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IL LAVORO DEI MINORI E IL LAVORO FEMMINILE: DALLA TUTELA ALLA PARITA'.

giurisprudenza



CAPITOLO QUINTO.

IL LAVORO DEI MINORI E IL LAVORO FEMMINILE:

DALLA TUTELA ALLA PARITA'.


La tutela del lavoro dei minori.


Fino agli anni 60 il lavoro minorile e quello delle donne era trattato alla stessa stregua, ma poi si è visto i principi costituzionali, ed in maniera incisiva la rivendicazione dei diritti femminile, ha portato la legislazione del lavoro ad usare come solo discriminante l'età, e non il sesso.

L'articolo 36 cost, insieme al diritto al lavoro costituzionale (4),  si articola in tre principi fondamentali:

rende esclusiva competenza legislativa la disciplina sul lavoro minorile

si distingue il lavoro femminile da quello minorile, dando a quest'ultimo una disciplina speciale

allora di tipo innovativo, sancisce che a parità di lavoro il minore ha pari diritto retributivo.


Tali principi sono accolti nella 977/1967, che in alcuni punti tratta ancora alla pari il lavoro femminile e quello minorile, ed accanto ai principi costituzionali ha aggiunto due parametri agli articoli 7 e 8 e cioè la compatibilità del lavoro con uno sviluppo fisico, psichico, e morale del minore, e il riconoscimento dell'idoneità al lavoro preventivo e postumo all'assunzione da farsi a carico del datore, inoltre è importante la distinzione del fanciullo quale minore di 15 anni, e di adolescente con età compresa fra i 15 e 18 anni.



Per principio, inoltre, è vietato al minore qualsiasi lavoro notturno, meno che si tratti di lavoro nello spettacolo.


La 977/1967 è allineata a tutte le legislazioni internazionali, almeno in linea teorica, mentre pecca per l'applicazione e la superficialità ispettiva.


Questioni sono più volte state sollevate riguardo il principio costituzionale della parità retributiva di minori e donne a parità di lavoro, che solo negli anni 70 è stato interpretato come parità di mansioni e non parità di produttività.


Principio costituzionale di parità e legislazione protettiva delle lavoratrici.


LA Costituzione si ricorda è protesa verso l'uguaglianza nei rapporti tra uomini e donna, e la salvaguardia della donna è frutto solo della sua funzione familiare, dall'altro canto invece la legislazione ha sempre proteso alla differenziazione dei due lavoratori, almeno fino alla legge 903/77 che rimuove tutti gli ostacoli alla parità nel trattamento del lavoro femminile meno il divieto di lavoro notturno dalle 24 alle 6, e pure rimuovendo il divieto di lavori pesanti alle donne, contestualmente stabilisce che la contrattazione collettiva possa adoperarlo a sua discrezione.


La corte costituzionale ha ritenuto legittimo il principio secondo cui le donne possano lavorare pesantemente in virtù degli accordi collettivi, mentre ha ritenuto incostituzionale il divieto del lavoro notturno per la parità di trattamento.


Anche l'articolo 4 della 903/77 che prevedeva l'anticipazione dell'età pensionistica per le donne ha rischiato l'incostituzionalità, facendo parlare di discriminazione al contrario, principio questo accolto pure dalla335/95 che permette alle lavoratrici pubbliche di andare in  pensione a 60 anni dando l'opzione di continuare però il lavoro fino ai 65.




La legislazione sulle lavoratrici madri.



La legge principale della tutela è la 1204/71 che viene però assorbita e modificata dalla 903/77, che prevede deroghe alla parità in visione del rapporto familiare, che più tardi verrà esteso anche all'uomo  che per motivi obiettivi deve accudire la prole.

La S.C. prevede che l'astensione obbligatoria dal lavoro della donna madre deve comunque essere conteggiata per gli scatti di carriera.


La parità retributiva.


La parità retributiva può essere vista sotto due opzioni entrambe derivanti dall'articolo 37 Cost e dalla 903/77.


Le opzioni sono egual retribuzione per unità certa o assimilata prodotto dall'uomo o dalla donna, per cui si avrebbe in busta paga della donna un minor corrispettivo a causa della naturale minor valenza sui lavori fisici ed i maggiori costi (come per i minori), o per seconda opzione la parità retributiva a parità di mansione, dunque si avrebbero le stesse buste paghe.

La giurisprudenza ha sempre più avallato il principio di parità tout court, e l 'articolo 2 della 903/77 stabilisce che i sistemi di classificazione del lavoro e le scale retributive devono basarsi su scale comuni a uomini e donne.



La parità di trattamento.


LA direttiva 37 Cost di parità del trattamento nel lavoro trova applicazione legislativa nella 903/77 ove all'articolo 1 c'è il divieto di ogni discriminazione fondata sul sesso in ogni aspetto e settore lavorativo.

L'articolo 2  afferma il principio di parità retributiva e l'articolo 3 vieta ogni discriminazione tra i sessi nell'assegnazione di mansioni, che pure se rientrante nella discrezione del datore di lavoro può essere sindacata per violazione ai sopra esposti principi.

L'articolo 13 s'atteggia a massima norma preventiva discriminando ogni atto o patto tra le parti che discrimini i lavoratori a causa del sesso, e s'intreccia coll'articolo 15 St. Lav, per gli atti discriminatori a causa delle ideologie, razza, religione, lingua etc.



L'applicazione di tale legge è soddisfacente solo nei casi di automatica attivazione degli istituti come i casi previdenziali e retributivi, ma nella prassi giornaliera è ancora una patologia di differenza dei sessi.


Discriminazioni dirette ed indirette.


La 903/77 non trattava in maniera esauriente le discriminazioni indirette, tanto che dopo molti anni si è arrivati alla 125/91 che all'articolo 4 da una definizione di tale discriminazione imputandola come quella serie di attività svolte dal datore di lavoro che pure sembrando neutro rispetto fra i soggetti, in realtà comportano una discriminazione su di un sesso, allo stesso articolo c'è anche la definizione di discriminazione diretta, quale ogni atto o comportamento nato per dare pregiudizi ad una categoria di lavoratori accomunati dal sesso, e la discriminazione non viene comunque misurata sugli atti che potrebbero essere leciti, ma sugli effetti.



Le azioni positive: dalla parità di trattamento alle pari opportunità.


L'esperienza di una legislazione come la 903/77 in un paese come quello italiano non poteva non rendere problemi in quanto l'uguaglianza formale predicata dalla legge, se pure verificata lungi è dal risolvere sostanzialmente la questione della parità tra i sessi.

Conseguenza è che la legislazione deve muoversi verso una rimozione degli assiomi storico culturali che rendono l'uguaglianza sostanziale a dire poco utopica, dunque la strada è quella delle azioni positive.

L'articolo 1 della 125/91 si propone proprio di utilizzare quale strumento per la rimozione degli ostacoli di diverso genere per la parità sostanziale fra i sessi le azioni positive, senza però darne un'analitica  elencazione.


Gli strumenti attuativi della parità. Comitato nazionale della parità e Consiglieri di parità.


La riuscita della 903/77 è stata vanificata dalla mancanza di strumentazione giudiziale- sanzionatoria ed istituzionale ad avallarla.


La 125/91 introduce il CNP comitato nazionale delle parità e i Consiglieri di parità presenti nelle Commissioni regionali per l'impiego senza diritto di voto.

Invero tali figure erano già presenti prima della 125, ed il legislatore avrebbe dovuto seguire l'esempio USA dell'Equal opportunites commission (EOC), enti autonomi che davvero più della legislazione hanno inciso sulle pari opportunità, ma in realtà ha ridisegnato a volte meglio, a volte peggio i poteri del CNP e dei consiglieri di parità.

Sono confermati per i CNP le funzioni di proposta come quella legislativa, di verifica dello stato di legge, di elaborazione di codici di comportamento, mentre vengono tolti i poteri di fornire pareri tecnici.


LA legge sembra dare i pareri tolti alla CNP ai Consiglieri, in virtù del fatto che hanno una struttura ramificata e non centralizzata ed appesantita come al CNP che ha 24 membri fissi più 16 fra rappresentanti delle istituzioni dello stato ed esperti.

L'articolo 8 della 125/91 rafforza la loro presenza nelle commissioni per l'impiego dando loro pure il diritto di voto, inoltre possono indirizzare l'ispettore del lavoro sui luoghi dove hanno riscontrato pecche nell'applicazione della legge ed hanno funzione arbitrale nelle controversie, potere di due tipi, il primo è esercitato dai Consiglieri di parità regionali che previo parere non vincolante del collegio istruttorio del CNP può intervenire contro atti o fatti discriminatori di natura collettiva, secondo, il potere dei Consiglieri sia regionali che provinciali di agire in giudizio davanti al pretore del lavoro ed il TAR su delega della lavoratrice discriminata.


Gli strumenti attuativi della parità. Azionabilità, sanzioni, onere della prova.


L'articolo 13 della 903/77 prevede come sanzione per gli atti discriminatori la nullità delle procedure che hanno comportato a tale situazione, ed affida al singolo discriminato l'azione giurisdizionale. Altra soluzione è data dall'articolo 15 della stessa legge modellato su struttura simile all'articolo 28 St. Lav, pure se a differenza di questo non prevede l'azione collettiva di legittimazione, ed incarica il Pretore di rimuovere gli atti discriminanti dell'articolo 1 (discriminazione nell'accesso) e 5 (lavoro notturno), invero inspiegabilmente solo questi articoli, inoltre il ripristino delle situazioni patologiche presta molte incertezze, infatti se nessuna altra assunzione sia avvenuta in conseguenza dell'atto discriminatorio il pretore può ordinare l'assunzione, se invece è avvenuta c'è una duplice strada da percorrere, annullare l'assunzione, ordinare un'altra assunzione.


In entrambe le ipotesi i problemi esistono, in quanto si spingerebbe verso l'imposizione di assumere manovalanza, magari andando contro l'economia dell'impresa rea, in ultima istanza è più che evidente il fallimento di questo sistema sanzionatori, e sarebbe preferibile avvicinarsi verso la regolamentazione USA, ove il giudice condanna l'impresa rea in un termine di tempo congruo ad organizzare la produzione in maniera che possano essere tolti gli elementi discriminanti il lavoro, dando origine dunque non ad una sanzione ma ad un intervento positivo di origine giudiziario.


LA 125/91 coglie le pecche della 903/77 riguardo l'azione istituzionale e collettiva delle discriminazioni, infatti non potendo il nostro paese contare su rappresentazioni femminili tanto significative, il legislatore ha deciso all'articolo 4 di investire di poteri ampiamente rappresentativi, o singolarmente rappresentativi, il Consigliere di parità.


L'azione di tale istituto può essere autonoma d'ufficio quando le discriminazioni abbiano natura collettiva, su istanza dell'interessato quando la discriminazione colpisce l'unico soggetto, ed il consigliere  sostituisce l'azione di questo.


A secondo dell'attore (singolo o collettivo), il consigliere ripristinerà singolarmente o collettivamente le patologie , ed in caso di ripristino collettivo potrebbe la sentenza essere una imposizione di disegno di piano per l'assunzione delle persone discriminate, di tipo USA.(innovazione), anche se in USA si tratta di azioni positive poste in essere per scongiurare atti discriminatori, non mossi necessariamente su azioni illecite, mentre lo strumento dell'articolo 4 125/91 è di tipo sanzionatorio.


Latra innovazione della 125/91 è la c.d. inversione dell'onere della prova, secondo lo stesso articolo 4 c.5 spetta all'attore fornire atti certi per fondare la presunzione di discriminazione a causa del sesso, al convenuto spetta mostrare prove sull'insussistenza della discriminazione.

Tale metodo dell'inversione della prova, detta pure della prova prima facie, pure essendo largamente utilizzate negli altri paesi della CE, ha comportato non pochi problemi nell'applicazione in Italia, comunque è un metodo del tutto studiato per l'individuazione delle discriminazioni indirette, in quanto lo stesso articolo permette al ricorrente di utilizzare come sua prova dati statistici riguardanti atti di discriminazione del gruppo protetto, come analisi diacroniche dei dati riguardanti assunzioni, promozioni, retribuzioni, trasferimenti etc.

Tale lista ha carattere prettamente indicativo per cui ogni altra presunzione di discriminazione indiretta, motivata da latri dati statistici può essere accolta e può essere utilizzato il metodo della prova prima facie.





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