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Il concetto di società

giurisprudenza



Il concetto di società



La materia delle società e regolata nei titoli V e VI e libro V del codice civile. Il titolo V regola separatamente la società semplice (capo 2), la società nome collettivo (capo 3), la società in accomandita per azioni (capo 6), la società a responsabilità limitata (capo 7); il titolo VI regola la società cooperativa (capo 1), e la mutua assicuratrice (capo 2).

La norma di chiusura, ovvero l'articolo 2249, prescrive che "che società che hanno progetto all'esercizio di un'attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati n 141g66b ei capi III e seguenti di questo titolo...".

Il sistema delle società si presenta, alla stregua di questa disposizione, con un sistema chiuso. L'articolo 2249 importa l'inammissibilità di società atipiche, introducendo così una deroga ai principi generali sull'autonomia contrattuale.

E invece ammissibile l'inserimento di singole clausole atipiche, che non siano in contrasto con norme imperative e che non modifichino il principio della tipicità delle società. La clausola tipica che snaturi le caratteristiche del tipo dotato dalle parti sarà nulla, ma potrà anche comportare una qualificazione diversa da quella risultante dal nomen iuris dato dalle parti al rapporto.




Di regola, la società si costituisce per contratto, al quale possono partecipare due o più persone (Art. 2247), salva l'eccezionale figura della società a responsabilità limitata costituita per atto unilaterale.

Sono, dunque, applicabili alle società tutte quelle norme sui contratti in generale (libro IV) che non siano erogate da specifiche norme contenute nel libro V del codice civile.

La natura contrattuale del vincolo sociale e fuori discussione. La società è un contratto potenzialmente plurilaterale: nuove parti possono aggiungersi alle parti originarie senza che ciò comporti stipulazione di un nuovo contratto.

L'art. 2247 determina il contenuto specifico del contratto di società:

a)  conferimento di beni o servizi;

b)  esercizio in comune di un'attività economica;

c)  divisione degli utili.

Rispetto alla nozione legislativa di imprenditore quella di società presenta un elemento in più, il quale è dato dal fatto che l'attività economica è esercitata da " due o più persone".

Le forme giuridiche tipiche dell'impresa collettiva, ma non le sue forme esclusive, sono quelle della società, nei diversi tipi regolati nei titoli V e VI del libro V.


I conferimenti sono le prestazioni alle quali le parti del contratto di società si obbligano (come le prestazioni nei contratti). C'è però una differenza rispetto alle prestazioni proprie dei contratti: qui le parti conferiscono beni o servizi all'esercizio in comune di un'attività. Le prestazioni eseguite dalle parti sono preordinato lo svolgimento di un'attività in comune, e l'interesse di ciascuna parte si realizza per l'effetto dell'attività comune. Certo, il risultato è la realizzazione di un profitto, ma questo è soltanto un effetto mediato delle prestazioni eseguite dalle parti

Il socio che conferisce servizi è il socio che si obbliga ad una prestazione di fare.

Per "conferimento di beni" s'intende l'attribuzione di ogni entità economicamente valutabile che sia utilizzabile per lo svolgimento dell'attività sociale.

I conferimenti di beni producono un fondo comune, vincolato a quella specifica destinazione che l'esercizio dell'attività di impresa.

In generale, "esercitare collettivamente un'attività economica" significa esercitarla in comune. Più persone assumono il rischio di una medesima attività e più persone concorrono nella direzione della medesima attività. Vi è, comunque, una profonda differenziazione fra i vari tipi di società.



Il requisito della professionalità non è essenziale per l'esercizio di una società. Si è in presenza di una società anche quando l'attività economica esercitata in comune non sia un'attività economica professionalmente esercitata, e non sia definibile come "impresa" (2082).

L'art. 2247 ammette che siano società anche le società occasionali Esse saranno sottoposte alle norme sulle società, che saranno invece esenti dall'applicazione delle norme sull'impresa e, in particolare, dalla soggezione al fallimento in casi di insolvenza.

Occorre comunque l'esercizio di un'attività, che può essere consistente anche di un solo affare.

Per dichiarare il fallimento di una società non basta avere accertato l'esistenza della società, ma bisogna anche accettare che essa rivesta la qualità di imprenditore.


L'art. 2248 contrappone alla società "la comunione costituita mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose". Il suddetto articolo esclude l'ammissibilità di una società di solo godimento. In tre caso, al rapporto si applicherà hanno le norme del terzo libro e non, come le parti avrebbero voluto, le norme del V libro sulla società. Nonostante la norma dell'art. 2248 le società di comodo esistono e si moltiplicano: le parti la eludono enunciando fittiziamente l'intento di esercitare una data attività di impresa. La più appropriata qualificazione del fenomeno è quella del contratto indiretto. Come ogni contratto indiretto, che sia il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa, la società di comodo dovrà considerarsi nulla a norma dell'art. 1344.

Per quanto riguarda l'assoggettabilità al fallimento, le società di comodo, come le società commerciali, falliscono non in quanto tali, ma in quanto imprenditori commerciali.


L'esercizio delle cosiddette "professioni protette" è proibito a chiunque non si è scritto nell'albo o le sia stato espulso.

L'articolo 2232 impone al professionista intellettuale di eseguire personalmente l'incarico assunto. Ciò rende inammissibile una società tra professionisti, perché la professione sarebbe esercitata "in comune" fra più professionisti, e quindi impersonalmente.

Gli esercenti professioni intellettuali non protette non godono di una maggiore libertà contrattuale: possono ritenersi liberi di adottare altri schemi contrattuali. Anche l'ostacolo dell'articolo 2238, che considera l'attività del professionista intellettuale come priva di carattere di attività di impresa, viene cadere. Di un questo tipo di professionista intellettuale può scegliere, infatti, per le proprie prestazioni, le forme giuridiche del contratto d'appalto.

Così facendo egli assumerà su di se il rischio del lavoro, e cesserà di essere un professionista intellettuale. Perderà altresì oneri e privilegi riservati alla classe dei liberi professionisti. Si tratterà di una società che esercita una impresa di produzione di servizi, classificato il secondo l'art. 2195.

Ai professionisti intellettuali non protetti vanno equiparati gli artisti.


Diversa è l'ipotesi della società fra capitalisti per l'esecuzione di prestazioni intellettuali: qui gli intellettuali non sono soci, ma dipendenti della società. Questo tipo di società è certamente ammissibile quando offre servizi che non corrispondano a quelli delle professioni "protette".

Il discorso vale anche per il caso delle cosiddette società di "progettazione industriale" e per le società cooperative.


Per avere una società, dunque, non basta l'esercizio di un'attività di impresa, ma occorre che questa si è volta alla realizzazione di utili, i quali dovranno, una volta realizzati, essere divisi fra i soci.

Questo requisito è invece superfluo per configurare un'impresa.

Un'attività impresa può essere esercitata per realizzare anche scopi di natura ideale, o comunque non economica. In questo caso, tuttavia, non siamo in presenza di una società. L'art. 2247 non richiede, infatti, un solo il perseguimento di un fine lucrativo (lucro oggettivo), ma richiede altresì che le parti agiscono allo scopo di dividere fra loro gli utili conseguiti (lucro soggettivo).


Il concetto di associazione non è formulato in termini espliciti dal codice civile. Per distinguere l'associazione dalla società sono possibili e due soluzioni :

a)  l'elemento che distingue la società dall'associazione è l'esercizio di un'attività economica nella prima;

b)  l'elemento che distingue la società dall'associazione e lo scopo, esclusivo della prima, della divisione degli utili tra i soci.

La giurisprudenza si è dimostrata altalenante tra le due soluzioni. Sono, in realtà, del tutto inconsistenti le ragioni che hanno indotto a qualificare come società anche i gruppi che perseguono, con l'esercizio di attività economiche, scopi di natura ideale.

È errato il convincimento che la società sia la sola figura utilizzabile per l'esercizio collettivo di un'impresa: la società e, infatti, solo una fra le forme di esercizio collettivo di attività economiche: quella dell'attività economica collettivamente esercitata a scopo di profitto.

Ai fini della dichiarazione di fallimento è superflua la qualificazione del gruppo come società. L'art. 1 della legge fallimentare é di ostacolo alla dichiarazione di fallimento di altri gruppi, anche diversi dalle società, nei quali sia ravvisabile la presenza di un'impresa commerciale.

Le norme sull'impresa e quelle sulla società operano su piani diversi: le prime a prendono all'impresa in sé e per sè considerata, sia che si manifesti nelle forme dell'impresa individuale, sia che si manifesti in quelle dell'impresa collettiva; le seconde si riferiscono, invece, all'impresa sociale, ossia all'impresa collettiva esercitata in forma di società. Tutto ciò non toglie che le norme di legge speciale possono mettere società senza scopo di lucro, come accade per la società sportive.


Definire la causa dei contratti associativi equivale a identificare lo specifico "scopo comune" delle prestazioni eseguite dalle parti.

Lo scopo comune si determina in modo negativo nelle associazioni, che perseguono scopi ideali o, comunque, non economici. È identificato con criteri positivi nelle società, nelle quali i conferimenti dei soci risultano finalizzati a:

a)  l'esercizio comune di un'attività economica;

b)  la divisione degli utili.

La definizione della causa societaria si lega alla determinazione del concetto di "interesse della società".

Sono fondamentalmente tre gli scopi perseguiti dal contratto di società, inerenti ad un triplice ordine di interessi:

1- trasformare la ricchezza conferita dai soci in una efficiente organizzazione imprenditoriale, aumentando il volume della produzione o degli scambi;

2- massimizzare il profitto (raccogliere utili);

3- massimizzare il dividendo.

Questi tre interessi sono tra loro coordinati e consequenziali.

Qui sorge una profonda differenziazione tra società di persone e società di capitali in: nelle prime ciascuno socio a un preciso diritto alla divisione annuale degli utili; nelle seconde e l'assemblea che delibera a maggioranza e distribuire o non distribuire l'utile, e in quale misura distribuirlo.

Nelle società per azioni l'interesse alla massimizzare il dividendo e proprio delle minoranze azionarie, in conflitto con l'interesse per dei gruppi di comando della società a potenziare l'efficienza dell'impresa sociale e la sua espansione. L'art. 2433 risolve questo conflitto a vantaggio della maggioranza di, legittimando di sacrificio dell'interesse dei singoli alla ripartizione del dividendo.

L'art. 2247 stabilisce che la divisione degli utili non può essere a priori esclusa, ma essa non è necessariamente lo scopo primario della società. Un possono acquistare importanza le altre dimensioni dell'interesse sociale un ovvero l'interesse sociale preliminare e l'interesse sociale intermedio (lo scopo di conseguire utili).

Accade spesso che molte società per azioni rinuncino per lunghi periodi ad una politica economica di massimizzazione dell'utile per perseguire, piuttosto, l'obiettivo della massimizzazione delle vendite (il fatturato), oppure quello della massimizzazione della "popolarità" della società.


Va distinto il contratto di società da quello di associazione in partecipazione. Questo non è un contratto soggettivo, ma un contratto di scambio: con esso un un imprenditore, associante, riceve da un altro soggetto, associato, un determinato apporto di egli attribuisce, in cambio, una partecipazione all'utile dell'impresa o, più limitatamente, di uno o più affari (art. 2549).

L'apporto dell'associato consiste, di regola, in una somma di denaro, che non concorre a formare un fondo comune le parti, ma entra nel patrimonio dell'associante. Questi dovrà restituirglielo, insieme alla percentuale di utili pattuiti, alla scadenza prevista dal contratto o all'avvenuta conclusione dell'affare. I terzi acquistano diritti e assumono obblighi solo nei confronti dell'associante. L'associato a diritto al rendiconto dell'impresa.

L'associato in partecipazione è, dunque, un finanziatore esterno dell'impresa. Se l'impresa o lo specifico affare dell'associante produce utili, egli ne riscuote la percentuale pattuita; sè, all'opposto, l'impresa con l'affare e risulta in perdita, egli vi concorre nella stessa percentuale nella quale partecipa agli utili.

Se l'associante è dichiarato fallito, l'associato che abbia eseguito per intero l'apporto sarà creditore del fallimento per quella parte dell'apporto che non sia stato assorbito dalle perdite a suo carico. L'art. 2553 precisa che le perdite dell'associato non possono superare il valore del suo apporto. Si deve escludere la validità di un patto che risponda l'associato ad un rischio illimitato. Non necessariamente l'associato è un finanziatore: la apporto può consistere nel godimento di un bene oppure in una prestazione di lavoro, anche gestorio. Il rischio cui l'associato lavoratore è esposto è di lavorare senza retribuzione.

Se l'associazione in partecipazione è a tempo determinato, essa non può sciogliersi prima del termine pattuito (salvo risoluzione). È a tempo indeterminato ciascuna delle parti potrà scioglierla con il recesso unilaterale, salvo congruo preavviso. Allo scioglimento del contratto dovrà essere restituito l'apporto, salvo che non fosse pattuita la sua dazione a fondo perduto.


La comunione a scopo di godimento (art. 2248) è la comunione costituita al solo scopo del godimento di una o più cose, ed è regolata dalle disposizioni sulla comunione.

Mentre nella società impegni conferiti dalle parti vengono utilizzati "per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili", nella comunione manca questo specifico intento, e c'è il solo "scopo del godimento di una o più cose".

Per concludere un contratto di società non occorre alcuna particolare forma: il contratto può essere anche tacito. Si tratta in questo caso di una società di fatto, ossia di una società tacitamente costituita.

Per aversi società occorre che le parti abbiano voluto quel mutamento che deriva dal conferimento dei beni in società: occorre, in altre parole, che esse abbiano voluto la loro trasformazione da beni in comunione a patrimonio sociale autonomo.


Non ogni impresa collettiva a scopo di lucro dà luogo ad una società. Ricorre una comunione di impresa quando più persone utilizzano i beni, dei quali sono comproprietari, esercitando in comune un'attività di impresa e, tuttavia, fra esse non è intercorso un contratto diretto a modificare la condizione giuridica dei beni utilizzati, i quali restano beni in comunione.


Quando c'è fra le parti l'intento di esercitare un'impresa, allora le norme del libro sulla proprietà non possono più applicarsi: si dovranno applicare necessariamente quelle sulle società.

Il fatto che l'accordo delle parti non si sia manifestato non impedisce di parlare di contratto di società: il mutamento della condizione giuridica dei beni si realizzati anche se non voluto dalle parti, ed anche se le parti lo avessero espressamente escluso.

La giurisprudenza, mitigando il rigore dell'art. 2248, stabilisce che la comunione incidentale ereditaria un di un'azienda commerciale si trasforma in una società irregolare fra i suoi eredi solo quando vi sia la prova che fra tutti i partecipanti si sia raggiunto un accordo stabile e duraturo per la continuazione dell'esercizio aziendale.


L'art. 177 comma I lettera d prevede che le aziende costituite durante il matrimonio e gestite da entrambi i coniugi fanno parte della comunione fra i coniugi. È qui configurata una forma di esercizio in comune di un'attività economica alternativa rispetto alla società. Si dà luogo a una azienda coniugale. Non si applicano le norme sulla società semplice o quelle sulle società in nome collettivo irregolare ma quelle che regolano la comunione legale fra i coniugi. L'azienda coniugale a carattere alternativo, rispetto alla società, ma residuale: ricorre quando i coniugi non abbiano concluso un espresso contratto di società.




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