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ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO AL DIRITTO INTERNAZIONALE

giurisprudenza



ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO

AL DIRITTO INTERNAZIONALE


A livello internazionale, sia consuetudinario sia, soprattutto, pattizio, sulla base, quindi, di convenzioni internazionali, gli Stati concordano delle regole che devono poi essere applicate anche e soprattutto all'interno dello Stato da parte degli operatori giuridici nazionali.

Questo discorso vale anche per certe norme del diritto internazionale tradizionale: ad esempio, le norme sulle immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile = è chiaro che una norma consuetudinaria che prevede che gli agenti diplomatici di uno Stato straniero, una volta che sono stati ammessi nel territorio dello Stato devono godere di certi privilegi e di certe immunità (tra cui anche l'immunità dalla giurisdizione civile e penale), questa regola consuetudinaria per potersi applicare all'interno dello Stato richiede che ci siano delle norme all'interno dello Stato, che obbligano poi i giudici nazionali a non esercitare la loro giurisdizione nei confronti degli agenti diplomatici stranieri.

Quindi, sarà necessario che questa norma consuetudinaria, che come norma internazionale impone un obbligo allo Stato nei suoi rapporti internazionali, sia poi integrata da norme che sono immesse all'interno dell'ordinamento nazionale, che rendano possibile, nel nostro caso per lo Stato italiano, di adempiere agli obblighi che ha assunto sul piano internazionale, altrimenti ci sarà un illecito, perché se il giudice nazionale, non essendoci norme speciali nell'ordinamento nazionale, esercita la sua giurisdizione nei confronti dello Stato straniero, l'altro protesterà dicendo che c'è stata una violazione del diritto internazionale.



Anche certe norme tradizionali, di antica origine, richiedono comunque che ci sia un adattamento del diritto interno, in modo da rendere possibile l'adempimento di un obbligo internazionale che lo Stato ha in virtù di una norma consuetudinaria.

Per quanto riguarda il diritto internazionale contemporaneo, questo è ancora più evidente, soprattutto riguardo ai trattati internazionali che molto spesso obbligano lo Stato ad adottare certe regole nel suo diritto interno, regole che poi devono regolare i rapporti o tra i privati e lo Stato (trattati sui diritti dell'uomo) o tra i privati tra di loro (norme di diritto privato internazionale uniforme). Siamo in presenza di norme che, in quanto norme internazionali, vincolano lo Stato nei rapporti con gli altri Stati: tutti gli Stati, se è una norma consuetudinaria, o gli Stati parti del trattato, se è una norma di un trattato. Però si tratta di norme che obbligano lo Stato in quanto gestore del suo ordinamento interno, quindi obbligano lo Stato ad adottare certe norme nel suo ordinamento interno per poter adempiere alla norma internazionale consuetudinaria o pattizia. Questo fa si che sia necessario, in qualche modo, modificare il diritto interno per renderlo conforme agli obblighi che lo Stato ha assunto sul piano internazionale. E' questo il problema dell'adattamento del diritto interno al diritto internazionale: una volta che uno Stato ha assunto certi obblighi nei rapporti con gli altri Stati, sul piano del diritto internazionale, dovrà adattare il suo diritto interno modificando le norme del suo diritto interno per renderle conformi agli obblighi che ha assunto sul piano internazionale.

In base all'impostazione prevalente in Italia (impostazione dualista) il diritto internazionale e il diritto interno sono due distinti ordinamenti giuridici, in quanto sono espressione di due distinte società: il diritto internazionale è espressione della società degli Stati e di quei pochi altri enti che partecipano alla vita di relazione internazionale; il diritto nazionale è espressione di una società di individui cui c'è dentro anche lo Stato. Si tratta di due distinte società che esprimono due ordinamenti giuridici completamente distinti e separati tra di loro: quello che dice il diritto internazionale è irrilevante per il diritto interno, così come è irrilevante quello che dice il diritto interno, per il diritto internazionale.

Da qui il problema dell'adattamento: è un problema di trasformazione delle norme di diritto internazionale in norme di diritto interno. La norma internazionale, in quanto tale, è irrilevante per l'ordinamento nazionale; quindi, il giudice nazionale non può applicare una norma del diritto internazionale perché è una norma che fa parte di un ordinamento giuridico diverso da quello nazionale: lo potrà fare solo nella misura in cui la norma internazionale è stata in qualche modo immessa all'interno dell'ordinamento nazionale, è stata trasformata in una norma nazionale e in questo caso, al pari delle altre norme nazionali, può essere applicata dal giudice nazionale. Questa è chiamata impostazione dualista appunto perché vede il diritto interno e il diritto internazionale come due distinti ordinamenti giuridici ciascuno separato dall'altro le cui norme sono irrilevanti per gli operatori giuridici dell'altro ordinamento, quindi per poter applicare le norme internazionali all'interno dell'ordinamento nazionale queste norme dovranno essere trasformate in norme nazionali, cioè dovranno essere messe nell'ordinamento nazionale, le norme internazionali non potranno in alcun modo applicarsi.

All'impostazione dualista si contrappone un'impostazione monista che vede un grande ordinamento giuridico, dove al vertice ci sono le norme internazionali e poi, alla base, ci sono i vari ordinamenti giuridici nazionali, che sarebbero delle forze di province dell'unico grande ordinamento giuridico mondiale, che vede al vertice le norme internazionali consuetudinarie e pattizie, e alla base le varie norme nazionali.

La concezione monista è stata adottata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee per quanto riguarda i rapporti tra il diritto comunitario e i diritti nazionali degli Stati membri della Comunità.

Non si può parlare di monismo e dire che c'è un unico grande ordinamento giuridico, quando si parla dei rapporti degli ordinamenti dei singoli Stati e il diritto internazionale, dove non c'è una comunità.

Seguiremo l'impostazione tradizionale in Italia, seguita anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiana, che è l'impostazione dualista. Quindi, il problema dell'adattamento che presuppone la distinzione tra ordinamento internazionale e ordinamento nazionale e perciò la conoscenza dualista, anche se poi, in pratica, certe forme di adattamento, adottate anche in Italia, rendono possibile in pratica una notevole attenuazione delle conseguenze che dovrebbero altrimenti derivare dalla concezione dualista e che, in pratica, rendono molto simile quello che succede in Italia a quello che succede in altri Stati dove si segue un'impostazione monista: questo nella prassi, perché nella teoria rimane essenziale la distinzione tra i due ordinamenti giuridici, e quindi il concetto di adattamento inteso come trasformazione delle norme internazionali in norme nazionali, senza la quale trasformazione le norme internazionali non possono essere applicate all'interno dello Stato.



PROCEDIMENTI SECONDO CUI LE NORME INTERNAZIONALI POSSONO ESSERE APPLICATE ALL'INTERNO DELLO STATO I procedimenti sono due:


procedimento ordinario

procedimento speciale (o mediante rinvio)


PROCEDIMENTO ORDINARIO: Quando lo Stato (Italia) una volta che ha assunto un obbligo sul piano internazionale, o in virtù di una norma consuetudinaria o o di un trattato, adotta le norme interne necessarie per dare completa esecuzione a questo obbligo che ha assunto sul piano internazionale, con i normali strumenti di produzione giuridica previ 959e42j sti dall'ordinamento nazionale.

Verrà adottata una legge, costituzionale o ordinaria, a seconda dei casi, o verrà adottato un regolamento se si tratta di una materia non coperta da riserva di legge, o un atto amministrativo, e con questa legge, o regolamento, o atto amministrativo, vengono riformulate le norme internazionali come se fossero delle normali norme nazionali.

Il procedimento ordinario consiste nella riformulazione delle norme internazionali da parte di un normale atto normativo oltre a quelli previsti dall'ordinamento nazionale: in questo modo il giudice nazionale applicherà non la norma internazionale, che è irrilevante, ma applicherà la norma interna che è stata adottata per dare esecuzione a quella norma internazionale.

Le vicende delle norme internazionali e delle norme interne sono distinte: la norma interna sarà in vigore, come qualsiasi altra norma interna, fino a quando non viene abrogata, indipendentemente dalle vicende della norma internazionale nei rapporti internazionali.


PROCEDIMENTO SPECIALE (O MEDIANTE RINVIO): quello più seguito in Italia.

Tale procedimento attenua, dal punto di vista pratico, le conseguenze del dualismo che pure viene seguito come base teorica dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiana, ma siccome poi l'adattamento si adotta questo procedimento speciale, in pratica è come se l'Italia seguisse l'impostazione monista. Con il procedimento speciale, di fronte alla norma internazionale, l'Italia, anziché adottare un atto normativo interno con il quale riformula le norme internazionali, si limita a rendere applicabili con un rinvio la norma internazionale in quanto tale. Viene adottata una legge e questa norma interna, anziché riformulare la norma internazionale, rinvia alla norma internazionale e la rende applicabile all'interno dello Stato.

E' il procedimento seguito in Italia, sia per le norme consuetudinarie, in cui c'è una norma della Costituzione specifica, l'ART. 10, secondo cui, L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute., sia per i trattati per i quali di volta in volta, per ogni singolo trattato, viene adottato un atto interno, di solito una legge, che contiene un ordine di esecuzione che, anziché riformulare le norme del trattato, viene data l'intera esecuzione alle norme del trattato, in modo tale che queste norme vengano rese direttamente applicabili all'interno dello Stato: in questo modo, l'operatore giuridico nazionale potrà applicare direttamente le norme internazionali o consuetudinarie o pattizie.


L'adattamento del diritto interno al diritto internazionale consiste nell'immettere nell'ordinamento interno quelle norme che sono necessarie per poter dare attuazione alle norme internazionali quando le norme internazionali, per poter essere adempiute correttamente, richiedono di essere applicate anche all'interno dello Stato da parte degli operatori giuridici nazionali.

Il procedimento ordinario consiste nella riformulazione delle norme internazionali da parte di norme interne.

Il procedimento speciale (o mediante rinvio) consiste nel rendere applicabile, mediante una norma interna, la norma internazionale all'interno dello Stato senza riformarla.

Nel sistema italiano è privilegiato il procedimento speciale, sia per il diritto consuetudinario, sia per i trattati, che è sicuramente quello preferibile dal punto di vista della corretta applicazione delle norme internazionali all'interno dello Stato, perché con il metodo speciale l'operatore giuridico nazionale potrà applicare una norma internazionale; mentre col metodo ordinario non viene applicata la norma internazionale, ma viene applicata la norma interna che riformula, magari in modo impreciso, la norma internazionale.

Soprattutto, il vantaggio sta nel fatto che con il procedimento speciale la norma internazionale viene resa applicabile all'interno dello Stato, nella misura in cui questa norma è vigente nell'ordinamento internazionale: invece, se si adotta il procedimento ordinario, una volta che è stata riformulata la norma internazionale con una norma interna, la norma interna sarà applicabile finché non verrà abrogata con una successiva norma interna anche se, nel frattempo, la norma internazionale nel diritto internazionale non c'è più o è stata modificata nel suo contenuto.

Ci sono però dei casi in cui il procedimento ordinario si rende necessario per poter applicare correttamente la norma internazionale. A volte il procedimento speciale non sufficiente per poter applicare concretamente la norma internazionale: non è sufficiente una noma interna che dica che si fa rinvio alla norma internazionale e la si rende applicabile all'interno dello Stato; bisogna poi adottare delle norme di integrazione col procedimento ordinario. Questo è il caso in cui le norme internazionali sono norme non self-executing, cioè si tratti di norme imperfette o incomplete, che non presentano tutti gli elementi necessari per poter essere applicate ad una fattispecie concreta, (=norme direttamente applicabili). La norma internazionale può essere una norma formulata in modo tale che un giudice interno non può applicarla ad un caso concreto, sino a quando non state adottate, a livello nazionale, delle norme di specificazione, di integrazione, di attuazione della norma internazionale.

Conforti, a questo proposto, cerca di restringere la nozione di norme internazionali non self-executing, per reagire ad una tendenza dei giudici nazionali, non tanto italiani, ma soprattutto quelli di altri Stati (come USA) che, con la scusa che certe norme internazionali immesse nell'ordinamento non sono self-executing, poi non le applicano in un giudizio interno. E qui Conforti cerca di restringere i casi in cui si può dire che siamo in presenza di una norma non self-executing (=non direttamente applicabili). I casi sottoscritti da Conforti sono due:

quando la norma internazionale si limita ad attribuire allo Stato una facoltà, anziché un obbligo, facoltà di cui lo Stato si può avvalere e fino a quando lo Stato non se ne avvale, dalla norma non possono discendere diritti ed obblighi in particolare per i soggetti della norma interna. ES. : per il diritto consuetudinario, che poi riguarda anche i trattati, in quanto è una norma che troviamo codificata nella convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982, Convenzione di codificazione ratificata dall'Italia e resa esecutiva in Italia, quindi questa norma è sia una norma consuetudinaria, sia una norma di un trattato, la quale prevede che la linea di base del mare territoriale è, in linea di principio, la linea di bassa marea che segue la sinuosità della costa, poi è dalla linea fisica della costa che si calcola l'ampiezza di 12 miglia del mare territoriale, però poi è previsto che lo Stato costiero possa fare delle eccezioni e, per es., laddove la costa è profondamente indentata e frastagliata, utilizzare, anziché la linea di bassa marea, un sistema continuo di linee di base rette che congiungono i punti più sporgenti della costa o che congiungono la terraferma con gruppi di isole situate nelle immediate vicinanze della costa e a partire da queste linee rette si calcola il mare territoriale verso il largo. Oppure, altra eccezione, la norma che prevede che, laddove la costa non è profondamente indentata o frastagliata, o non esistono gruppi di isole, però ci sono singole insenature vaghe, anche in questo caso lo Stato costiero può tracciare la linea retta a chiusura della baia, se l'imboccatura della baia non è superiore a 24 miglia o, se è superiore a 24 miglia, una linea retta all'interno della baia di lunghezza non superiore a 24 miglia e a partire da questa linea si calcola il mare territoriale verso il largo. Siamo in presenza di norme che consentono allo Stato di derogare alla linea di bassa marea, tracciando delle linee di base rette fino a quando non è stata adottata, con il procedimento ordinario, una normativa che stabilisce quali sono le linee di base rette, di cui, ad es., l'Italia intende avvalersi in applicazione di questa facoltà che la Convenzione gli attribuisce, la linea di bassa marea rimane la linea di base del mare territoriale. L'Italia si è avvalsa di questa facoltà e ha adottato, nel 1987, un decreto che ha tracciato le linee di base del mare territoriale italiano adottando il sistema delle linee di base rette, compreso la chiusura dell'Arcipelago Toscano.

Caso di una norma internazionale, la quale richiede necessariamente, per poter essere applicate all'interno dello Stato, l'istituzione di un organo o la creazione di procedure ad hoc senza le quali la norma non può essere applicata. ES.: ART. 14/5 del Patto ONU sui diritti civili e politici del 1966, il quale prevede il diritto al doppio grado di giurisdizione in materia penale. E' una norma self-executing, perché una volta che sia stata immessa nell'ordinamento nazionale una norma di questo tipo, fino a quando la legge nazionale non individua l'organo competente in sede di appello, la norma non è applicabile. In Italia, un caso di norma non self-executing in quanto comportante l'istituzione di nuove procedure è quello di cui si occupata la Corte Costituzionale, nel 1979, in occasione dell'affare Loockheed. La Corte giustamente ritiene che non sia applicabile ai giudizi di accusa ex art. 96 della Costituzione, l'art. 14/5 del Patto ONU sui diritti civili e politici secondo cui ogni individuo ha diritto al doppio grado di giudizio in materia penale.

Al di là di questi due casi bisogna reagire alla tendenza di certi giudici a non applicare le norme internazionali con la scusa che contengono norme non self-executing: per es., i giudici americani spesso dicono che tutti i trattati internazionali in materia di diritti umani che sono stati ratificati dal Governo degli USA non sono applicabili all'interno dell'ordinamento statunitense perché, nella maggior parte dei casi questi trattati dopo aver specificato i diritti umani che gli Stati parti si impegnano a garantire, di solito poi contengono una clausola generale che dice che gli Stati parti si obbligano ad adottare tutte le misure necessarie, a livello nazionale, per dare attuazione alle disposizioni del trattato. Il fatto che il trattato contenga una norma di questo genere non significa che tutte le disposizioni del trattato siano disposizioni non self-executing e quindi non possono essere applicate dal giudice nazionale fino a quando non sono state adottate le norme interne: significa solo che quelle disposizioni che eventualmente ed effettivamente fossero non self-executing dovranno essere perfezionate con norme nazionali di attuazione e di specificazione, mentre spesso i giudici americani rifiutano di applicare questi trattati, se non quando c'è stata una normativa interna che, in generale, ha dato attuazione al trattato nel suo complesso.









COME SI ADATTA L'ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO ALLE NORME INTERNAZIONALI (iniziando dalle norme consuetudinarie):

A questo proposito la nostra Costituzione contiene una norma di importanza fondamentale, che è l'ART. 10, cioè la norma che adatta il diritto italiano al diritto internazionale consuetudinario: L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute... = questa norma è una norma che procede all'adattamento mediante rinvio, con il procedimento speciale, o mediante rinvio: quindi, rende applicabili all'interno dello Stato le norme del diritto internazionale consuetudinario e quindi sono tutte parte del nostro sistema giuridico e sono applicabili all'interno dello Stato.

L'ART. 10 è una norma che procede ad un adattamento di carattere permanente del diritto italiano al diritto internazionale consuetudinario, per cui non è necessario di volta in volta, una volta che si sia formata una norma consuetudinaria, adottare un atto che la renda applicabile all'interno dello Stato, come invece accade per i trattati, per i quali non c'è una norma generale di questo tipo, per le norme consuetudinarie non c'è bisogno di un atto ad hoc di ricezione delle singole norme, c'è una norma generale che le rende tutte applicabili, quindi anche quelle di nuova formazione, nel momento in cui si formassero nel diritto internazionale, sarebbero già automaticamente applicabili all'interno dell'ordinamento italiano.

In questo caso è particolarmente evidente come il metodo speciale attenua le differenze che ci sono tra l'impostazione dualista e l'impostazione monista, perché le norme consuetudinarie sono immediatamente applicabili all'interno dello Stato, come se si trattasse di un unico ordinamento giuridico. Ma l'applicabilità all'interno dello Stato delle norme consuetudinarie dipende dall'ART. 10: è perché c'è l'ART. 10 che le norme internazionali consuetudinarie sono applicabili all'interno dello Stato, se non ci fosse l'ART. 10, che le rende applicabili all'interno dello Stato, le norme consuetudinarie, in quanto facenti parte di un diverso ordinamento giuridico, sarebbero del tutto irrilevanti per l'ordinamento italiano. Quindi, dal punto di vista pratico, questo metodo di adattamento mediante rinvio fa si che il giudice nazionale possa applicare le norme internazionali come se fossero norme che appartengono allo stesso ordinamento giuridico delle norme nazionali; però questo lo può fare non perché fanno parte di un unico ordinamento giuridico, perché una norma nazionale, di livello costituzionale, con il procedimento speciale, le rende applicabili all'interno dello Stato.

A proposito dell'adattamento del diritto internazionale consuetudinario, è il giudice nazionale che dovrà accertare se, in un caso in cui si dovrà applicare una norma internazionale consuetudinaria, accertare se questa norma esiste, qual è il contenuto della norma e se questa norma sia self-executing, quindi applicabile direttamente senza bisogno di una normativa nazionale di specificazione o di attuazione.

L'ART. 10 è importante anche dal punto di vista del rango delle norme internazionali immesse nell'ordinamento italiano: in linea di principio, infatti, il rango delle norme internazionali, i loro rapporti con le altre norme dell'ordinamento giuridico nazionale, dipende dal rango della norma interna che provvede all'adattamento. Siccome le norme consuetudinarie sono immesse nell'ordinamento italiano dall'ART. 10 della Costituzione, il rango delle norme internazionali consuetudinarie, all'interno del nostro ordinamento, sarà un rango costituzionale, il che significa che le norme consuetudinarie possono servire, al pari delle norme della Costituzione, da parametro di costituzionalità delle norme di legge ordinaria. Sicuramente, nei rapporti con la legge ordinaria, le norme consuetudinarie, in quanto sono state immesse nell'ordinamento nazionale dall'ART. 10, hanno un rango sovraordinato e fungono da parametro della costituzionalità delle leggi.

SENTENZA DEL 1999 DELLA CORTE COSTITUZIONALE, la quale si è trovata a dover esaminare la costituzionalità di una norma di legge italiana ex art. 10 della Costituzione: si tratta di una norma di legge italiana che era stata ritenuta dal giudice della causa come, forse, in contrasto con l'art. 10 della Costituzione. Si tratta dell'art. 1/1, lettera C del DPR 14/2/1964, "leva e reclutamento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronautica", e dell'art. 16/1 della Legge 5/2/1992, "nuove norme sulla cittadinanza" = nella parte in cui queste norme prevedono l'assoggettamento alla leva militare, cioè l'obbligo del servizio militare, anche per gli apolidi residenti nel territorio della Repubblica. La normativa italiana prevede che l'obbligo del servizio militare ci sia non solo per i cittadini italiani, ma anche per gli apolidi: il giudice della causa aveva ritenuto che ci fosse un dubbio di costituzionalità di queste due disposizioni di legge, non solo in relazione all'art. 52 della Costituzione (La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino...), ma anche con riferimento all'art. 10 della Costituzione, perché, diceva il giudice, nel diritto internazionale consuetudinario c'è una norma che stabilisce che sono esentati dall'obbligo del servizio militare coloro che non sono legati allo Stato dal rapporto di cittadinanza. La Corte Costituzionale esclude che ci sia questo contrasto perché dice che nel diritto internazionale non c'è una norma che esclude i non cittadini dal novero di coloro che possono essere chiamati a prestare servizio militare. E, infatti, nella sentenza la Corte dice: "tra i non cittadini sono compresi sia gli

stranieri, sia gli apolidi, ma solo per i cittadini stranieri può affermarsi l'esistenza di una norma internazionale che li esenta dall'obbligo del servizio militare, che nasce dall'esigenza di evitare il sorgere di situazioni di conflitto potenziale tra opposto e lealtà". Quindi, mentre i cittadini stranieri non possono in alcun modo essere obbligati a prestare servizio militare anche solo residenti in Italia, perché una norma consuetudinaria tra quelle che tutelano i cittadini stranieri obbliga lo Stato a non assoggettare gli stranieri a delle prestazioni che non siano sufficientemente collegate con lo Stato; quindi, se sono residenti devono pagare le tasse ma non si possono obbligare al servizio militare, perché il servizio militare implica dei doveri di lealtà che non si giustificano se non c'è il legame della cittadinanza, pure in presenza della residenza e dello svolgimento di attività economiche di altro tipo da parte dello straniero; questa norma però non tutela gli apolidi, i quali sono solo dei non cittadini che non sono protetti dal diritto internazionale e quindi, secondo la Corte, devono prestare anche loro il servizio militare.

Nel nostro sistema non è il giudice della causa che può accertare se c'è un contrasto tra la norma nazionale e la norma internazionale consuetudinaria, ma è la Corte Costituzionale, perché noi siamo in un sistema in cui c'è un controllo di costituzionalità non diffuso, ma accentrato nelle mani della Corte Costituzionale. Il giudice della causa però potrà, nel caso in cui si trovi di fronte ad una norma nazionale suscettibile di più interpretazioni, una delle quali è conforme al diritto internazionale, potrà in questo caso senza rinviare alla Corte, visto che lui può interpretare le leggi, può dare alla legge un'interpretazione conforme al diritto internazionale ed evita quindi l'obbligo di rinviare alla Corte per far accertare dalla Corte se c'è o meno il contrasto con la norma internazionale.

ES.: Sentenza del 1969 = ricorso da parte di una società italiana fatto al Presidente del Tribunale di Genova per procedere al sequestro conservativo di due aerei della Libia, perché questa ditta italiana, officina meccanica, riteneva di essere creditrice di un ente libico in relazione alla fornitura di macchinari per un certo importo di dollari americani: però, visto che non era stata pagata voleva sequestrare questi beni, in particolare questi due aeromobili. La Repubblica libica propone un regolamento preventivo di giurisdizione, per evitare che il Presidente del Tribunale di Genova autorizzi l'esecuzione forzata, si rivolge alla Corte di Cassazione, alla quale chiede di dichiarare che non sussiste la giurisdizione italiana, perché c'è, per il diritto internazionale consuetudinario, una norma che stabilisce che gli Stati stranieri sono immuni dalla giurisdizione civile (immunità relativa che riguarda gli atti jure imperi, cioè quegli atti che sono espressione di una funzione pubblica). Questa immunità riguarda anche l'esecuzione forzata, non solo il processo di cognizione: una volta ottenuta una sentenza di accertamento, che accerta che c'è un diritto di credito nei confronti di uno Stato straniero, non sarà possibile procedere, se quello non paga, all'esecuzione forzata o comunque a misure di carattere esecutivo nei confronti dei beni di uno Stato straniero, se questo bene è un bene funzionale ad esercizio di una pubblica funzione.

La norma consuetudinaria è una norma di questo tipo, ma nel diritto italiano c'era una norma che prevedeva che in ogni caso l'esecuzione forzata o comunque qualunque procedimento esecutivo nei confronti dei beni dello Stato straniero, avrebbero dovuto essere autorizzati dal Ministero di Grazia e Giustizia.

Era una norma di favore per gli Stati stranieri che aveva sempre suscitato dei dubbi di costituzionalità, perché in dottrina si diceva che se questa autorizzazione era data per beni funzionali all'esercizio di una pubblica funzione, è contraria al diritto internazionale consuetudinario, il quale prevede che c'è l'immunità dello Stato straniero: oppure non viene data nonostante il bene non sia funzionale all'esercizio di una pubblica funzione, allora non si viola il diritto internazionale, ma si viola il diritto individuale, la tutela dei diritti coercitivi dei privati. La Corte di Cassazione nella sentenza da torto alla Libia interpretando giustamente la normativa italiana di senso conforme al diritto internazionale. La Corte dice: "se si tratta di beni destinati all'esercizio di una pubblica funzione, c'è già l'art. 10 della Costituzione che è immediatamente applicabile, dal quale discende l'immunità di questi beni da qualsiasi misura esecutiva o cautelare; se si tratta di beni non funzionali all'esercizio di una pubblica funzione, allora il Ministro di Grazia e Giustizia può o non può, a seconda dei casi, dare l'autorizzazione all'esecuzione forzata".


Nella Costituzione c'è l'art. 10 che dice che l'ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Questo articolo opera una forza di adattamento automatico e permanente del diritto italiano al diritto internazionale generale, nel senso che le norme del diritto internazionale generale vengono automaticamente immesse nel nostro ordinamento grazie all'art. 10 della Costituzione. Si tratta essenzialmente delle norme consuetudinarie, perché abbiamo escluso che ci siano altre fonti di diritto internazionale generale, rispetto alla consuetudine.

L'art. 10 immette nel nostro ordinamento le norme consuetudinarie a livello costituzionale.

La Corte Costituzionale italiana ha ammesso, in linea di principio, che una legge italiana che fosse in contrasto con un norma di diritto internazionale generale, potrebbe essere dichiarata incostituzionale dalla Corte stessa, ex art. 10 della Costituzione: quindi, nei rapporti tra le norme del diritto internazionale generale immesse nell'ordinamento italiano e le norme di legge ordinarie (di rango inferiore rispetto alla Costituzione), le norme internazionali prevalgono.


RAPPORTI TRA LE NORME IMMESSE NEL NOSTRO ORDINAMENTO EX ART. 10 E LE NORME DELLA COSTITUZIONE

Cosa succede se c'è un contrasto tra una norma costituzionale e una norma internazionale?

Quale delle due prevale?

Conforti dice: "in linea di principio, dovrebbe prevalere la norma internazionale", perché a parità di rango, la norma internazionale dovrebbe prevalere in base ad una sorta di principio di specialità, perché l'art. 10 usa una formulazione generica dicendo "l'ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute". L'ordinamento italiano comprende anche le norme costituzionali e, quindi, anche le norme costituzionale dovrebbero considerarsi modificate nella misura in cui ci fosse un contrasto con le norme del diritto internazionale generale.

Questa prevalenza del diritto internazionale, addirittura rispetto alle norme consuetudinarie, dice Conforti, non va spinto fino alle estreme conseguenze, nel senso che per Conforti, ma anche altri costituzionalisti italiani, ritengono che ci siano dei principi fondamentali nella Costituzione che avrebbero un rango superiore a quello costituzionale: sarebbero dei principi super costituzionali, delle norme fondamentali della Costituzione, superiori alla Costituzione stessa, tant'è vero che chi ammette questa concezione, poi dice che quando si modifica la Costituzione con i normali procedimenti di modifica costituzionali, non si potrebbero modificare in alcun modo i principi fondamentali, che avrebbero un rango superiore rispetto alla Costituzione. Se è vero che esistono questi principi fondamentali, ne dobbiamo dedurre che essi prevalgono anche rispetto alle norme consuetudinarie, immesse nell'ordinamento a livello costituzionale dall'art. 10, ma siccome detti principi stanno al di sopra delle normali norme costituzionali, non potrebbero nemmeno essere derogati dalle norme di diritto internazionale consuetudinario.

E' difficile che si possa ipotizzare in concreto un contrasto tra una norma di diritto internazionale consuetudinario e una norma della Costituzione, perché di solito il diritto costituzionale si occupa di materie che il diritto internazionale non regola, es. l'organizzazione interna dell'ordinamento; ma per quanto riguarda i diritti fondamentali, alcuni di questi che sono espressione di principi fondamentali della Costituzione, potrebbero porsi in contrasto con alcune norme di diritto internazionale consuetudinario e vengono qui in considerazione tutte quelle norme tradizionali del diritto internazionale, che attribuiscono delle immunità dalla giurisdizione agli Stati stranieri o ad organi degli Stati stranieri: di fronte a queste norme che garantiscono delle immunità dalla giurisdizione civile e penale (per quello che riguarda gli Stati esclusivamente dalla giurisdizione civile) italiana, si può porre un contrasto con l'art. 24 della Costituzione: Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi = se ammettiamo che l'art. 24 della Costituzione enuncia un principio fondamentale, di quelli inderogabili anche con legge costituzionale, allora di dovrebbe dedurre che c'è un contrasto tra alcune norme di diritto internazionale consuetudinario tradizionali e un principio fondamentale della Costituzione italiana.

Conforti dice: la cosa importante è che il principio enunciato nell'art. 24 sia soddisfatto nella sostanza = l'art. 24 può considerarsi non violato se nell'ordinamento interno dello Stato straniero che beneficia dell'immunità dalla giurisdizione, ci sono dei meccanismi giurisdizionali dai quali il cittadino italiano può avvalersi per ottenere il soddisfacimento dei propri diritti: se questo è possibile Conforti dice che l'art. 24 è soddisfatto; se non è possibile perché lo Stato straniero è uno Stato incivile, che non possiede un sistema giurisdizionale che garantisce una tutela adeguata dei diritti dei cittadini stranieri, allora concludiamo, con Conforti, che c'è una violazione dell'art. 24 e quindi la giurisdizione italiana, nei confronti di questi Stati, che non garantiscono al loro interno dei meccanismi giurisdizionali per la tutela dei diritti degli italiani, non godono dell'immunità della giurisdizione, anche a costo di imputare all'Italia un illecito internazionale, in violazione del diritto internazionale consuetudinario.

A sostegno di questa teoria Conforti cita una sentenza della Corte di Cassazione, sentenza dell'8 giugno 1994, la quale riguarda l'immunità dalla giurisdizione di un'organizzazione internazionale. Si trattava di un'organizzazione internazionale, il "centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei", che aveva licenziato un cittadino italiano assunto da un organo locale dell'organizzazione stessa (istituto agronomico di Bari). Il cittadino italiano si rivolge al Pretore del lavoro di Bari e chiede la reintegrazione del posto di lavoro e la condanna dell'istituto al risarcimento del danno subito, nella misura delle mancate retribuzioni dalla data di cessazione del rapporto, nonché alla contribuzione previdenziale. L'istituto si costituisce in giudizio ed eccepisce l'immunità dalla giurisdizione: questo centro internazionale funzionava in base ad un trattato, il quale garantisce all'organizzazione un'assoluta immunità per la giurisdizione civile degli Stati membri. L'Italia, al momento di ratificare il trattato, aveva fatto una riserva alla disposizione che attribuiva all'organizzazione un'immunità assoluta dalla giurisdizione, riserva con la quale si era impegnata a rispettare questi principi, nei limiti e secondo i principi generali accordati dal diritto internazionale agli Stati stranieri = immunità limitata che il diritto internazionale consuetudinario riconosce agli Stati stranieri, immunità che riguarda solo gli atti compiuti nell'esercizio di funzioni sovrane (atti iure imperi).

In questo caso, la Cassazione è arrivata alla conclusione che il cittadino italiano licenziato non poteva rivolgersi al giudice italiano per ottenere la reintegrazione del posto di lavoro. Tra le tante argomentazioni sollevate da questo cittadino italiano, c'è anche quella per cui queste norme sull'immunità dalla giurisdizione civile degli Stati stranieri che l'Italia voleva applicare anche a questa organizzazione internazionale in deroga al regime favorevole previsto dal trattato: questo regime era da considerarsi in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.

La Corte dice: non risulta da norme espresse dalla Costituzione che sussiste un'inderogabilità assoluta dalla giurisdizione statale, né essa è deducibile con particolare riguardo alla materia civile, dai principi generali del nostro ordinamento che considera ipotesi di deroga stabilite da leggi ordinarie. La tutela prevista dall'art. 24 della Costituzione non impedisce l'immunità giurisdizionale degli Stati esteri e dei soggetti internazionali, e i principi in esso stabiliti vanno contemperati con gli obblighi nascenti dai trattati e dalle consuetudini internazionali a difesa della sovranità di detti soggetti. Problemi possono nascere nel momento in cui si valuta l'esistenza in concreto di un giudice chiamato a tutelare il diritto vantato dal soggetto interessato, questione che si pone con riferimento agli Stati esteri, ma si porrebbe anche nei confronti degli enti internazionali che non hanno un proprio ordinamento giurisdizionale se la tutela dei diritti dei loro dipendenti fosse rimessa alle decisioni assolutamente discrezionali dal datore di lavoro.

Ma la Cassazione dice: nel caso specifico non è questa la situazione in esame, perché risulta dal regolamento del centro internazionale che vi è un'apposita commissione dei ricorsi competente a decidere dei ricorsi proposti dai dipendenti contro le decisioni del centro, che è un organo di individui che agisce in piena indipendenza ed è composta da esperti di diritto internazionale e diritto di lavoro, cioè sufficiente per garantire il principio supremo per la tutela giurisdizionale, tutelato dall'art. 24 della Costituzione.

La Corte Costituzionale è stata chiamata, una volta, a decidere della contrarietà delle norme del diritto internazionale consuetudinario relative all'immunità dalla giurisdizione all'art. 24 della Costituzione, dando una soluzione diversa da quella di Conforti e dalla sentenza della Corte di Cassazione: nella sentenza del 18 giugno 1979 la Corte Costituzionale ha distinto:

norme consuetudinarie che esistevano già al momento dell'adozione della Costituzione = la dizione dell'art. 10 è talmente onnicomprensiva che garantisce comunque la prevalenza delle norme consuetudinarie anche rispetto ai principi fondamentali della Costituzione;

norme consuetudinarie formatesi successivamente = dovrebbero prevalere rispetto alle normali norme costituzionali, ma dovrebbero soggiacere ai principi fondamentali della Costituzione.


ADATTAMENTO AI TRATTATI

A differenza di quello che avviene in alcune Costituzioni contemporanee che sono più avanzate della nostra, la Costituzione italiana non contiene nessuna norma relativa all'adattamento del diritto italiano ai trattati internazionali di cui l'Italia è parte, ma si occupa solo della competenza a stipulare i trattati.

Dobbiamo citare la teoria avanzata di QUADRI, il quale di fronte alla nuova Costituzione italiana, adottata dopo la II guerra mondiale, di fronte all'art. 10 e di fronte all'assenza di norme specifiche relative all'adattamento ai trattati, il quale dice: è vero che non ci sono norme relative all'adattamento ai trattati, però l'art. 10 può sopperire a questa carenza: tra le norme consuetudinarie immesse nell'ordinamento italiano dall'art. 10, c'è anche la norma pacta sunt servanda, quella famosa norma sulla produzione giuridica che fonda l'obbligatorietà dei trattati. Tale teoria andava però contro la chiara volontà dei costituenti che, nell'adottare l'art. 10, avevano chiaramente voluto riferirsi solo alle norme generali (e lo confermano anche i lavori preparatori). Infatti, questa teoria del Quadri suscitò subito varie polemiche in dottrina e, comunque, non è mai stata accolta dalla Corte Costituzionale, la quale invece ha detto esplicitamente che l'art. 10 non può aiutarsi per quanto riguarda il problema dell'adattamento ai trattati, perché si riferisce solo alle norme materiali del diritto internazionale generale, non a norme istitutive di fonti come la norma pacta sunt servanda.

Così, anche nella prassi italiana del dopoguerra si continua a fare quello che si faceva all'epoca dello Statuto Albertino, cioè di volta in volta, in relazione a singoli trattati, si provvede ad adottare le norme interne di adattamento. Non abbiamo, come per quanto riguarda il diritto consuetudinario, un procedimento di adattamento automatico e permanente, come quello di cui all'art. 10, che una volta per tutte immette nell'ordinamento il diritto consuetudinario, anche quello che eventualmente si forma successivamente; abbiamo invece, caso per caso, per ogni singolo trattato ratificato dall'Italia, di cui l'Italia sia divenuta parte, vengono adottate le norme interne di adattamento per consentire l'applicazione del trattato anche all'interno dello Stato. Il procedimento seguito è lo stesso: il procedimento speciale di adattamento = anziché adottare delle norme interne che riformulano le norme del trattato, si adotta l'ordine di esecuzione, cioè una disposizione, di solito contenuta in una legge ordinaria, ma anche in un regolamento del Governo, che dice che piena ed intera esecuzione è data al trattato internazionale di cui si tratta, facendosi rinvio al trattato internazionale che per opera di questo ordine di esecuzione potrà essere direttamente applicato dagli operatori giuridici italiani, senza bisogno di riformulare le norme del trattato stesso.

Nella prassi italiana, l'ordine di esecuzione quasi sempre viene dato, per quanto riguarda i trattati stipulati in forma solenne e, in particolare, quelli per i quali ex art. 80 della Costituzione è necessaria l'autorizzazione del Parlamento alla ratifica (data con legge), con quella stessa legge che, in base all'art. 80 della Costituzione, autorizza il Presidente della Repubblica alla ratifica del trattato. Questo significa che l'ordine di esecuzione viene dato prima che l'Italia abbia ratificato, o abbia aderito, al trattato, cioè prima che il trattato sia entrato in vigore sul piano internazionale. Ma questo non comporta conseguenze negative di sorta; proprio perché si tratta di un procedimento speciale di adattamento (mediante rinvio), questo rinvio al trattato operato dall'ordine di esecuzione produrrà i suoi effetti solo a partire dal momento in cui il trattato sarà in vigore sul piano internazionale. Rende applicabile il trattato all'interno dello Stato, ma solo nella misura in cui il trattato esista e sia in vigore per l'Italia sul piano internazionale: a volte questo è detto espressamente nell'ordine di esecuzione, ma se anche non fosse detto espressamente, non potremmo arrivare alla conclusione in base alla quale il trattato dovrebbe applicarsi in Italia a partire dalla data di entrata in vigore della legge che contiene l'ordine di esecuzione, quindi immediatamente dopo la vacatio legis ordinaria che decorre dalla pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale. Non potremmo arrivare a questa conclusione, perché è nella natura stessa dell'ordine di esecuzione rendere applicabile all'interno dello Stato, nella misura in cui questa norma esista.

ESEMPIO: Sentenza della Corte di Cassazione, riguardante il caso Ylona Staller, cittadine italiana, che aveva sposato un americano: dopo varie traversie matrimoniali, a cui era seguito il divorzio, i due avevano raggiunto un accordo negli USA in base al quale, durante la pendenza del giudizio il figlio aveva diritto ad abitare nella casa familiare ed entrambi i genitori avevano diritto a tenere il figlio in ugual misura, senza interferenze reciproche, e con divieto di allontanamento dallo Stato di New York. Ma nel giugno del '94 la Staller, violando il divieto di assoluto della Corte era fuggita da New York col figlio, rifugiandosi a Roma, dove vive tuttora, e il marito aveva fatto ricorso in Italia, perché in questa materia c'è una Convenzione dell'Aja del 25/10/1980 relativa alla sottrazione dei minori che si applicano proprio a questi casi. Però questa Convenzione del 1980 era stata ratificata dall'Italia con legge di autorizzazione alla ratifica contenente anche l'ordine di esecuzione del 15/1/1994, però l'entrata in vigore della Convenzione dell'Aja per l'Italia avvenne solo l'1/5/1995. Siccome la Convenzione dice di volersi applicare solo alle sottrazioni di minori avvenute dopo la sua entrata in vigore per lo Stato contraente contro il quale si invoca la citazione della Convenzione, la Cassazione da ragione alla Staller, dicendo che non poteva essere invocata questa Convenzione, perché la sottrazione era avvenuta prima dell'entrata in vigore del trattato, anche se dopo la data dell'ordine di esecuzione.

Cosa strana di questa sentenza è che la legge che contiene l'ordine di esecuzione è del gennaio del 1994, come tutte le leggi è entrata in vigore dopo la vacatio legis che ricorre dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, quindi anche se la Convenzione non era ancora in vigore per l'Italia, però l'ordine di esecuzione era già in vigore, quindi la Convenzione va applicata in Italia prima del sequestro.

La Corte risponde che non è applicabile perché l'Italia ha ratificato dopo, perché nell'ordine di esecuzione è detto esplicitamente che piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione a partire dalla data della sua entrata in vigore, in base all'art. (tot) della Convenzione stessa.

Ma quello che la Corte dice in questa sentenza è che se non fosse stato detto esplicitamente nell'ordine di esecuzione che l'applicazione della Convenzione in Italia era subordinata alla sua entrata in vigore sul piano internazionale, allora il trattato avrebbe potuto applicarsi fino dalla data di entrata in vigore della legge contenente l'ordine di esecuzione, anche se poi la Convenzione fosse stata ratificata dopo.

Dobbiamo dire che è delle natura stessa dell'ordine di esecuzione subordinare l'applicazione del trattato all'interno dello Stato alla sua entrata in vigore sul piano internazionale anche se questo non è detto esplicitamente nel testo dell'ordine di esecuzione.

L'adattamento del diritto italiano ai trattati avviene di volta in volta con lo strumento dell'ordine di esecuzione, con un procedimento speciale che rande applicabile direttamente il trattato all'interno del nostro ordinamento. L'ordine di esecuzione è dato di solito con una legge, ma può essere dato anche con atti di diversa natura: ESEMPIO, nella Convenzione sul genocidio del 1948 l'ordine di esecuzione è stato dato con una legge costituzionale perché si riteneva che ci fossero dei problemi di incompatibilità tra certe disposizioni della Convenzione e certi della Costituzione; in altri casi si da esecuzione ai trattati con un atto amministrativo. Ma nella maggior parte dei casi l'ordine di esecuzione è dato con una legge e nella prassi italiana questa legge è la stessa, almeno per quanto riguarda i trattati conclusi in forma solenne, che da anche l'autorizzazione alla ratifica.

Questo comporta che il ruolo dell'interprete che deve applicare il trattato dovrà risolvere una serie di problemi, quando deve applicare il trattato, che invece se fosse stato adottato il metodo ordinario non dovrebbe risolvere perché sarebbero già stati risolti dal Parlamento, o dal Governo, in sede di adozione delle norme di attuazione del trattato. Invece, di fronte ad un trattato immesso dall'ordinamento con l'ordine di esecuzione l'interprete deve soprattutto accertare se il trattato è entrato in vigore per l'Italia, perché l'ordine di esecuzione non opera a partire dall'entrata in vigore delle legge che contiene l'ordine di esecuzione, ma opera dal momento in cui il trattato entra in vigore sul piano internazionale per l'Italia, che normalmente avviene in un momento successivo.

In secondo luogo, l'interprete dovrà accertare quali sono gli Stati parti del trattato, perché il trattato si applica solo tra gli Stati parti del trattato; ma questo non significa che le regole contenute nel trattato devono essere applicate solo nei rapporti con i cittadini degli Stati parti del trattato, perché ci sono dei trattati, come ad esempio, gli accordi di estradizione che chiaramente creano diritti ed obblighi nei rapporti tra gli Stati parti; ma ci sono altri trattati, quelli che impongono agli Stati parti di adottare certe norme di diritto privato, che una volta immessi nell'ordinamento interno si applicano erga omnes.

ESEMPIO:

Convenzione di Bruxelles del 1978 sulla competenza giurisdizionale si applica solo se il convenuto del processo ha il domicilio in uno degli Stati contraenti.

Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali si applica erga omnes: le norme dettate dalla Convenzione si applicano indipendentemente dalla nazionalità delle parti del trattato, anche se si tratta di cittadini di Stati terzi.

In terzo luogo, l'interprete dovrà anche stabilire se c'è stata una successione, quindi dovrà vedere se uno Stato non contraente originario della Convenzione è però subentrato, in seguito alla successione fra Stati, nella Convenzione stessa.

ESEMPIO: nella sentenza della Corte d'Appello di Torino del 1993 in cui si era posto il problema se una Convenzione di estradizione, stipulata tra Italia e Iugoslavia, fosse applicabile, in seguito alla successione verificatasi nella ex Jugoslavia, nei rapporti tra Italia e Croazia. E il tribunale di Torino, applicando la regola della tabula rasa, ha risposto che questa Convenzione non era in vigore e non poteva applicarsi tra Italia e Croazia.

Dovrà poi anche accertare se l'Italia ha posto delle riserve a questa Convenzione e quali sono gli effetti di queste riserve: la sentenza della Corte di Cassazione dell'organizzazione per studi agronomici mediterranei, che aveva un ufficio periferico a Bari, anche se la convenzione prevedeva un'immunità assoluta dalla giurisdizione civile dell'organizzazione internazionale in questione, l'Italia aveva fatto una riserva nella quale aveva detto che avrebbe accordato all'organizzazione un'immunità nei limiti in cui l'immunità è garantita dal diritto consuetudinario agli Stati stranieri, quindi un'immunità relativa soltanto agli atti compiuti iure imperi.

Inoltre, nell'applicare le norme del trattato, l'interprete interno, se ci sono dei problemi di interpretazione, dovrà applicare non le norme interne in materia di interpretazione della legge, ma dovrà applicare le norme internazionali sull'interpretazione dei trattati che sono immesse nel nostro ordinamento, in quanto norme consuetudinarie, dall'art. 10 della Costituzione e, in più, sono anche immesse a livello di legge ordinaria in seguito all'ordine di esecuzione che è stato dato alla Convenzione di Vienna del 1969 che codifica le regole internazionali sull'interpretazione dei trattati. Sempre che non si tratti di uno di quei trattati come, in particolare, i trattati istitutivi delle Comunità Europee che prevedono che quando sorge una questione d'interpretazione delle relative disposizioni, il giudice nazionale possa, o debba se si tratta di giudice di ultima istanza, rivolgersi ad un tribunale internazionale, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, per ottenere la corretta interpretazione del trattato, in modo da garantire l'uniformità dell'applicazione: questo vale per la Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento delle sentenze straniere, per la quale è previsto un meccanismo di rinvio pregiudiziale mutuato da quello previsto dai trattati istitutivi delle Comunità Europee.

Però l'applicazione diretta delle norme del trattato non è sempre possibile: ci sono dei casi in cui la norma internazionale non è self-executing, non è auto applicabile. Ci sono delle norme contenute nei trattati internazionali, così come possono esserci delle norme consuetudinarie, che pur essendo state immesse nell'ordinamento italiano non sono applicabili ad una fattispecie concreta, perché non sono perfette, non contengono in sé tutti gli elementi necessari per poter essere applicate ad una fattispecie concreta. In questo caso, l'ordine di esecuzione non è sufficiente a rendere applicabile all'interno dello Stato la norma internazionale. Sarà necessaria una combinazione del metodo speciale di adattamento con il metodo ordinario: bisognerà adottare le norme interne di specificazione che sono indispensabili per poter applicare quelle determinate norme del trattato che non sono self-executing. Perciò, in alcuni casi, si adotta una legge che da l'autorizzazione alla ratifica, da l'ordine di esecuzione, poi ci si accorge che certe norme del trattato non sono self-executing e si adotta una successiva legge che da le norme di specificazione che consentono di applicare concretamente quelle disposizioni del trattato che non sono self-executing.

Dovrebbe avvenire sempre, ma solo talvolta, che nella stessa legge che da l'ordine di esecuzione si adottano anche, con metodo ordinario, le norme di specificazione indispensabili per poter applicare certe norme del trattato.

ESEMPIO: L. 18/11/1995 N. 436 intitolata ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, fatta a Parigi il 13/1/1993 = è una Convenzione fondamentale sull'uso delle armi chimiche, non solo perché prevede il divieto completo dell'uso delle armi chimiche in qualunque situazione, ma prevede anche tutto un complesso sistema di disarmo per verificare che gli Stati effettivamente distruggano le armi chimiche che già hanno e che non ne producano altre. Per dare esecuzione a questa Convenzione l'ordine di esecuzione non era sufficiente: innanzitutto perché la Convenzione oltre ad istituire un'organizzazione internazionale con sede a l'Aja per effettuare ispezioni periodiche sul luogo, prevede che gli Stati membri debbano designare delle autorità nazionali che sono responsabili a livello nazionale di garantire il rispetto della Convenzione da parte dei privati, che tengano poi rapporti con l'organizzazione internazionale che ha sede a l'Aja; in secondo luogo, perché la Convenzione prevede una serie di comportamenti che gli Stati membri devono considerare come comportamenti penalmente rilevanti. Questa legge, oltre ad autorizzare il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione (art. 1), oltre a contenere l'ordine di esecuzione (art. 2), agli artt. 3 e segg. Detta una serie di norme di specificazione indispensabili per poter applicare quelle disposizioni della Convenzione che non sono self-executing: l'art.9 designa il Ministero degli Affari Esteri come autorità nazionale competente a tenere accordi con l'organizzazione internazionale dell'Aja; poi gli artt. dal 10 e segg. Prevedono le pene per i comportamenti che la Convenzione considera penalmente rilevanti.



COSA SUCCEDE SE UN TRATTATO INTERNAZIONALE VIENE STIPULATO DALL'ITALIA MA NON VIENE DATO L'ORDINE DI ESECUZIONE

In una prospettiva monista si potrebbe sostenere che il trattato, essendo in vigore per l'Italia sul piano internazionale, è comunque applicabile all'interno dello Stato. Ma siccome nel nostro ordinamento Dottrina e Giurisprudenza seguono la prospettiva dualista, che parte dal presupposto che diritto internazionale e diritto interno sono due ordinamenti distinti e separati, la Giurisprudenza italiana ne ha dedotto che, qualora non sia stato dato l'ordine di esecuzione, il trattato è irrilevante per l'ordinamento interno, quindi non è applicabile all'interno dello Stato da parte degli operatori giuridici nazionali.

Questo può verificarsi non tanto per i trattati conclusi in forma solenne, ma vale o per quei trattati di cui il governo non ritiene che rientrino nell'art. 80 della Costituzione e non chiede l'autorizzazione alla ratifica al Parlamento e li ratifica lo stesso senza autorizzazione parlamentare, oppure per i trattati conclusi in forma semplificata, i quali non richiedono l'autorizzazione parlamentare alla ratifica.

Questi trattati non sono applicabili nell'ordinamento interno: Conforti è d'accordo con questa impostazione della Giurisprudenza italiana, ma aggiunge solo che i giudici nazionali, pur non potendo applicare questi trattati, perché sono in vigore nell'ordinamento internazionale, ma non nell'ordinamento interno, però potrebbero ugualmente tenerne conto in sede d'interpretazione delle norme nazionali, dando alle norme nazionali che siano suscettibili di più interpretazioni, quella conforme al trattato internazionale che l'Italia ha ratificato. Il giudice nazionale può sapere, almeno in teoria, che l'Italia è parte del trattato, perché a partire da una legge del 1984 è ormai obbligatorio per il Governo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di tutti i trattati internazionali, anche quelli che non vengono pubblicati automaticamente per il fatto di essere stati eseguiti con una legge. Ma questa legge dispone che in ogni caso i trattati internazionali, anche quelli per i quali la pubblicazione non sia già stata disposta in virtù del fatto che sono allegati a leggi del Parlamento, devono essere comunque pubblicati in Gazzetta, ivi compresi quelli conclusi in forma semplificata.



















RAPPORTI FRA IL TRATTATO INTERNAZIONALE E LE NORME DELLA COSTITUZIONE

Sappiamo che il rango delle norme internazionali immesse nell'ordinamento italiano è lo stesso della norma italiana che provvede all'adattamento. Abbiamo visto che le norme consuetudinarie, siccome sono immesse ex art. 10 della Costituzione, hanno un rango costituzionale, salvo il problema dei principi fondamentali della Costituzione.

Allo stesso modo dobbiamo dire che siccome nella prassi abituale per i trattati internazionali l'ordine di esecuzione viene dato con una legge ordinaria, il rango di questi trattati sarà quello di una legge ordinaria. Questo significa, innanzitutto, che i trattati internazionali stanno al di sotto della Costituzione e quindi in caso di contrasto con una norma del trattato e una norma della Costituzione, non c'è dubbio che prevalga la norma della Costituzione e la Corte Costituzionale potrà dichiarare costituzionalmente illegittima non direttamente la norma del trattato, ma potrà dichiarare l'incostituzionalità della legge che contiene l'ordine di esecuzione, nella parte in cui tale esecuzione sia in contrasto con un una norma della Costituzione.

La Corte Costituzionale non solo ha detto di essere competente in linea di principio a giudicare della legittimità costituzionale delle leggi che danno esecuzione ai trattati internazionali, ma in concreto, in certi casi, è anche intervenuta per dichiarare l'incostituzionalità di certi trattati internazionali di cui l'Italia è parte. Si è trattato di trattati conclusi in materia di estradizione:

sentenza del 1979 relativa ad un trattato di estradizione tra Italia e Francia che risaliva al 1870;

sentenza del 1996 riguardante un trattato di estradizione tra l'Italia e gli USA del 1983.

In entrambe queste sentenze la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità delle leggi italiane di esecuzione di questi trattati nella parte in cui davano esecuzione a questi trattati consentendo l'estradizione per reati puniti con la pena di morte nell'ordinamento dello Stato richiedente. Siccome l'Italia non ammette la pena di morte e c'è un principio costituzionale in questo senso (non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra), la Corte Costituzionale ha dedotto l'incostituzionalità delle disposizioni di questi trattati nella misura in cui consentivano l'estradizione per reati puniti con la pena di morte.

Ad un caso del genere, quando la Corte Costituzionale dichiara l'incostituzionalità dell'ordine di esecuzione di un trattato, nella parte in cui da esecuzione a certe disposizioni del trattato che contrastano con i principi della Costituzione, quelle disposizioni del trattato non sono più applicabili all'interno dello Stato. Ne può derivare un illecito internazionali per l'Italia: una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara l'incostituzionalità dell'ordine di esecuzione  del trattato, anche parziale, ne deriva che l'Italia non può più dare esecuzione a quelle disposizioni del trattato e quindi viola il trattato e commette un illecito di cui sarà responsabile sul piano delle relazioni internazionali.

Conforti, dice che in un caso del genere si potrebbe invocare una causa di esclusione dell'illecito: lui dice che tra le cause di esclusione dell'illecito c'è anche il rispetto dei principi fondamentali della Costituzione. Però questa causa di esclusione dell'illecito non è elencata nel progetto di articoli della Commissione di diritto internazionale che anzi ribadisce la regola tradizionale per la quale uno Stato non può invocare il suo diritto interno per giustificare la violazione del diritto internazionale. Regola che troviamo enunciata anche nella Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati. La teoria del Conforti trova una sua base nella prassi internazionale, ma non è chiaro se si tratta del diritto internazionale vigente: sarebbe una risposta negativa, perché se è vero che i rapporti tra gli Stati civili (in senso moderno, gli Stati di diritto), se entrambi sono Stati democratici, di diritto, come lo sono l'Italia e gli USA, gli USA non faranno valere la responsabilità internazionale dell'Italia per il fatto che l'Italia non ha estradato una persona nonostante ci fosse un trattato internazionale che disponeva in questo senso, se la mancata estradizione è dovuta da una sentenza della Corte Costituzionale che rende impossibile l'adempimento dell'obbligazione. Questa è però una prassi limitata solo fra Stati civili, ma non possiamo dire che siamo in presenza di una norma consuetudinaria.

Ne seguirà la reintegrazione del trattato: il trattato dovrà essere abrogato o reintegrato per togliere di mezzo quelle disposizioni che Corte Costituzionale ha considerato contrarie alla Costituzione e, quindi, non applicabili.




Nei rapporti con la Costituzione, i trattati internazionali stanno ad un livello subordinato e le Corte Costituzionale è competente, e in alcuni casi lo ha fatto, a dichiarare l'incostituzionalità dell'ordine di esecuzione di un trattato che contenga disposizioni in contrasto con norme della Costituzione.

Discorso particolare va fatto a proposito dei trattati relativi ai diritti umani, ai trattati sui diritti dell'uomo, quindi la Convenzione Europea del 1950, i Patti delle Nazioni Unite del 1966 e le varie altre Convenzioni sui diritti dell'uomo che si occupano di problemi specifici, per esempio la Convenzione sui diritti del fanciullo che tutela i bambini, i minori. I trattati sui diritti dell'uomo come tutti gli altri trattati conclusi in forma solenne per i quali è stata data l'autorizzazione alla ratifica con legge del Parlamento, questa stessa legge ha dato anche l'ordine di esecuzione di questi trattati: quindi, anche i trattati sulla tutela dei diritti umani sono stati immessi nel nostro ordinamento con un ordine di esecuzione dato con una legge ordinaria, e quindi si situano anche loro, in linea di principio, nella gerarchia delle fonti nazionali a livello di legge ordinaria, stanno al di sotto della Costituzione; però c'è una tendenza della Giurisprudenza italiana più recente ad operare una sorta di costituzionalizzazione di questi trattati, non però in senso formale, tendendo ad utilizzare questi trattati internazionali sulla tutela dei diritti umani per interpretare le disposizioni della Costituzione italiana, in particolare quelle che enunciano i diritti fondamentali, specialmente laddove questi trattati contengano delle disposizioni più elaborate, più specifiche, rispetto a quelle più generali della nostra Costituzione; la Giurisprudenza spesso e volentieri tende ad utilizzare questi trattati per integrare le disposizioni della Costituzione dandone un'interpretazione conforme ai trattati internazionali in materia di diritti umani = ESEMPIO: sentenza della Corte Costituzionale del 1994 N. 178 che ha dichiarato incostituzionali due articoli del codice penale italiano (art. 17 e 22), nella parte in cui non prevedevano l'esclusione della pena dell'ergastolo per i minori. In seguito a questa sentenza, oggi questi articoli sono stati modificati e la pena dell'ergastolo non può più essere comminata nei confronti dei minori. Ma per dichiarare l'incostituzionalità di questi due articoli la Corte ha fatto riferimento all'art. 31/2 della Costituzione che si limita a dire che la Repubblica protegge l'infanzia: ha interpretato questo articolo 31/2 della Costituzione, alla luce della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, la quale dice esplicitamente che sia la pena di morte, sia l'imprigionamento a vita devono essere vietati dagli Stati parti ai minori di 18 anni. La Corte ha utilizzato questa Convenzione internazionale immessa nell'ordinamento italiano a livello di legge ordinaria per dare un'interpretazione dell'art. 31/2 della Costituzione, tale per cui ha dichiarato l'incostituzionalità dei due articoli del codice penale. Quindi, abbiamo una sorta di costituzionalizzazione di questi trattati nella misura in cui possono servire ad interpretare le disposizioni della Costituzione in materia di tutela dei diritti umani e, quindi, possono servire da parametro di costituzionalità delle leggi ordinarie. Però si tratta di costituzionalizzazione in senso non formale, perché l'incostituzionalità della norma di legge viene dichiarata non alla luce del trattato internazionale, ma alla luce di una norma della Costituzione che viene eventualmente interpretata in senso conforme al trattato internazionale: sul piano formale il trattato ha sempre il rango di legge ordinaria, però viene impiegato per dare un'interpretazione delle norme della Costituzione. Tutti gli altri trattati internazionali sono al di sotto della Costituzione, ama anche questi, sul piano formale, sono al di sotto della Costituzione.

Il problema sorge per quello che riguarda il rapporto con le altre leggi ordinarie, soprattutto per quello che riguarda le leggi posteriori.



RAPPORTO FRA TRATTATI CON LE ALTRE LEGGI

Dobbiamo vedere se è possibile attribuire all'ordine di esecuzione dei trattati una sorta di resistenza tale per cui i trattati resi esecutivi con legge possono prevalere anche in presenza di norme di legge successive che eventualmente siano in contrasto con i trattati internazionali, per evitare che l'Italia incorra in una responsabilità internazionale per violazione del trattato.

I tentativi per arrivare ad una risposta positiva in questo senso sono stati vari. La Giurisprudenza italiana non ha ancora risolto una volta per tutte questa questione: si è partiti da una sentenza della Corte Costituzionale del 1974 riguardante il trattato istitutivo delle Comunità Europee, la quale disse che siccome i trattati istitutivi delle Comunità Europee erano stati immessi nell'ordinamento italiano con una legge ordinaria, in base ai principi generali della successione delle leggi nel tempo, le eventuali leggi successive che fossero state in contrasto con i trattati istitutivi delle Comunità Europee, avrebbero comunque dovuto prevalere, perché trattandosi di norme di pari rango, la norma successiva prevale su quella anteriore.

Per quanto riguarda i trattati istitutivi delle Comunità Europee, l'ordinamento italiano ha finito per adeguarsi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, per cui oggi possiamo dire sicuramente che i trattati istitutivi delle Comunità Europee prevalgono su tutte le leggi successive che eventualmente contengano delle disposizioni in contrasto. Però il problema è stato risolto solo per i trattati istitutivi delle Comunità Europee, perché il ragionamento della Corte di Giustizia delle Comunità Europee è un ragionamento che vale solo per i trattati istitutivi delle Comunità Europee.

C'è l'art. 11 che impedisce di dire che i trattati istitutivi delle Comunità Europee sono contrari alla Costituzione per cui c'è un fondamento costituzionale di queste limitazioni di sovranità dell'art.11 della Costituzione; dopo di che è stato creato un ordinamento comunitario che ha determinate competenze, che prevale sull'ordinamento nazionale: c'è un principio di prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale che è tipico degli Stati federali, dove il diritto federale prevale sul diritto locale degli Stati membri della federazione.

Per quanto riguarda gli altri trattati internazionali, non è così, non c'è nessun fondamento costituzionale che ci consente di dire che i trattati internazionali prevalgono sulle leggi italiane successive.

Anche qui la Costituzione qualcosa dice a proposito dei rapporti tra i trattati internazionali e le leggi italiane successive, ma con riferimento ad una particolare categoria di trattati: viene in considerazione, a questo proposito, l'art.10 della Costituzione, comma 2° = la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali = questo riferimento alle norme e ai trattati internazionali ci consente di dire che se una norma interna, anche successiva, è in contrasto con un trattato internazionale che è relativo alla condizione giuridica dello straniero, questa legge sarebbe incostituzionale ex art. 10/2. Ma si tratta dei trattati relativi alla condizione giuridica dello straniero e qui Conforti fa una precisazione opportuna, nel senso che c'è una tendenza nella Giurisprudenza italiana, le poche volte che la Corte Costituzionale si è occupata dell'art. 10/2, la Corte ha sempre escluso che esistesse un contrasto tra una norma di legge ordinaria e un trattato internazionale per cui non ha mai dichiarato l'incostituzionalità di una norma di legge interna ex art. 10/2, però tutte le volte che si è occupata del problema, lo ha fatto con riferimento a trattati relativi alla tutela di diritti dell'uomo. Dobbiamo chiederci se effettivamente questa tendenza a far rientrare tra i trattati che prevalgono sulle leggi italiane, in virtù dell'art. 10/2, i trattati in materia di diritti umani, è corretta.

Conforti dice di no e sembra avere ragione, perché i trattati relativi alla materia dei diritti umani non sono trattati relativi alla condizione giuridica dello straniero, ma sono trattati relativi alla condizione giuridica dell'individuo, a prescindere dalla sua nazionalità, quindi tutelano l'individuo anche italiano nei confronti dello Stato, non sono specificamente relativi alla condizione giuridica dello straniero presente in territorio italiano. E l'art. 10/2 parla di condizione giuridica dello straniero: è vero che questi trattati si occupano anche degli stranieri, come si occupano degli individui, a prescindere dalla loro nazionalità, sono invocabili dinanzi ai giudici italiani sia da cittadini che da stranieri, che eventualmente ritengano che un loro diritto umano sia stato leso in Italia. Però non possiamo sostenere che questi trattati siano relativi alla condizione giuridica dello straniero: quindi, questa disposizione andrebbe letta in senso restrittivo, come applicabile solo a quei trattati bilaterali, o anche multilaterali, più raramente, che l'Italia abbia stipulato con altri Stati per regolare la condizione giuridica dei cittadini di quegli Stati in Italia. Questi trattati, e non tutti i trattati sulla condizione giuridica dell'individuo a prescindere dalla nazionalità, prevalgono rispetto alle leggi italiane, anche successive, perché l'art. 10/2 dice che la condizione giuridica dello straniero è regolata in conformità delle norme dei trattati internazionali: la legge non piò in alcun modo modificare questi trattati internazionali, pena la sua incostituzionalità ex art. 10/2.Però teniamo presente che la Corte non ha mai dichiarato l'incostituzionalità di una norma di legge ex art. 10/2, però quando si è occupata del problema ha citato i trattati sui diritti umani: se dovessimo concordare con la Corte, dovremmo arrivare alla conclusione che tutti i trattati sui diritti dell'uomo non possono mai in alcun modo essere modificati da leggi italiane pena l'incostituzionalità di queste leggi.

Il problema resta per tutti gli altri trattati: l'art. 10/2 assicura la prevalenza, secondo Conforti, solo ai trattati relativi alla condizione giuridica dello straniero; secondo quella che sembra essere l'interpretazione della Corte Costituzionale, la prevalenza dovrebbe essere assicurata anche ai trattati relativi alla tutela dei diritti dell'uomo, che in quanto tutelano sia il cittadino che lo straniero, sarebbero ricomprese nelle Convenzioni che dovrebbero prevalere ex art. 10/2.Ma tutti gli altri trattati che non riguardano né la tutela dello straniero, né la tutela dei diritti dell'uomo, come fanno a prevalere rispetto alle leggi successive? Dalla sentenza che aveva affermato, in generale, che la legge successiva prevale sul trattato precedente se questo è stato immesso con una legge ordinaria nel nostro ordinamento, la Giurisprudenza successiva tende sempre a far prevalere il trattato internazionale anche rispetto a leggi successive, ma non lo fa sulla base di una teoria che fonda sul piano teorico l'effettiva prevalenza del trattato rispetto alla legge successiva, lo fa con argomentazioni pragmatiche citando il principio di specialità rationae materiae, dicendo magari che il trattato regola una materia più specifica rispetto a quella di cui si occupa la legge successiva, quindi in base ai principi generali che risolvono i conflitti tra le norme, se è vero che la norma successiva prevale sulla norma precedente, è però vero anche che la lex specilis (=norma speciale) prevale anche sulla norma successiva, se questa è pi generale. Quindi, in base al principio di specialità rationae materiae, molto spesso vengono fatte prevalere le Convenzioni internazionali rispetto alle leggi successive, anche se queste contengono disposizioni abbastanza contrastanti: per esempio, tutti i trattati di diritto marittimo vengono regolarmente considerati speciali rispetto alle norme del codice della navigazione e quindi dove ci sia un contrasto vengono fatti prevalere rispetto alle norme del codice della navigazione, anche se si tratta di norme precedenti all'entrata in vigore del codice della navigazione.

Altro criterio spesso utilizzato è quello della presunzione di conformità della norma di legge successiva ala trattato stipulato precedentemente: di fronte a più possibili interpretazioni della norma di legge successiva, si tende a far prevalere quella che è conforme agli obblighi internazionalmente assunti dallo Stato con trattati internazionali stipulati anteriormente.

Non siamo ancora arrivati, come siamo già arrivati per quello che riguarda i trattati istitutivi delle Comunità Europee, ad una base teorica nella Giurisprudenza che garantisce sempre e comunque la prevalenza del trattato internazionale rispetto alle norme di legge successiva. Ci sono varie teorie proposte alla Giurisprudenza, sperando che prima o poi vengano accolte per garantire la prevalenza del trattato. Ci limitiamo a citare la teoria del Conforti, che si fonda sulla Giurisprudenza di certi Stati stranieri dove si è posto anche per loro il problema. Conforti dice: la legge che contiene l'ordine di esecuzione di un trattato è una legge un po' speciale, quindi è per questo che prevale sulle leggi successive (in base ad un principio di specialità sui generis), perché con l'ordine di esecuzione il Parlamento manifesta una duplice volontà normativa:

la normale volontà normativa che il Parlamento manifesta quando adotta una qualsiasi legge che è quella di voler regolare una materia particolare (quella di cui si occupa il trattato) con determinate norme che sono quelle contenute nel trattato;

volontà normativa di dare esecuzione ad un obbligo internazionale che l'Italia ha assunto stipulando il trattato.

Allora Conforti dice che se il Parlamento dopo aver dato l'ordine di esecuzione di un trattato adotta una legge successiva che contiene delle disposizioni contrastanti con alcune disposizioni del trattato, al quale ha precedentemente dato esecuzione, vuol dire che è venuta meno una delle due volontà normative, quella normale (la prima), ma non è venuta meno l'altra volontà normativa, quella di dare esecuzione agli impegni internazionali, perché nella maggior parte dei casi, quando il Parlamento adotta delle leggi successive, che sono in contrasto, anche parzialmente, con il trattato internazionale a cui si era data esecuzione in precedenza, non c'è la volontà del Parlamento di violare il trattato, e questa legge successiva sarà applicabile, ma prevarrà, in caso di contrasto, il trattato internazionale.

La modifica o l'abrogazione dell'ordine di esecuzione si potrà ammettere solo se siamo di fronte ad una legge successiva che manifesta chiaramente la volontà dl Parlamento di violare il trattato, e allora potremmo effettivamente sostenere che l'ordine di esecuzione è stato abrogato o modificato dalla legge successiva e, quindi, quelle disposizioni del trattato che sono in contrasto con la legge successiva non potranno più applicarsi; ma negli altri casi il trattato dovrà prevalere in base ad un principio si specialità sui generis, che consiste nel fatto che l'ordine di esecuzione è una legge speciale rispetto alle altre perché ha questa duplice volontà normativa. Se la legge successiva modifica una di queste due volontà, allora il trattato dovrebbe prevalere.

Questa teoria del Conforti sembra equilibrata, perché consente, da un lato la prevalenza del trattato al di là degli escamotage che la Giurisprudenza caso per caso riesce ad escogitare per farle effettivamente prevalere nel caso concreto; ma consente anche, nei casi in cui il Parlamento effettivamente voglia violare il trattato internazionale, che possa adottare delle norme che dovranno prevalere anche se questo comporta un illecito dello Stato e a quel punto il trattato non potrà più essere applicato per quella parte che contrasta con la legge.

Questa teoria non è stata adottata dalla Giurisprudenza italiana, però abbiamo una sentenza della Corte Costituzionale del 1993 N. 10, che se fosse confermata potrebbe garantire la prevalenza dei trattati, non solo in base alla teoria del Conforti. Questa sentenza si riferisce ad un trattato sui diritti umani e dice: le norme introdotte nell'ordinamento italiano con ordine di esecuzione di un trattato internazionale sarebbero "norme derivanti da una fonte riconducibile ad una competenza atipica e come tali insuscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria". = non si capisce bene cosa voglia intendere la Corte quando fa riferimento ad "una fonte riconducibile ad una competenza atipica": Conforti, infatti, la critica, ma al di là della terminologia usata non sembra molto diversa dalla teoria di Conforti, perché si potrebbe anche sostenere che quando si parla di "fonte riconducibile ad una competenza atipica", si può anche far riferimento al fatto che l'ordine di esecuzione non è una legge come le altre, ma è una legge che introduce nell'ordinamento italiano un trattato internazionale che l'Italia rispetta sul piano internazionale e che per questa ragione prevale sulle norme di legge successive.

Concludendo il discorso citiamo una sentenza americana che si riferisce all'OLP, la quale aveva ottenuto lo stato di osservatore in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e quindi aveva aperto un ufficio permanente di rappresentanza a New York per poter esercitare le funzioni che spettano agli osservatori presso l'ONU, i quali, come gli Stati, hanno spesso dei benefici di rappresentanza permanente. A quell'epoca il Governo degli USA considerava l'OLP come un'organizzazione terroristica, quindi fu adottata, dopo l'apertura dell'ufficio permanente dell'OLP a New York, una legge del 1987 la quale vietava lo stabilimento e il mantenimento dell'ufficio di rappresentanza dell'OLP in territorio statunitense: c'era una volontà del Parlamento molto chiara di far chiudere questi uffici. L'OLP si è rivolta alla Corte Distrettuale di New York la quale con una sentenza del 1988 disse che l'ufficio poteva essere mantenuto, non doveva essere chiuso. La Corte Distrettuale di New York disse che questa legge del 1987 contravveniva agli impegni che gli USA avevano assunto con l'accordo di sede stipulato con l'ONU: c'era una legge successiva del 1987 che contrastava con un trattato internazionale, l'accordo di sede tra USA e ONU, però questa legge successiva era sorretta da quella duplice volontà normativa di cui parla Conforti, perché era stata adottata allo scopo di far chiudere l'ufficio dell'OLP. Però il giudice disse, per arrivare alla conclusione opposta, che questa duplice volontà normativa non c'era per il motivo che il Congresso degli USA interpretava l'accordo di sede in modo tale da concluderne che l'accordo di sede non avrebbe obbligato gli USA a consentire l'apertura dei un ufficio di rappresentanza di un osservatore piuttosto che non di uno Stato membro delle Nazioni Unite. Il congresso non sapeva di violare l'accordo di sede, secondo il giudice, perché riteneva che l'accordo di sede in realtà non avrebbe obbligato gli USA a consentire l'apertura di un ufficio di rappresentanza dell'OLP a New York. Secondo la corretta interpretazione dell'accordo di sede secondo la Corte distrettuale di New York, comporta che anche nel caso di osservatori lo Stato di sede è obbligato a consentire l'apertura degli uffici di rappresentanza permanente, siccome c'era solo un'erronea interpretazione del Parlamento americano dell'accordo di sede, allora il giudice fa prevalere l'accordo di sede in costanza della legge successiva.

In America, la teoria del Conforti è accolta dalla Giurisprudenza nel senso che fa prevalere il trattato internazionale rispetto alle leggi successive, ma non quando la legge successiva è stata adottata allo scopo di contravvenire al trattato.





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