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L'unità di volontà di potenza, eterno ritorno e trasvalutazione

psicologia



L'unità di volontà di potenza, eterno ritorno e trasvalutazione


La dottrina dell'eterno ritorno dell'uguale è intimamente connessa con la dottrina della volontà di potenza. Questa dottrina, nella sua unitarietà, si autocomprende storicamente come trasvalutazione di tutti i valori finora in vigore.

L'espressione volontà di potenza nomina il carattere fondamentale dell'ente; qualsiasi ente che è, è, in quanto è, volontà di potenza. Ma così, non si è ancora affatto risposto alla prima autentica domanda della filosofia, bensì soltanto all'ultima domanda preliminare. Per colui che alla fine della filosofia occidentale può e deve domandare in modo ancora filosofico, la domanda decisiva non è più soltanto quella che si chiede quale carattere fondamentale abbia l'ente, come sia caratterizzato l'essere dell'ente, ma è la domanda che chiede: che cos'è questo essere stesso?? È la domanda del senso dell'essere, non soltanto dell'essere dell'ente; e il concetto di senso è qui esattamente definito come ciò partendo da cui, e in base a cui, l'essere può farsi manifesto ed entrare nella verità come tale. Ciò che oggi viene presentato come ontologia non ha niente a che fare con l'autentica questione dell'essere. È uno scomporre e un mettere fuori gioco l'uno contro l'altro i concetti tradizionali.



Che cos'è e com'è la volontà di potenza stessa?? L'eterno ritorno dell'uguale.

La questione dell'essere è il pensiero più grave della filosofia perché è il suo pensiero più intimo e più esteriore al tempo stesso, è il pensiero con il quale essa sta e cade.

Il carattere fondamentale dell'ente è volontà di potenza, è volere, dunque divenire. E tuttavia Nietzsche non si ferma qui, come solitamente si crede quando lo si accomuna ad Eraclito. Piuttosto, il divenire è, soltanto se è fondato nell'essere in quanto essere: "che tutto ritorni è l'estremo avvicinamento di un mondo del divenire a quello dell'essere: culmine della contemplazione". Con la sua dottrina dell'eterno ritorno Nietzsche, a suo modo, non pensa altro che quel pensiero che, in modo velato ma come vero e proprio pensiero movente, domina per intero tutta la storia della filosofia occidentale. Nietzsche pensa questo pensiero ritornando con la sua metafisica all'inizio della filosofia occidentale, detto più chiaramente: all'inizio così come la filosofia occidentale si abituò a vederlo nel corso della sua storia, abitudine che anche Nietzsche condivide, nonostante la sua comprensione altrimenti originaria della filosofia presocratica.

Secondo l'opinione pubblica corrente, Nietzsche è il rivoluzionario che nega, distrugge e profetizza, tutto ciò certo fa parte della sua immagine, e non è nemmeno un ruolo che egli si limitò a recitare, bensì un'intima necessità della sua epoca. Ma l'essenziale per un rivoluzionario non è il rovesciamento in quanto tale, bensì il fatto che, nel rovesciamento, egli porta alla luce ciò che è decisivo ed essenziale. In filosofia sono tali ogni volta le poche grandi domande. Quando al culmine della contemplazione Nietzsche pensa il pensiero più grave, pensa e contempla l'essere, cioè la volontà di potenza, come eterno ritorno. Ciò significa l'eternità non come un ora che resta fermo, né come una successione che si sviluppa all'infinito, ma come l'ora che si ripercuote su se stesso. Pensare l'essere, la volontà di potenza, come eterno ritorno, pensare il pensiero più grave della filosofia, significa pensare l'essere come tempo. Nietzsche pensò questo pensiero, ma non lo pensò ancora come la questione di essere e tempo.

Se noi poniamo questa questione, non crediamo di essere più intelligenti di Nietzsche e della filosofia occidentale, che Nietzsche pensa soltanto fino in fondo. Sappiamo che il pensiero più grave della filosofia è diventato ancora più grave, che il culmine della contemplazione non è stato ancora scalato, forse non è stato ancora nemmeno scoperto.

Se poniamo la volontà di potenza di Nietzsche, cioè la sua questione dell'essere dell'ente, nella prospettiva della questione di essere e tempo, questo però non significa nemmeno che l'opera di Nietzsche venga messa in relazione con un libro intitolato Essere e tempo. Non c'è altra misura se non la questione stessa; soltanto questa questione è essenziale, non il libro, che per giunta conduce solo fino alla soglia della questione, non ancora al suo interno.

Chi non pensa il pensierio dell'eterno ritorno assieme alla volontà di potenza come ciò che in filosofia è propriamente da pensare, non capisce a sufficienza, in tutta la sua portata, nemmeno il contenuto metafisico della dottrina della volontà di potenza. Certo la connessione tra

l'eterno ritorno come determinazione somma dell'essere

e la volontà di potenza come carattere fondamentale di tutti gli enti

non è evidente. Per questo Nietzsche parla del pensiero più grave e del culmine della contemplazione. Tutto ciò non impedisce che l'odierna interpretazione di Nietzsche privi la dottrina dell'eterno ritorno del suo vero significato filosofico e si autoescluda così in modo definitivo da una fruttuosa comprensione della metafisica di Nietzsche. Citiamo 2 testimoni, indipendenti l'uno dall'altro, di una tale trattazione della dottrina dell'eterno ritorno nella filosofia di Nietzsche:

Baeumler

Jaspers

In questi 2 autori, tale presa di posizione che rifiuta la dottrina dell'eterno ritorno, e che per noi la fraintende, è di tipo diverso e ha pure una ragione nei 2 casi diversa.

Baeumler spaccia quello che Nietzsche chiama il pensiero più grave e il culmine della contemplazione per una convinzione religiosa del tutto personale di Nietzsche e diche che può valere una soltanto delle 2: o la dottrina dell'eterno ritorno o la dottrina della volontà di potenza. Questa sentenza dovrebbe essere motivata dalla seguente riflessione: la volontà di potenza è divenire, l'essere viene concepito come divenire; è la vecchia dottrina di Eraclito del fluire delle cose, ed è anche l'autentica dottrina di Nietzsche. Il suo pensiero dell'eterno ritorno non può non negare l'illimitato flusso del divenire. Questo pensiero introduce nella metafisica di Nietzsche una contraddizione. Dunque, o soltanto la dottrina della volontà di potenza o soltanto quella dell'eterno ritorno può determinare la filosofia di Nietzsche. Conseguentemente la dottrina dell'eterno ritorno significa una stasi del divenire. Baeumler presuppone in questa sua sentenza che Eraclito insegni l'eterno fluire delle cose nel senso del loro andare sempre avanti. Da qualche tempo sappiamo che questa interpretazione della dottrina di Eraclito non è greca. Non meno problematico di questa interpretazione di Eraclito è se sia lecito prendere senz'altro la volontà di potenza di Nietzsche come divenire nel senso dello scorrere via. Alla fin fine questo concetto del divenire è talmente superficiale che non può essere attribuito senz'altro a Nietzsche. Ne risulta anzitutto che non necessariamente sussiste una contraddizione tra la tesi "l'essere è divenire" e la tesi "il divenire è essere". Proprio questa è la dottrina di Eraclito. Ma anche posto che sussista una contraddizione tra queste 2 dottrine, tra la dottrina della volontà di potenza e la dottrina dell'eterno ritorno, da Hegel in poi sappiamo che una contraddizione non è necessariamente una prova contro la verità di una tesi metafisica, ma piuttosto una prova in suo favore. Se dunque eterno ritorno e volontà di potenza si contraddicono, allora questa contraddizione è forse proprio l'invito a pensare questo pensiero più grave, anziché evadere nel religioso. Ma anche ammesso che vi sia una contraddizione insuperabile e che la contraddizione costringa a decidere o per la volontà di potenza o per l'eterno ritorno, perché Baeumler si decide allora contro il pensiero più grave, contro il culmine della contemplazione di Nietzsche, per la volontà di potenza?? Le riflessioni di Baeumler sul rapporto tra le 2 dottrine non riescono a penetrare, da nessuna parte, nell'ambito dell'effettivo domandare, e invece la dottrina dell'eterno ritorno, in cui egli teme un egitticismo, va contro la sua interpretazione della volontà di potenza, che, nonostante parli di metafisica, egli non comprende in senso metafisico ma interpreta in senso politico. La dottrina nietzscheana dell'eterno ritorno è in contrasto con la concezione della politica di Baeumler. Dunque questa dottrina è priva di importanza per il sistema di Nietzsche.

La seconda interpretazione della dottrina nietzscheana dell'eterno ritorno è quella di Jaspers. Jaspers, in verità, tratta diffusamente di questa dottrina e vede che qui siamo dinanzi ad un pensiero decisivo di Nietzsche. Ma benchè parli di essere, egli non porta questo pensiero nell'ambito della domanda fondamentale della filosofia occidentale e quindi non arriva nemmeno a coglierlo nella sua effettiva connessione con la dottrina della volontà di potenza. Per Baeumler la dottrina dell'eterno ritorno è inconciliabile con l'interpretazione politica di Nietzsche; per Jaspers non è possibile prendere seriamente la dottrina come questione reale, perché per lui in filosofia non si dà verità del concetto e del sapere concettuale.

Se però, in Nietzsche, la dottrina dell'eterno ritorno costituisce il nucleo più intimo del pensiero metafisico, non è allora erroneo, o perlomeno unilaterale, ricondurre l'ordinamento dei lavori preliminari all'opera filosofica capitale al piano che reca come titolo determinante La volontà di potenza??

Per lo stesso Nietzsche, lo sforzo decisivo doveva mirare anzitutto a far vedere, attraverso l'insieme dell'ente, il carattere fondamentale di quest'ultimo come volontà di potenza. Questo però non fu mai per lui il punto ultimo di arrivo: ma, se Nietzsche fu il pensatore che è, l'esibizione della volontà di potenza doveva ruotare costantemente entro il pensiero dell'essere dell'ente, cioè, per lui, dell'eterno ritorno dell'uguale.

Ma, ammesso che l'edizione dei lavori preliminari all'opera capitale, secondo il criterio direttivo della volontà di potenza, sia la migliore possibile, siamo pur sempre dinanzi a qualcosa che è soltanto postumo. Che cosa ne sarebbe stato di questi lavori preliminari se Nietzsche stesso avesse potuto trasformarli nell'opera capitale da lui progettata, nessuno lo sa. Tuttavia, ciò che è rimasto a nostra disposizione è così essenziale e ricco e, anche dalla prospettiva di Nietzsche, così definitivo, che si danno i presupposti per l'unica cosa che importa: pensare realmente l'autentico pensiero filosofico di Nietzsche. Saremo tanto più sicuri di riuscirci, quanto meno ci atterremo alla successione dei singoli brani così come si presenta nella raccolta postuma in forma di libro. Infatti, questo ordinamento dei singoli brani e aforismi entro gli schemi di ripartizione previsti da Nietzsche stesso è arbitrario e non essenziale. L'importante è pensare a fondo i singoli brani secondo il movimento riflessivo proprio del domandare che pone le domande autentiche. Quello che rimane comunque decisivo è ascoltare Nietzsche stesso, porre le domande con lui, per mezzo di lui e così al tempo stesso contro di lui, ma per l'unica intima cosa comune in questione nella filosofia occidentale. Tale lavoro può essere compiuto soltanto entro certi limiti.





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