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SOCIETA' DI PERSONE

giurisprudenza



SOCIETA' DI PERSONE


Uno dei caratteri distintivi delle società personali, rispetto alle società di capitali, è rappresentato proprio dal fatto che per le obbligazioni sociali risponde, in primo luogo, la società con il suo patrimonio, che costituisce garanzia primaria per i creditori sociali, ma rispondono altresì i soci, illimitatamente responsabili. A seconda dei diversi tipi di società, poi, questa responsabilità sussidiaria dei soci si atteggia in maniera leggermente diversa.

La responsabilità primaria, per le obbligazioni sociali, è il patrimonio della società.

Cos'è questo patrimonio della società?

Il patrimonio sociale non è altro che l'insieme, almeno nel momento iniziale della società, dei conferimenti effettuati dai soci: il patrimonio sociale si costituisce mediante i conferimenti che i soci si obbligano a fare sottoscrivendo il contratto sociale. Questi confer 848e42i imenti possono avere per oggetto qualsiasi bene o servizio, o comunque qualsiasi entità che sia suscettibile di valutazione economica e, nello stesso tempo, sia strettamente funzionale ed utile al raggiungimento dell'oggetto sociale.

Mentre nelle società di capitali i conferimenti possono essere rappresentati solo da denaro, nelle società di persone i conferimenti possono avere per oggetto, oltre che denaro, anche beni materiali ed immateriali, beni mobili ed immobili, prestazioni d'opera (cosa che non può essere nelle società di capitali).



Nelle società di persone può costituire oggetto di conferimento la responsabilità patrimoniale illimitata del singolo socio?

Una parte della dottrina ha ritenuto di sì, cioè che potesse costituire oggetto di conferimento anche la responsabilità illimitata del singolo socio.

Questa teoria, però, è stata criticata da molti autori (compreso Campobasso) i quali hanno osservato che la responsabilità patrimoniale illimitata del socio non può essere oggetto di conferimento, in quanto è semplicemente una conseguenza dell'acquisto della qualità di socio di società personale.

Un particolare oggetto di conferimento, che troviamo solo nelle società di persone, è la prestazione d'opera: nelle società di persone è contemplata l'esistenza di soci d'opera, cioè di soci che si impegnano ad espletare la propria attività lavorativa a favore della società. I soci d'opera, però, non sono in alcun modo da confondere o da parificare ai lavoratori dipendenti: la posizione del socio d'opera non è quella del lavoratore dipendente, perciò il socio d'opera non ha in alcun modo diritto al trattamento economico, né previdenziale, che è proprio dei lavoratori dipendenti.

Il socio d'opera si limita ad obbligarsi a prestare la propria opera e la remunerazione dell'opera che egli presta è esclusivamente rappresentata da una partecipazione alla ripartizione degli utili, se ed in quanto utili vi siano: il prestatore d'opera si assume, al pari degli altri soci, il rischio di non vedere remunerata la sua attività lavorativa.

Anche nei confronti del socio d'opera verrà stabilita una percentuale di partecipazione agli utili: nel caso in cui questa percentuale non sia stabilita nel contratto sociale, potrà essere determinata in via equitativa dal giudice.

Altro aspetto particolare a proposito del conferimento dei soci d'opera: il socio d'opera, in sede di liquidazione della società, avrà diritto a partecipare alla ripartizione del residuo attivo, dopo che saranno stati rimborsati gli altri conferimenti al loro valore nominale.


L'insieme di questi conferimenti costituisce il patrimonio iniziale della società. Il patrimonio della società (garanzia primaria per i creditori sociali) nel suo momento iniziale consta solo di attività e coincide con la somma dei conferimenti.

Non appena la società inizia la sua attività, il patrimonio sociale non rimane più lo stesso, nel senso che la composizione del patrimonio sociale assume subito una connotazione diversa: il patrimonio sociale sarà formato via via dai rapporti giuridici attivi e dai rapporti giuridici passivi che fanno capo alla società in un certo momento.

Quindi, il patrimonio sociale è un'entità che è in continua mutazione e movimento, la cui consistenza dovrà essere accertata annualmente attraverso il bilancio di esercizio.

Il bilancio di esercizio è quello che ogni anno darà alla società la "fotografia" di quella che è la situazione patrimoniale della società in quel certo periodo.

Il patrimonio sociale ha anche un'altra importante funzione, strumentale: il patrimonio è lo strumento economico che serve alla società per esercitare l'attività di impresa che costituisce l'oggetto sociale.

Quindi:


Funzione strumentale

PATRIMONIO SOCIALE:

Funzione di garanzia



Dal concetto di patrimonio, dobbiamo tenere assolutamente distinto il concetto di capitale sociale.

Mentre il patrimonio è l'insieme dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società in un certo momento, ed è un'entità in continuo e costante mutamento, il capitale sociale è un valore numerico e astratto che rappresenta semplicemente il valore in denaro dei conferimenti iniziali.

Il patrimonio è un'entità in continua evoluzione e in continuo mutamento, il capitale è un dato fisso, perché rappresenta il valore in denaro dei conferimenti al momento in cui sono stati eseguiti, nel momento iniziale della società.

Il capitale può subire delle modificazioni, sia aumenti che riduzioni, però tutto questo comporta una modifica dell'atto costitutivo.

Qual è la funzione del capitale sociale?

Anche il capitale ha più di una funzione:

Funzione vincolistica = il capitale, col suo valore, ha la funzione di individuare quella frazione di attività patrimoniali che rappresentano appunto il valore iniziale dei conferimenti e che non possono mai essere distribuiti ai soci sotto forma di utili, sennò ci sarebbe via via un rimborso di conferimenti. Quando si dice che il capitale ha una funzione vincolistica, significa che il capitale serve per vincolare una certa parte di attività patrimoniali, per far sì che quelle attività patrimoniali che sono rappresentate dai conferimenti e che hanno un vincolo di destinazione ben preciso, che è quello di essere il costante strumento per il perseguimento dell'oggetto sociale, non possa mai essere distratto dalla sua funzione, non possa mai essere restituito ai soci sotto forma di utile. Questo è anche il motivo per cui il capitale sociale risulta nel bilancio al passivo e non all'attivo: deve tenere bloccata una corrispondente quota di attivo per evitare che quelli che sono i conferimenti originali vengano poi rimborsati e distribuiti ai soci sotto forma di distribuzione degli utili.

Funzione organizzativa = la funzione di individuare quello che è l'utile distribuibile, cioè di far emergere l'utile, o l'eventuale perdita, d'esercizio: se le attività superano le passività, più il capitale, allora emerge l'utile da distribuire; se le passività superano le attività, più il capitale, allora si avrà la perdita di esercizio.

Vediamo che nel codice civile il termine "capitale" non lo si trova menzionato per quello che riguarda la società semplice (s.s.), mentre lo troviamo per quello che riguarda la società in nome collettivo (s.n.c.) e la società in accomandita semplice (s.a.s.).

Nella s.s., che pure costituisce il modello legale delle società di persone, non troviamo menzionato il termine capitale, perché la s.s. è il tipo di società destinato all'esercizio di attività non commerciali, cioè all'esercizio di attività agricole, che non avendo l'obbligo di tenuta delle scritture contabili, il concetto di capitale, che è un concetto prevalentemente contabile, non emerge da queste norme.

Mentre nella s.n.c. si fa riferimento al concetto di capitale sociale: precisamente, agli 2303 e 2306, oltre che all'articolo 2295, sull'atto costitutivo della s.n.c.

ART. 2303 = Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente. = Se la perdita è tale per cui questa ha intaccato anche una parte del capitale, allora questo, nelle società di persone, non rende obbligatoria la riduzione del capitale, ma comporta semplicemente il fatto che ai soci non possono essere più distribuiti utili, fino a quando le perdite di capitale non siano ripianate.

ART. 2306 = contempla l'ipotesi per cui i soci decidano loro, a prescindere dal fatto che ci siano delle perdite, di ridurre il capitale, perché questo può dipendere dal fatto che i soci decidano di smobilizzare un po' di capitale. In questo caso, se i soci deliberano di rimborsarsi una parte di conferimenti, lo possono fare, ma c'è bisogno della non opposizione dei creditori sociali, i quali possono opporsi alla riduzione del capitale.


L'individuazione dei due concetti, di patrimonio e di capitale sociale, ci porta ad affrontare anche il discorso della partecipazione agli utili e alle perdite della società.

Abbiamo detto che una delle funzioni del capitale sociale è quella di far emergere un utile, se c'è stato: se al momento del bilancio di esercizio, risulta un residuo attivo, allora questo attivo è ripartibile fra i soci sotto forma di utile.

Nelle società di persone esiste un vero e proprio diritto all'utile da parte dei soci, cosa che è diversamente regolamentata nelle società di capitali.

Cosa vuole dire che esiste un diritto all'utile del socio?

Vuole dire che, se ed in quanto un utile emerga dal bilancio, il socio ha diritto a percepire la distribuzione di quell'utile secondo certe proporzioni.

Questo diritto, che è un diritto intangibile nelle società di persone, non è così perfetto nelle società di capitali, perché mentre nelle società di persone questo diritto non è rinunciabile da parte della maggioranza, nelle società di capitali questo diritto dipende dalla volontà della maggioranza, perché la maggioranza in sede assembleare può anche decidere di non distribuire gli utili che emergono dal bilancio, ma ad esempio di accantonarli in tutto o in parte a scopo di autofinanziamento.

Questo diritto agli utili, che nelle società di capitali è strettamente commisurato alla quota di capitale sottoscritto, nelle società di persone non è strettamente proporzionale alla quota di capitale sottoscritto, nel senso che, nel contratto sociale, può essere sancito l'accordo che la partecipazione agli utili o alle perdite di alcuni di questi soci non è strettamente proporzionale al conferimento effettuato, con il solo limite del "divieto del patto leonino".

ESEMPIO: In una s.n.c. ci sono 4 soci. Per avviare la società c'è bisogno di un capitale di 100 milioni e ciascun socio si impegna a conferire un quarto del capitale necessario, cioè 25 milioni. Però, in sede di contratto sociale, si può stabilire che al socio A, che è quello che ha preso l'iniziativa, o quello che per le sue qualità personali sarà quello che si impegnerà di più nello svolgimento, può essere stabilito che a questo socio A competa non il 25% della partecipazione agli utili, ma il 40%, e che gli altri tre soci partecipino ciascuno al 20%.

Quello della determinazione della quota di partecipazione agli utili è un aspetto della disciplina delle società personali che è lasciato alla discrezionalità e alla piena autonomia contrattuale dei soci: comunque i soci si mettano d'accordo va bene.

L'unico limite che c'è a questa autonomia contrattuale è costituito dal divieto del patto leonino:

ART. 2265 = E' nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.

Quello della determinazione della quota di partecipazione agli utili è un fatto molto importante nelle società di persone, non solo sotto il profilo strettamente patrimoniale, ma anche il profilo della gestione amministrativa della società, perché ogni qualvolta che nella società di persone si debba prendere una decisione a maggioranza, questa maggioranza verrà calcolata sulla base della quota di partecipazione agli utili. Quindi, la quota di partecipazione agli utili è fondamentale non solo sotto il profilo patrimoniale, ma determina anche il peso decisionale che un socio ha all'interno della società, perché quando si tratterà di votare, il suo voto peserà in funzione della quota di partecipazione agli utili.

Mentre la partecipazione agli utili è scandita annualmente, nel senso che ogni anno, man mano che maturano questi utili, il socio ha diritto a percepire questi utili; la partecipazione alle perdite emerge nelle, società di persone, solo in sede di liquidazione della società, quando i liquidatori, una volta liquidato tutto l'attivo, si rendono conto che l'attivo che hanno messo insieme non è sufficiente a pagare i creditori sociali, allora a questo punto possono chiedere ai soci, in proporzione alla loro partecipazione alle perdite, di fornire i mezzi necessari per potere pagare i creditori sociali.




RESPONSABILITA' PATRIMONIALE CHE GRAVA SUI SOCI


Nelle società di persone i creditori sono sussidiariamente garantiti anche dai soci illimitatamente responsabili.

ART. 2267 - I creditori della società possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci.

La responsabilità della società e la responsabilità dei soci non sono sullo stesso piano, nel senso che la responsabilità dei soci illimitatamente responsabili si pone su un piano di sussidiarietà, rispetto alla responsabilità della società col proprio patrimonio.

Questa sussidiarietà si esprime nel cosiddetto BENEFICIO DI ESCUSSIONE, cioè nella possibilità per il socio che viene escusso dal creditore sociale di pretendere che lo stesso creditore cerchi prima di soddisfarsi sul patrimonio sociale, poi, solo se ed in quanto questo sia insufficiente, di rivolgersi a lui per essere pagato.

Questo beneficio di escussione opera diversamente nei diversi tipi di società di persone, in relazione al diverso grado di autonomia patrimoniale di cui godono queste società.

Cos'è l'autonomia patrimoniale?

L'autonomia patrimoniale può essere definita come il grado di separatezza e di reciproca insensibilità che esiste tra il patrimonio sociale, da una parte, e i patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili, dall'altra parte.

Nelle società di capitali l'autonomia patrimoniale è perfetta, cioè c'è una perfetta separazione e insensibilità tra il patrimonio della società, che è il solo destinato al soddisfacimento dei creditori sociali, e il patrimonio dei singoli soci, che non possono essere aggrediti dai creditori sociali e che non possono essere destinati al soddisfacimento dei loro creditori personali.

Le società di persone, non essendo queste dotate di personalità giuridica, ma munite di soggettività giuridica, sono caratterizzate da un'autonomia patrimoniale imperfetta: i creditori sociali possono aggredire il patrimonio personale dei singoli soci, ma i creditori personali dei singoli soci possono, quando ricorrono certe circostanze, aggredire il patrimonio della società (sensibilità reciproca).

Vediamo però che, sebbene l'autonomia patrimoniale delle società di persone è imperfetta, all'interno di queste società ci sono delle differenze, quindi un maggiore o minore grado di autonomia patrimoniale, a seconda che si tratti di società di tipo commerciale (s.n.c - s.a.s.) e di società di tipo non commerciale (s.s.): la società semplice ha un grado di autonomia patrimoniale ancora più basso rispetto a quello della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice, che godono di un grado di autonomia patrimoniale, pure imperfetto rispetto alle società di capitali, ma sempre maggiore rispetto alla società semplice.

Da questo maggiore o minore grado dell'autonomia patrimoniale dipende una diversa disciplina e un diverso modo di porsi del beneficio di escussione.

Nella società semplice i creditori sociali possono rivolgersi indifferentemente, per il soddisfacimento dei loro crediti, o alla società o al singolo socio: il socio che viene escusso (richiesto del pagamento) ha un beneficio di escussione che opera solo in via di eccezione, nel senso che può evitare di pagare personalmente, quindi pretendere che il creditore si rivolga alla società, soltanto se è in grado di indicare i beni del patrimonio sociale sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi, cioè i beni che siano di pronta esigibilità.

Nella società in nome collettivo e in accomandita semplice (regolari), siccome queste società sono caratterizzate da una maggiore autonomia patrimoniale, il legislatore ha previsto che il beneficio di escussione operi ex lege: necessariamente i creditori sociali devono prima escutere il patrimonio della società; poi, solo se ed in quanto il patrimonio della società sia insufficiente, possono rivolgersi ai soci personalmente per essere pagati.

Il maggiore o minore grado di autonomia patrimoniale si riflette anche su quelli che sono i poteri del creditore particolare del socio: così come i creditori sociali possono aggredire il patrimonio personale dei soci, il creditore particolare del socio può aggredire, sulla base di certi presupposti, il patrimonio della società.

Anche in questo caso bisogna distinguere tra la disciplina della società semplice e la disciplina della società in nome collettivo e in accomandita semplice.

Il creditore particolare del socio di società semplice può, quando il restante patrimonio del socio non sia sufficiente a soddisfare le sue ragioni creditorie, può soddisfarsi sugli utili che competono al socio, può compiere atti conservativi sulla quota, ma se tutto questo non basta può chiedere alla società una liquidazione della quota del socio suo debitore, e la società è tenuto a farlo.

ART. 2270 - Il creditore particolare del socio, finché dura la società, può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione.

Se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, il creditore particolare del socio può inoltre chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore. La quota deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento della società. = Il patrimonio sociale si trova esposto al rischio che può derivare dalla richiesta della liquidazione della quota proveniente del creditore particolare del socio.

Nella società in nome collettivo e in accomandita semplice il patrimonio della società è più salvaguardato rispetto alle istanze del creditore particolare del socio, il quale non può chiedere la liquidazione della quota del socio suo debitore in qualsiasi momento, ma può soddisfarsi solo in sede finale, cioè quando la società si scioglie.

ART. 2305 = Il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore.

(vedi pag. 89 - vol. II - Campobasso).


La responsabilità dei soci di società personale è, di regola, una responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali. E' una responsabilità sussidiaria, nel senso che la responsabilità dei soci non è sullo stesso piano della società con il suo patrimonio.

La regola è che tutti i soci siano illimitatamente responsabili, sia quelli che hanno agito in nome e per conto della società (cioè come rappresentanti della società), sia tutti gli altri soci.

Questa regola, può però subire delle eccezioni o delle deroghe: questo avviene nella società semplice, nella quale tutti i soci sono illimitatamente responsabili, salvo patto contrario. Nella società semplice è ammessa la possibilità di inserire nel contratto sociale un patto con il quale si dice che determinati soci non sono illimitatamente responsabili, ma sono limitatamente responsabili alle somme conferite.

Il fatto di godere di una responsabilità limitata ha delle conseguenze fondamentali, prima fra tutte l'esclusione dall'amministrazione della società: un socio di società semplice che gode di un patto di limitazione della responsabilità è un socio che non sarà mai socio amministratore.

Mentre nella società semplice è possibile introdurre un patto di limitazione della responsabilità a favore di uno o più soci (che perché possa essere reso opponibile ai terzi, occorre che questo patto sia portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei), nella società in nome collettivo non è ammissibile nessun patto di limitazione della responsabilità a favore di uno o più soci: nella società in nome collettivo tutti i soci sono per legge illimitatamente responsabili. Se eventualmente nel contratto sociale fosse contenuto un patto limitativo della responsabilità, questo potrebbe avere solo ed esclusivamente una valenza interna fra i soci.

Nella società in accomandita semplice esistono due categorie di soci: soci accomandatari (illimitatamente responsabili, quindi sono gli unici che possono amministrare la società) e soci accomandanti (limitatamente responsabili, sono esclusi dall'amministrazione della società).



RESPONSABILITA' DEL SOCIO USCENTE Il socio che esce dalla società continua a rispondere illimitatamente nei confronti dei terzi di tutte le obbligazioni sociali sorte prima della sua uscita dalla società.


RESPONSABILITA' DEL SOCIO NUOVO Il socio che entra in una società di persone, quando questa è già costituita, risponde personalmente, solidalmente ed illimitatamente, insieme agli altri soci, di tutte le obbligazioni della società, anche di quelle che sono state assunte prima.


Sempre a proposito della responsabilità patrimoniale dei soci, bisogna precisare che il socio che è costretto a pagare un debito della società, ha diritto di regresso nei confronti del patrimonio della società: nel caso che il patrimonio della società sia incapiente, ha diritto di regresso nei confronti degli altri soci, nella misura a ciascuno spettante nelle perdite.





AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETA'


Un altro principio tipizzante delle società di persone è quello secondo il quale ciascun socio illimitatamente responsabile è anche socio amministratore e ha il potere di rappresentanza della società.

ART. 2257 - Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri.

Se l'amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all'operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta.





AMMINISTRAZIONE DISGIUNTIVA




Questo è il modello legale, stabilito dal legislatore, che si applica ogni qualvolta le parti non abbiano diversamente pattuito, oppure non hanno detto niente a proposito dell'amministrazione.

L'amministrazione, allora, compete a tutti i soci illimitatamente responsabili, disgiuntamente tra di loro.

In cosa consiste l'amministrazione disgiuntiva?

Ciascun socio amministratore può intraprendere, autonomamente e senza dover consultare nessuno, qualunque atto di gestione che lui ritenga opportuno o utile per la società.

Il legislatore ha però creato un correttivo a questa amministrazione disgiuntiva, cioè il potere di opposizione che compete a ciascuno degli altri soci amministratori: fino a quando l'atto non sia concluso, ciascun altro socio amministratore che non condivida quel determinato atto, può fare opposizione all'atto deciso dall'altro amministratore e su questa opposizione decide la maggioranza dei soci, amministratori e non, calcolata sulla quota di partecipazione agli utili.



ART. 2258 - Se l'amministrazione spetta congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. .





AMMINISTRAZIONE CONGIUNTIVA





Il legislatore ha previsto la possibilità che i soci prevedano nel contratto sociale una forma di amministrazione diversa.

L'amministrazione congiunta, se non è detto niente in proposito, deve essere fatta all'unanimità e comporta che ciascun atto di amministrazione debba essere compiuto con il consenso unanime di tutti i soci. Ma anche qui il legislatore lascia ampia autonomia contrattuale alle parti: le parti potrebbero anche prevedere, nel contratto sociale, che l'amministrazione debba essere fatta congiuntivamente, ma a maggioranza e non più all'unanimità. Ogni qualvolta si sceglie il sistema di amministrazione congiunta, i singoli amministratori non possono compiere nessun atto da soli. Tuttavia, il singolo amministratore può compiere legittimamente anche da solo quegli atti urgenti, quando ci sia la necessità di evitare un danno alla società.


Amministrazione disgiunta e amministrazione congiunta possono essere combinate insieme: i soci possono decidere che, per le operazioni particolarmente importanti, ad esempio che comportano spese superiori a £. 500 milioni, vale l'amministrazione congiunta; per quelle che comportano spese inferiori a £. 500 milioni vale l'amministrazione disgiunta.





RAPPRESENTANZA


Ciascun socio illimitatamente responsabile è anche socio amministratore ed ha la rappresentanza della società.

Abbiamo appena visto l'amministrazione interna, cioè quella che è definibile come esercizio del potere di gestione (momento decisionale delle operazioni di gestione).

Vediamo ora l'amministrazione esterna, cioè la rappresentanza.

Il potere di rappresentanza è il potere di agire in nome e per conto di un soggetto acquistando diritti e assumendo obbligazioni che si concretizzano in capo al soggetto rappresentato e, in questo caso, in capo alla società.

Il potere di rappresentanza costituisce la fase di attuazione delle operazioni di gestione che vengono decise dagli amministratori.

La rappresentanza è disciplinata, secondo il modello previsto dal codice, allo stesso modo dei poteri di amministrazione, nel senso che, se nulla di diverso è previsto dal contratto sociale, se c'è un'amministrazione disgiunta, anche la rappresentanza sarà disgiunta; se c'è un'amministrazione congiunta, anche la rappresentanza sarà congiunta.

La rappresentanza spetta, inoltre, a tutti i soci amministratori ed ha la stessa estensione del potere di amministrazione: la rappresentanza si estende a tutti gli atti che rientrano nell'esercizio dell'oggetto sociale.

ART. 2266 - La società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi.

In mancanza di diversa disposizione del contratto, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale.

(quando parliamo di rappresentanza intendiamo sia la rappresentanza sostanziale, sia la rappresentanza processuale).

Però i soci possono derogare a questo modello: possono stabilire che soltanto ad alcuni soci amministratori compete il potere di firma, così come possono stabilire che pur essendo un'amministrazione congiunta, il potere di firma sia disgiunto. In questo modo le operazioni dovrebbero essere decise da tutti i soci amministratori, all'unanimità o a maggioranza secondo quanto si è previsto nel contratto sociale, ma il potere di firma potrebbe essere attribuito anche ad uno solo di questi.

Il potere di rappresentanza è il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale. Però, nel contratto sociale di società di persone si possono prevedere dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori.

L'aspetto più interessante di questi limiti all'estensione del potere di rappresentanza degli amministratori sta nella opponibilità di questi limiti ai terzi.

Nella società semplice eventuali limiti al potere di rappresentanza dei soci amministratori, che siano contenuti nel contratto sociale, sono sempre opponibili ai terzi, perché in questo caso vale la regola di carattere generale, per cui chiunque tratti con un soggetto che sia rappresentante di un altro soggetto, ha l'onere di accertare i poteri di rappresentanza del rappresentato (ART. 1393 - il terzo che contratta con il rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da un atto scritto, che gliene dia una copia da lui firmata). Quindi, se ci sono dei limiti originari, cioè contenuti nel contratto sociale, la società non deve fare nulla per portare a conoscenza dei terzi questi limiti: saranno invece i terzi che dovranno accollarsi l'onere di andare a verificare i poteri di rappresentanza del socio amministratore che dichiara di agire in nome e per conto della società. Se questi limiti vengono modificati nel corso di vita della società, per essere opponibili ai terzi, devono essere portati a conoscenza dei terzi con mezzi idonei: questa volta è la società che deve farsi carico di portare a conoscenza dei terzi queste modificazioni sopravvenute, successive ai poteri di rappresentanza degli amministratori.

Nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice (regolari) se ci sono delle limitazioni ai poteri di rappresentanza degli amministratori, siano esse originarie, siano esse successive, questi per essere opponibili ai terzi devono essere iscritti nel registro delle imprese.

Nelle società irregolari (non iscritte nel registro delle imprese), si applica di solito la disciplina della società semplice, ma in questo caso vi è un'eccezione: il legislatore ha previsto che chiunque agisca in nome e per contro di una società in nome collettivo o in accomandita semplice, irregolari, si presume abbia i poteri di rappresentanza. La società irregolare, quindi, non potrà mai opporre ai terzi eventuali superamenti o violazioni dei limiti dei poteri di rappresentanza da parte degli amministratori.





POTERI DI AMMINISTRAZIONE


Principio generale delle società di persone è quello in base al quale il potere di amministrazione è strettamente legato alla qualità di socio illimitatamente responsabile.

Questo non esclude che i soci, nel contratto sociale, decidano di riservare il potere di amministrazione ad alcuni soltanto dei soci illimitatamente responsabili.

Questo si può fare nel contratto sociale, oppure, senza contratto sociale, i soci possono stabilire che il potere di amministrazione spetti, anziché a tutti i soci illimitatamente responsabili, soltanto ad alcuni di essi e questi vengano nominati con atto separato e non nel contratto sociale. Se gli amministratori vengono nominati nel contratto sociale, anche la loro revoca, oltre che deve essere fatta per giusta causa, comporta una modifica del contratto sociale, quindi deve essere fatta secondo le regole delle modifiche del contratto sociale: le modifiche del contratto sociale, nelle società di persone, devono sempre essere fatte all'unanimità, salvo che sia diversamente pattuito nel contratto sociale. Se la nomina viene fatta per atto separato si applicano le regole sul mandato collettivo - ART. 2259/2° c. - L'amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul mandato. La revoca del mandato collettivo deve essere fatto all'unanimità: quindi, nel caso in cui l'amministratore sia nominato con atto separato, la sua eventuale revoca può essere fatta anche se non sussiste una giusta causa (anche se in questo caso avrebbe poi diritto al risarcimento del danno), però deve essere fatta all'unanimità. Su questo punto, però, non c'è uniformità di opinioni in dottrina e in giurisprudenza: infatti, alcuni autori (anche Campobasso) ritengono che nel caso della revoca dell'amministratore nominato con atto separato, non si applichi la norma sul mandato collettivo, che presuppone la revoca all'unanimità, ma si possa fare a maggioranza.

In ogni caso, ART. 2259/u.c. - La revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da ciascun socio. = quando c'è una giusta causa di revoca, sia che l'amministratore sia stato nominato nel contratto sociale, sia che sia stato nominato con atto separato, ciascun socio individualmente può chiedere la revoca giudiziale di quell'amministratore. (es.: una giusta causa di revoca dell'amministratore si può avere quando questi viene meno agli obblighi cui è tenuto: comportarsi secondo la diligenza del buon mandatario, adempiere a tutti gli obblighi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, dovere di correttezza, ecc.).

ART. 2260 - I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato.

Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso al società per l'adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa.

In che condizione si trovano questi soci illimitatamente responsabili che hanno rinunciato a favore di altri al proprio potere di amministrazione?

Si trovano in una condizione abbastanza rischiosa, perché la loro responsabilità continua ad essere illimitata, quindi loro continuano a rispondere illimitatamente e solidalmente con tutto il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali, però in realtà il potere di gestione della società è lasciato in mano a pochi.

Questo è possibile nelle società di persone, però il legislatore ha anche previsto che nel caso in cui il potere di amministrazione spetti ad alcuni soltanto dei soci illimitatamente responsabili, quei soci illimitatamente responsabili che si sono autoesclusi dal potere di amministrazione, hanno però un penetrante potere di sorveglianza e di controllo sull'operato dei soci amministratori.

ART. 2261 = I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, di consultare i documenti relativi all'amministrazione e di ottenere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società sono stati compiuti.

Se il compimento degli affari sociali dura oltre un anno, i soci hanno diritto di avere il rendiconto dell'amministrazione al termine di ogni anno, salvo che il contratto stabilisca un termine diverso.

Questa cosa è del tutto peculiare e particolare delle società di persone.

I soci non amministratori possono avere il potere di impartire delle direttive vincolanti agli amministratori?

L'opinione prevalente è nel senso negativo. Si esclude che, almeno i singoli soci non amministratori possano dare direttive vincolanti, perché si dice che se il singolo socio non amministratore non può fare opposizione alle operazioni intraprese da un socio amministratore, a maggior ragione non potrà mai impartire delle direttive vincolanti.

Altri, invece, ritengono che quello che non può fare il singolo socio, possa fare la maggioranza dei soci non amministratori, perché si dice che se la maggioranza dei soci può revocare gli amministratori nominati per atto separato, potrà sicuramente anche impartire delle direttive vincolanti.

Comunque, in linea di massima, si ritiene che le direttive vincolanti non siano impartibili dai soci non amministratori ai soci amministratori.

C'è poi l'aspetto della responsabilità: i soci non amministratori hanno il potere di controllo ed hanno anche il potere di esercitare un'azione di responsabilità nei confronti dei soci amministratori, qualora questi dovessero ricorrere in comportamenti colpevoli, o comunque che hanno comportato dei danni per la società.

Nelle società di persone è ammissibile un amministratore estraneo, cioè un amministratore non socio?

La quasi unanimità della dottrina ritiene che questo non sia possibile, perché il principio generale delle società di persone, dice l'amministrazione compete solo ai soci illimitatamente responsabili e questo lo troviamo espresso nella disciplina della società in accomandita semplice:

ART. 2318 - I soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi dei soci in nome collettivo.

L'amministrazione della società può essere conferita soltanto ai soci accomandatari

Campobasso ritiene, invece, che almeno per le società in nome collettivo si possa ammettere un amministratore estraneo, che non sia socio: nelle società in nome collettivo tutti i soci sono illimitatamente responsabili verso i terzi, quindi in questo tipo si può ritenere ammissibile l'esistenza di un amministratore non socio, ma questo non sarebbe poi un vero e proprio amministratore come gli altri, ma sarebbe come un mandatario generale che dovrebbe sempre sottostare sostanzialmente alle direttive dei soci della società.

Comunque, è meglio attestarsi sulla regola generale, secondo cui nelle società di persone il potere di amministrazione è strettamente connesso con la responsabilità illimitata: quindi il potere di amministrazione può spettare soltanto a soci illimitatamente responsabili.

Tutte le volte che si fa riferimento alla formazione della volontà sociale, questa formazione della volontà sociale deve avvenire mediante il metodo collegiale, oppure no?

(metodo collegiale = la formazione della volontà sociale si ha attraverso una convocazione, attraverso una indicazione delle cose da decidere, attraverso una riunione dei soggetti che compongono l'assemblea dei soci in un unico luogo dove si possa discutere e attraverso la discussione arrivare alla manifestazione della propria volontà e alla formazione di una volontà collegiale).

Alcuni autori sostengono che non è pensabile applicare il metodo collegiale alle società di persone, dove la volontà della società si forma, non con il metodo collegiale, ma raccogliendo in qualche maniera le singole manifestazioni di volontà dei singoli soci.

Secondo altri autori il metodo collegiale (anche Campobasso) sarebbe consigliabile anche nelle società di persone, quantomeno nei casi in cui le decisioni devono essere prese a maggioranza, perché se le decisioni devono essere prese all'unanimità ci vuole il consenso di tutti i soci, quindi che questo consenso sia preso attraverso manifestazioni singole di volontà o sia espresso in una riunione di tutti i soci, non fa molta differenza. Diversamente, il metodo collegiale può esplicare una notevole rilevanza nel caso di deliberazioni o di decisioni che devono essere prese a maggioranza: il metodo collegiale presuppone la discussione e con la discussione ciascun socio può, innanzitutto, convincere gli altri, ma soprattutto c'è una maggiore garanzia di formazione di una volontà consapevole.

Altro problema strettamente connesso a quello di formazione della volontà sociale è quello di stabilire se nelle società di persone prevalga il principio maggioritario oppure il principio dell'unanimità, quindi dei consensi.

Alcuni autori sostengono che le società di persone sono caratterizzate dal principio della unanimità dei consensi, pertanto tutte le volte che non si dice nulla si deve applicare questo principio.

Ci sono altri autori che ritengono (anche Campobasso) che si debba fare una netta distinzione a seconda delle deliberazioni che si debbono prendere: se sono decisioni che hanno attinenza con aspetti strutturali ed organizzativi della società (es.: decisioni di modificare l'oggetto sociale) in questo caso si applica il principio dell'unanimità; se si tratta di decisioni che hanno più attinenza con la gestione ordinaria e straordinaria della società, si applica il principio maggioritario.

















SCIOGLIMENTO DEL SINGOLO RAPPORTO SOCIALE


  MORTE

  RECESSO

  ESCLUSIONE





MORTE DEL SOCIO


ART. 2284 - Salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società, ovvero continuarla con gli eredi e questi vi acconsentano.


Quando muore un socio di società di persone si aprono tre possibilità:

La società liquida la quota agli eredi

La società si scioglie: in questo caso gli eredi dovranno aspettare, per ottenere la liquidazione della loro quota, che si compia la liquidazione dell'intera società.

Gli altri soci continuano la società con gli eredi e questi vi acconsentano: se non tutti gli eredi acconsentono alla liquidazione, ma solo una parte, si procede ad una liquidazione pro-quota degli eredi che non intendono continuare e la società continua con quelli che decidono di continuare.

Nella prassi si sono affermate delle clausole statutarie "di continuazione", che si distinguono in:

   clausole di consolidazione, (legittime): sono quelle clausole in base alle quali la quota del socio defunto si accresce proporzionalmente a tutti gli altri soci e il valore economico di questa quota viene liquidato agli eredi.

   clausole di continuazione facoltativa (legittime): clausole con le quali i soci si impegnano preventivamente nel contratto sociale a continuare la società con gli eredi, qualora questi vi acconsentano.

   clausole di continuazione obbligatoria (illegittime): i singoli soci si rendono disponibili a continuare la società con gli eredi, ma obbligano anche gli eredi a continuare la società.

   clausole di successione (illegittime): si collega la qualità di socio con l'accettazione dell'eredità: nel momento in cui l'erede accetta l'eredità diviene automaticamente socio illimitatamente responsabile della società di cui faceva parte il decujus.

Per questi due ultimi tipi di clausole (di continuazione obbligatoria e di successione) vi è un'opinione decisamente contraria della dottrina e della giurisprudenza, in quanto si ritiene che queste clausole siano tali da contrastare con diversi principi del nostro ordinamento, innanzitutto con quello dell'erede di accettare con beneficio di inventario, per mantenere la separatezza dei patrimoni, cosa che non potrebbe fare accettando di diventare socio. Queste clausole sarebbero anche in contrasto con il divieto dei patti successori (ART. 458) e con il principio in base al quale nessuno può essere obbligato ad assumere, contro la sua volontà, la qualità di socio illimitatamente responsabile.

Per tutte queste ragioni queste due clausole vengono considerate illegittime.





RECESSO DEL SOCIO


ART. 2285 - Ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci.

Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa.

Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi.


La facoltà di recesso è una facoltà che viene posta a tutela della libertà individuale e soprattutto è una deroga al principio della perpetuità del vincolo contrattuale.

Il recesso è ammesso anche per il contratto di società, ma anche qui dobbiamo sottolineare una grandissima differenza fra la disciplina del recesso nelle società di persone e la disciplina del recesso nelle società di capitali. Il legislatore ha lasciato una più ampia possibilità di recesso dalle società di persone, rispetto alle società di capitali, per una serie di motivi: soprattutto, il vincolo sociale della società di persone è un vincolo più impegnativo per il socio, perché comporta una sua responsabilità patrimoniale illimitata, quindi sicuramente chi è socio di società di persone assume un rischio patrimoniale che è molto elevato e di conseguenza essendo questo vincolo contrattuale denso di conseguenze così pesanti, il legislatore ha reso più facile il recesso dalle società di persone rispetto al recesso dalle società di capitali, dove invece qui è limitato a pochi e tassativi casi.

Inoltre, distinguiamo il caso di società a tempo determinato e società a tempo indeterminato (o commisurata alla vita di uno dei soci). Nella società a tempo indeterminato il socio può recedere in qualsiasi momento, dando semplicemente il preavviso alla società di almeno tre mesi. Nel caso in cui la società sia contratta a tempo determinato, il socio può recedere, ma soltanto se sussiste una giusta causa.

La giurisprudenza (interpretazione restrittiva) ritiene che per giusta causa si debba intendere necessariamente un evento, un fatto o un comportamento, esterno al socio (es.: degli altri soci), che ad un certo punto gli impedisca di continuare l'attività sociale.

La maggior parte della dottrina (interpretazione estensiva) ritiene che ricorra una giusta causa non soltanto quando ci siano comportamenti di terzi, in particolare comportamenti dei soci, che possano indurre e giustificare il recesso del socio, ma anche quando siamo in presenza di circostanze e di fatti attinenti alla sfera personale del socio, che ragionevolmente ne giustifichino il recesso (es.: il socio che si ammala gravemente e non ha più interesse a restare nella società).

Quando opera la giusta causa?

Secondo alcuni autori per far valere la giusta causa di recesso dovrebbe essere il soggetto che intende recedere a promuovere un'azione giudiziale, davanti al tribunale, perché il tribunale accerti l'esistenza di una giusta causa.

Secondo altri autori (anche Campobasso) la giusta causa opera automaticamente, cioè nel senso che, qualora un socio intenda far valere una giusta causa di recesso, manifesta questa sua volontà di recedere agli altri soci e da quel momento il suo recesso è operativo. Saranno magari gli altri soci, se non sono d'accordo, ad instaurare un contenzioso davanti al tribunale, perché il tribunale accerti l'inesistenza della giusta causa, quindi l'inefficacia del recesso del socio.





ESCLUSIONE DEL SOCIO - Previste due cause di esclusione:


   Cause di esclusione di diritto - operano ex lege (non c'è bisogno di nessuna deliberazione da parte degli altri soci) e sono: caso di fallimento del socio e quando il creditore particolare del socio ottiene dalla società la liquidazione della quota del socio suo debitore = esclusione automatica - ART. 2288.


   Cause di esclusione facoltative:





ART. 2286 - L'esclusione di un socio può avere luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale, nonché per l'interdizione, l'inabilitazione del socio o per la sua condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici.

Il socio che ha conferito nella società la propria opera o il godimento di una cosa può altresì essere escluso per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l'opera conferita o per il perimento della cosa dovuto a causa non imputabile agli amministratori.

Parimenti può essere escluso il socio che si è obbligato con il conferimento a trasferire la proprietà di una cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia acquistata alla società.


In base a questa norma, le cause di esclusione si possono distinguere in tre gruppi:

Gravi inadempienze = tutte le volte che il socio si rende colpevole di una grave inadempienza può essere escluso dalla società. Le possibile inadempienze del socio possono riguardare, innanzitutto, le inadempienze agli obblighi derivanti dalla legge o dall'atto costitutivo (es.: obbligo del conferimento: se il socio non esegue il conferimento o lo esegue solo parzialmente, questo può costituire inadempienza, quindi può legittimare l'esclusione del socio dalla società da parte degli altri soci).

Perdita della capacità di agire del socio: se il socio viene interdetto, inabilitato, subisce una condanna che comporta un'interdizione anche temporanea dai pubblici uffici.

Particolare tipo di conferimento che il socio si è obbligato a fare: se il socio d'opera perde la capacità di prestare la propria opera può essere escluso dalla società; oppure, se il socio si era impegnato a conferire una cosa in proprietà e la cosa perisce prima che la proprietà passi in capo alla società, in questo caso, in conformità del principio per cui chi è proprietario subisce il rischio del perimento della cosa, il socio potrebbe essere escluso dalla società; ecc.


In questi casi gli altri soci possono deliberare (non devono) l'esclusione del socio che è incorso in una di queste cause di esclusione e la deliberazione (unico caso nelle società di persone) viene presa a maggioranza per teste, quindi 1 socio - 1 voto.

Il socio escluso ha degli strumenti per difendersi, ha la possibilità di fare opposizione alla delibera di esclusione davanti al tribunale, il quale potrebbe anche sospendere la sua esclusione, oppure no: in questo caso, il socio viene di fatto estromesso dalla società e, nel caso in cui vinca la causa di opposizione, dovrà essere reintegrato nella società con la reintegrazione di tutti i danni economici che ha avuto.





In tutte le ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, la società è tenuta a liquidare la quota al socio uscente, o agli eredi del socio defunto, nel caso in cui gli eredi non abbiano deciso di continuare la società.

Questa liquidazione deve essere fatta con riferimento alla situazione patrimoniale della società esistente al momento in cui si verifica la causa di esclusione. In questa situazione patrimoniale non si fa riferimento al bilancio di esercizio, ma alla situazione patrimoniale esistente al momento effettivo in cui si è verificata la causa di scioglimento: questa situazione patrimoniale deve rispecchiare l'effettiva consistenza del patrimonio.

Il criterio di valutazione della quota del socio uscente è un criterio molto equo e molto favorevole al socio uscente, nel senso che egli ha diritto ad una parte dell'effettivo patrimonio della società e non ad un valore ideale, redatto secondo criteri non strettamente rispondenti al vero, ma al valore effettivo del patrimonio della società.

La società deve liquidare il valore al socio uscente entro sei mesi.

Quando il socio esce dalla società continua a rispondere illimitatamente e solidalmente con gli ex soci, nei confronti dei terzi, per tutte le obbligazioni sociali che siano sorte fino al momento in cui il suo rapporto si è sciolto: se, poi, si tratta di un socio di una società regolare sarà suo preciso interesse iscrivere nel registro delle imprese la sua cessazione della qualità di socio (recesso o esclusione), in quanto se non lo fa i terzi potrebbero continuare a fare affidamento sul suo patrimonio personale e potrebbe, così, essere escusso da parte dei terzi anche per obbligazioni sorte successivamente alla sua uscita dalla società.  Anche se, in questo caso, egli avrebbe poi diritto di regresso nei confronti della società.




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