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IL CONCETTODI SISTEMA AZIENDALE
1. L'impresa quale sistema socio-tecnico
IMPRESA: organizzazione di persone e beni rivolta a uno scopo produttivo. Le imprese si organizzano in modi diversi una dall'altra per produrre beni e servizi che soddisfino i bisogni dell'uomo, per cui sono uno strumento essenziale per usare al meglio il lavoro delle persone.
Ogni impresa ha una struttura a se stante, dato che persegue determinati obiettivi, ma si possono comunque trovare dei tratti comuni tra tutte: per esempio il contenuto economico dell'attività e gli obiettivi da raggiungere.
Ogni impresa ha una struttura specifica, ma tutte hanno come fine quello di mettere a profitto risorse scarse, cioè prende le risorse, le inserisce in processi specifici trasformandole, e ne ottiene ricchezza.
Come ottiene ricchezza
Bisogna soddisfare dei bisogni umani
le risorse vengono trasformate
con le risorse trasformate, soddisfo i bisogni umani
l'uomo per avere quella risorsa paga
attraverso lo scambio si genera un utile o reddito.
Quindi è lo SCAMBIO, il fulcro del concetto di impresa perché è per lo scambio che l'impresa prende le risorse e le trasforma.
Per trasformare le risorse l'impresa ha dei costi, che recupera attraverso il reddito, cioè il divario positivo tra quanto ricavo dai beni e quanto spendo per produrli.
Oltre a questo l'impresa è stata finanziata e chi ha investito vuole averne un ritorno economico. Infine l'impresa deve generare reddito per potersi sviluppare seguendo gli stimoli che le arrivano dal mercato.
che Per trasformare le risorse in modo da farle valere più di quello le ho pagate (principio di marginalità), l'impresa deve essere organizzata in modo specifico e efficiente.
Quindi l'impresa è un'organizzazione economica che, usando diverse risorse, svolge dei processi di acquisizione di beni e servizi per scambiarli con entità esterne per generare un reddito.
Impresa come sistema
L'impresa può essere vista come un sistema che opera con altri sistemi in cui è inserita, l'ambiente e il mercato.
Un sistema è un complesso interrelato di parti, cioè le parti che lo compongono sono dipendenti una dall'altra per raggiungere lo stesso obiettivo.
Dato che un sistema agisce all'interno di un altro, deve essere dinamico.
Per cui l'impresa è un sistema ordinato, fatto da molte parti che sono interdipendenti tra loro rispetto a un obiettivo condiviso, è inserito in un macro-ambiente, dato da ambiente + mercato e per questo deve essere dinamico, cioè cambia dimensione e risorse per adattarsi all'ambiente.
I sistemi possono essere più o meno complessi, Boulding ne individua nove tipi e secondo la sua classificazione si può dire che l'impresa è un sistema sociale di tipo aperto: un sistema perché è fatto da parti e ogni parte svolge una funzione ma tutte sono coordinate tra loro per raggiungere un unico obiettivo. Aperto perché per operare deve interagire con altri sistemi attraverso lo scambio, che può essere di input, quando mi approvvigiono di risorse per alimentarmi, e di output quando cedo il frutto della produzione.
Per queste caratteristiche l'impresa è spesso avvicinata a un corpo vivente, ma questo parallelo non è corretto perché l'impresa prima di tutto, vuole perdurare nel tempo e quindi oltre la morte del fondatore, e poi l'impresa ha un fine e i suoi sforzi sono fatti per quello, mentre un corpo cresce anche senza volerlo.
All'interno dell'impresa operano persone e mezzi tecnologici, ed entrambi vanno organizzati, per cui si può parlare di sistema aperto di tipo socio-tecnico. Il fattore più importante resta comunque quello sociale, perché l'azienda funziona solo se i vari interessati (stakeholder), sia interni, sia esterni, operano in modo coordinato tra loro, sia collaborando, sia contrastandosi.
2. l'impresa quale sistema socio-cognitivo
Questa teoria si basa sul concetto che il vero patrimonio dell'impresa è dato dall'accumulo continuo delle sue conoscenze (sia quelle di chi lavora per lei, sia quelle prodotte lavorando, know-how) e non da ciò che possiede a livello materiale. Le immobilizzazioni immateriali, come i brevetti, sono qualcosa che non si può toccare, ma che si crea nel tempo attraverso procedure (le routine), stili di management, ecc non attraverso produzioni. In ciò che è immateriale stanno le possibilità e le capacità dell'azienda di espandersi.
In questo senso l'impresa è un sistema di conoscenze che produce nuova conoscenza.
Quando l'impresa riesce ad apprendere lavorando (learning by doing), il sapere e i valori si accumulano, e questo processo è ancora più efficiente quando la gestione riesce a trasmettere e incorporare questi due elementi.
Quindi anche se non si può dimenticare la materialità dell'impresa, si può comunque dire che è un sistema complesso in cui s'intrecciano elementi tangibili e non tangibili, immobilizzazioni materiali e non, tecnologia e intelligenza, risorse umane e finanziarie secondo un disegno che ha SEMPRE come obiettivo la produzione di valore.
3. il concetto di responsabilità sociale d'impresa (corporate social responsibility)
Dato che l'impresa è retta da uomini, nasce per soddisfare i loro bisogni ed è inserita in un ambiente in cui vivono anche le persone, l'impresa oltre al concetto economico deve avere anche quello sociale. L'impresa non può solo scambiare beni e servizi, ma deve anche migliorare l'ambiente in cui opera (corporate social responsibility) e quindi stringe con l'ambiente degli accordi su come deve o può funzionare. Dato che il continuo scambio di risorse influenza la vita della collettività, l'impresa diventa protagonista e responsabile del contributo che produce.
Capitolo 2. I RAPPORTI TRA IMPRESA, AMBIENTE E MERCATO
1.i concetti di ambiente e mercato
Come dicevamo l'impresa opera all'interno di un ambiente. Questo ambiente può essere "diviso" in due: uno più vicino e uno più lontano e generale. L'impresa è inserita in un micro-ambiente, quello con cui opera e si relaziona, il più vicino, ma tutto questo è a sua volta inserito in un macro-ambiente che definisce le condizioni e i vincoli per effettuare gli scambi.
il micro ambiente si divide ancora in 2:
- ambiente transazionale: cioè l'ambiente, dato dall'insieme degli stakeholder, con cui l'impresa effettua gli scambi (transazioni). Per scegliere se acquistare le risorse all'esterno o produrle internamente, l'impresa deve fare delle comparazioni di convenienza. Più le acquista più dipende dal mercato e l'ambiente transazionale si amplia. Viceversa è 111c26b l'impresa ad ampliarsi, a scapito dell'ambiente transazionale, e ha più indipendenza.
- ambiente competitivo: è dato dalle porzioni di mercato con cui si vogliono fare gli scambi e quindi è l'impresa stessa che sceglie l'ambiente competitivo.
Gli interlocutori dell'impresa si dividono in categorie, ognuna delle quali crea un mercato con cui l'impresa deve attuare degli scambi:
c'è quindi il mercato del lavoro, dato dalle risorse umane,
il mercato della produzione composto da chi detiene le materie prime, i semilavorati e tutto ciò che l'azienda può usare per la sua attività. (fornitori)
il mercato finanziario, cioè le Borse Valori e gli intermediari finanziari
il mercato di vendita, cioè i potenziali clienti
2. l'ambiente quale contesto generale di riferimento per l'impresa
L'ambiente di cui si parla in questo caso non è quello naturale ma quello socio-economico, in cui l'impresa opera. Questo ambiente impone varie regole e comportamenti da rispettare ma anche delle opportunità e questo influisce sulle scelte dell'impresa, limitando le sue azioni e regolando ciò che essa può fare. Si trovano 4 tipi di ambiente:
politico-istituzionale
culturale-tecnologico
demografico-sociale
economico-sociale
Sistema o ambiente politico-istituzionale
Legislazione e politica influiscono molto sulle scelte che l'impresa può prendere: la legislazione impone delle regole da seguire, per esempio le norme sul lavoro, igiene, sicurezza o le tasse da pagare, e la politica non ha un peso inferiore. In un paese a economia liberista l'impresa ha doveri, ma anche diritti, ma questa situazione cambia nei paesi a economia pianificata perché lo Stato interviene di più nella gestione. C'è quindi un forte rapporto tra sistema politico e sistema economico.
Ambiente culturale e tecnologico
L'impresa ha a che fare con una società, composta da molti stakeholder. In questa società ci sono modi di vivere e pensare specifici, cioè valori, tradizioni, costumi e usi condivisi che influenzano il comportamento delle persone, e quindi della società. Le persone sono allo stesso tempo, cittadini, lavoratori, fornitori o anche imprenditori, quindi sia interni, sia esterni all'azienda. L'ambiente culturale è quindi quello che, a fronte di una certa cultura, influenza il consumo di certi beni piuttosto che altri, e quello tecnologico, dato che la tecnologia è frutto della conoscenza delle persone, è quello che è legato al modo in cui le risorse vengono usate. (in Cina la cultura è quella di mangiare riso, in base a questo le tecnologie si sono sviluppate di più in quel ramo che in quello della produzione di pasta).
Ambiente demografico-sociale
A livello demografico la globalizzazione ha portato alla creazione di società multietniche, cioè composte da più razze, religioni, tradizioni e etnie. Così come l'invecchiamento medio della popolazione porta a un aumento del pubblico anziano. Le varie etnie hanno abitudini di consumo diverse (come dicevamo prima, il Cinese consuma molto riso, l'Italiano più pasta) e dal punto di vista dell'età, la fascia che consuma di più, cioè i giovani, tende ad assottigliarsi sempre più; tutto ciò comporta scelte aziendali diverse in base al pubblico a cui si rivolge. Dal punto di vista sociale invece esistono classi sociali diverse e a ognuna corrisponono specifiche abitudini di consumo, le persone si muovono in queste classi sociali, cercando di migliorare via via la loro posizione (anche se è molto difficile cambiare classe sociale se in partenza si era collocati in una piuttosto che in un'altra) La stratificazione sociale incide molto sui consumi, perché a seconda della classe sociale di cui si fa parte, o si crede di far parte, si orientano i propri consumi in base a quelli dei leader riconosciuti. (seguo la De Filippi, c'è Costantino, lo identifico come leader, seguo il suo modo di vestire e cambio così i miei consumi). L'ambiente demografico-sociale è quindi dato dalla struttura della popolazione e dal modo in cui i singoli interagiscono tra loro.
Ambiente economico
Sistema generale dell'economia che regola la vita della collettività, e che coinvolge l'impresa e i suoi rapporti con la politica e la società. A seconda del tipo di ordinamento economico, cioè ciò che caratterizza un certo territorio (moneta, prezzi, produzione agricola piuttosto che industriale ecc), l'impresa dovrà adottare specifiche strategie. Questo ambiente può avere 4 declinazioni:
economia di mercato
economia di piano
economia liberista
economia collettivista
Nell'economia di mercato, le decisioni si prendono in base al mercato, c'è quindi libera iniziativa e di conseguenza proprietà privata dei mezzi di produzione (scelgo io cosa usare e quindi quella cosa può essere mia), per questo questa economia è detta anche liberista.
L'economia di piano invece prevede che le decisioni siano prese a livello statale, per cui non c'è proprietà privata perché è lo stato che sceglie cosa, come e quanto produrre. I mezzi sono di tutti e per questo questa economia è detta anche collettivista.
Nell'economia di piano imprenditore e Stato coincidono, nell'economia di mercato l'imprenditore ha una certa libertà, anche se ha comunque delle regole da seguire. Nel tempo i modelli di welfare state, cioè assistenzialismo da parte dello Stato, sono andati via via sparendo, anche se, a fronte delle crisi degli anni '90 e degli scandali finanziari, si è pensato di intervenire, nel controllo dell'economia, per garantire un minimo di stabilità, pur lasciando un buon grado di indipendenza. (teoria della mano invisibile di A. Smith).
Oggi non si può più parlare di piano o di mercato, ma di economie miste o d'intervento, che mitigano i due stili ottenendone uno migliore, in cui lo Stato diventa più che altro una guida. Spesso le crisi hanno condotto gli Stati a farsi carico dei problemi delle imprese, cercando di salvarle per difendere i posti di lavoro. Ora la tendenza sembra invertirsi e si auspicano sempre più spesso delle forme di privatizzazioni, che in realtà sono riprivatizzazioni. In Italia queste tendenza sembra essere accolta con favore (poste, ferrovie, compagnie telefoniche ecc) anche perché attraverso la privatizzazione è possibile ottenere 3 benefici:
miglioramento della performance
alleggerimento del deficit della pubblica amministrazione
aumento della concorrenza a vantaggio degli utenti
anche se il marxismo è stato sconfitto dal capitalismo, quest'ultimo sembra comunque attualmente in crisi, e per questo si andrà alla ricerca di modelli alternativi e socialmente più equi.
3. i rapporti tra impresa, micro-ambiente e macro-ambiente
Tra l'impresa e l'ambiente circostante si genera una serie di relazioni tra le variabili micro e macro e la gestione, struttura e caratteristiche dell'impresa. L'impresa cambierà il suo comportamento per volgere a suo vantaggio l'evoluzioni dei vari mercati con cui s'interfaccia, evoluzione dettata dai movimenti dei sistemi in cui il micro-ambiente è inserito. Spesso l'influenza non viene solo dall'ambiente all'impresa, ma anche dall'impresa all'ambiente, soprattutto quando si pensa a grandi imprese che assumono molto potere perché, oltre a muovere grandi capitali, muovono persone e producono beni che muovono l'economia stessa. Per cui anche se dall'ambiente arrivano condizionamenti per l'imprenditore,(politici, sociali, economici, demografici, tecnologici, culturali) è anche vero che dallo stesso ambiente arrivano opportunità, per esempio nel campo tecnologico, per cui all'evoluzione dell'ambiente spesso corrisponde una trasformazione dell'organizzazione d'impresa.
Le due componenti che forse influenzano di più il rapporto impresa-ambiente sono forse il progresso tecnologico e la politica.
Il progresso cambia la struttura di un settore industriale poiché cambia il tipo di imprese che possono entrarvi o uscirvi. (più c'è tecnologia più diventa difficile o facile entrare in un settore). Le scoperte scientifiche hanno di sicuro portato alla società grandi benefici che è difficile mettere in dubbio: benessere sociale e economico. Usando meglio le risorse a disposizione, attraverso una migliore organizzazione, è possibile soddisfare sempre più bisogni; inoltre è più facile per i consumatori consumare perché i costi, via via che s'innova, scendono, aprendo il consumo di questi beni e servizi a un pubblico sempre più vasto. (prima la macchina potevano averla solo i ricchi, dopo Ford, può averla chiunque). In questo contesto l'impresa non può tralasciare il progresso tecnologico, perché se non lo usasse a suo favore, resterebbe indietro rispetto alle altre e morirebbe.
Proprio perché inserita in un ambiente, sull'impresa gravano anche le situazioni politiche, non più solo del suo macro-ambiente, ma di quello mondiale. Si assiste infatti a forti cambiamenti nell'ambiente socio-economico legati a situazioni politiche che influenzano e muovono tutto il mondo. Per esempio la ricerca di nuove risorse a costi più bassi, l'entrata di nuovi mercati (Cina) nella scena economica mondiale o i diversi tassi di sviluppo si riflettono sulle imprese, che devono fronteggiare un ambiente sempre più turbolento. Turbolenza, ostilità, diversità, complessità e insicurezza sono i nuovi diktat con cui l'impresa deve confrontarsi.
Capitolo 3. L'AMBIENTE TRANSAZIONALE E COMPETITIVO
1.l'analisi dell'ambiente competitivo
l'ambiente competitivo è molto importante per l'impresa, perché è proprio dalla capacità di sistemare i suoi prodotti sul mercato che deriva la sua forza. Sia prima di iniziare, sia durante la propria attività, è indispensabile conoscere l'ambiente competitivo di riferimento per capire se si potrà avere successo o meno.
2. la differenziazione dei prodotti e le forme prevalenti di mercato: oligopolio e concorrenza monopolistica
per prima cosa bisogna partire dall'idea di differenziazione dei prodotti. Se differenzio i prodotti non ho una concorrenza perfetta, perché questa c'è solo nel caso in cui i prodotti sembrano tutti uguali e l'unica cosa che li distingue è il prezzo. Ma se differenzio metto l'accento sul produttore, sul luogo di provenienza, sulla qualità e oggi la differenziazione è la regola.
Basandoci su questo è possibile dire che il mercato è ora costituito da tanti sub-mercati, indipendenti e isolati, e più c'è differenziazione più questi sub-mercati sono isolati e indipendenti. A ogni sub-mercato corrisponde una specifica clientela. Volendo i sub-mercati potrebbero essere tanti quanti sono i vari produttori, perché ogni marca potrebbe avere un suo sub-mercato. Perché? Il consumatore ha di fronte a sé tanti prodotti, ognuno con caratteristiche specifiche, in base a queste il consumatore sceglie il prodotto e l'impresa che lo produce trae un vantaggio da questa scelta e più riesce a farsi scegliere, più si rafforza. Per farsi scegliere deve essere distintiva, cioè crearsi una nicchia, cioè un sub-mercato in cui poter agire senza avere quasi concorrenza.
Certo questa situazione è limitata dal fatto che altre imprese possono copiare il suo prodotto, e quindi toglierle unicità, oppure toglierle il monopolio usando altri strumenti, come le leve del prezzo per esempio.
In base alla differenziazione si può parlare di concorrenza monopolistica e oligopolio differenziato.
Concorrenza monopolistica: nello stesso mercato ci sono sia elementi concorrenziali, dato che l'offerta è divisa tra molti produttori, sia di monopolio, dato che ognuno crea un sub-mercato di cui ha il monopolio. Questo concetto si basa sulla differenziazione dell'offerta, più che sulla concentrazione, dato che ogni produttore cerca di crearsi una nicchia attraverso la differenziazione, ma in realtà differenziare molto bisogna avere molte risorse e quindi il mercato che si crea è fatto da pochi "ricchi" e quindi concentrato. Sembra quindi più giusto parlare di oligopolio, e distinguerne 3 tipi.
Oligopolio differenziato: la differenziazione avviene in un mercato con pochi produttori.
Questo si divide a sua volta in 3 tipi di oligopolio:
oligopolio differenziato in cui ogni venditore è in concorrenza diretta con pochi altri grandi produttori
oligopolio concentrato in cui non c'è differenziazione, per esempio tra chi produce materie prime, come il cemento
e oligopolio misto, a metà tra i due, è tipico delle imprese che producono beni di consumo durevole come le automobili.
Il mercato non si distingue solo in base al numero dei produttori, ma anche per la quota di produzione controllata dai più grandi, per cui un mercato può essere oligopolistico anche con molti produttori, perché sono presenti comunque pochi "grandi".
3. le barriere alla concorrenza
parlando di barriere alla concorrenza di solito si pensa a quelle all'entrata, ma ne esistono anche all'uscita e interne.
Le barriere esterne sono quelle che impediscono ai concorrenti di entrare in un mercato, quelle interne invece tutelano i produttori dalle azioni espansionistiche degli altri produttori nello stesso mercato.
Le barriere all'entrata sono legate a:
-gestione: economie di scala (riduco i costi), di apprendimento (accumulo esperienza, inflazione, costo storico), di scopo (sinergie) e di relazioni (reti con altre imprese)
-possesso di brevetti
- fattori produttivi
-differenziazione dei prodotti.
Gestione
Economie di scala: i costi diminuiscono al crescere dei volumi prodotti, sia in fase tecnica, sia nell'approvvigionamento. Alcuni mercati hanno volumi molto alti di produzione, perché solo con questi riescono ad abbassare i costi, e quindi per entravi (barriera all'ingresso) è necessario raggiungere almeno lo stesso volume.
Le imprese riescono a fare economie di scala facendo grandi volumi di acquisti (più compro più posso contrattare prezzi migliori). Solo le imprese più grandi e forti riescono a fare grandi volumi di acquisto e quindi ad abbassare i prezzi, e questo diventa una barriera all'ingresso per gli altri più piccoli. La grande impresa fa economie di scala perché ha impianti di grandi dimensioni (d'impianto), ma avendo anche un'organizzazione più estesa, fa economie anche sulla commercializzazione e sull'amministrazione (d'impresa).
Alle imprese è richiesta sempre più flessibilità, e ciò significa avere una gamma di prodotti sempre più ampia, produrre di più ma con meno operazioni e quindi fare economie di scopo: risparmio attraverso lo svolgimento in comune di più attività (sinergie). Queste sinergie avvengono sia all'interno dell'impresa, sia al'esterno, cioè creando delle reti di relazioni con altri produttori, e per questo le economie si definiscono di relazioni. Queste relazioni di fiducia s'instaurano sia con fornitori sia con i clienti e questo migliora la posizione dell'impresa sia nell'ambiente transazionale, sia in quello competitivo.
Know-how - brevetti e fattori produttivi
Finché i brevetti e il know-how sono di proprietà di pochi produttori, i nuovi, che non li possiedono, trovano molte difficoltà a entrare in quel mercato. Lo steso avviene per i fattori produttivi.
Differenziazione
Altra barriera è data dal fatto che più i produttori differenziano i loro prodotti, più si creano una nicchia nella quale è difficile entrare. Questo significa che per sottrarre quote alla concorrenza si deve far percepire al consumatore la differenza rispetti agli altri, pubblicizzando il prodotto e rendendolo innovativo.
Barriere all'uscita
Oltre che in entrata è possibile trovare barriere all'uscita, cioè vincoli o regolamenti che rendono difficile uscire da un mercato, sia da un punto di vista sociale, per cui le imprese non possono chiudere perché dovrebbero licenziare personale, sia dal pdv economico, perché magari è difficile disinvestire. Questo a sua volta può diventare una barriera all'entrata, perché i nuovi potrebbero essere fermati dal fatto che poi è difficile uscirne.
Le barriere smettono di avere senso quando i produttori di altri mercati entrano in un mercato diverso dal loro sostituendo i prodotti di questo mercato con dei prodotti tipici del loro mercato di partenza.
Bisogna aggiungere che le barriere all'entrata variano in base alle risorse dell'impresa, per cui alcune barriere sembrano più alte per quell'impresa che ha meno risorse per poterle superare. Questa teoria è detta re source based theory per cui l'analisi competitiva va fatta partendo da ciò che l'impresa possiede: risorse, competenze e capacità, e non dalla concorrenza. Quindi più le risorse di un'impresa sono uniche e inimitabili, più quell'impresa può creare delle barriere all'entrata, sottraendosi alla concorrenza reale (cioè chi è già presente nel mercato) e potenziale (chi potrebbe entrarci).
La concorrenza risente anche delle barriere interne o di mobilità, cioè la possibilità per le imprese di spostarsi all'interno dello stesso mercato o settore, perché a seconda di quanto le imprese si muovono, sarà possibile per la concorrenza posizionarsi in una nicchia o no.
4. l'equilibrio fra domanda e offerta: il mercato del venditore e il mercato del compratore.
Per capire come funziona un mercato e come si comportano le imprese in questo, bisogna analizzare la domanda e l'offerta, sia in modo separato, sia in modo congiunto, per capire chi dei due ha più forza. Ha più forza chi controlla quote importanti della domanda o dell'offerta, infatti un grande produttore o un grande acquirente possono dettare certe condizioni di mercato.
Ciò che conta non è l'equilibrio tra i risultati della produzione, ma la potenzialità di produzione e la capacità di assorbimento.
Nel caso del mercato del venditore, la domanda supera la capacità di produzione, cioè ci sono più richieste di prodotti di quanti sia possibile produrne. In questo caso il produttore non corre il rischio che i prodotti avanzino e in più gode della concorrenza, perché da solo non riesce a rispondere alla domanda. Questa situazione è però rara.
Quando invece si produce più di quello che viene richiesto, il mercato è detto del compratore, perché le aziende devono contenderselo. Questa situazione dovrebbe essere diffusa, perché il progresso porta a produrre più di quanto realmente possa essere assorbito, ma in realtà è molto difficile condizionare l'offerta, perché i consumatori hanno ancora poco potere e le imprese invece ne hanno molto sui comportamenti d'acquisto.
È ovvio che a un diverso mercato corrisponde una diversa impresa, quando ho tanta domanda, non mi preoccupo della vendibilità dei prodotti, ma se ne ho poca, quella è la mia preoccupazione principale.
Oltre a capire la struttura del mercato, per avere un quadro generale bisogna analizzare anche come e quanto si sviluppano domanda e offerta perché gli imprenditori, a seconda del tipo di domanda che dovranno fronteggiare (dinamica, stazionaria o in declino) adotteranno comportamenti diversi.
5. i rapporti tra organizzazione e mercato: la teoria dei costi di transazione
tra impresa e mercato si stipulano dei contratti per regolare l'acquisizione delle risorse e la cessione dei prodotti.
L'impresa fa un numero più o meno alto di contratti, a seconda che decida di produrre al suo interno (internalizzare), e in questo caso viene definita integrata, o all'esterno (esternalizzare).
La teoria dei costi di transazione si basa sul fatto che l'impresa, per decidere se produrre all'interno o demandare all'esterno, deve valutare quale delle due soluzioni è più conveniente. Per decidere l'impresa compara il costo di transazione, cioè quanto le costa approvvigionarsi dall'esterno al costo che sostiene per produrre all'interno.
Per fare una comparazione corretta bisogna capire che il costo di transazione è dato da molti fattori, bisogna oltre ad acquistare il bene, informarsi, trovare i fornitori, contrattare e poi infine decidere. Ogni passo ha dei costi che vanno compresi in quello di transazione. Considerando tutto questo si capisce qual è il limite di efficienza per l'impresa, cioè quante transazioni deve fare all'interno e quante all'esterno per raggiungere il massimo dell'efficienza. Il criterio di scelta è basato sull'economicità, per cui internalizzo quando mi costa meno che dare all'esterno.
All'economicità bisogna aggiungere la rischiosità: più faccio transazioni, più rischio qualche problema, per esempio un ritardo nelle consegne, una qualità diversa da quella desiderata ecc. quindi più è complessa la transazione, cioè più rischiosa, meno è conveniente esternalizzare.
Da sola comunque questa teoria non può fornire tutti gli elementi per decidere se internalizzare o esternalizzare.
6. le relazioni tra impresa e mercato in funzione della dimensione aziendale
per definire la dimensione di un'impresa si usano vari parametri:
I parametri usati sono tutti tangibili, ma per far sviluppare la dimensione di un'azienda è fondamentale la dotazione di risorse intangibili. Questi fattori non vengono considerati perché l'analisi è statica, cioè si guarda l'impresa solo in un certo momento della sua vita.
Difficile è anche valutare la dimensione di reti d'imprese detenute dallo stesso soggetto economico, perché non basta fare la somma delle diverse imprese. A questo aggiungiamo le alleanze tra imprese, gli accordi di collaborazione e tutto ciò che può modificare i confini dell'impresa. In questi casi non importa quanto è grande l'impresa, ma che peso ha sul mercato.
Nessuno dei parametri è utile da solo, ma spesso vanno combinati e messi in relazione al settore di cui l'azienda fa parte. Così come distinguere tra piccola, media e grande impresa, non può essere fatto solo facendo riferimento al numero di persone che ne fanno parte, ma considerando il peso sul mercato e l'influenza. Un grande impresa influenza la domanda e il comportamento delle altre imprese e quindi controlla il mercato, una piccola non riesce a farlo e in questo senso una media è più vicino a una piccola.
7. l'evoluzione dei rapporti tra impresa, ambiente e mercato: il paradigma "struttura-condotta-risultati"
il rapporto impresa-ambiente è fondamentale per le scelte di quest'ultima in merito alle strategie da seguire, a seconda che sia influenzata o influenzi il mercato. Ne è influenzata quando ha dei vincoli che non può cambiare, lo influenza quando riesce a evitare o a modificare questi vincoli.
La vecchia teoria diceva che l'ambiente influiva sul comportamento dell'azienda e quindi sui risultati che conseguiva struttura-condotta-performance.
Oggi però gli studiosi contestano questa teoria perché, secondo loro, l'impresa produce degli output che influenzano il settore in cui si trova, cioè l'azienda è portata ad aumentare il suo potere sul mercato e quindi a creare una dominanza sull'ambiente. performance-condotta-struttura. In che modo? Le imprese competono tra di loro in modo continuo, perché ogni volta che il vantaggio di una viene raggiunto da un'altra, bisogna innovare di nuovo, e quindi le innovazioni non derivano dall'ambiente, ma dall'implementazione delle innovazioni già presenti. In pratica però, in medio stat virtus, perché è impensabile che l'impresa condizioni totalmente l'ambiente o ne sia totalmente condizionata. Anche una piccola impresa, infatti, riesce a dare dei piccoli output che le permettono di influenzare l'ambiente in cui opera. In questa situazione si capisce l'importanza della flessibilità, con cui l'impresa riesce di volta in volta a evitare i vincoli e a ritagliarsi l'ambiente competitivo migliore per lei.
8. la complessità dell'ambiente e la flessibilità d'impresa
perché l'ambiente è complesso? I mezzi permettono uno spostamento di persone, mezzi e informazioni in tempo quasi reale, è questo ha portato a una "compressione"dello spazio, perché la distanza è percepita sempre meno e del tempo, perché se la distanza è meno, ci metto meno tempo a trasmettere. In questo ambiente le imprese cercano nuovi equilibri.
La turbolenza è data anche dall'internazionalizzazione e dalla globalizzazione. Internazionalizzazione perché se le distanze non esistono più, le imprese devono confrontarsi con un mercato internazionale, a cui segue una concorrenza ancora più forte che non arriva solo dal settore, ma da un "settore allargato" mondiale.
Globalizzazione cioè un processo di convergenza di aspetti culturali, politici e economici, a livello mondiale. Non ci sono più tanti diversi, ma un calderone unico. A livello d'impresa, la concorrenza è più forte perché i concorrenti arrivano da tutto il mondo e la domanda è "omogenea", il che permette di standardizzare le politiche nei vari paesi. Quando si dice omogenea, s'intende che superando le barriere geografiche, il mercato diventerà caratterizzato da consumatori con caratteristiche simili anche se residenti in diversi paesi, e quindi le differenze tra i consumatori restano, ma si creano delle classi omogenee di consumatori di diversi paesi.
Quando si usa il termine impresa globale s'intende l'impresa che ottiene una posizione competitiva in un dato paese, a fronte della posizione che ha, a livello mondiale, in altri paesi. Un ambiente internazionale e globale amplia i confini di un settore e l'impresa che vi opera deve essere mobile per sopravvivere. Si può dire quindi che un'impresa che riesce a scegliersi un ambiente competitivo è indipendente dall'ambiente. Parlando di flessibilità ci si riferisce alla capacità dell'impresa di adattare le sue risorse alle condizioni esterne più idonee al suo sviluppo aziendale.
Capitolo 4. LE FUNZIONI DELL'IMPRESA E LE TEORIE SULLE FINALITà IMPRENDITORIALI
1.le funzioni dell'impresa
L'impresa è una realtà complessa e dato che è creata da uomini che si relazionano tra loro, intorno ad essa si sviluppano una serie di relazioni e per ogni persona coinvolta, l'impresa ha un ruolo e un significato diversi. Il successo o l'insuccesso di un'azienda dipendono quindi soprattutto dalla sua capacità di relazionarsi positivamente con i vari stakeholder. Per capire gli aspetti cooperativi-conflittuali tipici in un'impresa, bisogna capire perché i soggetti operano per raggiungere i risultati aziendali.
Partiamo dall'imprenditore, il più interessato, e individuiamo 3 modi di vedere l'azienda:
-organizzazione economica
-sistema sociale
-struttura patrimoniale
organizzazione economica: lo scopo è di soddisfare bisogni umani attraverso la trasformazione di risorse, che da sole non hanno alcuna utilità, in beni o servizi. Un'impresa, oltre a servire i suoi clienti, è di stimolo ad altre imprese e questo meccanismo fa si che anche la società si sviluppi di conseguenza.
Sistema sociale: l'impresa si basa sullo scambio e per "scambiare" bisogna attivare una relazione. I tipi di scambi che attua un'impresa sono diversi, dall'acquisto di risorse e vendita di prodotti, alla richiesta di lavoro, soldi ecc.
Struttura patrimoniale: l'impresa è un insieme di beni organizzato e retto per svolgere processi produttivi. Dato che l'impresa è gestita dall'imprenditore che vi mette, a suo rischio, le proprie capacità e un capitale per farla funzionare, essa deve generare, in risposta, un reddito.
Questo dimostra la molteplicità di funzioni che ha l'impresa.
Le funzioni sono legate tra loro in maniera complementare, perché solo se ognuna va bene, anche le altre possono svilupparsi (se per esempio non riesco a generare reddito e pagare i dipendenti, muoio), ma non solo, perché sono anche antagoniste perché privilegiare una vuol dire subordinare le altre a quella. A livello di importanza tra le funzioni non c'è una classifica generale che si può fare, perché dipende dal punto di vista, per l'imprenditore è generare reddito, per la forza lavoro è mantenere salda l'azienda ecc. Da un punto di vista sociale bisognerebbe salvaguardare prima gli interessi della collettività, poi a chi partecipa nell'azienda e solo alla fine l'imprenditore. Ma in caso di crisi si dovrebbe invertire la classifica.
2. le finalità dei comportamenti imprenditoriali
L'azienda è l'espressione della volontà imprenditoriale. I fini non sono dettati dall'azienda, che è una "cosa", ma da coloro che la governano e che vogliono attraverso la gestione, raggiungere determinati scopi. Da un punto di vista oggettivo è un'insieme di risorse, da un punto di vista soggettivo è uno strumento nelle mani dell'imprenditore.
Quando si parla di imprenditore chi s'intende? Le finalità di cui si discute sono quelle del soggetto economico, cioè chi materialmente controlla l'azienda, ma questo soggetto può essere pubblico, privato, diretto o delegato, come nel caso dei manager. A seconda del tipo di soggetto si osservano varie finalità.
3. un breve richiamo alle teorie classiche sulle finalità imprenditoriali
3.1 la teoria della massimizzazione del profitto
Introduzione varie teorie parlano del profitto.
Le 4 teorie in realtà possono essere considerate complementari, cioè è possibile vedere il profitto come un insieme composta da: compenso che spetta all'imprenditore, il premio a fronte del rischio che corre nell'investire, il premio per l'innovazione che riesce a creare e come reddito legato alla posizione di monopolio raggiunta.
L'esistenza dell'impresa è giustificata perché deve soddisfare dei bisogni umani, quella del profitto lo è per via del rischio che corre chi investe.
Il profitto come logica non può essere negato ed è indipendente dalla natura giuridica dell'azienda: essa può essere profit, no profit, privata, pubblica, inserita in un'economia privata o pubblica, ma opererà sempre per raggiungere un profitto, anche se nelle diverse soluzioni cambia il tipo di profitto che si cerca di ottenere.
Chi investe lo fa per ottenere qualcosa. (il fine della redditività si collega a qualsiasi processo d'investimento).
Massimizzazione: il gruppo imprenditoriale fa le sue scelte in modo da cercare di ottenere sempre il maggior divario possibile tra costi e ricavi, per massimizzare il profitto.
Dal lato pratico però questa teoria è debole perché non spiega realmente cosa vuole ottenere l'imprenditore, per esempio, quale profitto vuole massimizzare?quello dell'esercizio in corso, quello di due esercizi, quale? E ancora non dice se per ottenere il massimo del profitto è disposto a sostenere anche il rischio legatovi.
Per dare valore alla teoria bisogna aggiungere 2 variabili: tempo (time preference) e rischiosità (uncertainty conditions).
Che cosa massimizza davvero l'imprenditore? Massimizza il risultato della gestione nel lungo tempo, inteso come vita dell'azienda e non vita dell'imprenditore. Per questo alcune scelte che sembrano contrarie alla massimizzazione nel breve periodo si possono spiegare se si guarda a un periodo di tempo più lungo, in cui una perdita di oggi, può essere un guadagno in futuro.
Riguardo al rischio un'azione potrebbe essere intrapresa per ridurre il rischio di un'altra, per cui, per esempio, investire in un mercato estero può servire all'impresa per diversificare e compensare i rischi di gestione, e massimizzare quindi il profitto.
Cosa non va in questa teoria? L'incertezza fa si che non si raggiunga mai davvero il massimo profitto, e poi la massimizzazione non dà una risposta alle esigenze di tutti i soggetti con cui l'azienda ha dei rapporti. Quindi il profitto è di sicuro un obiettivo di fondo molto importante per l'imprenditore che sceglie di investire, ma non è l'unico.
3.2 la teoria dello sviluppo e della sopravvivenza aziendale
gli economisti sociali hanno criticato la massimizzazione per via dei cambiamenti nella proprietà e gestione dell'impresa. Per via di questo cambiamento chi è proprietario è interessato principalmente al profitto, ma chi gestisce l'azienda è più interessato alla sua sopravvivenza. La teoria della sopravvivenza afferma che il fine del gruppo imprenditoriale è la sopravvivenza aziendale. Il profitto diventa così solo un mezzo per irrobustire la struttura e farla perdurare e si cerca di scegliere le attività meno rischiose per non mettere in pericolo l'azienda.
Per capire se le scelte non pregiudicano la continuazione dell'attività, Drucker individua 5 fattori e misura quanto sono stati raggiunti. I fattori sono:
posizione nel mercato: rapporto forza-debolezza verso la concorrenza
innovazione: capacità di adeguare le tecnologie e i prodotti
risorse umane: professionalità del personale
risorse finanziarie: disponibilità dei mezzi da usare per finanziare l'investimento
redditività: fonte per sviluppare l'attività.
Lo scopo ultimo è non pregiudicare la continuazione dell'attività e produrre un reddito costante e stabile che permetta di evitare i rischi e autofinanziarsi. Se mi autofinanzio sono più indipendente dal capitale di terzi e quindi più autonomo.
3.3 la teoria della creazione e diffusione del valore
Creare valore interessa tutti i partecipanti, non solo l'imprenditore e i manager. La gestione, secondo questa teoria, dovrebbe preoccuparsi solo di far crescere il valore economico dell'impresa. Questa visione è orientata al futuro perché non è importante produrre adesso profitti, ma porre le basi per ottenere risultati sempre migliori.
La creazione del valore però non può restare isolata, perché questo valore deve essere trasferito sul mercato, cioè diffuso. Questa diffusione implica una trasformazione, per cui il valore economico viene tradotto in valore di mercato, attraverso il quale gli azionisti lo capiranno e decideranno se acquistarne o meno le azioni.
A questa teoria si collega l'idea di qualità totale, per cui tutti i processi sono accuratamente controllati per ottenere un miglioramento crescente che trasmette una buona immagine aziendale. La teoria della creazione e diffusione del valore è migliore di quella della massimizzazione perché, in primis, considera tutti i partecipanti, e poi è più facilmente misurabile economicamente.
Escludiamo quindi la teoria della creazione di valore azionario nordamericana, secondo cui si cercherebbe di attuare le scelte che massimizzano il valore azionario così che l'impresa ne ottenga un'immagine migliore e sia remunerativa per i proprietari. Questa teoria è valida in America, dove sono diffuse le public company, cioè aziende molto frazionate e gestite da un manager, e su calcoli precisi che si sviluppano nel breve termine, ma in altri contesti all'imprenditore interessa il profitto sul lungo termine piuttosto che la massimizzazione per gli azionisti.
3.4 la teoria manageriale dello sviluppo dimensionale
secondo questa teoria i manager sono più interessati all'espansione dell'impresa perché se si espande vuol dire che si irrobustisce, e quindi è più facile che sopravviva, diventa più forte rispetto alla concorrenza, e questo garantisce una redditività continua e spesso si alzano le retribuzioni della direzione. Quindi espandendosi si raggiungono nello stesso tempo obiettivi di stabilità, prestigio e miglioramento economico. Piuttosto che far crescere il profitto si mira a far crescere il volume d'affari, e quindi il fatturato. Il profitto serve solo a rinforzare lo sviluppo delle vendite nel lungo periodo. Ciò che è importante è trovare la combinazione tra prezzo e quantità di vendita che massimizzi il volume d'affari. Certo è che se massimizzo il profitto questo si riflette sul mio tasso di sviluppo, perché posso reinvestire nell'impresa parte dei profitti e autofinanziarmi, piuttosto ricorrere all'indebitamento. L'investitore sarà più portato a investire quando riuscirà a guadagnare abbastanza per autofinanziarsi. Quindi cresce il profitto, mi autofinanzio di più e posso fare più investimenti: questa è la cosiddetta crescita sostenibile.
Questo ci riporta a parlare di sistema di obiettivi, che bisogna ordinare in base all'importanza che viene loro data dall'imprenditore. Per capirla si dovrà trovare qual è l'obiettivo generale, cioè di lungo termine, a cui gli altri obiettivi sono subordinati. Chi sostiene la teoria della massimizzazione vede le vendite come un mezzo per raggiungere un profitto alto e viceversa per chi sostiene quella dell'espansione, per cui il profitto è il mezzo per raggiungere il fine.
4. una prima revisione delle teorie classiche: la teoria comportamentistica o dei limiti sociali alla massimizzazione del profitto.
Per trovare un equilibrio tra le aspirazioni dei vari gruppi che compongono l'azienda, si devono porre dei limiti nel scegliere le strategie e nel fissare gli obiettivi aziendali.
Ogni azienda è cooperativa perché composta da più gruppi, ma la sua vita è contrassegnata anche dai conflitti che si creano con i gruppi esterni (fornitori, concorrenza, clienti, ecc) e i gruppi interni (dirigenti, lavoratori, sindacati,ecc). ogni gruppo è portatore di interessi specifici e le motivazioni che spingono al conflitto sono diverse a seconda dei gruppi, mentre diversi sono i risultati del conflitto.
Nei conflitti esterni è più facile che l'impresa sfrutti la sua forza per imporre le proprie condizioni, perché ci sono meno vincoli, mentre nei conflitti interni, in teoria l'imprenditore può licenziare la causa del problema ma in realtà la tutela sindacale limita di molto la forza dell'imprenditore. Per capire come funziona l'impresa si dovrebbero capire bene i rapporti di cooperazione, conflitto e organizzazione, però per ora ci si limita a vedere come la situazione cooperativa conflittuale incide sul profitto. Cioè, si guarda come la contrapposizione d'interessi, e i relativi vincoli sociali, incide in termini di costi e ricavi sulla creazione di profitto.
I gruppi sociali con cui l'impresa ha dei rapporti sono:
-consumatori RICAVI
-concorrenti
-lavoratori
-fornitori COSTI
-distributori
-stato ┘
-soci PROFITTO
il contatto con l'azienda provoca una certa influenza sul profitto.
Partiamo dal presupposto che l'imprenditore vuole massimizzare il profitto e per farlo può o aumentare i ricavi o ridurre i costi. Per fare l'analisi si parte da questi punti: 1) il profitto non genera dividendi che vanno divisi, 2)l'imprenditore non promuove innovazioni sui prodotti, quindi il rapporto prodotto/mercato resta stabile, 3) l'impresa tratta un solo prodotto.
Poste queste basi se l'imprenditore vuole aumentare i ricavi può cercare di influire su 2 variabili: prezzo e quantità di beni.
Se aumenta il prezzo si scontra con i consumatori che quindi potrebbero rivolgersi a un concorrente o semplicemente non acquistare e in questo modo si ottiene una riduzione dei volumi di vendita. Quindi far leva sul prezzo è limitato dall'elasticità della domanda e dai concorrenti.
Se aumenta la quantità, e la domanda è sempre la stessa, vuol dire che andiamo a cercare di sottrarre quote alla concorrenza, che potrebbe non prenderla bene e adottare delle contromisure a scapito nostro e dei nostri ricavi.
A questo punto si dovrà agire sui costi. Ma anche qui ci sono dei problemi e le variabili su cui posso agire sono 2: abbasso il costo unitario o uso meno risorse.
Se abbasso il costo unitario devo ridurre gli stipendi, i prezzi pagati ai fornitori, i margini ai distributori, gli interessi ai finanziatori. Non posso cambiare le aliquote perché quelle sono statali e non ho potere di scelta.
Se uso meno risorse vuol dire che devo licenziare, acquistare meno risorse, fare meno finanziamenti. Ma è ovvio che non posso ridurre i prodotti che mando ai distributori o calerebbero i ricavi e non posso togliere reddito su cui pagare le tasse perché è illegale.
I vari gruppi sono in opposizione all'abbassamento del costo unitario e questo sembra non permettere all'imprenditore di ottenere vantaggi economici durevoli e consistenti.
Se incrementare il profitto comporta un aumento dei conflitti, come si può raggiungere questo scopo o difenderlo se aumentano i costi di gestione?
Si può uscire dal circolo vizioso cambiando i comportamenti, cioè facendo innovazione. Se sostengo costi di ricerca e sviluppo e costi organizzativi posso trovare nuove applicazioni delle tecnologie e nuovi modi per gestire l'azienda. A questi costi non corrisponde nessun gruppo sociale specifico, a meno che si considerino i dipendenti che svolgeranno queste ricerche, e quindi posso comprimerle senza difficoltà, ma comprimerli significa avere una redditività e produttività minori, perché con questi potevo svilupparmi. Nonostante questo, questi costi sono quelli che vengono tagliati più spesso, proprio perché tagliarli non comporta alcun conflitto.
Davanti a costi più alti per le voci di spesa, l'unica via percorribile sembra quella di aumentare il volume di attività e per farlo l'impresa deve trovare delle occasioni per espandersi nel suo mercato o in altri e quindi deve innovare.
Quanto detto porta a 3 conclusioni:
se non faccio innovazione difficilmente cambio l'equilibrio costi ricavi
per innovare devo sostenere dei costi di ricerca e sviluppo, che invece normalmente sono i primi a essere tagliati
il profitto è una quantità minima che risente delle crisi perché le altre grandezze economiche sono rigide e mancano i processi d'innovazione.
Si può concludere che il reddito è il risultato degli accordi di cooperazione e dei conflitti che si generano tra impresa e gruppi sociali e quindi non è determinabile unicamente dall'imprenditore. Cercare di massimizzare il profitto significa cercare di massimizzare il profitto condizionato.
La teoria dei limiti sociali fa ben capire la duplice natura dell'impresa, cioè una coalizione tra gruppi che collaborano e confliggono. La massimizzazione del profitto incontra due vincoli: sociali e di conoscenza dell'ambiente. L'imprenditore non ricerca quindi il massimo profitto, ma quello più soddisfacente.
L'imprenditore può avere delle finalità superiori alla creazione di profitto?
5. la teoria del successo sociale ed i rapporti con l'etica d'impresa
per analizzare questa teoria bisogna definire meglio il concetto di valore economico, cioè ampliarne il senso. Per capire cosa significa creare valore per un imprenditore bisognerà capire le motivazioni di fondo che lo spingono a investire e a creare un'impresa. L'imprenditore è mosso solo da fini economici o anche da fini "sociali" ?e come potrebbe coniugare questi due stimoli se sono presenti contemporaneamente? Per capire cosa spinge un individuo a investire si può richiamare la piramide dei bisogni di Maslow.
Secondo questa piramide si soddisfano in ordine bisogni di sopravvivenza, sicurezza, socialità, affermazione e autorealizzazione.
Applicando la piramide all'imprenditore si vede che questi cerca il successo e questo gli deriva dalla sopravvivenza all'impresa, trovando un equilibrio tra costi e ricavi, con la quale si afferma nella classe sociale, cioè nei confronti dei concorrenti e diventa più importante nella comunità. La novità è la natura delle motivazioni imprenditoriali, per cui l'aspetto economico diventa solo un mezzo per raggiungere obiettivi sociali e morali, proprio perché nell'impresa l'imprenditore traspone gran parte di sé. Le finalità imprenditoriali sarebbero di raggiungere il mix potere, prestigio e profitto (3P) e così attraverso il successo della sua azienda, anche l'imprenditore otterrebbe un successo sociale. In quest'ottica, potere di mercato e profitto sono dei mezzi per superare la concorrenza e raggiungere il prestigio, fine ultimo dell'imprenditore. La scalata sociale dell'imprenditore si baserebbe dunque sulla combinazione di valori etici ed economici e quindi se è importante essere riconosciuti nel mercato e nella società, ciò significa che i valori etici hanno un peso nelle scelte e nelle strategie che opero come imprenditore.
L'analisi fatta finora è vera soprattutto per l'imprenditore proprietario, che s'immedesima nella propria impresa mentre in una proprietà delegata, come nel caso dei manager, questa immedesimazione avviene in modi diversi. Per il manager raggiungere le 3P potrebbe essere solo un modo per spostarsi in imprese più grandi e migliori. Migliorare l'azienda non deriva da un rapporto stretto con essa, ma dall'interesse personale alla mobilità del manager, a cui l'impresa serve come strumento per dimostrare delle capacità.
Le motivazioni dell'imprenditore cambiano a seconda dell'impresa, dello stadio di crescita, del senso morale ecc.
in generale si possono distinguere 3 situazioni tipo nella moderna teoria delle finalità, a cui corrispondo diverse teorie:
In generale si può affermare che l'uomo non è insensibile al riconoscimento da parte dei suoi simili e quindi accetta sia le gratificazioni morali, sia quelle economiche. Chi è a capo di un'impresa deve riuscire ad essere attento a soddisfare gli interessi di tutti i partecipanti all'organizzazione, applicando alla gestione un codice etico. Essendoci interessi diversi, e quindi problemi morali a questi legati, la soluzione di questi problemi si rivela distintiva tra un'interpretazione classica della funzione aziendale e una superiore.
Parte seconda, il governo d'impresa
Capitolo 5. i protagonisti nella vita dell'impresa
1.la visione sociale dell'impresa
tra i soggetti che operano nell'impresa bisogna fare una distinzione tra quelli che si occupano della gestione, (organi di governo) e quelli che sono in posizione subordinata rispetto a questi, ma entrambi sono legati alla sopravvivenza aziendale.
L'evoluzione nella teoria è segnata dal passaggio dalla visione aziendale a quella sociale dell'impresa. L'impresa non può più essere rivolta solo a finalità imprenditoriali di profitto, è diventata un sistema si economico, ma anche sociale, perché coinvolge molti gruppi che ne influenzano la gestione e sono a loro volta influenzati da essa. La sua importanza sociale è legata alle ricadute delle azioni che modificano l'ambiente in cui opera, mentre quella economica è data dalla ricchezza che genera. I soggetti interessati sono sempre di più e compartecipano alla vita aziendale, mentre l'imprenditore, anche se resta in posizione dominante, assume di fatto un ruolo di coordinamento più che i guida.
Possiamo allora definire l'impresa come un'istituzione sociale a finalità plurime, in cui principi economici e sociali si mescolano fino a trovare un equilibrio che consenta all'impresa di sopravvivere nel lungo tempo.
2. le funzioni di governo nell'impresa: imprenditorialità e managerialità
la figura centrale nell'impresa resta l'imprenditore, perché è il soggetto economico che decide di rischiare i suoi capitali e usare le proprie capacità per produrre beni o servizi da cedere a terzi. La gestione può essere nelle mani dell'imprenditore proprietario, come accade spesso nel nostro Paese, o in quelle del manager. Si distinguono allora due funzioni di governo, quella imprenditoriale e quella manageriale.
Schumpeter si basa sulle innovazioni come focus dell'imprenditorialità, perchè solo l'imprenditore può essere interessato a promuovere un cambiamento.
Le caratteristiche (leadership, spirito d'iniziativa, capacità di previsione, intuito) dell'imprenditore fanno si che egli arrivi a valutare e decidere in modo diverso da chi opera con i suoi stessi obiettivi in situazioni simili, anche perché ha acceso a informazioni particolari cui gli altri non possono accedere.
Per cui imprenditorialità è l'attitudine a prendere decisioni anche rischiose per innovare i comportamenti dell'azienda, managerialità è sviluppare queste decisioni e metterle in pratica razionalmente. Uno decide l'altro deve saper mettere in pratica in modo razionale.
La dottrina anglosassone distingue invece tra imprenditore, colui che fa le scelte per accrescere il valore economico, e funzione amministrativa, che deve razionalizzare le risorse per evitare inefficienze.
A questo si collegano i concetti di efficienza e efficacia, che combinati fanno si che l'impresa abbia successo. L'efficacia è tipica dell'imprenditore che deve scegliere le decisioni migliori da prendere, mentre l'efficienza è tipica del manager, che a fronte delle scelte prese, deve trovare il modo migliore per attuarle, per ottenerne il massimo.
Efficacia→ imprenditore
Efficienza→ manager
Quello che si vede nella realtà è che le due funzioni non sono poi così distinte e l'attività di decisione è presa a tutti i livelli aziendali, anche se con modalità diverse. Ogni livello ha un margine di libertà entro cui prendere decisioni, ma la partecipazione alla presa di decisioni in merito a tutta l'impresa è in realtà limitata a un gruppo ridotto di persone.
Partendo da questa idea, si vede che nell'impresa ci sono due tipi di organi, quelli che decidono e quelli che eseguono le decisioni. Facendo una classificazione degli organi se ne individuano 3: deliberanti, esecutivi e di controllo.
I primi sono composti da coloro che prendono le decisioni, i secondi da coloro che le eseguono e i terzi da coloro che controllano la vicinanza tra esecuzione e decisione. In realtà questi organi non sono sempre divisi in maniera così netta nelle imprese, ma è utile fare questa distinzione a livello teorico, per capirne le diverse caratteristiche.
Deliberanti: prendono più decisioni rispetto agli altri, e hanno più potere discrezionale nel prendere queste decisioni, per cui le scelte che fanno riguardano tutta l'azienda, mentre gli esecutivi hanno un margine di scelta ridotto, relativo solo alla loro area di lavoro. Questo potere superiore fa si che le decisioni creino la "volontà aziendale". Questi organi sono costituiti dall'insieme di 3 organi: di proprietà (azionisti), amministrativi e di direzione, che anche se con competenze diverse, valutano insieme le decisioni da prendere. Proprio perché riflettono la volontà aziendale, sono al primo posto nella gerarchia degli organi. L'autorità da sola non è una condizione sufficiente per decidere, servono anche capacità di controllo delle operazioni, disponibilità di informazioni e abilità professionale: queste caratteristiche dovrebbero essere peculiari per una buona governance. Questi requisiti, al crescere della complessità ambientale e tecnologica, diventano sempre più importanti per prendere le decisioni migliori e quindi il potere non sarà più legato allo status dell'organizzazione, ma ai requisiti soggettivi necessari. Per esempio gli organi di staff, cioè di consulenza per quelli di line, che di solito non hanno potere decisionale, potrebbero, in base alle conoscenze possedute, arrivare ad averne.
3.la pluralità dei soggetti in relazione con l'impresa: la teoria degli stakeholder
come abbiamo detto l'impresa entra in contatto con molti gruppi sociali, i quali influenzano le politiche di gestione aziendale e ne sono a loro volta influenzati. Per questa reciproca influenza, questi gruppi diventano interlocutori dell'azienda e ognuno, nello scambio, ha degli interessi da difendere, per cui è detto stakeholder, cioè portatore d'interesse. Prima gli stakeholder erano solo i gruppi che avevno un interesse diretto nell'azienda, per esempio i lavoratori, che firmano un contratto e vogliono vederlo rispettato, ma proprio per l'ampliarsi dell'influenza aziendale sull'ambiente, oggi anche i gruppi con interessi indiretti vengono considerati stakeholder; caso tipico è dato dai gruppi ambientalisti, i cui interessi vanno considerati dall'impresa al momento di decidere.
Gli stakeholder possono essere divisi in primari e secondari: i primi incidono direttamente sulle scelte della gestione aziendale, i secondi incidono più sul clima sociale delle relazioni aziendali e quindi influenzano i comportamenti di lungo termine. Individuare vari tipi di stakeholder fa capire che a ognuno bisogna dare una risposta specifica in base all'interesse che ha, e dato che talvolta questi gruppi hanno interessi convergenti o contrapposti, chi decide deve tenere conto anche di questo.
Dato che i diversi interessi influenzano la gestione dell'impresa, compito dell'imprenditore diventa allora gestire i rapporti con i vari stakeholder e questo significa: 1) individuarli, 2) stabilire che peso hanno 3) valutare che interessi hanno 4) orientare la mission dell'impresa anche in base a loro. Tutto questo esalta ancora di più il ruolo dell'imprenditore, che deve farsi carico degli obiettivi da seguire e delle condizioni di sviluppo. Secondo la teoria degli stakeholder l'impresa si può definire come un'organizzazione economica, che, attraverso la combinazione delle risorse, produce e scambia beni e servizi con stakeholder interni e esterni. Tale scambio è fatto per generare e distribuire valore tra i diversi processi di scambio.
4.l'importanza, nel governo d'impresa, dell'individuazione e classificazione degli stakeholder
L'importanza degli stakeholder che influiscono su un'impresa varia a seconda dell'impresa, della struttura, del settore in cui opera ecc., così come in base al contesto ambientale che può a sua volta modificarsi nel tempo.
Per raggiungere il successo aziendale bisogna farsi alcune domande:
1)chi sono gli stakeholder con cui ho a che fare?
2)Che interessi hanno?
3)Sono un'opportunità per la mia impresa?
4)Che responsabilità ho verso di loro?
5)Come devo comportarmi (strategie e politiche) con loro?
Per rispondere a 1, individuarli, dovrò capire la forza, cioè quanto potere hanno nella società, l'attualità dell'interesse che difendono, e la legittimazione, cioè quanti gruppi sono d'accordo con loro e quindi ne legittimano le richieste. L'azione degli stakeholder cambia di continuo, perché cambiano i rapporti di forza, legittimazione e attualità.
Capire il comportamento di chi ho di fronte mi aiuta a definire in che modo comportarmi a mia volta, quindi gli stakeholder vengono divisi in 4 categorie a seconda del grado di collaborazione, contrasto o minaccia verso l'impresa. Ho quindi stakeholder:
-amichevoli (supportive) da cui ho un sostegno
-avversari (non supportive) generano difficoltà
-non orientati (mixed blessing) a seconda delle volte possono essere d'aiuto o d'ostacolo
-marginali, non hanno peso
a seconda del tipo di stakeholder con cui mi confronto adotterò:
-strategie di collaborazione con i supportive,
-ricerca di collaborazione con i non orientati
-di difesa con i non supportive,
-di monitoraggio con i marginali
è ovvio che questi stakeholder dovrebbero essere solo quelli secondari, perché i primari dovrebbero essere solo del genere supportive.
Gestire un'impresa considerando anche gli interessi degli stakeholder è più difficile che gestirla solo in funzione delle finalità dell'imprenditore, ma è sicuramente più proficuo. Il ruolo centrale è sempre dell'imprenditore che oltre a rapportarsi con gli stakeholder, deve mantenere un equilibrio generale che sia favorevole allo sviluppo aziendale.
La proprietà ha un ruolo problematico nella teoria degli stakeholder perché esiste una proprietà investitrice, l'imprenditore e il management. L'imprenditore cura il rapporto con gli stakeholder e quindi non è uno di loro. Ma nel caso in cui la proprietà è gestita da un manager, anche l'imprenditore diventa uno stakeholder. L'impresa deve remunerare i suoi investitori attraverso i dividendi. Questo comporta che esisteranno degli stakeholder con una retribuzione fissata da contratto, e altri che riceveranno solo ciò che resta del profitto dopo che questo è stato distribuito tra gli altri (azionisti). In realtà sappiamo benissimo che questa parte non può essere residuale, perché ne andrebbe della quotazione dell'impresa.
In quest'ottica s'inserisce la teoria dell'agenzia, per cui quando la gestione(principal) è affidata al management (agent), si crea una sorta di accordo tacito per cui ciò che viene distribuito non può essere residuale, ma deve essere massimizzato. Se ciò non accade l'impresa può decidere di licenziare il management o disinvestire. L'agent allora per assicurare una remunerazione alla proprietà, soddisfa prima gli altri stakeholder e poi può decidere di arrivare a distribuire non solo il reddito, cioè la ricchezza creata, ma anche parte del patrimonio, cioè quella accumulata, sacrificando magari obiettivi di lungo termine.
Capitolo 6. il processo di direzione e la funzione organizzativa
1. il processo di direzione aziendale
l'azienda diventa più grande, il rapporto con il mercato più difficile e la tecnologia si è diffua anche nei processi di gestione. Questo fa si che la direzione aziendale deve preoccuparsi, oltre che di dare ordini e farli eseguire, anche di partecipare attivamente alla formulazione di strategie e politiche di gestione. In che modo? Con un ciclo, detto ciclo di direzione, di azioni strettamente legate tra loro, che sono: programmazione (stabilisco obiettivi e modo in cui raggiungerli), organizzazione (decidere che esegue le decisioni), conduzione (dico come vanno fatte le cose e motivo a farle) e controllo (valutazione) della gestione.
A ognuna di queste fasi corrisponde una funzione di direzione, che però sono solo tratti di una funzione unica. Se per la funzione vendita e produzione servono persone specifiche con caratteristiche specifiche, per le funzioni direttive non esistono responsabili esclusivi, perché queste sono una suddivisione teorica, dei momenti, di compiti che svolge ogni dirigente. A questo ciclo di direzione corrisponde un ciclo informativo, perché per passare da una fase all'altra deve avvenire un passaggio d'informazioni. Dato che il ciclo termina con il controllo è proprio il passaggio d'informazioni dalla fase di controllo a quella nuova di programmazione che permette di ricominciare un nuovo ciclo.
2. la funzione organizzativa
l'impresa funziona in un sistema più ampio, detto macroambiente, in cui svolge a fa svolgere da altri varie funzioni. È una struttura composita, cioè fatta da persone e macchine e le sue parti (organi) devono essere organizzate per conseguire un fine comune. Organizzare vuol dire appunto ordinare un sistema in varie parti correlate e interdipendenti. Esistono 2 concetti teorici che parlano di organizzazione: 1), marshalliano, vede la funzione organizzativa come un'azione ordinata di tutti i fattori produttivi, materiali e immateriali dell'impresa. Ma mette insieme troppe cose. 2) più ristretto, immagina che questa funzione si occupi solo di ordinare il fattore umano. La premessa dell'ordinamento è creare una struttura di organi, cioè centri direzionali, di controllo e esecutivi, a ognuno dei quali va conferita una certa autorità e una responsabilità specifiche, chi dirige, chi controlla, chi esegue, chi informa, ecc. In base a questi poteri si dovranno definire come gli organi si relazionano tra loro per attuare la gestione. Lo scopo della funzione organizzativa è raggiungere l'efficienza dividendo, specializzando e organizzando le attività in un sistema. Facendo questo si attiva un processo sinergico per cui ogni elemento rende di più in rapporto agli altri di quanto non renderebbe da solo. Altro scopo è soddisfare le esigenze di coloro che lavorano nell'impresa, impiegandoli nel modo giusto e migliorando così il rendimento globale. (ti faccio lavorare meglio, sei più motivato, rendi di più). Lo studio dell'organizzazione può essere fatto da un pdv strutturale, cioè analizzo compiti, scelti dalla strategia e responsabilità, dei lavoratori, o da un pdv comportamentale, cioè i rapporti interpersonali di equilibrio e conflitto a fronte del funzionamento.
3.le scelte organizzative
progettare significa
1)fissare degli obiettivi da raggiungere in base ai quali fare scelte diverse.
2)Fissati gli obiettivi la prima scelta da fare è definire il confine efficiente, cioè fino a che punto mi conviene produrre all'interno o esternalizzare.
A seconda che si debba svolgere questo processo in un'azienda di nuova nascita o già esistente cambiano i vincoli a cui sono sottoposto. In una già esistente il vincolo è dato dal personale già presente, in una nuova il vincolo principale è la quantità di fondi a disposizione.
Se organizzo una nuova impresa i fattori che devo considerare sono:
che obiettivi ho e che strategia perseguo in un certo settore
quanti soldi ho a disposizione per organizzarmi?
Che risorse umane mi offre il mercato? E quante posso assumerne?
Altri vincoli che devo considerare,perché potrebbero sono:
-capacità professionali presenti sul mercato che posso acquisire
-investimento che posso sostenere
-costi fissi di lavoro che influiscono sulla mia rigidità
quando faccio delle scelte organizzative ci si imbatte sempre nel conflitto tra potenzialità, elasticità e economicità della struttura, se bilancio bene questi 3 fattori riuscirò a sfruttare al meglio tutti e 3, certo è che per essere elastico e sfruttare tutte le mie potenzialità sostengo dei costi e per questo devo mediare tutto con l'elasticità.
4.i modelli di struttura organizzativa
strutture molto piccole: forme di organizzazione molto semplici, l'imprenditore è la figura centrale, poca formalità, divisione del lavoro fatta per aree funzionali e i rapporti interpersonali sono forti e non codificati.
Quando il numero delle lavoratori in azienda cresce, la struttura tende a modificarsi, perché bisogna coordinare più persone e le funzioni, le divisioni e i poteri devono essere chiare a tutti.1) si stabilisce il vertice, 2) si segmentano i processi di gestione, dicendo a ognuno qual è il suo compito.
Per suddividere i compiti esistono 2 mezzi:
-per funzione, i compiti si aggregano e si affidano a un solo responsabile
-per divisione, i compiti si dividono per segmenti di gestione
modello funzionale: divisione per funzioni, cioè compiti complementari e interdipendenti rispetto a un fine. Per prima cosa bisogna definire le funzioni di vertice, che hanno carattere di
universalità, perché sono presenti in tutti i tipi di azienda simile
essenzialità, perché il loro compito è il compito principe dell'impresa
suddivisibilità, perché si possono dividere in linee generiche
impossibilità di aggregazione con altre funzioni
avremo per esempio la direzione marketing e all'interno altre sottofunzioni, ognuna con un responsabile. I compiti sono divisi in base alla loro natura e ogni area operativa ne svolge uno. Questa struttura risulta poco propensa all'innovazione, ha bisogno di meno coordinamento, è tipica di aziende poco diversificate.
Quando le aziende diventano più dinamiche si passerà al modello divisionale, in cui ogni divisione si occupa di un prodotto e all'interno della divisione ci si divide poi per funzioni. In questa struttura ogni divisione può essere percepita come un'azienda a sé e, quindi, come un centro di profitto nelle mani di un responsabile; in quanto centro di profitto dovrà sottostare a valutazioni di rendimento e di efficienza per come impiega le persone.
Da questa struttura è possibile arrivare alla cosiddetta multifunzionale, in cui alcune divisioni vengono staccate dalle altre diventando comuni, come la divisione finanza o gestione del personale, ma questo avviene solo se centralizzandole si ottengono maggiori benefici dalla loro specializzazione e un miglioramento generale per l'organizzazione. La multi divisionale pone l'attenzione ai risultati più che ai compiti e porta addirittura le divisioni a competere tra loro, con il rischio che configgano. Se le divisioni si staccassero, ottenendo più autonomia, arriveremmo all'organizzazione di gruppo, cioè una struttura holding, utile per governare attività molto differenziate, ma anche per dividere gli utile, pagando meno tasse, diversificare i rischi e avere più possibilità di ottenere finanziamenti, perché ognuna h diritto di farlo.
5.le strutture organizzative innovative: l'organizzazione per processi a rete
più l'ambiente diventa complesso, più l'azienda deve adattarsi, per cui organizzazione verrà sempre più destrutturata piuttosto che strutturata, e alcune funzioni vengono esternalizzate. Il nuovo tipo di organizzazione che emerge è quello per processi, in cui tutte le attività sono coordinate secondo obiettivi globali a cui tutte tendono.
Altro tipo di organizzazione è quella a rete, che porta a instaurare collaborazioni con i fornitori e i clienti. Importante in questa struttura sono i rapporti, cioè il modo in cui si decide di regolare alcune procedure, non si creano unità organizzative; in questo modo si lavoro più velocemente, con flessibilità e efficienza. Ovviamente perché questo sia possibile occorre che le informazioni circolino in fretta all'interno della rete.
Le strutture più flessibili sono quelle a progetto e a matrice. Quella a progetto è simile a quella funzionale, con la differenza che i gruppi si creano temporaneamente per portare a termine un progetto e poi si sciolgono. Quella a matrice è solo l'istituzionalizzazione di quella a progetto.
In quella a matrice ogni responsabile sottosta a un direttore di linea e a quello di prodotto nello stesso momento.
Altro fattore importante è la suddivisione dei poteri, più decentralizzo i poteri, più livelli gerarchici creo. Per consentire velocità e creatività molte imprese usano le strutture corte o appiattite, in cui i canali di comunicazione tra direttori e esecutori sono più corti e "parlano" meglio. L'ampiezza del controllo consiste invece nel definire quanto può essere grande un gruppo sotto uno stesso leader, per esempio se i compiti da svolgere sono facili, i subordinati sono maturi ed è facile comunicare, allora potrò ampliare il controllo, al contrario lo riduco.
6.la definizione delle procedure decisionali
per far funzionare il sistema bisogna definire le routine organizzative, cioè le procedure da svolgere; queste possono essere di 4 tipi:
-operative
-di controllo
- d'informazione
-decisionali
le procedure dicono anche come ci si deve comportare per svolgere un certo compito o risolvere un dato problema, diventando così delle regole da seguire. Regole che possono essere rappresentate in un flow chart, diagramma di flusso, che mi fa vedere l'iter dell'operazione e mostra i vari step da portare a termine, gli organi che sono interessati nella procedura e come s'integrano gli uni con gli altri. Quando le operazioni diventano molto più complesse il flow chart non basta più e si descrivono analiticamente le procedure.
7.lo sviluppo organizzativo e l'efficienza aziendale
l'efficienza dell'organizzazione è alla base dell'efficienza gestionale dell'azienda, ed è indipendente dalla dimensione, perché in qualunque caso è uno strumento per aumentare la produttività e usare meglio le risorse a disposizione. Questo è importante soprattutto quando la concorrenza diventa agguerrita e se non si riesce a combatterla sul fronte prezzi o pubblicità, bisognerà trovare altri modi per differenziarsi e far si che il proprio modo di organizzarsi non diventi d'intralcio all'azienda, per costi troppo alti, ma possa anzi essere un punto di vantaggio.
Capitolo 7. la programmazione aziendale
1.La funzione di programmazione aziendale
con la programmazione si vuole regolare il corso futuro della gestione. Programma vuol dire appunto scrivere prima, in greco, e in economia significa predeterminare degli obiettivi, politiche e attività da espletare in un certo periodo, di solito superiore a quello dell'esercizio in cui si programma. La differenza tra programmazione e previsione sta proprio in questo: la programmazione determina in anticipo cosa deve essere fatto, la previsione cerca di anticipare come potranno evolversi certi fattori. La programmazione si è quindi affermata in campo economico perché permette, attraverso lo studio di vari fattori, di determinare obiettivi da conseguire e attività per conseguirli.
Si ha quindi una prima fase in cui si redige un sistema di piani d'azione, in cui si specificano gli obiettivi da raggiungere, le politiche da adottare, i mezzi da usare (risorse) e le operazioni (attività) da svolgere in un certo tempo. La programmazione può essere fatta per tutta l'impresa o per singole funzioni o divisioni. Con la programmazione è possibile coordinare operazioni della gestione corrente, quindi gestire le risorse disponibili nel breve periodo, e innovare, cioè definire come usare meglio le risorse nel lungo periodo.
I piani d'azione possono essere strategici o operativi: strategico pone obiettivi di lungo termine, e quindi riguarda tutto il sistema, perché tutti devono seguire quegli obiettivi. Il piano strategico può essere diviso in piano di sviluppo, piano degli investimenti e piano organizzativo per quanto riguarda il lungo termine. Relativamente al medio termine si parla di piano operativo, perché devo sapere dove voglio arrivare per sapere come operare nell'esercizio corrente. L'idea è quella dello scorrimento, per cui ogni anno programmo per i prossimi 3, considerando che la programmazione dell'esercizio in corso è più dettagliata. Se programmo dal 2008 al 2010, il 2008 è molto dettagliato e gli altri meno. Finisce il 2008, dettaglio il 2009 e aggiungo la programmazione del 2011, così da avere sempre una programmazione che guarda in là di 3 anni.
2.il processo di costruzione dei piani aziendali
programmare, anche se poi applico la programmazione su diversi anni, significa determinare obiettivi da raggiungere e il modo in cui raggiungerli. Il tempo non viene calcolato in fase iniziale. Per programmare devo stabilire degli obiettivi e per farlo guardo il mercato o il settore in cui opero o vorrei operare. Se non prevedo come si evolverà il mercato, non posso decidere quale traguardo di crescita pormi, come voglio posizionarmi o che risorse usare nella gestione. Per raggiungere alcuni traguardi devo capire che possibilità ho di attuare diverse politiche, in termini di gestione (marketing, finanza ecc), e tutto questo dipende dalle risorse che posso usare. Un'impresa è naturalmente portata a massimizzare i suoi risultati entro i limiti che le derivano dall'ambiente in cui opera, analizzati con le previsioni, e dalla sua struttura, risorse, e per farlo stabilisce delle politiche che, a fronte di questi vincoli, le permettono di raggiungere gli obiettivi che si è posta. Le politiche che usa servono, da una parte, come guida per prendere delle decisioni, e dall'altra, come criteri massimi per svolgere le operazioni.
Il budget economico è il documento che scaturisce dalla programmazione e indica le scelte e le operazioni stabilite nel piano attraverso l'indicazione dei relativi costi e ricavi. A questo budget si collega quello finanziario, che mi dice gli usi e le fonti, e quello di cassa che governa il flusso di entrate e uscite.
Esiste poi il metodo della gap analysis, cioè analisi del divario, con cui si parte a programmare dalla fissazione degli obiettivi che l'azienda vuole raggiungere. Una volta posti gli obiettivi cerco di eliminare il divario tra i miei e quelli che normalmente si conseguono nel mercato.
Anche se non si usa questo metodo si capisce che la programmazione viene sempre fatta basandosi su quello che l'impresa vuole raggiungere e quello con cui si scontra e per decidere come comportarsi va per tentativi, principio di iteratività.
3.i problemi di previsione e la flessibilità dei piani
visto il modificarsi dell'ambiente, i piani devono essere flessibili per adattarsi. Questi piani si basano su una serie di premesse, legate alla previsione di come potranno svilupparsi alcuni fenomeni interessanti per l'azienda. Le premesse possono essere: non controllabili, perché l'azienda non può influirvi in alcun modo (aumento della popolazione per esempio), semicontrollabili, può influirvi solo un po' (tasso di turnover dei lavoratori), controllabili, le controlla perché dipendono da lei (ampliamento della gamma di vendita). Per le prima due l'azienda deve fare delle previsioni e questo ci fa capire che la previsione è essenziale per fare una programmazione mirata. Una volta definiti i piani questi però non sono vincolanti per l'impresa, che deve essere in grado di modificarli se cambiano le condizioni in cui erano stati creati.
4.la programmazione strategica e operativa
dati certi vincoli che e arrivano dall'interno e dall'esterno, l'impresa può decidere di programmare nel breve o nel lungo termine. Per operare ha bisogno di risorse, ovvero uomini, impianti e fondi. Per operare deve riuscire a rimuovere i vincoli. I vincoli sono diversi da settore a settore e anche da azienda ad azienda, ma resta comune la programmazione triennale, piuttosto che più lunga, perché l'ambiente, e soprattutto quello socio-politico, cambia troppo in fretta per poter decidere a priori come staranno le cose fra 5 anni. Questo è vero soprattutto per le grandi imprese che operano in più Paesi e l'ambiente in cui operano è molto più turbolento. Programmare oggi, significa soprattutto programmare gli imprevisti perché non c'è regolarità di sviluppo. La programmazione di lungo termine, in questo contesto, ha l'obiettivo di modificare il sistema di vincoli in cui opera l'impresa, mentre quella di breve termine adatta l'attività corrente ai vincoli interni e esterni, ed è quindi una programmazione di adattamento perché per modificare certi vincoli occorre tempo, e questo incide sull'uso di risorse, per cui proprio le risorse diventano il primo vincolo per realizzare le operazioni. La programmazione di breve sembra quindi una scomposizione di piani di medio e lungo periodo, adattati al breve, mentre quella di lungo non segue alcun disegno strategico di ampio respiro.
Capitolo 8. il processo di conduzione del personale e la leadership
1.la conduzione del fattore umano e i problemi di motivazione
quando si razionalizza un sistema bisogna fare attenzione anche ai cosiddetti problemi di guida, cioè il modo in cui la direzione si occupa della conduzione del personale. Saper gestire il personale è molto importante per chi dirige l'impresa. Bisogna capire chi serve davvero all'azienda, ma ancora non fa parte, e motivare le persone già presenti a raggiungere gli obiettivi posti dalla gestione. È ovvio che tra imprenditore e lavoratori ci sono interessi diversi, a volte contrapposti, l'imprenditore vuole ottenere il massimo rendimento rispetto ai costi che sostiene, salari, e il lavoratore vuole ottenere il massimo dal suo lavoro, stipendio.
Il conflitto avviene nel momento della stipula del contratto, che però è regolato più da enti nazionali e esterni che da imprenditore e lavoratore, e durante la fase operativa, cioè quando s'inizia a lavorare insieme.
Condurre significa ottenere il massimo del rendimento e dato che dirigere vuol dire far sì che altri realizzino, l'abilità di chi dirige sta nel raggiungere certi risultati operativi, ma soprattutto nell'instaurare un clima favorevole al raggiungimento degli stessi, cioè attuare vari stili di direzione. Prima l'uomo era considerato come uno strumento e quindi non si pensava di motivarlo o coinvolgerlo nelle scelte. Al cambiare della storia dell'organizzazione, il primo atteggiamento è quasi scomparso e si sono affermati gli altri due. A seconda di come viene considerata la persona adotterò uno stile direzionale adeguato, quindi ci sarà il passaggio da una direzione autoritaria, con forte controllo, gerarchia dei ruoli definita, a una direzione partecipativa, basata sul consenso, in cui è il lavoratore stesso che si autocontrolla, c'è meno gerarchia e si cerca di creare motivazione. Il lavoratore renderà di più se i suoi obiettivi coincidono con quelli aziendali, e questo principio, d'identificazione, è alla base della motivazione. Motivazione che può essere di due tipi: a partecipare, e quindi a far parte dell'organizzazione, e a produrre e quindi ad assicurare la produzione richiesta.
Una teoria molto importante per capire come cambia il comportamento di una persona, in funzione dei bisogna che deve soddisfare, è data dalla piramide dei bisogni di Maslow:
1)bisogni primari di sussistenza: cibo, casa, vestiti
2)bisogni di sicurezza: avere un posto di lavoro, avere protezione
3)bisogni di socialità: affetto
4)bisogni di stima: reputazione
5)bisogni di autorealizzazione: ottengo il meglio da me
questi bisogni vanno dal più importante al meno importante e appena raggiuntone uno, cercherò di soddisfare quello dopo. In un'azienda si vede che i primi devono essere soddisfatti attraverso stimoli economici, mentre via via che salgo nella piramide, preferirò avere stimoli psicologici, cioè gratificazioni morali.
Ci sono però alcune critiche che vanno fatte: 1)non è detto che per passare al bisogno successivo io abbia soddisfatto al 100% quello precedente. 2)Il soddisfacimento di uno o dell'altro varia in base alla persona, per cui magari ci sarà una persona che segue la piramide e una che prima di soddisfare il bisogno di sicurezza, preferisce soddisfare quello di socialità. 3) è possibile che attraverso le scelte di una persona si soddisfino contemporaneamente più bisogni.
Herzberg costruisce un modello teorico adatto all'impresa, individuando quei bisogni che sono tipici dei lavoratori: bisogni soddisfattivi, che una volta appagati, conducono all'azione e bisogni insoddisfattivi, che se non soddisfatti, portano alla frustrazione e quindi all'inazione.
Oggi un metodo molto usato per incentivare le persone è dato dalla partecipazione economica ai risultati d'impresa, per cui si lega una parte dello stipendio al raggiungimento di specifici risultati. Questo contribuisce ad aumentare lo spirito di gruppo e tende ad innalzare la produttività dei singoli. Per fare questa scelta bisogna però capire qual è la parte di rendimento che è influenzata da questi comportamenti. Per questo si è pensato di distinguere l'incentivazione in base al tipo di performance, se individuale o di gruppo, e in base al periodo, se breve o lungo. Da questi fattori scaturisce una matrice:
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Breve periodo |
Lungo periodo |
Performance individuale |
Aumenti salariali |
Piano di incentivi |
Performance di gruppo |
Gratifiche |
Stock option |
La stock option consiste nella possibilità di fissare un prezzo per l'acquisto futuro di un'azione dell'azienda per cui si lavora. In questo modo anche i lavoratori sono collegati al rischio d'impresa perché quelli che hanno options sono come tanti piccoli imprenditori.
La motivazione a partecipare è influenzata anche dal tipo di struttura in cui il lavoratore è inserito. In strutture snelle, o corte, che avvicinano i luoghi delle decisioni e favoriscono la comunicazione, così come in strutture che prevedono gruppi di lavoro integrati (a progetto), è più facile che il lavoratore si senta motivato, al di là degli incentivi economici.
2.gli stili di direzione
lo stile di direzione è il modello di governo dei rapporti di lavoro nell'organizzazione. Questo stile passa dall'essere autoritario a collaborativo. La scelta tra l'uno e l'altro è data:
-dal sistema dei valori di chi dirige
-dalle capacità dei subordinati
-dalle caratteristiche della situazione in cui si esercita la direzione
lo stile di direzione è sempre il risultato dell'interazione di questi 3 fattori.
Stile autoritario: le decisioni sono nelle mani di uno o di pochi e si attuano attraverso il comando e il controllo. Il rapporto è gerarchico: chi sta sopra comanda ed eventualmente punisce chi sta sotto.
Stile partecipativo: le decisioni vengono prese in modo comune, o almeno coinvolgendo i subordinati, i quali si autocontrollano e assumono responsabilità precise. Il "capo" non è più colui che ordina ma colui che coordina e guida, diventando così un leader.
Da cosa partono questi concetti così diversi? Secondo alcuni, esistono 2 teorie alla base di ciascuno: 1) si parte dall'idea che l'uomo detesta il lavoro e quindi lo fa ma non vuole prendere responsabilità in merito, quindi l'unico modo per farlo lavorare è il controllo e la minaccia.
l'uomo accetta il lavoro come un fatto naturale della propria vita e accetta delle responsabilità se queste gli permettono di soddisfare ulteriori bisogni. L'uomo si autodisciplina per questo. Le caratteristiche dei lavoratori non sono completamente sfruttate dall'azienda, anche se creatività, fantasia e capacità innovativa di ciascun potrebbero essere molto utili. In questo secondo caso, l'uomo non solo va motivato, ma è va valorizzato e coinvolto.
Applicare la teoria partecipativa, anche se allettante, non è sempre facile, perché per partecipare bisogna avere un buon livello minimo e un buon clima di collaborazione. Questo concetto è quello che sta alla base del principio del clan, per cui se in un gruppo si affermano dei valori condivisi verso gli obiettivi aziendali, non è più necessario un rapporto gerarchico.
Inoltre il solo rapporto gerarchico on è più pensabile in un'impresa che fonda il suo successo sul soddisfacimento degli interessi di tutti gli stakeholder che ne fanno parte.
Altro punto importante è la coerenza tra sistema premiante e premi effettivi, perché se restano solo teorici hanno un effetto negativo sulla motivazione e sulla presa di responsabilità.
Affinchè lo stile partecipativo abbia successo occorre ch il leader sia riconosciuto e seguito, così che i subalterni modifichino il loro comportamento in base a quello del leader. Il leader deve avere autorevolezza e creare motivazione, così da mantenere sempre al top la performance dei lavoratori, anche perché più il lavoro diventa un lavoro di cervello, più la leadership partecipativa essenziale, perché non ci sono cose da costruire, ma cose da pensare. Il leader deve essere in grado di creare spirito di gruppo, essere d'esempio, far capire e interiorizzare i valori dell'azienda. Il leader quindi non chiede solo di risolvere dei problemi, ma lancia sfide, voglia di competere e tensione ai risultati, tenendo sempre un occhio all'operatività, per cui sarà tanto più abile, quanto più riuscirà a realizzare velocemente le scelte e mantenere coeso il gruppo.
3.la motivazione del personale mediante l'analisi e l'arricchimento delle mansioni
oltre a creare spirito di gruppo bisogna valorizzare le risorse umane a disposizione, soprattutto visto che la mobilità interna e esterna è molto ridotta per condizionamenti vari, contratti nazionali e risorse a disposizione, per esempio.
Per questo la motivazione diventa sempre più centrale e si pone al centro del contratto psicologico, cioè il legame tra il lavoratore e l'azienda. Questo legame diventa produttivo quando ciò che il lavoratore è disposta a dare all'azienda, coincide con quanto l'azienda è disposta a ottenere. Per far sì che i due obiettivi coincidano, si deve agire anche sulle mansioni, analizzandole e valutandole. (job analysis). Attraverso la job analysis è possibile identificare le caratteristiche specifiche di ogni mansione, quindi ciò che si deve fare, conoscere e saper fare. Con questa descrizione è più facile selezionare le risorse che servono, capire cosa far fare a ognuno (attribuzione compiti), valutarne la prestazione e pianificare una carriera. Una volta definite le mansioni sarà possibile ampliarle, attraverso la possibilità di rotazione, job rotation, per cui il lavoratore lavora a più mansioni e in questo modo evita la monotonia e acquisisce competenze nuove; job enlargement, cioè l'estensione della mansione a una mansione con più responsabilità; infine job enrichment, per cui il lavoratore viene coinvolto anche nella fase decisionale e non solo in quella operativa, quest'ultimo rientra nella teoria partecipativa di cui si parlava.
Per finire si può dire che se incentivo a produrre, adotto stili di direzione appropriati e instauro un buon clima tra i lavoratori, facilito il compito di condurre il personale. Anche se i conflitti si generare per effetti di azioni interne e esterne, è possibile che questi rientrino più o meno velocemente a seconda dello stile direzionale adottato. La direzione partecipativa, che trasmette conoscenze, è più attenta ai problemi del lavoro e a smorzare i conflitti sembra essere la più adatta alle nuove esigenze di gestione del personale. Per fare questo occorrono dirigenti capaci che sappiano conciliare le necessità dell'impresa, sopravvivere nel tempo, con quelle degli uomini impiegati, che desiderano crescere professionalmente ed essere valorizzati. Un grande contributo arriva dal governo aziendale etico, perché solo diffondendo e creando valori eticamente corretti potrò dare una soluzione reale a problemi della conduzione delle risorse umane.
Capitolo 9. il controllo direzionale
1.la funzione di controllo direzionale
alla fine del ciclo di direzione si pone la funzione di controllo, che crea le premesse per iniziare un nuovo ciclo di attività. Il controllo sta tra il prendere delle decisioni e metterle in pratica, assicurando che le scelte fatte dalla direzione siano attuate correttamente dagli organi esecutivi. Questa operazione deve essere effettuata a tutti i livelli e in tutte e posizioni, ma non come attività di costrizione che disciplina l'azione delle persone, bensì come indirizzo da seguire nello svolgimento del lavoro. Con questo strumento quindi si individuano le inefficienze, per stimolare automaticamente gli interventi di correzione. Questo processo si articola in 4 momenti:
-prima dell'azione, antecedente: come forma di controllo per le azioni future. In questo senso è parte della programmazione. (analisi di mercato)
-durante l'azione, concomitante: per guidare l'azione verso ciò che è stato deciso. Analisi degli scostamenti tra obiettivi e prestazioni attuate
-dopo l'azione, susseguente: per valutare l'efficienza e l'efficacia della gestione e per indirizzare le scelte future. Determino indici e valori di efficienza
-in prospettiva, per cui attraverso il controllo strategico posso verificare la bontà delle scelte fatte.
2.il controllo concomitante e susseguente
questo tipo di controllo è operativo: procedura usata, durante le operazioni, per seguire gli sviluppi della gestione e garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati.
Ogni schema di controllo prevede 4 step:
1) fissazione degli obiettivi.
2)misurazione dei risultati.
3) analisi delle cause degli scostamenti.
4)interventi di correzione sugli scostamenti.
1)Fissare gli obiettivi è una fase delicata perché se questi non risultano chiari, sarà difficile, in fase di controllo, capire se questi sono stati raggiunti in modo efficace.
2)Per rilevare i risultati devo avere a disposizione un'organizzazione efficiente, che mi permetta di avere i dati sulle prestazioni in tempi ragionevoli. Per questo si usano spesso sistemi di reporting che permettono di far avere con regolarità i dati sui risultati ai dirigenti.
3)L'analisi causale deve dare informazioni sui motivi che hanno portato le deviazioni. Questa deve essere fatta in modo molto attento, perché in base a ciò che scopro, oriento i miei interventi.
4)Il controllo operativo, come completamento della programmazione deve assicurare l'equilibrio tra gli obiettivi raggiunti e le risorse usate. Gli interventi che vado ad operare possono essere o sulle prestazioni che ottengo con l'organizzazione, e quindi cercherò di riportare l'attività in linea con la programmazione, o sui piani d'azione, e quindi cambierò la programmazione per adeguarla alle mutate condizioni interne e esterne alla gestione.
I vari campi della gestione devono attivare un meccanismo di feedback, che permette di fornire, alla fine dell'operazione, un flusso d'informazioni sull'operazione stessa, e questo permette di regolare il funzionamento dei vari sistemi aziendali.
Una moderna conduzione aziendale è quella che attua la programmazione e il controllo operativo insieme creando una direzione per obiettivi e il controllo per risultati. Ogni responsabile ha un obiettivo da raggiungere e deve sorvegliarne il raggiungimento con un controllo concomitante e gli organi superiori intervengono solo per le eccezioni alle norme prestabilite. Per fare il controllo concomitante devo raffrontare i risultati economici raggiunti e quelli fissati dal budget aziendale e quindi diventa importante avere dei conti economici mensili ai quali rapportarsi. Allo stesso modo anche i budget finanziari e di cassa dovranno essere redatti in forma infrannuale. La funzione di controllo però va oltre quella del controllo concomitante, e deve occuparsi anche di valutare l'efficienze della gestione aziendale.
3.il controllo strategico o prospettico
primo limite: dato che il controllo è il completamento della programmazione, esso dipende dal tipo di programmazione svolta, così se essa ha analizzato piani di breve termine, il controllo non andrà oltre questo limite temporale, mentre se l'azienda ha fatto una programmazione strategica di lungo termine, anche il controllo sarà fatto sul lungo periodo.
Secondo limite: il controllo individua aree poco efficienti, ma non analizza la rispondenza tra il modello dell'organizzazione e un modello di riferimento o se le persone sono impiegate correttamente. Sarà quindi necessario un tipo di controllo detto globale, che basa la propria analisi sulla valutazione di diversi fattori:
Se passo dai controlli di congruenza a indagini sulla qualità delle risorse e dei manager, il controllo si amplia e diventa un controllo esterno e eccezionale.
Questo è un vero e proprio check up a cui l'azienda si sottopone, per controllare in maniera approfondita la sua struttura e il suo funzionamento, proprio come se fosse una persona, facendo in poche parole una valutazione e un'analisi dell'azienda nella sua globalità. Questo oltre che a mettere in evidenza problemi da risolvere per tornare allo stadio originale di efficienza, deve permettere di capire quali potenzialità non sono completamente sfruttate, per modificare il proprio equilibrio verso un equilibrio migliore.
4.l'organizzazione della funzione direzionale di controllo
il controllo è legato alla programmazione per 2 motivi: controllare se i piani formulati sono rispettati e orientare le scelte future di programmazione. Quindi solo con un buon controllo posso iniziare a usare forma più avanzate di governo aziendale.
La direzione ha, tra gli obiettivi fondamentali, quello di assicurare il giusto equilibrio tra creatività e conformità, cioè scegliendo i metodi di controllo adatti per ogni gestione e stabilendo l'autonomia di ciascuna ad adottare azioni correttive. Se i quadri dirigenti partecipano alla programmazione il problema è risolto.
Primo problema: nell'impresa moderna ogni scostamento dai piani significa non sfruttare appieno le risorse, ma oltre a cercare di evitare questa situazione, bisogna anche valorizzare le capacità d'iniziativa delle persone, così che restino sempre motivate e rendano. Per questo una soluzione positiva è lasciare ai responsabili di gestione un po' più di autonomia e potere nelle decisioni da prendere. Nella direzione per obiettivi e in quella del controllo dei risultati il controllare e il controllato vengono così a coincidere.
Altro problema: eccesso di controlli, che in questo modo diventano costosi e fanno perdere tempo. I controlli dovrebbero essere funzionali, cioè relativi solo agli aspetti più importanti della gestione per identificare in fretta inefficienze e problemi. L'efficacia del controllo si basa sulle fasi che lo precedono nel senso che, essendo un ciclo, il controllo prevede che prima ci sia stata un'organizzazione e una programmazione, mentre la programmazione prevede che ci sia stata prima un organizzazione e poi un controllo.
Ultimo problema è l'uso di tecniche e strumenti adeguati alle esigenze dell'azienda, così da evitare sprechi di risorse. Non sempre le tecniche e gli strumenti migliori rispondono in maniera adeguata alle necessità dell'azienda, magari perché mi danno più di quello che mi serve. In questo campo, bisogna sempre tenere bene a mente ch e le soluzioni da considerare devono sempre rispondere a un quesito: in base a quello che mi costa e che mi rende, questo investimento è adatto a me?
Capitolo 10. il sistema informativo aziendale e i problemi di knowledge management
1.il sistema informativo nell'organizzazione aziendale
le informazioni sono fondamentali per far funzionare correttamente un'azienda: per pianificare le attività, coordinarle, documentarle e valutarne le performance, assumere decisioni.
Avere informazioni puntuali e precise è sempre più importante in un ambiente in costante movimento come quello di oggi. Prima ho le informazioni, prima posso prendere decisioni adeguate e raggiungere risultati migliori, e questo è ancora più importante in un contesto in cui le conoscenze sono sempre più parcellizzate e le attività specializzate.
Ruolo critico è quindi il raccogliere le informazioni, elaborarle e farle circolare all'interno della struttura. Questo concerne quindi anche la comunicazione interna.
2.sistema direzionale e operativo
il vertice aziendale ha bisogno di informazioni diverse da quelle che servono alla base, uno avrà bisogno di informazioni di sintesi, aggregate, che gli permettano di avere un quadro generale, la base d'informazioni più dettagliate e analitiche. Il vertice sfrutta il S.I.D. sistemo informativo direzionale, la base usa il sistema operativo.
3.gli elementi costitutivi di un sistema informativo
un sistema informativo è dato da 4 elementi che servono a svolgere le attività di ricerca, elaborazione, scambio e archiviazione di dati, cioè:
dati
procedure
mezzi e strumenti
persone
1) i dati sono la materia prima, cioè la rappresentazione di un fenomeno e prendono forma in una informazione, a cui è associato un significato utile per il soggetto. (il prezzo di un articolo è un dato, la marca venduta più rapidamente è un'informazione che deriva dall'aggregazione di più dati). I dati sono l'input per produrre le informazioni, ed è quindi molto importante reperirli in modo corretto, capire quali servono, quando servono ecc.
I dati interni, provenienti dall'azienda, devono essere integrati con dati esterni, del sistema competitivo per costruire una buona base di dati. (internet è di grande aiuto per i dati esterni).
2) le procedure sono l'insieme di norme da seguire per: ottenere, elaborare e diffondere i dati.
Per realizzare questo processo, bisogna identificare le fonti da cui prendere i dati e definire chi e come dovrà occuparsi di questa raccolta, del caricamento e dell'elaborazione. Questa fase è caratterizzata anche dalla possibilità di produrre informazioni diverse a seconda dell'utente che me le richiede e di cosa necessita. Fondamentale è poi capire i tempi in cui questa informazione è necessaria per realizzare un sistema informativo appropriato. Se un'informazione arriva tardi può non essere più utilizzabile, così come se ne arrivano troppe tutte insieme (overload).
3) i mezzi tecnici. L'uso di tecnologie informatiche, come il computer, ha dato un forte contributo alla creazione dei sistemi informativi, permettendo di velocizzare, razionalizzare e automatizzare le varie attività. Avere dati disponibili sempre e in tempo reale non ha migliorato solo il sistema informativo, ma la performance del sistema in generale.
4) le persone. Il sistema informativo è trasversale a tutta l'impresa e coinvolge tutti gli utenti del sistema informativo, sia in modo attivo, perchè produce informazioni, sia passivo, perché le raccoglie. Prima i dati venivano raccolti e elaborati solo da alcuni reparti specializzati, gli EPD, electronic data processing, oggi invece tutti sono coinvolti nel processo, anche grazie a procedure dette online e real time che permettono di ottenere i dati direttamente dalla fonte.
4)sistema informativo direzionale e business intelligence
il sistema informativo aziendale può essere diviso in S.I.D. e in sistema operativo. I due sistemi interagiscono perché il SID elabora informazioni che servono al processo decisionale e a fissare gli obiettivi, per cui si decide, si comunica la decisione, la si attua, dalla fase di esecuzione, ritrasmettendo i dati, si passa al controllo e da qui a una nuova fase di processo decisionale. Quindi il SID sta sopra gli altri sistemi operativi e da loro riceve periodicamente dei dati.
SID: permette di produrre informazioni e conoscenze necessarie a supportare le attività di management di qualunque livello, quando queste sono attività di decisione e controllo, indipendentemente dal fatto che siano state predeterminate, strutturate o ripetitive.
Questo ci fa capire che il SID è utile
Alla base di tutto c'è il dato, da cui si desumono delle informazioni. Quindi alla base del SID ci sono sistemi che contengono dati elementari, sistemi alimentanti. Le informazioni che interessano si ottengono elaborando i dati, interni o esterni. Quelli interni si ottengono con dei sistemi operativi integrati, detti Erp, o sistemi dedicati alla gestione della relazione con il cliente, CRM, o altre applicazioni del web.
Questi dati elementari entrano nel Data warehouse, una specie di magazzino di dati di interesse direzionale, dove possono poi essere trattati usando software e applicazioni, che permettono di elaborare i dati a seconda dell'informazione che se ne vuole estrapolare. Questo processo può essere favorito dai sistemi di business intelligence che aiutano il management a ricercare le informazioni utili per capire cosa influisce sui fenomeni aziendali.
5.la programmazione del sistema informativo: obiettivi e criticità
per progettare il SID si parte dall'analisi di come si giunge a prendere una decisione (processo decisorio) e il modello di struttura dell'organizzazione. Per progettarlo bisogna individuare:
per prima cosa devo quindi capire chi prende le decisioni e di che informazioni ha bisogno per decidere. Per valutare questo aspetto si cerca di capire le specificità del processo di decisione e il comportamento degli utenti nel loro ambiente di lavoro. Bisogna quindi evitare di accettare qualunque richiesta senza considerare i vincoli di costo, perché potrebbe essere superflua per le reali esigenze d'azienda. Bisogna quindi capire quanto costa ottenere quell'informazione e quanto mi rende. Per fare questo si dovrà capire da dove si prendono i dati, le fonti, per capire se sono accessibili, di qualità, e esaustive per il mio interesse.
Fatto questo devo definire come si struttura il data warehouse.
Oltre a questo, mentre progetto, devo capire se la mia tecnologia verrà capita e supportata dalle persone, definendo per esempio, che conseguenze può avere sullo svolgimento del loro lavoro.
Le persone dovranno poi essere motivate a usare questo strumento, capendone l'utilità e quindi è importante capire:
E infine devo ottenere sponsorship dal vertice, perché solo se anche questo è coinvolto, posso sperare nel coinvolgimento degli altri.
6.dall'elaborazione delle informazioni alla gestione delle conoscenze: il knowledge management
il diffondersi di strumenti web based ha fatto capire sempre di più l'importanza di sistemi informativi per la gestione della conoscenza organizzativa, knowledge management.
Dall'informazione alla conoscenza
L'informazione deriva dall'interpretazioni dei dati in base a ciò che interessa a un soggetto. La conoscenza invece deriva dall'integrazione tra diverse informazioni. In poche parole la conoscenza è un sistema di informazioni organizzate, organizzate da una persona che realizza uno sforza cognitivo, pensa, mette a frutto le esperienze e ne rielabora il senso.
Le risorse immateriali diventano sempre più importanti per ottenere un vantaggio competitivo e quindi diventa fondamentale riuscire a far circolare le conoscenze che sono racchiuse nei singoli lavoratori e all'interno dell'impresa. È vero che l'impresa apprende (cioè modifica, aumenta le sue conoscenze) solo se gli individui apprendono a loro volta (learning orgnisation), ma questa conoscenza in più deve essere resa accessibile a coloro che non l'hanno generata distribuendola in base alle specifiche necessità. I processi aziendali potrebbero infatti migliorare se si riuscisse a capitalizzare la conoscenza che producono.
La conoscenza deriva dal mix di conoscenze esplicita, che può essere codificata, e conoscenza tacita, che risiede nella mente delle persone. Quest'ultimo tipo di conoscenza è quello più difficile da raggiungere e da far emergere. I sistemi informativi tendono a recuperare tutte queste conoscenze, e a farle parlare tra loro, così che dal confronto si generi altra conoscenza.
Il knowledge management è un approccio strategico che identifica nel capitale intellettuale la risorsa da gestire per migliorare le capacità d'azione di una persona e dell'impresa, così, gestendo correttamente la conoscenza, è possibile coglierne tutto il patrimonio informativo, non solo quello contenuto nei database, nei documenti e nelle procedure (conoscenze esplicita), ma anche quello presente nella mente di ciascun lavoratore, come somma di esperienze e competenze (conoscenza tacita). Molti investono in KM secondo linee di sviluppo:
L'ostacolo maggiore allo sviluppo del KM è di tipo culturale, è inutile investire in tecnologia se nell'organizzazione non se ne promuove l'uso attraverso una cultura partecipativa, volta al knowledge sharing. A volte poi il possesso di una conoscenza è considerato sinonimo di potere, perché chi lo possiede lo considera un vantaggio sugli altri e sull'ambiente ed è poco disposto a condividerlo, ma così non condivide neanche gli errori commessi, rischiando che altri li ricommettano. Per ovviare a questo problema, l'impresa deve valorizzare il KM, valorizzando prima i comportamenti partecipativi e creando un clima di rispetto e stima tra i lavoratori.
Capitolo 20. Le tecniche di programmazione e controllo
1.le tecniche di programmazione e controllo
L'obiettivo è capire i procedimenti che vengono realmente usati in azienda per capire come organizzare la gestione e valutarne l'efficacia.
2.la programmazione e il controllo della gestione finanziaria
una delle aree da controllare di più per capire come va la gestione è soprattutto quella finanziaria. Costruendo dei preventivi su come si muovono i fondi, posso capire il grado di solvibilità e liquidità dell'azienda. I documenti che mi servono per il controllo sono:
prospetto delle fonti e degli impieghi
prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio
quadro generale dei movimenti monetari
piano di cassa
prospetto delle fonti e degli impieghi
fa riferimento a un periodo di 2-3 anni. Riporta l'andamento dei flussi monetari indicando come vengono usati fonti e impieghi. Questo prospetto è utile per valutare l'equilibrio tra fabbisogno finanziario e fonti attivabili dall'impresa e per capire se è rispettato il principio di omogeneità tra i tipi di impieghi e di fonti usate.
Si divide in 2 parti, in alto si trova la valutazione dell'equilibrio e dell'omogeneità tra fonti e usi non correnti, in quella inferiore la stessa cosa relativa agli usi e fonti correnti.
Prospetto
FONTI E USI
Fonti della gestione, cioè il cash flow aziendale
Fonti correnti, cioè l'aumento dei debiti a breve
Usi correnti, finanziamento d'esercizio
= saldo finanziario, contrappone usi e fonti non correnti
fonti non correnti, cioè l'aumento dei debiti a medio e lungo termine
usi non correnti, cioè i processi di investimento, rimborso e dividendi
= saldo corrente, contrappone usi e fonti correnti e fa riferimento ai cicli di produzione, economico e finanziario
= saldo complessivo, somma i due saldi precedenti
con il prospetto posso individuare le alternative per coprire i flussi generatisi dagli usi, al fine di mantenere sempre l'equilibrio finanziario e rispettare il principio di omogeneità.
Se i saldi tendono a 0, la situazione è ottimale perché c'è equilibrio tra fonti e usi correnti e non e quindi l'omogeneità è rispettata.
Se è molto positivo ho un surplus che forse al momento è infruttifero e devo capire come farlo fruttare.
Se è negativo devo ridimensionare gli impieghi o coprirlo. Qualche volta il prospetto può essere negativo, ma magari è bilanciato da saldi molto positivi degli anni precedenti, che mi hanno portato ad avere molta liquidità.
Per redigere il prospetto bisogna considerare che alcuni usi non correnti sono obbligati, per esempio nel momento in cui devo saldare dei debiti a medio lungo termine, lo diventano, se devo rimodernare dei macchinari, oppure non sono così necessari, per esempio il rinnovo del parco macchine. Quindi dovrò distinguere gli usi a seconda del grado di indifferibilità.
Anche per gli usi correnti vale lo stesso principio, perché non tutti hanno gli stessi vincoli.
Oltre a programmare e capire se sono solvibile, devo analizzare la condizione di liquidità dell'azienda, per capire se potrò pagare i debiti che contraggo durante l'esercizio.
Per fare questo uso gli altri 3 documenti citati prima e in questo modo riesco a capire:
con il prospetto dei flussi monetari analizzo il saldo positivo, cioè le disponibilità e quello negativo, cioè il fabbisogno che derivano dalle operazioni che attuo nell'esercizio. Poi devo capire, con il quadro generale, i modi in cui copro o uso il fabbisogno e le disponibilità e con il piano di cassa analizzo le entrate e le uscite di brevissimo termine.
Prospetto dei flussi : cash flow
Questo prospetto permette di determinare il saldo positivo o negativo derivante dalle operazioni connesse con l'esercizio. Nel primo caso il prospetto indica la presenza di una disponibilità netta derivante dalle partite "correnti" di carattere commerciale-finanziario, nell'altro indica il sopravvenire di un fabbisogno netto
Questo saldo viene poi riportato nel quadro generale dei movimenti in cui spiego da cosa sono composte entrate e uscite.
Il piano di cassa è il cosiddetto budget, analizza i 2 documenti precedenti mese per mese, guardando il flusso delle entrate e delle uscite. Con questa operazione posso determinare un saldo monetario, capire se posso coprire saldi negativi che ho o usare meglio le mie risorse. La situazione di cassa e banca è il collegamento tra i due esercizi.
Quando considero entrate e uscite devo ricordare che le entrate possono essere certe, molto probabili e probabili, mentre le uscite possono essere fisse mensili, per esempio gli stipendi, periodiche, come l'IVA, o straordinarie, per esempio se licenzio qualcuno.
La situazione monetaria diventa difficile quando alla fine del periodo il saldo banche è maggiore di quanto ho ricevuto all'inizio.
La gestione finanziaria sarà quindi controllata con il piano di cassa e il prospetto delle fonti e degli impieghi.
Se compilo il piano finanziario, il prospetto e i preventivi di cassa, sarà più facile capire che tipi d'investimento fare, e quanto capitale lasciare corrente, in modo da avere sempre liquidità. Per questo la pianificazione finanziaria, anche se è specifica di una funzione della gestione, viene di solito presa come una dimensione generale della stessa.
3.la valutazione economico-finanziaria e strategica dei progetti d'investimento
quando un imprenditore o un manager decidono di fare un investimento, bisogna capire il prima possibile se sarà conveniente da un punto di vista economico.
Ci sono investimenti che sono indifferibili, cioè obbligatori, e altri opzionali, che andranno fatti solo dopo un'attenta valutazione.
Per fare questa valutazione posso:
-fissare degli standard a cui compararmi per capire se è accettabile investire
-comparare il progetto ad altre soluzioni, e fare quindi una lista di priorità
l'efficacia di un investimento è legata ai ritorni diretti e indiretti, tangibili e intangibili, per cui per capire il rendimento potrò valutare:
-ritorno economico (ricavi meno costi)
-vantaggi che l'investimento produce in altre aree dell'azienda
-ritorno non economico o di qualità, che può far crescere le mie risorse intangibili.
Oltre al metodo del payback period e della redditività attualizzata, dovrò quindi attuare altri tipi di valutazione.
Pay back period: periodo di recupero. Questo metodo mi fa capire quanto è rischioso un investimento perché mi dice quanto tempo passa tra il momento in cui inizio ad investire e il momento in cui rientro del capitale investito (inflow). Analizzando i tempi dei vari progetti posso definire una graduatoria di priorità degli impieghi. Per esempio se prevedo di rientrare con molto ma tra molti anni, potrei scegliere altri progetti, meno remunerativi, ma più vicini nel tempo. Questo mi fa capire che l'elemento determinante è il tempo di esposizione al rischio piuttosto che il rischio in sé ed è importante capire la velocità con cui riesco a rientrare e quanto mi ci vorrà per ottenerne un reddito accettabile.
Tasso di redditività attualizzato. Il denaro ha un valore che è stabilito in modo oggettivo dal mercato, attraverso il tasso d'interesse, e in modo soggettivo dall'investitore in base alla preferenza per disponibilità liquide. Questo valore tenderà a diminuire più la possibilità di averlo liquido si allontanerà nel tempo. (un euro oggi vale più di un euro tra un anno). Perché allora attualizzare? Per comparare più facilmente i progetti, perché li comparo in un unico momento storico. Questo mi permette di vedere se la redditività attualizzata è superiore al costo che sto sostenendo per realizzarla. Per fare questa operazione ho bisogno di due metodi: TIR e VAN.
TIR tasso interno di rendimento ottengo il tasso di attualizzazione che rende uguali i flussi di entrate e uscite. Trovato questo tasso potrò compararlo con quello che devo pagare per reperire i fondi e se il divario è positivo, allora è conveniente investire. TIR 9%, costo per acquisire i fondi 6%, investo, perché è più conveniente usare le mie risorse piuttosto che indebitarmi.
VAN valore attuale netto, immagino che il tasso di attualizzazione sia uguale al costo del capitale, così capisco se il mio investimento attuale è conveniente. Un VAN più alto mi fa capire che l'investimento è conveniente.
Con questi metodi matematici non ho una risposta per capire se è giusto fare l'investimento, ma piuttosto un'indicazione della priorità; infatti anche se ottengo risposte certe, non riesco a dire quale incidenza può avere quell'investimento su altre aree dell'azienda, per cui quell'investimento potrebbe essere utilissimo. Ogni investimento deve poi essere valutato anche in base al suo grado di flessibilità strategica. Cioè, mentre investo potrebbero presentarsi altre opportunità e queste saranno di più o di meno a seconda che io riesca a smobilitare il mio investimento.
Questa teoria è detta delle opzioni e ne individua 4:
-di sviluppo, cioè possibilità di crescita legate allo sviluppo dell'investimento
-di abbandono, possibilità di interrompere l'investimento se mi rendo conto che non è conveniente
-di differimento, possibilità di scegliere il tempo dell'investimento, senza che gli effetti siano influenzati dalla concorrenza (per esempio sfrutto un brevetto)
-di flessibilità, poter cambiare l'investimento in base ai cambiamenti dell'ambiente
4.la misurazione della potenzialità economico-strutturale mediante il diagramma di redditività (BEA)
la capacità di produrre reddito non deriva solo dai comportamenti attuati dall'impresa, ma anche dai vincoli esterni ai quali è sottoposta.
I vincoli interni sono dati da:
-capacità di produzione, (quanto posso fare)
-capacità finanziaria (quanto ho a disposizione)
-potenzialità economico-strutturale (rapporto tra costi fissi, costi variabili e ricavi)
il diagramma di redditività è quello che misura la potenzialità economico-strutturale e valuta come le scelte aziendali impattano sul rapporto costi-volumi-ricavi.
Per costruire il grafico devo rilevare (se voglio fare un'analisi consuntiva) o ipotizzare (se faccio un'analisi preventiva) i costi fissi, variabili e i ricavi.
I ricavi si trovano con la contabilità, mentre i costi si devono calcolare analizzando periodi di tempo di 5-10 anni, prima troverò i costi fissi, poi quelli variabili. Per costruire il grafico devo inserire poi un coefficiente di variabilità e un'unità di misura (per esempio quanto ho venduto), per capire se l'incidenza dei costi è rimasta uguale negli anni in base all'unità di misura che ho scelto. Quindi la potenzialità economico-strutturale si basa sulla variabilità dei costi piuttosto che su quanto ho venduto.
Quando ho costi e ricavi disegno il grafico, in cui individuo il punto di pareggio, break even point, cioè il punto in cui i costi e ricavi si eguagliano. Oltre questo punto avrò un ricavo, prima avrò una perdita. La differenza tra quanto produco e vendo e quanto mi serve per ottenere il pareggio è detto margine di sicurezza, se positivo e di deficit, se negativo. Grazie a questo punto riesco a dire, a seconda di dov'è posizionato, qual è la potenzialità economico-strutturale dell'impresa. Dato che divide la zona di perdita e quella di ricavo se ho più costi o meno ricavi si sposta verso destra, l'area delle perdite aumenta e diminuisce quella dei profitti e viceversa. Se l'area dei profitti aumenta ho una maggiore potenzialità economico-strutturale. Al punto di pareggio si collega il concetto di leva operativa, cioè il grado di sfruttamento dei costi fissi. Un'azienda con alti costi fissi in rapporti a quelli totali e ai ricavi ha una leva operativa alta, perchè all'aumentare della produzione il suo reddito cresce più in fretta rispetto a una con leva operativa più bassa. D'altra parte in questo modo la struttura è meno flessibile e più rischiosa. Più costi fissi ho e più devo produrre perché questi incidano meno sulle singole unità prodotte.
Il punto di pareggio può essere calcolato, per produzioni omogenee, partendo dall'equazione del profitto. Il punto di pareggio prevede che il profitto sia pari a 0 e quindi ho R x Q = Cf + ( Cv x Q ) da cui ottengo Q= Cf / R - Cv. R sono i ricavi, Cf i costi fissi, Cv i costi variabili, Q la quantità di vendita. In Q determinata così ho il punto di pareggio.
Se invece avessi il coefficiente della linea dei costi ( a), il costo complessivo x e i costi fissi k, partendo dall'equazione x=y, avrei questa formula: x=ay + k da cui deriva y=k/1-a
Questo grafico serve per valutare gli effetti delle scelte aziendali sul rapporto costi-vendite-ricavi e quindi è utile perchè a parità di reddito futuro e altre condizioni, l'azienda può capire quale comportamento migliora la sua potenzialità.
Questo grafico, anche se molto utile, si basa su 4 linee semplificatrici, che vanno considerate per ridimensionare il valore dello strumento.
1)i ricavi di vendita sono considerati proporzionali ai volumi venduti (vendo di più ricavo di più)
2)la produzione realizzata è sempre la stessa
3)i costi variabili sono proporzionali
ai volumi di vendita (se vendo o
produco
4)l'ambiente di riferimento è statico
5.le tecniche di programmazione e controllo delle scorte
altra area della gestione su cui soffermarsi è quella della logistica, cioè relativa alle scorte e al magazzino. Le scorte possono essere di materie, cioè quelle che mi servono per produrre, o di prodotti, finiti, semilavorati o in corso di produzione che devo vendere. Il problema è capire quando e quanto ordinare le materie che mi servono nella produzione.
Due diverse impostazioni di gestione della quantità di giacenze da tenere in magazzino:
1)dipende dai tempi di assorbimento dei materiali e dai tempi di riapprovigionamneto degli stessi.
- stock control cioè controllo il livello delle scorte senza considerare come cambiano i processi di produzione e vendita (scorte separate e ciclo di ordinazione).
2)dipende dall'andamento della domanda
-flow control cioè le scorte vengono determinate in base agli ordini di vendita da evadere. Da ciò deriva
il Material Requirements Planning (MRP), si cerca di far coincidere le scorte con il fabbisogno di breve periodo, in modo da ridurre le giacenze accumulate, per farlo si parte dall'ordine di vendita e si acquistano i materiali in base ai tempi di produzione dei prodotti ordinati,
e il Just-in-time per cui si cerca di ridurre a zero le giacenza per generare vantaggi economici e eliminare i rischi d'immobilizzo. Per farlo bisogna creare una rete molto efficiente con i fornitori e questo è possibile se si ha potere per imporsi sui fornitori. Il just in time rende fragile la lean production, ma permette di risparmiare sulle scorte, che altrimenti incidono molto sul prezzo.
5.1 le tecniche delle scorte separate e del ciclo di ordinazione
gestire le scorte di materie significa definire quanto e quando ordinare le materie base.
Tecnica delle scorte separate: tecnica a quantità fissa, determino quanto ordinare e il quando segue. Quando la scorta raggiunge un valore minimo, la riordino.
Tecnica del ciclo di ordinazione: tecnica a tempo fisso, determino quando ordino e il quanto segue. Decido quanto comprare alla fine di ogni ciclo produttivo in base alle scorte che ho via.
Scorte
separate:
definire il livello di riordino,
cioè la quantità che fa scattare il riordino. Questo livello dipende dal tempo guida, dato dalla somma del tempo
che ci vuole per ordinare, ricevere la merce e distribuirla. Se X usa
Decido allora di avere una scorta di 40 e quindi fisso il livello a 80, così quando lo stock arriva a 80, il sistema riordina la merce. questo metodo prevede un controllo continuo.
Determinato il livello di riordino, devo vedere quanto ordinare, cercando di definire una quantità ottimale, cioè il lotto con cui il costo di gestione complessivo è minimizzato. Questo costo deriva dal costo di mantenimento e dal costo di ordinazione, cioè tutte le spese che sostengo per ordinare, tranne il costo reale dell'oggetto richiesto. Attraverso una serie di calcoli posso dire che i due costi variano al variare della quantità: all'aumentare della quantità ordinata, scende il costo di ordinazione e sale il costo di mantenimento. In realtà questa soluzione è un po' semplificata perché parte dal presupposto che i costi per la conservazione cambino solo al cambiare della quantità di scorte. È anche da considerare che più acquisto più potrei avere costi di trasporto e di acquisto più bassi e questi fattori possono portare a fare scelte diverse.
Ciclo di ordinazione si parla di scorta ottimale perché la quantità cambia di volta in volta, mentre resta ferma la quantità di stock da avere all'inizio di ogni periodo.
Dato che i prodotti da stoccare sono molti e diversi, alcuni hanno più valore di altri e quindi andranno stoccati in modo diverso. La gestione delle giacenze è fatta in modo selettivo e questo metodo è detto ABC, cioè i prodotti sono divisi in prodotti A che hanno più valore per l'impresa, prodotti B che hanno valore, ma meno rispetto agli A e prodotti C che sono meno necessari. A e B di solito vengono gestiti con il metodo delle scorte separate, mentre per C si uso il ciclo di ordinaz. Altri criteri per distinguere i prodotti e le scorte è la valutazione dell'essenzialità dei materiali, la difficoltà di reperirli e la variabilità dell'offerta nel tempo.
5.2 la gestione delle scorte di prodotti finiti
il rischio di avere in magazzino prodotti e non materie è diverso ma lo stesso importante. Avere pochi prodotti può voler dire perdere una vendita se il cliente non è disposto ad accettare e la disponibilità all'attesa è fortemente condizionata dalla brand loyalty del cliente.
I rischi legati ai prodotti possono essere legati alla deperibilità del prodotto stesso, sia fisica (per esempio uno yogurt), sia tecnica (un computer), per cui il prodotto diventa inutilizzabile e dal fatto che una materia ha un valore più basso di un prodotto finito e quindi è meno rischioso stoccarla e costa di meno in termini di oneri di custodia.
Si cercherà quindi di lavorare molto su commessa e usando un network telematico si cercherà di far partire la produzione appena si riceve l'ordine, facendo attenzione a mantenere il tempo d'attesa molto basso, così che il cliente decida di aspettare.
5.3 la misurazione dell'efficienza della gestione delle scorte e del magazzino
avere un magazzino significa avere una parte del capitale immobilizzato e quindi una situazione finanziaria meno elastica. Si fanno delle misurazioni proprio per capire come migliorare il rendimento di questi investimenti e per trovare metodo di gestione più efficienti, cioè riducendo i costi. L'indice con cui valuto l'efficienza sulle scorte è il tasso di rotazione, dato dal rapporto tra materiale uscito dal magazzino in un certo lasso di tempo e giacenza media nello stesso periodo.
Tasso di rotazione uscite di magazzino
Rimanenze
Ottengo un risultato che mi dice in media dopo quanto si è rinnovato il magazzino. Più questo indice è elevato meglio è stato gestito il magazzino perché vuol dire o che sono usciti più materiali o che è diminuita la giacenza media.
Calcolare il tasso di rotazione mi permette di capire la velocità di assorbimento dei prodotti immessi sul mercato e quindi l'andamento della domanda e se la mia rotazione è in linea con gli anni precedenti o con la concorrenza posso pensare a scelte alternative di produzione o vendita.
Vista la difficoltà nel calcolare l'indice considerando i prezzi, sarà meglio usare solo quantità fisiche, che mi dicono comunque quante volte si rinnova il magazzino in un lasso di tempo. Può essere infine utile capire:1) quanto incide il magazzino sul costo di produzione, rapportando il costo del magazzino con il costo di produzione e 2) quanto incide lo stesso costo su ogni singola unità prodotta rapportando il costo di magazzino con la giacenza media.
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