 65

C. CENEDELLA cit. pag. 113.

Per il regolamento interno al Pio Albergo Trivulzio vedi Memorie che si rassegnano per l'Albergo dei poveri che va disponendosi secondo la mente del Principe Trivulzio, in Dalla carità.cit. pag.176.

Vedi R. MADOI Le Pie Case d'Industria, in La nascita del Pio Albergo Trivulzio. Orfani, vecchi e poveri a Milano tra Sette e Ottocento, Atti del Convegno Milano 1993, pp. 172 - 184.

R. MADOI cit. pag. 173.

Dalla carità all'assistenza. Cit. pag. 130.

C. CENEDELLA cit. pag. 114.

Il regolamento dell'Istituto, affisso nelle camerate dell'Albergo dei poveri, si trova in ASM T.N.A. cartella 32.

ASM Idem

ASM Idem

ASM Idem

Il testamento del Principe Trivulzio è in ASM T.N.A. cartella 50.

ASM T.N.A. cartella 23.

Capitolo 4


LA NUOVA STRUTTUARA ASSISTENZIALE TRA AMMINISTRAZIONE AUSTRIACA E FRANCESE


4.1 - Il Pio Albergo e la 'nuova' medicina.

Alla fine dell'amministrazione austriaca in Lombardia, dopo la morte dei Sovrani Giuseppe II e Leopoldo II (1), il sistema assistenziale, anche alla luce dei nuovi principi scientifici in campo medico e sanitario, sembrava consolidato con il diretto intervento del governo sull'intera materia. In nuovo Imperatore Ferdinando d'Austria, in un suo provvedimento dell'11 luglio del 1793, aveva ribadito la necessità per la Corte di "provvedere alla costante prosperità delle pie fondazioni dello Stato di Milano non ancora bastevolmente assicurata anche per la difficoltà di combinare fra loro le diverse disposizioni emanate sotto i Regni degli Augusti Nostri Predecessori"(2).

A testimonianza dunque dell'importanza attribuita dal governo alla materia assistenziale, il nuovo Sovrano, tra i suoi primi atti, voleva dare uniformità normativa alla delicata materia, stabilendo una volta per tutte, anche le corrette attribuzioni amministrative ai funzionari pubblici investiti del problema, con alcuni 'ordini' che avrebbero dovuto avere lo scopo di "far cessare qualunque collisione d'Autorità nell'Amministrazione de' succennati Spedali e di determinare con precisione le facoltà dei Corpi che presiedono alla direzione delle pie Fondazioni mediante lo stabilimento di alcune generali massime secondo le quali dovessero adattarsi li Piani disciplinari de' sunnominati Spedali"(3). Tali massime, che in realtà erano costituite da otto articoli, tra le altre novità, introducevano, al posto del Direttore sanitario, la figura del Deputato medico; a questa nuova figura, in virtù dell'articolo 3, "dovranno essere specialmente affidate tutte le incombenze relative alla Medicina, Chirurgia e Farmaceutica nonché tutte quelle altre che hanno rapporto all'immediato servizio degli Infermi".

La riforma non si limita al cambiamento di nome del nuovo funzionario responsabile della politica sanitaria ed assistenziale dello Stato, ma sottolinea, ancora una volta, la volontà di burocratizzarne la carica, rendendola una diretta emanazione governativa con minore autonomia dal potere centrale ed una maggiore valenza 'politica', proprio alla vigilia dell'occupazione militare napoleonica con la quale si verificherà un'ulteriore politicizzazione della sanità, con le riforme soprattutto dell'Università di Pavia dove verrà insegnata una 'medicina rivluzionaria' e verrà messo a punto il nuovo piano ospedaliero ed assistenziale. L'ordinanza dell'Imperatore Ferdinando d'Austria dunque sembra in qualche modo anticipare il programma di statalizzazione e burocratizzazione delle strutture ospedaliere, realizzato poi con l'amministrazione francese a Milano; il Deputato medico, avrebbe dovuto riferire al Capitolo, nel frattempo rinato dopo la soppressione voluta da Giuseppe II nel 1786, tutti gli affari relativi a tale problematica sociale ed ogni provvedimento preso dall'amministrazione dei pii luoghi non sarebbe stata più valida, senza il suo vincolante parere; infatti, in virtù dell'articolo sesto del nuovo regolamento, "tutte le Disposizioni in materia Medica, Chirurgica e Farmaceutica e tutto ciò che dalle Superiorità competenti si crederà doversi determinare a favore in genere degli Ospedali o per alcuno di essi in particolare dovranno essere diretti ai rispettivi Capitoli, Congregazioni o Reggenze"(4).

Nella logica dell'accentramento politico - amministrativo, la nomina del Deputato medico sarebbe stata di competenza della stessa Corte che, anche in questo modo, avrebbe potuto controllare i provvedimenti a favore della "indigente umanità", completando quell'opera di interventismo dello Stato sulla società civile di cui si è già parlato nei capitoli precedenti. Un'opera che, di fatto, ridimensionava pesantemente le attribuzioni del clero e della nobiltà in campo sociale, fino dalla Regia Prammatica di Maria Teresa del novembre del 1765, con la quale, fin dal primo articolo era stabilito come da quel momento "non sarà lecito fare senza il Nostro Reale Beneplacito alcun nuovo Stabilimento di Capitoli, Collegi, Case, o Comunità, anche sotto il pretesto di semplici Ospizi e Residenze, Congregazioni, Confraternite, o di qualsivoglia altro Corpo Ecclesiastico, o Laicale, dell'uno, e dell'altro sesso, né fabbricare Chiese, Oratori per uso pubblico, ancorché per tali Fabbriche, ed Erezioni si fosse ottenuto il consenso dalla Città, dal Comune, o da qualsivoglia altro Corpo"(5).

In continuità quindi con la linea politica scelta all'inizio del programma riformatore dal governo austriaco, si stava delineando, nel momento storico del passaggio dall'amministrazione asburgica a quella napoleonica su Milano, il nuovo modello della struttura medica ed assistenziale, imposto dal potere centrale, laico, orientato verso la sperimentazione e la ricerca scientifica, dove tutte le problematiche relative alla 'polizia medica' venivano affrontate andando anche alle cause sociali che le avevano determinate; un fenomeno quest'ultimo che diventerà fondamentale durante la dominazione napoleonica in Lombardia, quando la malattia verrà studiata dalla prospettiva delle cause sociali, come la miseria o l'ignoranza, che contribuivano a determinarla e le scoperte scientifiche, come il vaccino contro il vaiolo, verranno applicate dall'autorità statale come profilassi e rimedio contro le epidemie, essendo nel frattempo la tutela della salute diventata, non più solamente un fatto individuale, bensì anche un interesse dell'intera collettività, anche per i suoi riflessi sulla stabilità dell'intero impianto sociale.

In questo passaggio storico, come era già avvenuto, per esempio, nel caso della riforma della pubblica istruzione, si verifica la statalizzazione dell'assistenza sanitaria che vuole coinvolgere dunque i vecchi luoghi pii, le case di ricovero, gli ospedali in un programma di interventi governativi da coordinarsi attraverso funzionari pubblici, come nel caso del deputato medico.

Da questo punto di vista, era tutta la concezione della medicina e della cura che veniva a cambiare radicalmente, frutto anche del nuovo entusiasmo, tipicamente illuministico, verso le scoperte scientifiche (6) e della laicizzazione della cultura e dell'insegnamento che sembrava favorire la sperimentazione delle nuove tecniche anche in campo medico-assistenziale, come la diffusione del fenomeno delle vaccinazioni obbligatorie sembra voler testimoniare. A Milano, ad esempio, molto forte era stata l'influenza delle teorie e dell'insegnamento del medico Johann Peter Frank che venne chiamato da Vienna a ricoprire importanti incarichi politico-amministrativi in Lombardia e diede un grande contributo alla riforma degli studi medici dell'Università di Pavia (7) e al rinnovamento dell'intera politica sanitaria.

Grazie anche alle teorie del Frank e, durante il periodo napoleonico, del medico italiano Giovanni Rasori, sarà resa possibile una vera e propria rivoluzione in campo medico, dove la medicina non si sarebbe più dovuta limitare a curare semplicemente i malati, ma avrebbe dovuto 'illuminare' tutti i cittadini verso il progresso delle conoscenze scientifiche e, soprattutto verso l'applicazione di una nuova normativa nel campo dell'igiene personale e collettiva. Discipline quali la sociologia, la statistica, l'analisi economica, il diritto, vengono utilizzate tra la fine del periodo austriaco e l'inizio di quello francese, per caratterizzare la nuova filosofia in campo medico ed assistenziale; il diffondersi delle malattie, soprattutto quelle endemiche, delle grandi epidemie, doveva avere una causa sociale e così, la miseria, la malnutrizione, la mancanza di igiene e di salubrità dell'aria, l'ignoranza delle popolazioni, in particolare quelle contadine, diventavano i motivi scatenanti della grave situazione sanitaria nella quale Milano e gli altri Stati europei si erano trovati (8) e, dunque, la nuova cura non poteva prescindere da un'efficace opera di prevenzione e di sensibilizzazione della società, verso una nuova idea di salute che lo Stato, con il suo intervento sociale, si sarebbe dovuto impegnare ad imporre.

In quegli anni, il dibattito sulle nuove possibilità della ricerca medica e sui processi di inserimento degli indigenti in strutture adeguate, vedeva una connessione tra personale medico e personale amministrativo, che porterà in pochi anni a nuovi 'luoghi' non più di semplice accoglienza e ricovero, ma di prevenzione e studio delle malattie; il nuovo medico all'inizio del secolo XIX, doveva anche essere un amministratore capace che, oltre che della cura del paziente, si sarebbe dovuto anche occupare delle strategie organizzative degli ospedali, della progettazione dell'edilizia nosocomiale da realizzarsi con criteri che tenessero primariamente conto degli spazi, dell'igiene, della salubrità dell'aria, del recupero dei pazienti una volta superata l'emergenza della cura.

Sostiene a tale proposito lo Zanobio: "L'intreccio tra politica dell'assistenza e della provvidenza, in favore delle categorie svantaggiate, e l'attenzione alla salute furono promossi dalla medicina che stava aggiornando il suo dottrinale e dai medici di nuova educazione che si volevano affrancare dai retaggi di una tradizione terapeutica largamente inefficace sul piano dei risultati clinici" (9).

Criteri di gestione completamente nuovi, rispetto all'assistenzialismo di stampo religioso del periodo dell'antico regime, basati sopra un nuovo modo di intendere l'aiuto verso i bisognosi che avrebbe, nel tempo, delineato il diritto all'assistenza, il diritto alla tutela della salute ed il conseguente obbligo dell'intervento pubblico sotto forma di una nuova politica ospedaliera; criteri in parte anche espressi nell'amministrazione del Pio Albergo Trivulzio che, fin dall'inizio della sua attività, nel 1771, non aveva semplicemente svolto una funzione filantropica di aiuto sociale verso i poveri vecchi ed i malati cronici, ma aveva rappresentato un importante punto di riferimento in campo medico - sanitario, soprattutto nella cura delle patologie croniche e nello studio delle problematiche legate agli anziani 'impotenti'.

In questo senso, l'attività dell'Ateneo pavese ed i provvedimenti innovatori del Frank introdotti nel periodo di Giuseppe II, fecero compiere alla medicina ed alla pratica assistenziale quella rottura con il passato di tradizione nobiliare ed ecclesiastica che renderà possibile la riforma definitiva del sistema attuata intorno alla metà del secolo XIX, con la trasformazione degli ospedali in luoghi nei quali si praticava una cura reale e scientifica delle singole patologie, in base anche al criterio della specializzazione e con l'obbligo di medici e chirurghi di un loro continuo aggiornamento professionale.

Nel 1786 ad esempio, per volere dello stesso Giuseppe II, al fine di modernizzare le sale operatorie e le infermerie, vennero inviati da Vienna presso l'Università di Pavia, numerosi strumenti dimostrativi per gli interventi di ogni tipo, frutto delle ultime conquiste scientifiche per preparare il personale addetto e che, in una certa misura, saranno anche utilizzati durante l'attività dell'Albergo dei poveri voluto dal testamento del nobile milanese; del resto, come anche si è precedentemente accennato, il nuovo Albergo era già stato strutturato anche come un ospedale, oltre che come una casa di ricovero: la disposizione delle stanze, l'ordine interno, gli orari, i regolamenti, la presenza obbligatoria di una farmacia e di un'infermeria, la visita del personale medico tutte le mattine, la gestione dell'emergenza, fanno più pensare all'anticipazione di un moderno nosocomio piuttosto che ad un luogo di semplice 'deposito' di persone non più in grado di badare a sé stesse.

Anche il criterio di specializzazione delle patologie poi risultava particolarmente importante; già si è visto come nell'allocazione degli ospiti gli uomini dovessero occupare dei reparti divisi dalle donne, ma dagli elenchi minuziosamente conservati nell'archivio della Casa, si può evincere l'impegno dell'amministrazione dell'Albergo di dividere e classificare i ricoverati a seconda del tipo e della gravità della patologia.

Così, i semplici 'vecchi', spesso sani, venivano tenuti distinti dai piagati e, questi ultimi dagli incurabili cronici, per una questione etica, ma anche di praticità e scientificità di studio delle varie forme cliniche; coloro che avevano problemi di salute mentale, fatui, mutui e ciechi, venivano tenuti separati da coloro che, invece mostravano gravi problemi fisici, come gli storpi e i 'mostruosi' e tutti quanti erano comunque classificati su apposite tabelle che ne specificavano numero, sesso, età, patologia, tipo di cura. Sull'osservanza delle regole ed il buon ordine interno vigilavano, oltre al personale amministrativo preposto, anche il 'Deputato di settimana', scelto a rotazione tra i membri del Capitolo che doveva riferire alla direzione e provvedere per conto del governo agli interventi del caso.

Nel Nuovo Archivio Trivulzio, conservato presso l'Archivio di Stato di Milano, inoltre sono reperibili numerosissimi documenti che in modo molto particolareggiato descrivono crudamente i mali, fisici e mentali, dai quali erano affetti i poveri dell'Albergo, che proprio grazie a questo ricovero, venivano tolti dalla strada dove spesso costituivano motivo di compassione, ma anche di ludibrio della popolazione e che, quindi potevano concludere dignitosamente gli ultimi anni della loro vita.

Un'attività sociale dunque di grande rilievo svolta anche attraverso l'istituzione del pio Albergo e che già dopo i primi anni di riforme in Milano aveva fatto orgogliosamente scrivere ai membri della Commissione delle pie fondazioni nella relazione consuntiva di amministrazione dell'Albergo Trivulzio, come in Lombardia era stato "introdotto un miglior trattamento de' poveri infermi negli ospedali, una polizia ed assistenza dapprima non conosciuta; aumentato di un terzo di più il numero degli orfani ricoverati; migliorata la loro educazione fisica, morale e nelle arti; accresciuto parimenti di moltissimo il numero di poveri vecchi impotenti ricoverati nelle pie case, od assistiti con giornale sussidio; tolti tutti gli arbitrii, eliminati gli abusi sia nell'amministrazione che nella conversione delle annue entrate; pubblicati colle stampe li conti annuali"(10).

4.2 - L'organizzazione finanziaria nel periodo napoleonico.

L'inizio dell'esperienza napoleonica a Milano, nel maggio del 1796, rappresenta il definitivo avviamento della riforma sanitaria ed assistenziale verso la completa modernizzazione, anche se, nella fase iniziale delle repubbliche Cisalpine, l'intero settore risentiva pesantemente delle esigenze dell'economia di guerra e delle conseguenti restrizioni poste dal regime militare, prima di tutto preoccupato del mantenimento dell'ordine pubblico, messo in crisi dal peggioramento, dovuto alla guerra, delle condizioni di miseria della popolazione e del malcontento popolare (11).

Nel clima di maggiore insicurezza sociale dovuto al passaggio violento dall'amministrazione austriaca a quella francese, il Direttorio parigino aveva inasprito le misure repressive nei confronti del fenomeno della mendicità e del vagabondaggio proprio per far immediatamente tornare il territorio conquistato sotto il controllo della forza militare occupante. Basta, a tale proposito, considerare i provvedimenti dell'Agenzia Militare di Milano, tutti volti al mantenimento dell'ordine contro ogni turbativa, compreso quella rappresentata dalla povertà oziosa, in un clima di diffidenza ed insicurezza non certo favorevole a provvedimenti di aiuto alla popolazione bisognosa e volti a trasformare il vagabondaggio in un reato penalmente perseguibile.

Nella logica del Bonaparte di chiudere con il passato, si verificò un riassetto della materia assistenziale, che comportò l'abolizione dei Capitoli dei deputati e la loro sostituzione con Commissioni 'democratiche' e l'istituzione di un unico organismo governativo per l'amministrazione generale di tutti i luoghi pii, assistenziali, elemosinieri ed ospedalieri; tale organismo unico era la Congregazione della Carità, organo burocratico, controllato dal governo, suddiviso in tre sezioni, ciascuna delle quali sovrintendeva ad un determinato settore di intervento assistenziale.

La prima, si occupava degli ospedali, degli ospizi e degli orfanatrofi, la seconda degli enti elemosinieri ed infine la terza, dei monti di pietà, istituiti già da Maria Teresa e particolarmente importanti nel settore dell'attività creditizia milanese. Una razionalizzazione amministrativa ulteriore rispetto al già marcato accentramento del periodo precedente che, però, non sembrò modificare sostanzialmente la struttura e l'attività della pia Casa; non venne modificato l'organico del personale e rimase pressoché inalterato anche il regolamento generale dell'Albergo dei poveri, anche se, le sanzioni previste per i ricoverati che non avessero ottemperato a tali norme furono ulteriormente rafforzate. Ciò che invece veniva gestito in maniera diversa, era il criterio con il quale i poveri che facevano domanda, venivano ammessi al ricovero; mentre prima decideva il Capitolo che teneva conto di alcune condizioni di priorità, come l'aver fatto parte del personale della famiglia Trivulzio, ma senza l'indicazione di particolari requisiti, con l'amministrazione francese, la Congregazione della Carità volle istituire, presso ogni parrocchia un promotore, un funzionario il cui compito avrebbe dovuto essere quello di esaminare le domande di ricovero e, soprattutto controllare scrupolosamente lo stato reale di povertà del richiedente, prima di concedere l'autorizzazione al ricovero, per non commettere ingiustizie e legittimare favoritismi e privilegi, incompatibili con le nuove virtù rivoluzionarie repubblicane.

Al momento poi dell'ingresso nel pio Albergo, bisognava procedere alla visita medica del richiedente per stabilire la sua collocazione più opportuna all'interno dell'istituto, esattamente come si faceva durante l'amministrazione austriaca. Solo dopo la proclamazione del Regno d'Italia da parte di Napoleone, vennero introdotte nel pio Albergo significative modifiche che concernevano soprattutto la gestione finanziaria dell'ente stesso, la completezza dei suoi bilanci, l'indicazione chiara delle fonti di finanziamento, il contenimento del debito.

A tale proposito, un proclama del 5 settembre del 1807 del Viceré Eugenio Napoleone, Principe di Venezia e Arcicancelliere di Stato dell'Impero francese, destinato a disciplinare l'amministrazione della beneficenza, sanciva la volontà governativa di dar vita ad un nuovo regolamento che riconsiderasse l'intero impianto del finanziamento, dando vita ad "un sistema economico, regolare, uniforme, e tale per cui i soccorsi non potendo più essere accordati che a quelli che vi avranno veramente diritto, diventi possibile di spargerli su un maggior numero d'infelici" (12).

Quindi due erano gli obiettivi che il governo francese si prefiggeva dal punto di vista della riforma degli enti assistenziali, razionalizzare la gestione finanziaria e vigilare sulla regolarità e sull'imparzialità della selezione delle domande di ammissione al pio luogo; un orientamento di politica economica che il regime napoleonico seguirà in tutti i rami della pubblica amministrazione, conseguenza anche della nuova cultura borghese dedita alla costruzione del nuovo sistema capitalistico che, anche a Milano, aveva portato in quegli anni, alla nascita delle principali istituzioni creditizie, dallo sviluppo delle Banche e delle Camere di commercio, alla nascita della Borsa valori, per rendere anche questa parte dell'Impero francese più competitiva nell'ambito delle grandi trasformazioni economiche europee.

A dimostrazione poi di come i nuovi provvedimenti di riforma portassero ad un ulteriore accentramento del potere nelle mani del governo, anche in campo sociale, il primo articolo del decreto vicereale, stabiliva come tutta la materia assistenziale, di carità e beneficenza, dipendesse dal Ministero per il Culto, all'interno del quale, veniva costituito un Consiglio di amministrazione composto da quattro Consiglieri di Stato che avrebbero dovuto assumere il titolo di Ispettori generali della pubblica beneficenza, eletti per due anni e la cui carica era rieleggibile, mentre il territorio del Regno veniva suddiviso in quattro circondari, ciascuno amministrato da un Ispettore generale. Un impianto di governo estremamente burocratico che avrebbe dovuto permettere a Parigi e allo stesso Imperatore Napoleone di essere costantemente informato sulle vicende politico-amministrative del dominio lombardo.

Per quanto riguardava le attribuzioni degli Ispettori governativi, l'articolo 4, stabiliva come essi "avranno, sotto gli ordini e le istruzioni del Ministro, l'ispezione e la sorveglianza diretta di tutti gli stabilimenti, redditi e lasciti di pubblica beneficenza nel circondario che sarà stato assegnato a ciascuno di essi. Corrisponderanno a tal effetto tanto coi Prefetti e vice-Prefetti, quanto colle particolari amministrazioni d'ognuno degli stabilimenti la di cui sorveglianza sarà stata loro affidata" (13).

La razionalizzazione burocratica e la centralizzazione amministrativa, sembrano così emergere molto chiaramente verso la costruzione di quel modello 'per Ministeri' che caratterizzerà tutta la storia dell'amministrazione pubblica italiana, da Cavour fino al fascismo e che si fondava sul diretto rapporto di dipendenza tra Imperatore, governo, Ministro, a livello centrale e Prefetto ed Ispettore, a livello periferico dipartimentale (14). Proprio per una più efficace presenza sul territorio, ogni Ispettore doveva visitare più volte gli istituti di beneficenza di sua competenza e "s'informeranno minutamente del vero stato di ciascun degli stabilimenti di beneficenza compresi nel loro circondario. Riuniranno in conseguenza i pareri, gli schieramenti ed i documenti che loro saranno necessari per presentare al Ministro, dopo finito il loro giro, un rapporto esatto di tutto ciò che avranno visto ed osservato" (15); vigilare e riferire quindi era la principale incombenza di questi funzionari che dovevano proporre al Ministro i provvedimenti migliorativi del caso, i suggerimenti necessari a ben governare il settore assistenziale, ma senza poter decidere autonomamente, soprattutto quando si trattava di spese che coinvolgevano il governo per le quali bisognava scrupolosamente attenersi alle disposizioni dell'articolo 10 della nuova normativa, secondo il quale "gli Ispettori Generali non potranno ordinare nessuna spesa, nessuna variazione dell'amministrazione d'uno o più stabilimenti di beneficenza. Gli ordini di tale natura saranno sempre dati dal Ministro, ed in suo nome"(16).

Era poi fatto obbligo al Ministro, al primo aprile di ogni anno, partendo dal 1808, di presentare un dettagliato rapporto generale allo stesso Imperatore, sulla situazione amministrativa e finanziaria di tutti gli enti di beneficenza esistenti sul territorio della Lombardia, completato da valutazioni personali e proposte di miglioramento, tenendo conto della delicatezza e dell'importanza dell'intera materia, anche ai fini della stabilizzazione del potere.

Tutta la materia degli orfanatrofi, ospedali e luoghi pii in genere dunque, diventava di competenza della Congregazione di carità, come già era precedentemente successo a Venezia e nel Dipartimento del Reno a Bologna; un organo composto da un Presidente che era il Prefetto del Dipartimento, dal Vescovo, dal Presidente della Corte d'Appello e, dove non esistesse, dal presidente della Corte di giustizia civile e criminale, dal Procuratore Regio presso la Corte di giustizia e dal Podestà. Quindi un organo di grande rilievo costituzionale che esigeva la presenza delle massime autorità dello Stato nel campo della giustizia e del controllo dell'ordine pubblico che, ancora una volta, sembrava testimoniare la volontà del governo francese di coniugare, come nel precedente periodo austriaco, l'intervento in favore delle categorie di popolazione più bisognose, con la vigilanza sulla tranquillità sociale ed il rafforzamento del potere nelle mani del governo.

Oltre a queste alte cariche, della congregazione di carità facevano poi anche parte "altri individui che saranno nominati da Noi dietro proposizione del Ministro pel Culto, e che saranno scelti fra i proprietari, i commercianti e gli uomini di Legge i più distinti delle città. Il numero di tali individui sarà proporzionato al numero ed all'estensione degli stabilimenti e legati, l'amministrazione de' quali sarà loro affidata, e non potrà in nessun caso essere maggiore di 15, né minore di 9" (17). Una disposizione quest'ultima, emblematica della nuova stratificazione sociale dove il criterio censitario dei nuovi 'cittadini' si era andato definitivamente consolidando.

Il coinvolgimento in responsabilità politico-amministrative di possidenti, imprenditori ed operatori economici, dimostra infatti, oltre al particolare interesse del governo parigino per il rinnovamento economico dello Stato, anche la definitiva rottura con il mondo ancora nobiliare del riformismo viennese ed il rafforzamento di una nuova borghesia finanziaria che costituirà per tutto il secolo XIX, l'asse portante della società italiana post-unitaria.

Tornando al documento istitutivo della nuova amministrazione assistenziale, grande rilievo veniva dato ai provvedimenti relativi alla contabilità che, in una logica di razionalizzazione e controllo, unificavano i vari uffici contabili in un'unica Cassa "nella quale dovranno entrare tutti i redditi, e da cui dovranno sortire tutti i pagamenti pel conto di tutti gli stabilimenti amministrati dalla Congregazione. Saranno nulladimeno tenuti dei registri separati per ciascheduno stabilimento". Su questa cassa, avrebbe dovuto vigilare l'Ispettore generale per verificare con regolarità la legittimità della tenuta contabile, la liquidità, l'ammontare delle spese impegnate, l'attività del personale impegnato.

Gli ultimi articoli dell'ordinanza napoleonica, erano, non a caso, dedicati interamente all'esatta compilazione dei bilanci, consuntivo e preventivo, di cassa e di competenza, stabilendo che, ogni anno, entro il mese di ottobre, ogni Congregazione avrebbe dovuto presentare al Ministro di Culto "il conto preventivo de' redditi e spese dell'amministrazione per l'anno seguente, accompagnato dai conti particolari dei redditi e spese d'ogni stabilimento, e nel mese di febbraio di ciascun anno, il conto consuntivo dell'anno precedente"; tutti conti che poi dovevano ottenere l'approvazione del Ministro stesso ed essere in sintonia con le direttive generali di politica economica del governo, dimostrando la particolare cura e la 'modernità' della contabilità pubblica, attenta ad amministrare bene il dominio, anche allo scopo di trarne maggiore profitto.

L'articolo 26 inoltre, introduceva una sorta di obbligo di copertura finanziaria, disponendo che "la Congregazione non potrà ordinare nessuna spesa né pagamento che non fosse portato nei conti preventivi, e che non fosse stato approvato dal Ministro" (18). Sul passaggio infine dalla vecchia alla nuova amministrazione finanziaria, il Prefetto capo del Dipartimento, avrebbe dovuto svolgere un'opera di collegamento e di integrazione di vecchie e nuove norme finanziarie, in perfetta intesa con le delibere del Ministero per il Culto, vero ramo terminale del nuovo sistema amministrativo in diretto collegamento con lo stesso Imperatore.

La fonte napoleonica dunque, nel prendere in considerazione l'amministrazione finanziaria di tutti gli istituti ospedalieri ed assistenziali, continua e porta a termine il programma avviato dai regimi del riformismo illuminato; un programma caratterizzato dal rigore finanziario e dal risanamento dei conti pubblici nello Stato di Milano, che il Bonaparte saprà adattare ai tempi che preannunciavano la nascita del capitalismo e ai nuovi valori laici e borghesi di cui egli si era fatto mirabilmente interprete, ferma restando, in entrambi i regimi, la stessa volontà di trarre profitto dalle grandi potenzialità economiche e di produzione della Lombardia, pur sempre territorio assoggettato militarmente (19). In questo senso, i provvedimenti di riforma del settore assistenziale sembrano mostrare il loro aspetto strumentale rispetto ad un piano più ampio di Napoleone di inserimento di Milano nel suo ambizioso disegno di politica internazionale e per la realizzazione del quale, era necessario che il governo, fin dall'esperienza 'democratica' delle Municipalità provvisorie, sapesse sviluppare anche tutto il suo potenziale ideologico-propagandistico nell'immagine dell'uomo 'nuovo' che lo Stato doveva assistere, proteggere e spingere all'intrapresa economica e di mercato.

Tuttavia, le difficoltà, anche finanziarie, nel primo periodo francese, non mancarono, anche in conseguenza del permanente stato di belligeranza; secondo la Cenedella, "Dal punto di vista della gestione finanziaria non furono, quelli napoleonici, gli anni migliori per il Pio Albergo; il rincaro dei generi alimentari, le contribuzioni forzate e l'aumentata pressione fiscale produssero un crescente aumento delle spese per il mantenimento dei ricoverati, testimoniate dai bilanci del periodo, nei quali per la prima volta subentrarono disavanzi passivi. A ciò si aggiunsero misure estreme di contenimento del debito pubblico."(20)

Una situazione economica di una certa gravità che indusse le autorità francesi ad emanare un provvedimento con il quale si accettavano anche nel Pio Albergo Trivulzio dei ricoverati solventi che venivano inseriti grazie alle donazioni in danaro da parte di cittadini caritatevoli e che, in qualche modo, costituivano per lo Stato una fonte d'entrata, anche se l'ambizioso programma del Bonaparte risulterà di grave ostacolo ad una positiva gestione finanziaria degli enti assistenziali, nonostante le premesse 'contabili' di cui si è precedentemente fatto cenno. Inoltre la crisi finanziaria di questi anni relativamente al settore dell'interventismo statale in campo sociale, era anche il riflesso di una crisi economica più generale che stava attraversando l'intera Europa e che, inevitabilmente, faceva sentire i suoi effetti negativi soprattutto nei confronti delle fasce più deboli della società, come i vecchi, i poveri, i malati e tutti coloro che allo Stato chiedevano assistenza ed aiuto.

Nell'aprile del 1814 poi, caduto Napoleone, Milano ritornava sotto l'amministrazione austriaca e l'organizzazione sanitaria e assistenziale del Pio Albergo entrava nell'età della Restaurazione.

4.3 - Il Pio Albergo durante la Restaurazione.

Come si è cercato di sottolineare nel paragrafo precedente, il periodo napoleonico non comportò significative modifiche alla struttura e all'attività dell'Albergo dei poveri voluto dal Trivulzio, il documento analizzato, relativo al periodo del Regno Italico, si preoccupava soprattutto di far quadrare i bilanci del settore, pur non riuscendovi a causa della più generale crisi economica europea e del perenne stato di belligeranza dell'amministrazione francese, in questo senso sempre bisognosa di finanziamenti alla sua ambiziosa e dispendiosa politica estera militare. Anche nella fase subito precedente, quella delle Municipalità rivoluzionarie, il problema era sempre stato quello di controllare le fonti di finanziamento dell'assistenza pubblica, vigilando, nello stesso tempo, sulla stabilizzazione politico-sociale; già nel luglio del 1797 infatti, il Direttorio esecutivo francese, emanava una legge che trasferiva alla Municipalità provvisoria l'intera responsabilità della materia, che significava trasferire l'intera responsabilità amministrativa allo stesso governo di Parigi. Il primo articolo di tale legge, comandava che: "Gli stabilimenti di pubblica beneficenza, istruzione, ed utilità, sono sotto l'immediata ispezione, e direzione delle rispettive Municipalità nel Circondario delle quali esistono gl'indicati stabilimenti. I Beni, o le rendite de' Beni ... sono amministrati pel solo quantitativo loro assegnato esclusivamente dalle Municipalità", le quali avrebbero dovuto, ogni anno, rendere conto all'amministrazione centrale del governo, mentre anche l'amministrazione dei fondi appartenenti a vario titolo ad enti di tipo assistenziale, sarebbe ricaduta sotto l'intera ed immediata responsabilità delle Municipalità 'rivoluzionarie'(21). L'unica vera preoccupazione del governo napoleonico dunque nei suoi diversi periodi, sembrava quella di controllare ed intervenire, soprattutto per quello che faceva riferimento alla politica di bilancio, con il suo corollario di trasparenza delle cifre, di costi del servizio e di possibili vantaggi economici per la nuova amministrazione (22).

Un impegno non facile in conseguenza anche del consistente aumento del costo della vita, soprattutto nell'ultimo periodo dell'esperienza napoleonica, che non poteva non avere pesanti e negativi riflessi anche sulla gestione del Pio Albergo.

Il ritorno dell'amministrazione austriaca, con la proclamazione il 7 aprile del 1815 de Regno lombardo-veneto, dopo la restaurazione voluta dal Congresso di Vienna, comportò, ancora una volta a Milano, una riforma amministrativa, volta allo 'sfruttamento' del dominio Lombardo che finì per riguardare anche il settore assistenziale in genere ed il Pio Albergo in particolare, tenuto conto dell'ulteriore aggravamento del problema della povertà e della malattia, conseguenza delle continue guerre e dell'accresciuta miseria della popolazione che, sempre più numerosa, chiedeva di essere ammessa al ricovero nella Casa ereditata dal Principe Trivulzio. Richieste, documentate negli elenchi dei ricoverati al Pio Albergo, tenute dalla nuova amministrazione che dimostrano l'aumento esponenziale degli aspiranti al ricovero in rapporto all'aumento delle fasce di 'bisognosi' della città e che comportarono inevitabilmente, una significativa modifica strutturale nel senso di un notevole ampliamento di quello che, fino a metà del Settecento era il palazzo della nobile famiglia dei Trivulzio in contrada della Signora e che si avviava a diventare uno dei punti di partenza della nova moderna concezione ospedaliera.

A partire dal giugno del 1816, il governo imperiale di Vienna, emanò una serie di provvedimenti destinati a modificare nel tempo la struttura assistenziale, adattandola ai tempi e ai sempre più gravosi compiti; vennero ridefiniti i compiti della Congregazione di Carità, nei confronti della quale iniziò un'opera di decentramento amministrativo, completata però solo nel 1825, al fine di rendere più efficace e puntuale la sua azione e che finì per comportare l'abolizione stessa della Congregazione, anche se i luoghi pii non riuscirono più ad ottenere la completa autonomia dal controllo governativo.

Venne mantenuta la vecchia tripartizione operativa di tali enti in ospedalieri, assistenziali ed elemosinieri, ma, tuttavia, ogni comparto poteva auto-amministrarsi compatibilmente con le diverse problematiche fatta salva l'unità di indirizzo politico ed amministrativo ed il superiore controllo dell'autorità governativa; si può dire a tale proposito, che la riorganizzazione austriaca poneva fine al dirigismo napoleonico, ma senza per questo rinunciare al controllo statale sulla beneficenza; così, "l'azione dello Stato, con il suo carattere spiccatamente centralistico e burocratico, è sostenuta in un senso palesemente politico se non ideologico, mentre si afferma ben presto quel rinnovato 'municipalismo' che nel campo dell'assistenza comportava una larga affermazione dell'iniziativa religiosa e privata. Pubblico e privato in realtà coesistono, in una rete di interventi assistenziali, in buona sostanza sotto il controllo della classe dirigente cittadina, che risponde, con maggiore o minore successo, a una geografia della povertà che certo cambia ma non di meno presenta radicate persistenze di elementi del passato"(23). Sembra quindi che, con la Restaurazione, lo Stato compia un passo indietro di fronte alle tematiche assistenziali, riconoscendo anche il valore dell'impegno privato, di fronte ad un situazione che ormai aveva assunto proporzioni non più facilmente controllabili. Sostiene a tale proposito l'Onger: "Il problema del pauperismo suscitava il dibattito sull'intervento pubblico in materia assistenziale, rivelando gli atteggiamenti mentali ed etico-politici degli intellettuali e dei gruppi dirigenti. L'ampio confronto teorico sulla povertà elaborato da economisti, filantropi ed ecclesiastici nel corso della Restaurazione segnala le continue difficoltà a contenere un fenomeno dalle proporzioni preoccupanti. Il fallimento dei depositi di mendicità e l'impossibilità dei tradizionali istituti di ricovero ad estendere la loro funzione di soccorso, sollecitarono nuovi interventi a favore delle famiglie del povero."(24)

In entrambe le amministrazioni comunque, sia quella austriaca che quella francese, la riorganizzazione del settore assistenziale procedeva di pari passo con il riordinamento del sistema scolastico universitario, di quello ecclesiastico, dei luoghi pii e degli ospedali. Al di là delle differenze normative e pratiche, ciò che sembrava accomunare i diversi interventi era lo scopo di trasformare delle istituzioni corporative e particolari in strumenti di governo e di controllo statuale, intervenendo sempre per assistere, ma con una particolare attenzione ai bilanci dello Stato e all'interesse specifico del governo. A tale proposito, il Ministro Plenipotenziario Kaunitz, in una sua lettera del 20 dicembre del 1784 al Governatore Firmian, nel momento più intenso del riformismo di Giuseppe II, aveva affermato: "La gente di campagna va assistita ma senza sprechi economici, proponendosi di soccorrere le malattie che richiedono rimedi particolari, e non comuni, lasciando le cure ordinarie alle private famiglie"(25). Lo Stato si doveva così occupare dell'assistenza, della salute, dell'igiene pubblica, dei modi di vita, attraverso una legislazione e un'attività amministrativa di controllo e di intervento preventivo e curativo, attraverso un'organizzazione razionale, metodica, accentrata nelle sue direttive. Così la polizia medica era diventata anche una tecnica amministrativa con la quale il pubblico potere governava ed assisteva nello stesso tempo.

Nel periodo della Restaurazione, contemporaneamente alla ridefinizione delle competenze della Congregazione di carità, anche in riferimento alla gestione del Pio Albergo, nuove disposizioni regolamentari cercavano di rendere meno dura la vita dei vecchi malati all'interno delle strutture assistenziali.

Relativamente all'Albergo Trivulzio poi, vennero introdotte alcune migliorie che concernevano, soprattutto, la razionalità e la pulizia degli ambienti e il decoro del vestiario degli ospiti, rendendo più frequenti i ricambi e perfezionando il sistema dei contratti di appalto esterni, sempre con un occhio di riguardo per lo stato del bilancio dell'ente.

Inoltre, si cercava di sviluppare meglio quella che era una delle caratteristiche originarie caratterizzanti il Pio Albergo, ossia l'attivazione sempre più 'professionale' dell'attività lavorativa dei ricoverati, sia come momento terapeutico nei confronti di coloro che erano materialmente in grado di lavorare, sia anche come messa in opera di un piccolo commercio di manufatti che poteva contribuire alla produzione di ricchezza. Dal primo punto di vista, le nuove ricerche di tipo sociologico e medico sulla natura umana, avevano portato a ritenere che, nella cura della 'vecchiaia', fosse indispensabile tenere occupata la mente del degente con un'occupazione anche di scarsa rilevanza che lo facesse sentire in qualche modo ancora utile alla collettività, con conseguenze positive, non solo sul piano psicologico, ma anche su quello fisico, come si poteva evincere dagli studi del periodo che tendevano a sottolineare la stretta dipendenza delle condizioni fisiche di un anziano da una certa vivacità dell'attività cerebrale e da un certo grado di soddisfazione ed autostima. Proseguendo nella linea dei principi di 'polizia medica' già tracciati dall'amministrazione austriaca del secondo Settecento, come ad esempio sembrano testimoniare gli studi del dottor Frank, anche la nuova amministrazione del Lombardo-Veneto, si preoccupava di inquadrare il problema della vecchiaia e della malattia, considerando l'individuo in tutti i suoi aspetti, nella sua totalità, bisognoso di un intervento di cura complessiva e non settoriale e di un'assistenza non più solo come conservazione dai possibili pericoli per la vita associativa, ma anche come recupero.

Un atteggiamento di positiva fiducia nei confronti dell'uomo e delle sue potenzialità che trae origine dai valori espressi dall'illuminismo ed alimentati, nel secolo XIX, da nuove correnti di pensiero, come il positivismo, l'evoluzionismo ed il marxismo, in modi diversi, hanno cercato delle risposte al problema del comportamento umano 'sganciate' dai valori religiosi.

Dal secondo punto di vista poi, gli organi responsabili della gestione della Casa Trivulzio, avevano ribadito come la prima e fondamentale regola da rispettare una volta entrati, dovesse proprio essere quella del lavoro attivo e, per tale motivo, si impegnavano a fornire ai degenti tutto il possibile materiale necessario alla produzione del laboratorio interno, dalle stoffe per gli abiti e per la biancheria usata dagli ospiti, a tutto quanto serviva alla produzione di scarpe ed altri manufatti che sarebbero poi stati utilizzati all'interno della struttura; cosi, il Pio Albergo si avviava a diventare una piccola comunità autosufficiente, in grado di automantenersi in relazione alle proprie piccole necessità, continuando anche la pratica di affidare, attraverso gli appalti, i lavori più onerosi all'esterno. Ciò che soprattutto premeva all'amministrazione della Casa era il decoro, anche esteriore dei ricoverati, che doveva necessariamente essere sempre connesso con una rigorosa politica di bilancio dell'ente pesantemente gravati dall'imposizione fiscale governativa. Il principio era esposto in. modo chiaro nel nuovo Regolamento interno, approvato dal governo, che, da questo punto di vista, affermava: "resta stabilito per massima generale, che se da un lato per le viste di una giusta economia interessa sommamente, che non segua alcuna men che necessaria distribuzione di oggetti di vestiario, dall'altro canto troppo sarebbe contrario allo scopo pel quale è stato istituito il Pio Albergo, che i poveri in esso ricoverati non fossero regolarmente provveduti di quanto loro occorre non solo per coprirsi, ma anche per mantenere una certa pulizia e decenza nella persona"(26).

Dunque, anche nel periodo della Restaurazione, il Pio Albergo Trivulzio continua a rappresentare una delle strutture più avanzate nel campo dell'assistenza agli anziani malati e di tutti coloro che, in qualche modo, venivano 'rifiutati' dalla società, realizzando i desideri espressi dal Principe Trivulzio nel suo testamento del 1766 e rappresentando, comunque, uno dei cardini sui quali costruire, a partire proprio dalla seconda metà dell'Ottocento, il nuovo e moderno sistema assistenziale ed ospedaliero.

NOTE AL QUARTO CAPITOLO

Sulla figura di Pietro Leopoldo, anche in rapporto alla politica del fratello Giuseppe II, vedi A. WANDRUZKA Leopoldo II: un grande riforrnatore, Firenze 1968; C.MOZZARELLI G.VENTURI (a cura di) L'Europa delle Corti alla fine dell'antico regime, Roma 1991.

ASCM Materie 866, dispaccio di Ferdinando d'Austria del 1793.

ASCM Idem

ASCM Idem

ASM T.N.A. cartella 28

Sulle scoperte scientifiche del periodo vedi U. BALDINI L'attività scientifica nelle accademie lombarde del Settecento e L. BELLONI L'insegnamento delle scienze sperimentali a Milano in De MADDALENA G. BARBARISI E. ROTELLI (a cura di) Economia., istituzioni, cultura in Lombardia nell'età di Maria Teresa Bologna 1982.

ASM T.N.A. cartella 28

Sul fenomeno del pauperismo nell'Europa d'antico regime vedi, B. GEREMEK La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa Roma-Bari 1986; B. PULLAN Poveri, mendicanti e vagabondi (secoli XIV-XVII), in Storia d'Italia, Annali 1, Dal feudalesimo al capitalismo Torino 1978.

Sull'argomento vedi B. ZANOBIO L'organizzazione del Pio Albergo Trivulzio alla luce della medicina del tempo in La nascita del Pio Albergo Trivulzio. Orfani, vecchi e poveri a Milano tra Settecento e Ottocento, Atti del Convegno, Milano 1993, pag. 28.

Vedi C. CAPRA Il Pio Albergo Trivulzio: un'eredità del secolo dei lumi in La nascita ... cit., pag. 19.

Sull'amministrazione napoleonica a Milano vedi E. PAGANO Il Comune di Milano nell'età napoleonica (1800-1814) Milano 1994; C. ZAGHI L'Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno Torino 1986

ASM T.N.A. cartella 28.

ASM Idem

Sul modello amministrativo per Ministeri vedi P. AIMO Stato e poteri locali in Italia 1848-1995, Roma 1997; G. MELIS Storia dell'amministrazione italiana, Bologna 1996.

ASM T.N.A. cartella 28.

ASM Idem

ASM Idem

ASM Idem

Sull'amministrazione austriaca a Milano nel Settecento vedi C. CAPRA D. SELLA Il ducato di Milano dal 1536 al 1796, Torino 1984; F. VENTURI Utopia e riforma nell'illuminismo, Torino 1970; U. PETRONIO Il Senato di Milano. Istituzioni giuridiche ed esercizio del potere nel Ducato di Milano da Carlo V a Giuseppe II, Milano 1972.

Vedi G. COSMACINI C. CENEDELLA I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Bari 1994 pag. 120.

ASCM Dicasteri cartella 86.

Sulla politica di bilancio del Pio Albergo, vedi A. MANGIAROTTI La gestione del Pio Albergo Trivulzio attraverso i suoi bilanci (1770-1818) in Dalla carità all'assistenza. Orfani, vecchi e poveri a Milano tra Settecento e Ottocento, Atti del Convegno, Milano 1993, pag. 200.

In E. BRESSAN D. MONTANARI S. ONGER (a cura di) Tra storia dell'assistenza e storia sociale. Brescia e il caso italiano, Brescia 1996 pag.26.

In S. ONGER La città dolente. Povertà e assistenza a Brescia durante la Restaurazione, Milano 1993.

ASM Sanità parte antica cartella 187.

Vedi Archivio del Consiglio degli Orfani del Pio Albergo Trivulzio, Oggetti generali, Cartella Piani e Regolamenti






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