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TRE MODELLI IDEALTIPICI DI GOVERNO DELLE RELAZIONI: GERARCHIA, MERCATO, CLAN

politica



INDICE



Introduzione pag. 1



PARTE PRIMA


Capitolo I

Tre modelli idealtipici di governo delle relazioni:

gerarchia, mercato, clan




L'efficienza organizzativa nei mercati, nelle gerarchie, nei clan......pag. 8

L'approccio transazionale.......................pag.12

I Costi di Transazione.......................pag.14

I fattori che determinano i costi di transazione............pag.16

Trade-off tra mercati e gerarchie..................pag.18

Limiti dell'approccio transazionale.................pag.20

Cooperazione inter-aziendale: l'interpretazione transazionale.......pag.22

Gli accordi cooperativi.....................pag.23

Accordi fra imprese....................pag.25

Accordi con fornitori e intermediari................pag.28

Relazioni competitive e rapporti di cooperazione...........pag.30

3.1 Una contrapposizione antica.................pag.31

Cooperazione: una nuova forma di competizione...........pag.34



Capitolo II

Trasformazione culturale nel governo delle relazioni d'impresa:

aspetti strategici ed organizzativi


L'impresa sistema vitale. I rapporti inter-sistemici............pag.36

1.1 Il pensiero sistemico....................pag.37

1.2 Le proprietà dei sistemi vitali nell'ottica d'impresa........pag.38

1.3 Il governo dell'impresa sistema vitale.................pag.39

1.4 I rapporti tra sistema impresa ed ambiente.............pag.41

L'impresa in transizione: organizzazioni quasi-gerarchiche e architetture reticolari...........................pag.43

Il cambiamento del sistema economico..............pag.44

Organizzazioni quasi-gerarchiche.................pag.46

Verso strutture più flessibili....................pag.48

L'evoluzione dei modelli di organizzazione industriale.......pag.50

Le organizzazioni a rete.....................pag.54

L'impresa-rete.........................pag.56

Dalla comunicazione interna a quella organizzativa.........pag.59

La politica della rete......................pag.65



PARTE SECONDA


Capitolo III

Approccio transazionale o relazionale?


Rapporto impresa-fornitori (di risorse in senso lato)..........pag.68

Evoluzione del rapporto fornitori-clienti (nel settore degli approvvigionamenti)......................pag.70

Evoluzione del rapporto fornitori-clienti (nel settore bancario)....pag.73

Il problema dei confini nella qualificazione del rapporto impresa-fornitori.pag.75

2.1 Possibili criteri per l'individuazione dei confini d'impresa.....pag.83

2.2 L'impresa cross-border ....................pag.86

Outsourcing e sistemi aperti....................pag.88

Definizione dell'outsourcing...................pag.92

Motivazioni alla base dell'outsourcing................pag.96



Capitolo IV

Il ruolo dell'IT nel processo di cambiamento strategico


Il commercio elettronico: verso nuovi rapporti tra imprese e mercati...pag.100

Il ruolo del web e l' e-business.................pag.106

L'impatto del commercio elettronico sul sistema produttivo e distributivo italiano............................pag.108

Il profilo tipico dell'azienda di successo nell' e-business......pag.112

L'impatto del commercio elettronico sui consumatori........pag.113

2.1 La gestione del rapporto con i clienti alla luce delle innovazioni tecnologiche.........................pag.118

Vantaggi e rischi della Grande Rete...................pag.121

3.1 I vantaggi del commercio elettronico....................pag.123

3.2 I rischi del commercio elettronico...................pag.124

I rischi dell' e-commerce per la PMI...............pag.127





PARTE III



Casi aziendali


I CASO: Marazzi: acquisizioni e accordi, una strategia vincente..........pag.129

II CASO: EniData, i vantaggi dell'outsourcing.............pag.135

III CASO:Il CRM nelle banche italiane.L'esperienza del gruppo SiemensBusinessServices......................pag.141

IV CASO: Le piccole aziende e le opportunità offerte da Internet........pag.145

V CASO: E-business nella PMI. Gli effetti delle nuove tecnologie sui supermercati ALVI..............................pag.149



Conclusioni pag.153



Bibliografia..........................pag.166












INTRODUZIONE


Le imprese, in seguito al diffondersi dell'utilizzo del computer e con esso dell'accesso ad Internet, si vedono costrette a rivedere completamente il loro posizionamento sul mercato e tutte le strategie per la sopravvivenza e la crescita.

Il seguente lavoro cerca di analizzare cronologicamente il cambiamento delle strategie d'impresa per adattarsi alle mutevoli condizioni esterne che si sono susseguite sempre più insistentemente nel corso degli ultimi anni.

In particolare l'attenzione è rivolta al tipo di rapporti che l'impresa instaura con i propri interlocutori (fornitori, clienti, banche, etc.), in tale nuovo contesto competitivo basato sulla cooperazione, vista come la risposta migliore alla turbolenza ambientale in corso.

Il quesito fondamentale cui si tenta di dare una risposta è quale sia l'approccio che l'impresa dovrebbe adottare nei confronti dei propri stakeholder per conseguire un vantaggio competitivo sostenibile rispetto ai concorrenti, operando, quindi, in maniera più efficace ed efficiente degli stessi.

In particolare, l'alternativa proposta è tra l'adozione di un approccio transazionale o uno relazionale.

Un secondo quesito, in qualche modo legato al primo, è quale sia l'impatto delle tecnologie informatiche in questo processo di cambiamento strategico, l'impatto, cioè, sul sistema delle relazioni d'impresa.

Le tecnologie informatiche sicuramente, migliorando l'efficacia e l'efficienza delle relazioni d'impresa con i propri interlocutori, rendono tali relazioni più

soddisfacenti. Ci si chiede, però, se tutto questo induca a relazioni più stabili o più occasionali.

Il lavoro si articola in tre parti, al loro interno suddivise in capitoli.

La prima parte, introduttiva, si compone di due capitoli. Il primo descrive l'evoluzione del governo delle relazioni d'impresa passando per i tre modelli idealtipici della gerarchia, del mercato e del clan, osservati alla luce della teoria dei costi di transazione.

L'oggetto cruciale per le scelte manageriali concerne l'individuazione della struttura economica più efficiente per realizzare blocchi di transazioni. Secondo la teoria dei costi di transazione l'efficienza ottimale è valutabile comparando strutture economiche alternative, in termini di costi decisionali, costi distributivi e costi di cambiamento.

Si prosegue focalizzando l'attenzione sul graduale abbandono da parte delle imprese di relazioni di tipo competitivo per puntare invece su rapporti di tipo cooperativo, attraverso l'instaurazione di "accordi cooperativi" sia fra imprese che con fornitori e intermediari. All'origine di tali decisioni c'è la crescente consapevolezza che la singola impresa non ha più, da sola, le risorse e le capacità di operare in una situazione competitiva che si è andata profondamente modificando. Tali accordi sono posti in essere al fine di realizzare maggiore flessibilità e di migliorare le capacità innovative delle organizzazioni coinvolte.

Successivamente, nel secondo capitolo, si descrivono le caratteristiche dell'impresa sistema vitale evidenziando l'evoluzione nel governo delle relazioni d'impresa dal punto di vista, questa volta, culturale, quindi strategico ed organizzativo. Il cambiamento strategico riguarda il modo di essere (competere) e il modo di porsi dell'impresa nei confronti della concorrenza (posizionamento competitivo). Il cambiamento organizzativo, invece, riguarda le caratteristiche della differenziazione e dell'integrazione che segnano il sistema aziendale al suo interno.

Tale evoluzione, da un punto di vista organizzativo, si sostanzia nel passaggio da sistemi quasi-gerarchici (imprese economicamente autosufficienti, basate sulla centralizzazione dei processi decisionali e con una natura delle relazioni interne, modellate dal disegno della struttura) ad architetture reticolari (l'insieme delle alleanze e degli accordi, più in generale di tutte le relazioni - tecnologiche, produttive e commerciali - di natura non competitiva, allacciate da imprese indipendenti e miranti a sfruttare i vantaggi delle reciproche complementarietà).

La seconda parte è costituita dal terzo e quarto capitolo. Il terzo arriva al nocciolo del problema, riguarda cioè i rapporti dell'impresa con i propri fornitori, considerando tutti i fornitori di risorse intesi in senso lato.

La relazione tra fornitore e cliente è al centro di un processo di profonda evoluzione e cambiamento. E in effetti sono sempre più spesso i collegamenti tra fornitori e cliente a determinare il valore aggiunto di una determinata attività, soprattutto quando le tecnologie utilizzate sono sviluppate o gestite dai fornitori stessi. L'implicazione strategica di questo semplice dato di fatto si traduce nella necessità di dover coinvolgere sempre più i fornitori nello sviluppo del prodotto.

Si prosegue, poi, analizzando il problema dei confini nella qualificazione del rapporto impresa-fornitori. Il confine tradizionale, considerato certo e definito (tale, quindi, da consentire una valutazione dell'ambiente inteso come ciò che è esterno all'impresa) assume i caratteri dell'incertezza e della mobilità nel tempo, proprio perché dipendente dalle relazioni contingenti attivate dall'impresa in un dato momento storico-economico. Ciò che conta per l'impresa nel rapporto con i fornitori è la disponibilità degli stessi. A seconda dei fornitori si notano, quindi, modalità diverse di disponibilità, basate sulla proprietà (nel caso dei fornitori interni), o sul senso di appartenenza (nel caso dei fornitori esterni). In ogni caso non conta più la scelta tra ciò che si possiede e ciò che si acquisisce, quanto piuttosto ciò che si riesce a governare, e di cui si ha la disponibilità.

Si giunge così al quarto capitolo, in cui si descrive la trasformazione dei rapporti economici in conseguenza dell'introduzione delle tecnologie informatiche, che hanno portato ad un nuovo modo di "fare" business.

L'avvento di Internet ha segnato una vera e propria svolta epocale. Ciò ha consentito, grazie all'impiego di Intranet ed Extranet, di inserire le aziende e le organizzazioni in sistemi di comunicazione globale.

Le imprese giocano spesso la propria competitività attraverso le infrastrutture tecnologiche non solo per la gestione operativa ma anche per trasferire e divulgare contenuti e valori attraverso una comunicazione mirata e talvolta innovativa. Questo le mette in grado di passare da un approccio verso un target indifferenziato e poco mirato ad una focalizzazione su soggetti/clienti con esigenze individuali.

Nell'ambito dell'e-business, acquirente e venditore possono svolgere in un contesto di natura elettronica ed interattiva alcuni o tutti i processi che definiscono la transazione nelle diverse fasi in cui questa si sviluppa.

Infine l'ultima parte, la terza, è dedicata allo studio di alcuni casi aziendali. Ogni caso è caratterizzato dall'adozione di una diversa strategia. Il primo caso è quello della Marazzi Ceramiche, che attraverso una politica di accordi e acquisizioni punta all'espansione della propria produzione sul mercato mondiale.

Al termine di queste operazioni di acquisizione la Marazzi ha raggiunto il ruolo di leader europeo nella produzione di ceramica.

In uno scenario fortemente competitivo, caratterizzato da rapidi e continui cambiamenti, la presenza strutturata e organizzata in ogni singolo mercato è la chiave perché l'azienda si sviluppi e attivi i servizi necessari ai distributori e agli utilizzatori dei prodotti in ceramica.

Il secondo caso è quello della società informatica EniData, che per rispondere ai profondi e rapidi mutamenti nello scenario competitivo, ha deciso di rinnovarsi contemporaneamente all'interno (organizzazione, risorse umane, processi), e all'esterno (posizionamento dei prodotti/servizi, relazioni con i clienti), adottando una strategia di outsourcing.

I contenuti principali della nuova mission erano che EniData si doveva caratterizzare, da un lato, come l'outsourcer interno per la fornitura dei servizi di infrastruttura (centralizzati e distribuiti) e, dall'altro, come il system integrator di riferimento per lo sviluppo dei nuovi sistemi applicativi, in particolare per quelli gestionali.

Il terzo caso riguarda il CRM (Customer Relationship Management) nelle banche italiane, con particolare riferimento all'esperienza del gruppo Siemens Business Services.

Le imprese di tutto il mondo stanno vivendo un'era estremamente dinamica: con la diffusione di Internet, i mercati diventano sempre più trasparenti, i cicli innovativi sempre più brevi, l'offerta di prodotti e servizi vieppiù omogenea. Questi fattori alimentano una sempre maggiore competizione, oltre a dare molto più potere contrattuale ai clienti. Perché mai come oggi è stato così facile confrontare aziende, prodotti e servizi, potendo cambiare il fornitore senza difficoltà.

La sfida, delle aziende, così come il mondo bancario, è allora quella di assicurarsi la fidelizzazione dei propri clienti. In questo contesto, il CRM - Customer Relationship Management - assume un ruolo determinante nella strategia di qualsiasi realtà.

Il Gruppo Siemens Business Services da anni lavora al fianco dei propri clienti mettendo loro a disposizione tutti gli strumenti che possono aiutare a conoscere meglio i rispettivi clienti.

Il quarto caso tratta delle opportunità offerte alle piccole aziende da Internet. Ci si sofferma sul ruolo svolto, in questo contesto, dalla Stelnet, impresa che, cogliendo l'esigenza delle PMI di realizzare un percorso completo di attivazione e gestione del commercio elettronico, offre servizi di consulenza in tale ambito.

L'interesse che, particolarmente in tempi recenti, le PMI hanno maturato nei confronti dell'e-business è legato soprattutto alle aspettative che esse ripongono nel commercio elettronico come volano di nuove opportunità di business, che consenta loro di affacciarsi, a costi contenuti, su nuovi contesti competitivi nazionali e internazionali.

Il quinto, ed ultimo caso, è relativo all'e-business nella PMI, e mostra gli effetti delle nuove tecnologie sui supermercati ALVI.

La Alvi S.p.a., è socia dell'Interdis ed opera, con supermercati SuperAlvi, Alvi Discount e Iper Alvi. Una delle prime esigenze della società è stata quella di realizzare una efficiente comunicazione fra le diverse sedi e la sede centrale, con l'obiettivo di migliorare la qualità delle informazioni per una miglior gestione dei punti vendita. La seconda esigenza è stata quella di realizzare una rete Intranet per ottenere informazioni analitiche sulla clientela, da utilizzare per fidelizzare la stessa creando nuovi servizi personalizzati.

Internet, in tal senso, permette di compiere un grande passo in avanti, riducendo il costo della comunicazione, prima realizzata sinteticamente a mezzo fax e via modem, garantendo tempestività e analiticità delle informazioni.

La Alvi si è rivolta alla IBM per individuare la giusta soluzione informatica alle due principali necessità. La soluzione business-to-business fornita dalla IBM è stata ottenuta sviluppando un'applicazione in Internet con tecnologia Lotus Domino.

Sono diversi i benefici per l'azienda legati alla soluzione informatica. Grazie a questa soluzione tecnologica la società ha già ridotto i costi ed i carichi di lavoro ed ha aumentato la competitività sul mercato.





CAPITOLO PRIMO

Tre modelli idealtipici di governo delle relazioni: gerarchia, mercato, clan.


1. L'efficienza organizzativa nei mercati, nelle gerarchie, nei clan.

Un'organizzazione sorge al fine di condurre transazioni <complesse>, in modo più efficiente di altre strutture economiche, conseguendo economie di scala e/o maggiore capacità di coordinamento, attraverso una minimizzazione dei costi decisionali e dei costi distributivi. Molte disfunzioni organizzative, infatti, osservabili nel funzionamento delle imprese sono riconducibili proprio alla subottimalità dell'organizzazione stessa.

Le strutture organizzative possono, quindi, essere valutate in termini di efficienza transazionale. L'efficienza transazionale è la capacità di ottimizzazione economica delle scelte aziendali, riguardo sia alla razionalità dei processi decisionali, sia ai meccanismi di incentivazione dei comportamenti dei membri dell'organizzazione. I limiti ad un'elevata efficienza transazionale sono rappresentati dalle condizioni di incertezza/complessità ambientale, dai limiti conoscitivi/informativi di razionalità decisionale, infine dai comportamenti opportunistici degli attori del sistema. L'incertezza si riferisce alla mancanza di prevedibilità delle dimensioni misurabili e porta alla razionalità limitata a causa

dell'incapacità di definire precisamente sin dall'inizio tutti gli eventi che si verificheranno. La complessità riguarda la molteplicità di contingenze che si verificano per la durata di una transazione. I comportamenti opportunistici si riferiscono alla possibilità che la controparte possa mentire , imbrogliare o abbia comunque un comportamento egocentrico in appoggio di un proprio interesse e contro quello dell'altra parte (Williamson 1975).

L'oggetto cruciale per le scelte manageriali concerne l'individuazione della struttura economica più efficiente per realizzare blocchi di transazioni; l'efficienza ottimale è valutabile comparando strutture economiche alternative, in termini di costi decisionali, costi distributivi e costi di cambiamento.[1]

Le strutture economiche fondamentali e alternative per il governo delle transazioni sono il mercato, la gerarchia (nella formulazione originaria di Williamson [1975]) e il clan (nella formulazione di Ouchi [1980]).

Il mercato, la gerarchia e il collettivo rappresentano diversi modi per mediare le transazioni, caratterizzati da diverse combinazioni di comunicazione e collaborazione. Nel mercato le transazioni sono mediate con un minimo di feedback, utilizzando il prezzo e una minima collaborazione avendosi comportamenti competitivi e scambio reciproco. Nella gerarchia, invece, le transazioni sono mediate con un feedback intermedio, utilizzando routine burocratiche, e una collaborazione intermedia in cui si obbedisce ai comandi. Nel collettivo, infine, le transazioni vengono mediate con un feedback elevato, usando il mutuo adattamento, e con un'alta collaborazione che implica fiducia e scambi per un periodo indefinito.

Fig. 1.1 Deviazioni di inefficacia e di inefficienza dai tipi ideali di mercato, gerarchia e collettivo.

Feedback

Basso    Medio Alto

m

Incertezza

g

Interdipendenza



C

Vaghezza

Collaborazione


Bassa



Media



Alta
Fonte Richard Butler, L'efficienza organizzativa nei mercati, nelle gerarchie e nei collettivi, 1985.

Indica una deviazione del tipo ideale che è efficace ma inefficiente.

Indica una deviazione del tipo ideale che è inefficace.

M, G, C, Indicano rispettivamente, mercato, gerarchia o collettivo.



Infine, per una più precisa analisi della questione dell'efficienza dell'organizzazione d'impresa, bisogna tener conto del fatto che questa dipende non solo dalla razionalità delle scelte economiche ma anche dalla fiducia che hanno i subordinati nei loro capi, nonché dalla capacità di questi di coinvolgere i propri collaboratori nelle decisioni. Il rapporto di fiducia e la partecipazione si basano, a loro volta, sulla perfetta identificazione dei singoli nell'organizzazione ovvero nella perfetta congruenza degli obiettivi personali con quelli organizzativi. Alla luce di tali considerazioni possiamo affermare che, nonostante le organizzazioni gerarchiche abbiano due fondamentali vantaggi rispetto al mercato (ci si riferisce alla loro capacità di regolare e controllare, con la struttura, le prestazioni di lavoro; nonché alla loro capacità di influenzare i comportamenti personali, con il sistema delle ricompense), esse sono efficienti fintanto che funziona con successo il meccanismo di coordinamento e controllo basato su regole, incentivi, esercizio dell'autorità e del potere. Ciò detto risulta evidente che le organizzazioni gerarchiche possono fallire, al pari del mercato, quando non riescono a sostenere i costi (incentivi) necessari a motivare i loro membri a produrre e partecipare ovvero non riescono ad assicurare la congruenza dei fini particolari con quelli generali e soddisfare le differenziate esigenze dei lavoratori. Esse, inoltre, reagiscono con impaccio - o sono inerti - di fronte alle turbolenze ambientali, quando invece si richiedono velocità e flessibilità nell'adattamento.

Una delle possibili forme di "gruppo relazionale", costituito sui presupposti della lealtà e della fiducia personali, è il clan (W.G. Ouchi 1980). Il clan sarebbe efficace soprattutto nei casi in cui le transazioni tra due o più parti comportino investimenti a medio-lungo termine. Il clan è un gruppo coeso e fortemente motivato. Per assicurarsi l'efficacia del controllo, i capi prestano attenzione alle aspirazioni dei lavoratori ad essi subordinati, legate a prestazioni altamente specifiche e generalmente qualificate. Essi scelgono di attivare meccanismi motivazionali basati su incentivi non solo monetari e di carriera, ma anche su principi morali, che rafforzano l'impegno collettivo nel perseguimento dei fini organizzativi. Le strutture organizzative di tipo clanistico e i sistemi di controllo implicito delle prestazioni lavorative sono particolarmente adatti alle imprese a tecnologia avanzata, ove è richiesto un impegno collettivo di lavoro (teamwork); ove la produzione di innovazioni postula l'esistenza di una non comune capacità di risposta alla pressioni competitive; ove i comportamenti e i risultati dei gruppi di lavoro sono peraltro valutabili economicamente in un periodo non breve.

L'organizzazione clanista è contraddistinta dalla condivisione di valori quali la lealtà, la solidarietà, la reciprocità (R.J. Butler, 1985).


1.1 L'approccio transazionale

Secondo la teoria classica gli individui si orientano nel mercato guidati dal meccanismo dei prezzi. Antagonistica all'interpretazione classica è la tesi transazionale elaborata a distanza di tempo da Coase (1937) e da Williamson (1973 e 1981). Merito di Coase e Williamson è di avere approfondito lo studio del concetto di transazione e di avere spiegato le ragioni della sostituzione, nel processo di scambio, del sistema d'impresa al sistema dei prezzi.

Il meccanismo d'impresa è attivato da una mano e da una intelligenza di tipo superiore, che si avvalgono di una gerarchia e un potere centralizzato: tale mano e tale intelligenza appartengono all'imprenditore produttore. Il meccanismo di mercato è diretto da forze impersonali che agiscono in un modo "dato" e incontrollabile, cioè non modificabile a breve termine: la mano che lo dirige è quella dei prezzi.

L'impresa è una struttura orientata al governo dei fattori produttivi attraverso regole, ordini e forze visibili. Il mercato è una struttura orientata allo scambio e governata da forze invisibili, con piena libertà di entrata e uscita.

Nel mercato hanno luogo transazioni tra soggetti intesi come centri di domanda e di offerta. Le transazioni possono essere informali (semplice accordo) o formali (contratto). Il loro numero è infinito. Nell'impresa si stipulano contratti tra datori di lavoro e lavoratori, nonché si regolano e procedurizzano le transazioni tra singoli individui e/o tra differenziate aree funzionali che operano come centri di produzione oppure come centri di utilizzo delle risorse (G.R. Jones - C.W.L. Hill 1988).

Le dimensioni che definiscono la transazione sono: l'incertezza alla quale gli scambi sono soggetti; la frequenza con la quale essi si svolgono; il grado di specificità delle risorse oggetto di scambio. Quest'ultimo è l'elemento relativamente più importante. "La classica contrattazione di mercato sarà più efficace quando le risorse non avranno un elevato grado di specificità. La contrattazione di tipo bilaterale comparirà nel mercato non appena le risorse diventeranno semi-specifiche; e, infine, l'organizzazione interna sostituirà il mercato quando le risorse oggetto di scambio saranno altamente specifiche" (O. E. Williamson 1985).

Quanto più elevata è la specificità delle risorse, tanto più costosa è la transazione affidata al mercato. L'impresa attiverà i propri meccanismi in modo ottimale quanto più specifiche saranno le risorse da acquisire e affidare al processo di trasformazione che in essa si realizza.

Quanto più la cooperazione tra soggetti agenti (contraenti) è a lungo termine, quanto più le transazioni tra le parti sono intense, specifiche e soggette a incertezza, tanto più emergono i vantaggi dell'uso di organizzazioni gerarchiche, programmate a durare nel tempo come le imprese. Sono fondamentalmente tre i vantaggi dell'organizzazione d'impresa rispetto a quella del mercato: 1) la messa in comune delle risorse unifica gli sforzi dei soggetti agenti in senso reciprocamente funzionale; 2) l'esistenza di un ordine gerarchico d'autorità all'interno dell'impresa consente di dare maggiore certezza ai apporti tra le parti, laddove queste dovrebbero risolvere i loro problemi attraverso una serie numerosa di arbitrati; 3) l'organizzazione scientifica del lavoro è il presupposto non solo dell'efficace coordinamento interno delle risorse, ma anche dell'accesso più efficiente alle informazioni (Caselli, 1995).

In conclusione: le strutture d'impresa sorgono come strumento di regolamentazione dello scambio, allo scopo di economicizzare i costi di transazione.


1.2. I Costi di Transazione

L'economia dei costi di transazione, che, si avvale degli iniziali contributi di Commons (1934) e di Coase (1937), sviluppati poi soprattutto da Williamson a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, è un approccio microeconomico che si contrappone alla visione tradizionale dell'impresa propria della teoria 626e43g neoclassica.

Tale nuovo approccio pone al centro dell'analisi la transazione. Le imprese sorgono perché grazie alla loro struttura ed organizzazione interna riescono a coordinare meglio un certo numero di transazioni[2] che, se coordinate dal mercato, comporterebbero il sostenimento di un costo più elevato dovuto a numerosi fattori, principalmente a carenza di informazioni.

Si distinguono quindi due modalità alternative di governo delle transazioni: il mercato e l'organizzazione interna o gerarchica. Con il mercato è sufficiente il ricorso ai prezzi e alle quantità per disporre di tutte le informazioni affinché le parti possano scambiare beni e servizi. Con la gerarchia, le transazioni sono gestite dalle norme e dalle regole di funzionamento del sistema organizzativo, nonché dalla linea di comando dell'organizzazione, per gli aspetti di controllo e coordinamento[3].

L'economia dei costi di transazione si pone dunque l'obiettivo di ricercare quale sia la modalità di governo migliore che permetta la minimizzazione dei costi di transazione, avendo come fine ultimo la massimizzazione dell'efficienza.

Il costo totale di una transazione è costituito da tutta una serie di costi che possiamo ricondurre principalmente a due tipologie: i costi di produzione e i costi di coordinamento (o di transazione)[4] dato dalla somma dei costi di contatto, contratto e controllo.

Secondo Williamson, considerando che la transazione può avvenire all'interno dell'impresa o all'esterno (nel mercato), i costi di produzione sono più bassi nel mercato, in quanto vi si possono ottenere forti economie di scala, spesso difficili da raggiungere nell'ambito della singola impresa. La situazione è inversa per i costi di coordinamento: l'impresa oltre ad avere già dei costi di coordinamento fissi, costituiti dal proprio personale interno, dovrebbe assumere ulteriori addetti per il controllo delle attività svolte all'esterno e la gestione del rapporto contrattuale e del contenzioso (R. Glücksmann, M. Ricciardi, 1994).

Nell'alternativa make-or-buy (gerarchia o mercato) va considerato quindi il costo totale della transazione, cercando di minimizzare le voci che lo costituiscono (tab. 1.1).

Tabella 1.1 - Struttura dei costi del mercato e della gerarchia.

Forme organizzative

Costi di produzione

Costi di coordinamento

Mercato

Bassi

Alti

Gerarchia

Alti

Bassi

Fonte: R. Glücksmann, M. Ricciardi, 1994.



1.3 I fattori che determinano i costi di transazione

Possiamo analizzare i numerosi fattori che influenzano il perfetto svolgimento degli scambi osservando le transazioni da tre punti di vista: attori coinvolti; beni/servizi scambiati (frequenza delle transazioni); risorse impiegate dalle parti (specificità delle risorse), (fig. 1.2).

Figura 1.2 - I fattori che determinano i costi di transazione

Fonte: F. Pennarola, 1995

Riguardo agli <attori coinvolti> devono essere affrontati i problemi della razionalità limitata degli operatori economici, dell'opportunismo e dei piccoli numeri. 1) La razionalità limitata: le persone sono solo intenzionalmente razionali, a causa di limiti connessi alla capacità di calcolo, di acquisizione delle informazioni (e dei costi connessi) e di contrattazione. 2) L'opportunismo: le persone sono propense a perseguire egoisticamente il proprio interesse, anche a danno di quello altrui, ricorrendo alla truffa all'inganno e alla menzogna. 3) I piccoli numeri: situazioni in cui sono pochi gli operatori nel mercato, per cui non è possibile scegliere tra diverse alternative e confrontare diverse offerte, ma sussiste il rischio della dipendenza da un unico fornitore, che comporta difficoltà nell'esecuzione degli scambi e rischio di comportamenti opportunistici.

Riguardo ai <beni o servizi scambiati> bisogna analizzare le dimensioni dell'incertezza e della frequenza della transazione. 1) L'incertezza: nella realtà non è possibile prevedere tutte le contingenze che potrebbero emergere, saperle descrivere in dettaglio e saperle riconoscere al momento opportuno. 2) La frequenza: è riferita al numero di scambi in cui viene effettuata la transazione.

Riguardo alle <risorse impiegate dalle parti> per lo svolgimento della transazione bisogna definire il problema degli investimenti specifici o specificità delle risorse (asset specificity). A tal riguardo si possono distinguere: investimenti non-specifici (ad es.: l'acquisto di attrezzature e materiali standardizzati); investimenti misti (l'acquisto di attrezzature adattate alle esigenze produttive dell'impresa); investimenti altamente specifici o idiosincratici (la costruzione di uno stabilimento o di un impianto specifico per l'impresa), (C.F. Frateschi, G. Salvini, 1994).


1.4. Trade-off tra mercati e gerarchie

L'economia dei costi di transazione, dunque, si pone come obiettivo principale la ricerca tra le diverse strutture di controllo di quella che garantisce la minimizzazione dei costi di transazione nelle diverse tipologie di scambi. Dei due meccanismi di coordinamento contrapposti (mercato e gerarchia), il mercato è la forma più efficiente di governo delle transazioni solo quando è possibile realizzare contratti istantanei ed esaustivi, in presenza di bassa incertezza, di elevata misurabilità dell'oggetto scambiato, di inesistenza di investimenti specifici e di elevata sostituibilità tra le parti. Nella realtà queste condizioni sono raramente realizzate, quindi si configura una crisi del mercato e c'è la necessità di internalizzare la transazione, sostituendo alla contrattazione e al prezzo, il controllo della relazione basato sull'autorità gerarchica (O.E. Williamson, Le istituzioni economiche del capitalismo, 1987).

La gerarchia[5] rispetto al mercato permette:

di ridurre i costi di transazione grazie alla sostituzione di una serie di contratti di mercato con un unico contratto di impiego e con la proprietà comune delle risorse;

di limitare i rischi derivanti da comportamenti opportunistici, grazie alle regole stabilite dall'autorità;

di creare linguaggi più efficienti, aumentando la fiducia e diminuendo i costi per razionalità limitata e imprecisione del linguaggio;

di far convergere le aspettative dei singoli verso un controllo e coordinamento più efficace essendo indirizzate alla realizzazione di un obiettivo comune. Inoltre ad una struttura interna sarà accordata maggior fiducia e saranno date informazioni più attendibili;

di risolvere le vertenze con maggior facilità, in quanto non sarà necessario ricorrere ad un arbitro esterno, ma basterà rivolgersi all'autorità;

di economizzare i costi di controllo, correlando la remunerazione dei singoli ai comportamenti effettivamente verificati.

In realtà, però, anche l'organizzazione interna ha dei costi, in quanto oltre un dato limite, la gerarchia può essere assalita da un sovraccarico informativo tale da causare un effetto completamente opposto a quello voluto e cioè si ha la perdita di controllo e la conseguente crisi della gerarchia. Solo confrontando questi costi, detti costi di organizzazione (governance costs), con i costi di transazione si potrà dare allora una spiegazione della scelta dell'una o dell'altra forma di coordinamento dell'attività economica (fig. 1.3).

Attraverso il confronto fra questi due tipi di costi può essere affrontato il problema fondamentale della dimensione ottimale delle imprese. Infatti, un'impresa tenderà ad espandersi fino a che i costi di organizzare una transazione in più all'interno dell'impresa diventano uguali ai costi di effettuare la stessa transazione mediante uno scambio sul mercato aperto (R.H. Coase, "La natura dell'impresa", in G. Brusio, a cura di La teoria economica dell'organizzazione, Il Mulino, Bologna, 1989).

Figura 1.3 - Trade-off tra costi di transazione e costi di organizzazione



Limiti dell'approccio transazionale


L'economia dei costi di transazione sostiene e sviluppa l'idea secondo cui la minimizzazione dei costi di transazione è il problema chiave nell'organizzazione delle attività economiche (Williamson, 1989). L'assunto di partenza di tale impostazione teorica è quello secondo cui l'istituzione impresa sarebbe volta al raggiungimento di obiettivi di efficienza, più precisamente di minimizzazione della somma dei costi di produzione e transazione.

In tale prospettiva le diverse forme di collaborazione tra imprese rappresentano "soluzioni intermedie", poste all'interno di un ipotetico continuum lungo il quale si immaginano posizionate le modalità di gestione delle transazioni (Nacamulli, 1989) ed ai cui estremi si collocano da un lato il "mercato" e dall'altro la "gerarchia", ovvero l'internazionalizzazione delle transazioni entro i "confini" dell'impresa. Tra i due estremi considerati ciascuna impresa provvede a scegliere la forma organizzativa che, di volta in volta, risulta più efficiente per il governo di ogni singola transazione, in considerazione delle specifiche caratteristiche di quest'ultima.

In presenza, quindi, di forme di collaborazione tra imprese vanno ripensati o ridisegnati i quadri concettuali e gli strumenti di analisi. Le regole della concorrenza cambiano e i rapporti competitivi impongono forti cambiamenti nella teoria dell'impresa e nella teoria delle organizzazioni (A. Capaldo, 1999).

Vengono fuori, in tal caso, i limiti dell'approccio transazionale, risultano cioè del tutto inapplicabili gli schemi interpretativi della teoria dei costi di transazione che si limitano a confrontare e ad esaminare singolarmente le varie alternative interno-esterno. Tale teoria usa i costi di transazione in via elementare per spiegare singole opzioni fra produrre o acquistare un bene, secondo la ben nota proposta di Williamson (1975). I parametri di costo sono poi ulteriormente indeboliti quando il singolo rapporto fra imprese assume una più marcata connotazione relazionale rispetto ad una connotazione transazionale (Gerlach, 1987). Al di là dei limiti della singola transazione, poi, è anche il costo che non soddisfa e non spiega le varie opzioni, dove entrano in campo non costi ma profitti, dove le alternative non sono confrontabili attraverso determinazioni quantitative perché non sono intercambiabili, specie negli effetti attesi, nei mezzi impiegati o impiegabili, nei tempi.


Cooperazione inter-aziendale: l'interpretazione transazionale

Nella concezione transazionale, le imprese riescono a isolare, strutturandoli entro i confini del loro sistema, una parte degli scambi che avrebbero luogo nel mercato. Una volta "isolate" dal mercato le singole attività economiche sono raggruppate secondo la configurazione organizzativa delle aree funzionali aziendali.

Un più recente filone di pensiero che ha suscitato consenso anche in Italia (P. Mariti 1980; G. Lorenzoni 1987) - le cui tracce si rinvengono in Guetzkow (1966) e i cui contorni furono meglio precisati da Richardson (1972) - mette in evidenza l'intrecciarsi nel sistema economico di rapporti tra imprese che si svolgono con un certo ordine e, non poche volte, sotto una visibile regia. Tale ordine e tale regia tendono a costruire e stabilizzare nel tempo rapporti tra soggetti od organizzazioni contraddistinti da obiettivi comuni e da interessi convergenti. Tali rapporti possono essere definiti "rapporti collaborativi tra imprese".

Nella strutturazione generale dell'attività economica siamo di fronte ad un continuum organizzativo compreso tra due estremi: da una parte le transazioni contrattuali che passano per il mercato, al cui livello si ipotizza che sia minimo il fattore cooperativo; dall'altra parte si situano le transazioni ordinate in strutture d'impresa, a livello delle quali l'opportunismo è limitato dalla presenza del fattore normativo e gerarchico. Nel mezzo si collocano le transazioni definite da intese informali o accordi formali tra imprese in corrispondenza delle quali il fattore cooperativo è pienamente sviluppato (R. Cafferata, 1995).


2.1 Gli accordi cooperativi

G. B. Richardson, uno dei tanti studiosi che si sono occupati della definizione degli accordi cooperativi (AC) e delle loro motivazioni, nel suo saggio del 1972 sull'Economic Journal, definisce quattro principali tipologie di AC: 1) gli accordi commerciali a lungo termine; 2) i subappalti; 3) gli accordi di scambio e di trasferimento di tecnologie; 4) gli accordi di cooperazione produttiva e commerciale.

Gli AC si differenziano dalle transazioni di mercato per il fondamentale motivo che le parti accettano di assumersi degli obblighi circa la propria condotta futura. Essi si sviluppano in presenza di attività produttive strettamente complementari, ma dissimili, tali cioè da rendere costosi i processi di integrazione interna, e nel contempo conveniente il ricorso ad accordi anziché al mercato (Richardson, 1972).

Degli AC, come forme intermedie fra le transazioni di mercato e il coordinamento interno dell'impresa, si occupa anche la teoria dei costi di transazione. Secondo questo approccio le imprese si sviluppano al proprio interno quando il costo netto di uso del mercato per le transazioni è maggiore del costo del coordinamento delle attività all'interno dell'impresa.

I costi transazionali sono maggiori quanto più il know-how è specifico e non può essere facilmente codificato, quanto più vi è bisogno di contatti personali e collaborazione di gruppo, quanto più vi è incertezza sui possibili benefici; anche la frequenza delle transazioni, e l'ammontare degli investimenti specifici che esse richiedono per poter essere attuate, rendono rischioso o poco conveniente l'uso del mercato; i costi di coordinamento interno, a loro volta, dipendono dalle strutture organizzative delle imprese (G. Balcet - G. Viesti, 1986).

Secondo P. Mariti (1980) gli accordi possono rappresentare l'opzione ottimale per l'impresa in presenza sia di costi elevati di uso del mercato, sia di costi elevati di coordinamento interno. L'autore individua fra le principali motivazioni degli AC la complementarità tecnologica e il trasferimento di tecnologie, insieme agli accordi di marketing e per la ricerca di economie di scala.

In definitiva, tenendo conto dei vari spunti teorici, gli AC possono essere considerati possibili strumenti per attuare diverse strategie d'impresa:

strategie di espansione orizzontale, in cui gli AC sono funzionali alla conquista di nuovi mercati o al consolidamento di quote già esistenti;

strategie di espansione verticale, attuate attraverso subforniture e decentramento produttivo, finalizzate alla riduzione dei costi e alla flessibilità produttiva;

strategie di diversificazione del prodotto, in cui l'accordo con partner già inseriti sui relativi mercati svolge un ruolo importante.

Volendo definire, in base all'esistenza di determinate caratteristiche , gli accordi cooperativi, differenziandolo tanto dalle transazioni di mercato quanto dalle relazioni gerarchiche, bisogna analizzare non il comportamento di una singola impresa ma le relazioni esistenti tra due imprese, utilizzando due variabili descrittive dei rapporti tra imprese: il grado di coordinamento e il grado di dominanza.

Il concetto di coordinamento è legato all'esistenza di un insieme di norme specifiche che definiscono i ruoli relativi dei partner. Il concetto di <coordinamento> è fortemente associato con l'interdipendenza delle performance delle imprese. Tanto maggiore sarà il coordinamento tra le condotte, tanto più il raggiungimento delle finalità che la singola impresa si ripropone dipenderà dalle performance del partner.

Con il concetto di <dominanza> si intende il rapporto fra le imprese che si realizza attraverso la dipendenza nei processi decisionali strategici (Williamson, 1975). Il grado di dominanza, comunque, non è sempre determinabile chiaramente ex-ante, in quanto accanto all'assetto proprietario occorre tener conto del controllo sulle conoscenze tecnologiche e organizzativo-manageriali, e della disponibilità di reti distributive e di sbocchi di mercato di cui dispongono i partner, tutte condizioni che possono evolvere nel tempo.

Un accordo fra imprese può, quindi, definirsi accordo cooperativo se è caratterizzato da un basso grado di dominanza ed un elevato livello di coordinamento.


2.2 Accordi fra imprese

Fra le innovazioni strategiche più diffuse e di maggiore impatto degli ultimi dieci anni dobbiamo registrare l'impiego crescente di alleanze, di accordi, di joint venture fra imprese. Tali manovre di crescita esterna si contrappongono a quelle cosiddette di crescita interna realizzate attraverso investimenti diretti : queste ultime sono decise, pianificate e realizzate all'interno di una singola impresa mentre gli accordi richiedono l'apporto economico, finanziario e organizzativo di altre imprese per essere realizzati.

All'origine di tali decisioni c'è la crescente consapevolezza che la singola impresa non ha più, da sola, le risorse e le capacità di operare in una situazione competitiva che si è andata profondamente modificando.

Lo sviluppo di queste manovre di posizionamento strategico in aggiunta a quelle consolidate di investimento diretto modifica sostanzialmente il profilo delle imprese, la qualità della manovra strategica, le forme organizzative, le necessarie capacità e competenze distintive.

Accanto a una dimensione competitiva della condotta strategica delle imprese si afferma una dimensione cooperativa che si realizza attraverso stretti rapporti interaziendali (G. Lorenzoni, 1992).

Le relazioni fra imprese terminali e subfornitori esistono da molto tempo ma la loro portata era limitata alla divisione del lavoro, alla ricerca di una maggiore efficienza. Più di recente l'osservazione dei comportamenti delle imprese mostra rapporti stretti per realizzare maggiore flessibilità e per migliorare le capacità innovative delle organizzazioni coinvolte.

Gli accordi con imprese che operano in settori diversi possono rappresentare un primo passo verso la diversificazione delle attività, ovvero un tentativo di realizzare delle innovazioni di tipo sistemico o convergente. Insomma, l'accordo è un modo di accesso al mercato o alla tecnologia da parte di un'impresa che non ha ancora le relative conoscenze o competenze.

Attraverso gli accordi si ha la liberazione di grandi potenziali innovativi derivanti non solo dalla convergenza che rende possibile l'innovazione, ma anche dal nuovo assetto organizzativo che crea piattaforme nuove all'interno delle quali sbloccare e accelerare i processi innovativi.

Sotto questo profilo l'accordo può consentire la realizzazione di breakthrough tecnologici, di nuovi paradigmi conoscitivi, non accessibili all'impresa autosufficiente, sia per le barriere tecnologiche, sia per le inerzie organizzative. L'accordo rappresenta anche un'innovazione organizzativa radicale rispetto all'impresa abituata a fare i conti con le risorse interne, con i processi di generazione di informazione collaudati, con i processi di apprendimento consueto.

Accordi e acquisizioni con i concorrenti mirano, di frequente, ad una maggiore concentrazione e alla realizzazione di una quota di mercato significativa entro un breve intervallo di tempo, per rendere più difficile la risposta dei concorrenti o per rispondere ad una manovra analoga.

Il caso di accordi fra concorrenti porta a una nuova organizzazione dei mercati, all'interno dei quali si creano in primo luogo condizioni nuove per la competitività degli attori che hanno sviluppato l'accordo, oltre che per le altre imprese (G. Lorenzoni, Accordi fra imprese e posizionamento strategico, 1992).

Tali manovre sono state impiegate diffusamente anche nei processi di sviluppo delle imprese medio-piccole, per determinare una loro affermazione su mercati che vengono rapidamente ridisegnati e assumono nuovi assetti.

Ma le imprese che hanno realizzato risultati maggiori sono quelle che hanno saputo incorporare nei processi di decisione dosi cumulate di esperienza, attraverso interventi progettuali delle task force, dei compiti di staff, influenzando i processi di passaggio di responsabilità fra analisi, negoziazione e implementazione.

Nei casi di maggiore successo le varie manovre sono fortemente interrelate non solo nel senso dell'unitarietà del disegno e della sua coerenza ma anche nel senso che si rinforzano l'una con l'altra, dove l'esperienza e i vantaggi acquisiti con un accordo trovano amplificazioni su altri accordi, potenziandoli, articolandoli, arricchendoli. Insomma le interrelazioni non si realizzano solo all'interno di un singolo accordo ma si allargano a spirale su altri accordi e altre catene del valore .


2.3 Accordi con fornitori e intermediari

Gli accordi e i legami con fornitori e intermediari sono molto diversi dagli accordi fra imprese, perché riguardano aree funzionali circoscritte, ma non per questo sono meno rilevanti, anche sotto il profilo strategico.

In passato sono stati impiegati prevalentemente con obiettivi tattici di riduzione di costi e di efficienza, negli ultimi tempi, invece, si assiste ad un loro diverso utilizzo, puntando essi su obiettivi di lungo termine e di portata strategica.

Alcuni elementi distintivi di tali rapporti sono: 1) il numero delle imprese esterne coinvolte è molto alto, si tratta di imprese di dimensioni limitate, in qualche modo sostituibili fra loro, in alcuni casi intercambiabili per la loro omogeneità; 2) le relazioni sono di lungo termine e la rotazione delle imprese esterne è lenta, tale da non pregiudicare il disegno complessivo; 3) i singoli accordi sono poco rilevanti; 4) l'architettura che discende dal consolidamento dei vari accordi nasconde il funzionamento complessivo dei rapporti interaziendali.

Un rapporto organico con le imprese di fornitura può avere un impatto determinante sulle innovazioni di prodotto, specie in presenza di innovazioni incrementali, dove vari attori possono portare un contributo singolarmente limitato ma globalmente significativo.

Un rapporto organico con gli intermediari ha effetti potenziali diversi a cominciare dalla qualità delle informazioni, dalla trasparenza dell'attività e dei risultati raggiunti dagli intermediari, pur in assenza di investimenti diretti da parte dell'impresa centrale. Si tratta di informazioni di qualità <superiore> in quanto capaci di fornire gli indizi necessari per mutamenti sostanziali di indirizzo di mercato (Johansson e Nonaka, 1987). Una rete organica di intermediari crea altresì barrire all'entrata dei concorrenti e garantisce un buon supporto all'introduzione dei prodotti; il prodotto nuovo, la nuova marca entrano in assortimento in via breve.

In sintesi, gli effetti dell'impiego sistematico e congiunto di fornitori e intermediari, con rapporti di influenza e di coordinamento reciproco, sono i seguenti: 1) riduce l'ammontare degli investimenti dell'impresa che governa la filiera delle attività; 2) modifica il rapporto fra costi fissi e costi variabili nell'impresa centrale, spostando gli investimenti verso unità esterne, con effetti evidenti anche sulla mobilità dell'azione organizzativa.




Relazioni competitive e rapporti di cooperazione

La letteratura economica consolidata ha a lungo considerato, in generale, le relazioni competitive fra imprese come antitetiche rispetto ai rapporti cooperativi. Nell'accezione dominante, cooperazione è infatti sinonimo di collusione e, quindi, di comportamento anti-competitivo, con conseguenti implicazioni negative in termini di efficienza e di benessere collettivo. Solo recentemente, si è fatta strada l'idea che la contrapposizione fra questi due tipi di relazioni non sia più così netta. In parte questo ripensamento teorico è dovuto al verificarsi, in numerosi settori industriali, di una sempre più frequente commistione fra processi di cooperazione e concorrenza fra imprese (F. J. Contractor - P. Lorange 1990; G. Balcet 1990; G. Lorenzoni 1992; A. Zanfei 1993). In particolare si sono registrati fenomeni quali:

lo sviluppo di relazioni cooperative fra imprese potenzialmente concorrenti in settori caratterizzati da un forte dinamismo tecnologico, in cui la cooperazione consente la condivisione di costi e dei rischi connessi all'innovazione e permette quindi alle imprese coinvolte di innalzare le proprie capacità competitive;

il proliferare di relazioni verticali con le quali si concretizzano importanti processi di apprendimento attraverso le esperienze d'uso in diversi ambiti applicativi, e/o si realizzano sinergie con i fornitori di input specialistici, senza che vengano necessariamente perseguiti obiettivi di controllo del mercato;

l'apertura di "finestre tecnologiche" attraverso accordi e partecipazioni di minoranza in settori collaterali per il monitoraggio e lo sfruttamento di opportunità innovative altrimenti inaccessibili, con i quali vengono ridotte, anziché innalzate, le barriere all'entrata derivanti dal possesso esclusivo di conoscenze.


Una contrapposizione antica

Analizziamo le tappe principali di questo percorso di ripensamento della relazione fra concorrenza e cooperazione:

- Concorrenza perfetta e collusione: i rapporti competitivi fra imprese possono essere ricondotti all'originaria definizione del concetto di concorrenza risalente ad Adam Smith. L'essenza del comportamento competitivo consiste nello sforzo cosciente che le imprese fanno, indipendentemente l'una dall'altra, per conseguire posizioni di dominanza. Smith osservava che anche in presenza di una bassa numerosità delle imprese offerenti (al limite due sole) si può verificare un'elevata indipendenza delle loro politiche (di prezzo e non) adottate sul mercato. Già in questa impostazione, l'accordo collusivo viene visto come un allontanamento da condizioni ideali di efficienza, in quanto consente un aumento dei valori di scambio a vantaggio dei produttori e a danno dei compratori.

Nella seconda metà del secolo scorso, poi, prevale su quella di Smith l'impostazione teorica classica. In particolare con Cournot viene data la definizione di un modello ideale di concorrenza perfetta, che si caratterizza per la presenza di un numero talmente elevato di imprese che offrono un bene omogeneo, ciascuna dotata di quote di mercato talmente ridotte, che nessuna di esse si trova nelle condizioni di potere influire significativamente sul prezzo del bene variandone la quantità prodotta. Il paradigma cournotiano implica che al decrescere del numero delle imprese e all'aumentare della loro dimensione relativa si disperdano i benefici in termini di efficienza allocativa e quindi di benessere sociale che sono associati ad una configurazione di mercato concorrenziale. In questo contesto teorico, i fenomeni collusivi sono considerati fondamentalmente inefficienti e non funzionali all'obiettivo di accrescere il benessere sociale, in quanto conducono ad un allontanamento dell'equilibrio concorrenziale.

- Concorrenza potenziale e mercati contendibili: l'approccio teorico dei mercati contendibili sposta l'attenzione dalla concorrenza perfetta alla concorrenza potenziale. Diversamente da quanto sostenuto dalla tradizione cournotiana, secondo l'impostazione proposta da Baumol, Panzer e Willing (1982), il numero e la dimensione relativa delle imprese sono irrilevanti per il pieno operare del meccanismo concorrenziale. Nel quadro concettuale della teoria dei mercati contendibili, il trade-off fra concorrenza e cooperazione si pone in modo meno netto rispetto all'impostazione cournotiana. In astratto, i rapporti di collaborazione fra imprese possono infatti essere compatibili con l'efficienza garantita dalla concorrenza.

- Concorrenza dinamica e cooperazione fra imprese: il punto di maggiore distacco dal paradigma cournotiano e dalla tradizione teorica successiva si ha con J. Schumpeter e il concetto di concorrenza dinamica, basata cioè sull'innovazione di prodotto o di processo e/o sull'innovazione organizzativa.

Secondo Schumpeter solo una grande dimensione d'impresa ed una forte concentrazione dell'offerta possono associarsi con un'elevata intensità della concorrenza dinamica; è, quindi, controproducente un atteggiamento sempre e comunque ostile alle politiche di fusione e di acquisizione che comportino una crescita della concentrazione industriale. Si tratta di una conclusione radicalmente opposta rispetto a quella della tradizione cournotiana, secondo la quale l'elevato numero e la modesta dimensione relativa delle imprese sono la garanzia essenziale per lo sviluppo della concorrenza e di configurazioni efficienti dal punto di vista del benessere collettivo. Nella visione schumpeteriana, inoltre, il processo competitivo è caratterizzato da continui squilibri ingenerati dall'innovazione.

Se si adotta questa impostazione, il legame fra concorrenza (dinamica) e cooperazione fra imprese appare assai più articolato e problematico di quanto si è osservato con riferimento agli altri filoni di ricerca considerati.

Diversamente da quanto si desume sia dal paradigma cournotiano, sia dall'approccio dei costi di transazione, si può sostenere che in molteplici circostanze le relazioni cooperative fra imprese non riducono ma alimentano la concorrenza dinamica. In particolare il legame fra cooperazione e concorrenza dinamica chiama in causa il ruolo delle alleanze fra imprese come modalità attraverso le quali: da un lato, si connettono risorse fra loro complementari; dall'altro si realizza un peculiare processo di apprendimento, ovvero di creazione di nuove competenze attraverso l'interazione fra partner.




Cooperazione: una nuova forma di competizione

Il sistema impresa non può essere considerato la somma di unità transazionali separabili e autonome, soprattutto nella sua dimensione immateriale (competenze, conoscenze, informazione, cultura aziendale e vocazioni specifiche).

L'impresa è innanzitutto un insieme di risorse produttive, strettamente interconnesse e variamente combinate, che nella loro globalità fanno la differenza rispetto alle imprese concorrenti (S. Alberini, Gli accordi strategici, 1986).

Inoltre, la specificità della dotazione di risorse non appare necessariamente il risultato di processi di internazionalizzazione, ma anche e soprattutto di processi di inter-azione con altre imprese ed altri soggetti economici (relazioni inter-organizzative); in altre parole l'apprendimento dell'impresa non avviene solo all'interno ma si realizza anche, e in misura crescente tramite l'inter-azione con altre imprese.

Si può affermare, quindi, che lo sviluppo dell'impresa dipende anche dalle risorse esterne e che, conseguentemente, la realizzazione di relazioni di tipo cooperativo rappresenta un vero e proprio investimento.

Le strategie basate su sistemi e reti di relazioni cooperative rappresentano scelte ottimali che consentono alle imprese di interagire con la crescente complessità del sistema scientifico-tecnologico, da un lato, e della domanda di mercato, dall'altro.

Conseguentemente si assume che le relazioni cooperative tra imprese non rappresentino soluzioni difensive e di ripiego ma, viceversa, rappresentino innovazioni organizzative appropriate che possono anche avere natura offensiva.

Le nuove forme di cooperazione non sono alternative ai meccanismi competitivi ma rappresentano una condizione di base delle nuove forme della competizione industriale. Si assume, quindi, che le nuove modalità competitive si sviluppino anche attraverso le relazioni cooperative.

CAPITOLO SECONDO

Trasformazione culturale nel governo delle relazioni d'impresa: aspetti strategici ed organizzativi


L'impresa sistema vitale. I rapporti inter-sistemici

Lo studio di una realtà come l'impresa, delle sue attività e dei processi che ne governano la dinamica, non può essere intrapreso senza un'adeguata comprensione del più ampio contesto sociale e culturale, oltre che economico, all'interno del quale si dispiegano i fenomeni che condizionano e consentono la sua evoluzione.

I fenomeni imprenditoriali appaiono così inevitabilmente interconnessi ed interdipendenti con la moltitudine dei fenomeni inerenti lo sviluppo della società e, più in generale, dell'intero eco-sistema (G.M. Golinelli, Approccio sistemico nel governo dell'impresa, 2000).

Un'importante fonte di conoscenza delle dinamiche imprenditoriali deriva dai diversi studi che indagano la realtà nelle sue molteplici manifestazioni, soprattutto in campi scientifici diversi da quello che si occupa dell'impresa. Da tempo, infatti, gli studiosi delle discipline economico-tecniche e manageriali cercano di applicare conoscenze, concetti e modelli teorici originati in altri contesti scientifici, allo studio dell'impresa.

Fra le diverse metodologie di indagine, adottate per una maggiore comprensione dei principi che regolano il funzionamento delle imprese, di particolare interesse è l'approccio sistemico.


1.1 Il pensiero sistemico

Le origini del pensiero sistemico risalgono, probabilmente, ai primi decenni del ventesimo secolo, quando, in seguito a risultati conseguiti in diversi ambiti scientifici, si arriva ad una radicale modificazione della metodologia d'indagine tradizionalmente utilizzata per l'osservazione dei fenomeni e per la ricerca scientifica. Il pensiero sistemico ha contribuito, quindi, in maniera significativa alla formazione di una nuova concezione della realtà fenomenica.

I concetti che costituiscono gli elementi centrali del pensiero sistemico sono:

- contesto, dal quale un sistema non può essere studiato separatamente;

- confine, che funge da filtro rispetto agli input, selezionandoli e rendendoli omogenei rispetto al sistema;

- modificazione strutturale, come risposta adattiva del sistema al contesto.

Nell'ambito di tale metodologia gli eventi vengono percepiti non più come manifestazioni isolate, bensì come risultato di una serie di relazioni dinamiche, di cause e concause fortemente interrelate. Qualsiasi sistema vivente, in sostanza, è identificabile come un sub-sistema di un sistema più esteso. Ne deriva, quindi, che qualsiasi fenomeno è interpretabile attraverso le interazioni tra gli elementi che lo compongono e con l'ambiente di riferimento (F. Capra, 1997).

L'approccio sistemico concepisce l'impresa come un sistema unitario in virtù delle relazioni ed interazioni6 che legano i suoi elementi costitutivi. Tale approccio consente di cogliere la portata e il significato delle relazioni intercorrenti tra le componenti del sistema impresa e tra il sistema impresa e le molteplici entità sistemiche che qualificano il contesto.

Il modello del sistema vitale, introdotto in passato da Beer e riferibile in generale a qualsiasi organizzazione, viene utilizzato per qualificare il sistema impresa. Quest'ultima, cioè, è un'organizzazione in grado di sopravvivere attraverso adeguamenti, trasformazioni e ristrutturazioni nei propri assetti logico-fisici. Tale vitalità del sistema impresa si estrinseca allorquando l'impresa interagisce con il contesto interno ed esterno in cui opera per apprendere, adattarsi, svilupparsi e migliorare nel tempo le proprie condizioni di efficacia. Un sistema vitale, infatti, pone in essere costanti relazioni ed interazioni con il contesto, al fine di assicurarsi la sopravvivenza e lo sviluppo.

In definitiva, un sistema per qualificarsi come vitale deve poter sopravvivere attuando processi di apprendimento capaci di consentire un adattamento al contesto ovvero inducendo alla modifica del contesto stesso.


1.2 Le proprietà dei sistemi vitali nell'ottica d'impresa

La prima proprietà che qualifica il sistema vitale come capace di sopravvivere in un particolare contesto, è la considerazione dell'impresa come sistema aperto inserito in un ambiente, con il quale interagisce scambiando risorse necessarie alla sua sopravvivenza. Sono proprio l'efficace ricerca, l'attenta lettura e la corretta interpretazione dei sovra-sistemi rilevanti a definire il grado di vitalità dell'impresa; una vitalità che va intesa come capacità di sopravvivenza in contesti specifici, di qualsivoglia organizzazione.

La seconda proprietà è l'isotropia, ovvero l'identità dei sistemi vitali. L'isotropia costituisce un'importante qualificazione che consente di implementare una metodologia di indagine coerente ai fini della corretta lettura delle relazioni inter-sistemiche. Le imprese, infatti, siano esse industriali, commerciali, di servizi possiedono tutte la stessa identità, ovvero sono caratterizzate dalla presenza di un organo di governo e di una struttura operativa.

La terza proprietà afferma che il perseguimento delle finalità e degli obiettivi è fortemente influenzato dalle dinamiche e dal rapporto dialettico che l'organo di governo intrattiene con i sovra-sistemi rilevanti. Il perseguimento della vitalità è sia condizionato dalla soddisfazione delle finalità dei sovra-sistemi, sia correlato alla capacità di mediare gli interessi dei diversi sottosistemi.


1.3 Il governo dell'impresa sistema vitale

Nell'impresa sistema vitale l'ottenimento di consonanza e risonanza7 con il contesto e il raggiungimento delle condizioni per la propria sopravvivenza sono dovuti alle scelte dell'organo di governo. Attraverso la modifica di quell'insieme di relazioni, che individua la struttura ampliata , uno specifico soggetto decisore, l'organo di governo, appunto, decide nel tempo, a seconda dei casi, di adeguare, trasformare o ristrutturare, per garantire il mantenimento della tendenza alle finalità. L'organo di governo, sulla base delle proprie conoscenze, deve desumere dal contesto ambientale opportunità e regole relazionali esterne.

Nell'ottica dell'impresa sistema vitale, all'organo di governo sono attribuite le scelte in merito alla definizione degli indirizzi strategici e alla predisposizione di adeguati meccanismi di integrazione e coordinamento delle diverse componenti operative, atti a preservare l'unitarietà e l'integrità del sistema stesso.

L'organo di governo deve fare in modo che il sistema evolva unitariamente verso il conseguimento di vantaggi competitivi, atti a garantire al sistema stesso le maggiori possibilità di sopravvivenza , incrementando in tal modo il suo grado di vitalità.

E' sempre necessaria, in definitiva, la presenza di un organo di governo, dotato di adeguate capacità imprenditoriali e in grado di affermare la propria leadership, nel rispetto delle esigenze manifestate dagli interlocutori interni ed esterni. Ciò sia quando l'impresa è costretta a subire le vicende ambientali, adattandosi ad esse; sia quando le condizioni ambientali e d'impresa consentono di progettarne in maniera creativa lo sviluppo, conferendo al sistema una capacità proattiva volta ad anticipare e ad influenzare con maggiore incisività l'evoluzione dell'ambiente.

E', inoltre, importante sottolineare che la capacità dell'organo di governo di esplicare la causalità creativa e di condurre a termine i progetti e i disegni prestabiliti dipende sia dalla tipologia di relazioni che lo legano alle componenti strutturali sia da quelle che si instaurano con i sovra-sistemi presenti nell'ambiente esterno, in primo luogo con la proprietà.

L'organo di governo, dunque, nell'approccio sistemico, occupa una posizione di centralità e la sua attività di progettazione, indirizzo e controllo deve garantire una guida sicura dell'evoluzione e dello sviluppo dell'impresa.

Dal punto di vista dell'organo di governo, quindi, l'evoluzione del sistema appare strettamente connessa alla dinamica della struttura operativa e l'azione di governo si configura, in definitiva, come il complesso delle decisioni atte a modificarla in senso evolutivo, dando attuazione a un processo di sviluppo con incorporazione nella suddetta struttura di una crescente capacità all'innalzamento dei livelli di efficienza economica, nonché al conseguimento di vantaggi competitivi che rendono possibile la generazione nel tempo di valore.


I rapporti tra sistema impresa ed ambiente

Dopo aver definito il concetto di sistema, quale insieme non sconnesso (ordinato) di parti e di relazioni tra parti, che tende naturalmente o è programmato al raggiungimento di un fine, si può parlare di sistema impresa.

Nell'impresa esistono più parti (funzioni) ed esistono, in aggiunta e in connessione, anche le relazioni e le procedure di correlazione tra dette funzioni, senza le quali l'impresa sarebbe un coacervo di uffici e sedi, un insieme non comunicante, non già un insieme dinamico e orientato allo scambio. Diciamo, quindi, che l'impresa, in quanto sistema, vive di rapporti.

Il dinamismo di un sistema è il risultato dell'esistenza e dell'esplicarsi di scambi, ovvero di rapporti di forza, entro il sistema stesso e fra sistemi. Il dinamismo di un sistema, inoltre, è definito dal principio di evoluzione e si esprime attraverso la pluralità dei rapporti che esso intrattiene con altri sistemi, con realtà (organizzazioni) che gli sono estrinseche, ma rispetto ad esso funzionali, appartenenti in altre parole al suo ambiente esterno. Se tali relazioni esterne non esistono il sistema si definisce chiuso; se, invece, l'esternalizzazione effettivamente si manifesta (come avviene nel caso dell'impresa) il sistema si definisce aperto.

Il sistema aziendale deve considerarsi un sotto-sistema di un sistema sociale più vasto, dal quale trae vita e scopi, col quale interagisce in funzione del suo grado di apertura. (G. Zappa 1956).

Le imprese, quindi sono sistemi relativamente aperti (J. Thompson 1967) nel senso che:

a)      intrattengono relazioni di scambio con l'ambiente esterno (environment), cioè con tutti gli altri sistemi della società e, particolarmente, con quelli che cooperano o competono nello stesso settore di attività (task environment);

b)      devono sapersi difendere dalle pressioni ambientali avverse, per sopravvivere, in altre parole garantirsi la stabilità almeno nel breve periodo.

Il comportamento del sistema interno aziendale dipende dalle caratteristiche dei rapporti che tutto il sistema intrattiene con l'ambiente esterno. E' l'interdipendenza, infatti, che caratterizza il rapporto tra impresa e ambiente. Tale interdipendenza con l'ambiente esterno riguarda non solo l'impresa nella sua totalità, ma anche le parti (o sotto-sistemi) in cui il sistema è diviso. L'evoluzione del sistema e delle sue parti dipende da tale specifica interdipendenza.

Nel suo funzionamento il sistema tende alla stabilità ma sollecitato ed orientato dalle pressioni ambientali le caratteristiche della stabilità si modificano: l'impresa versa, quindi, in uno stato di equilibrio continuamente dinamico nel tempo. In tale situazione anche la struttura organizzativa subisce processi di adattamento, nel senso dell'adeguamento ad altri sistemi e al bisogno di raccogliere e trasformare le informazioni veicolate dalle pressioni ambientali, spesso contingenti.


L'impresa in transizione

L'impresa è esposta ad una varietà di pressioni esterne ed interne al cambiamento, cui essa risponde assumendo una varietà di posizioni.

Il cambiamento del sistema d'impresa, nel senso di variazioni delle caratteristiche della gestione e dell'organizzazione aziendale, può verificarsi:

a)  in risposta a un cambiamento esterno, dovuto cioè ad una variazione delle condizioni ambientali in cui il sistema si trova ad operare, variazione cui l'impresa deve adeguarsi;

b)  in conseguenza di un movimento autonomo delle variabili interne del sistema, ad esempio un'innovazione tecnologica o un'operazione di marketing strategico. In altre parole il cambiamento può verificarsi anche indipendentemente dai movimenti delle strutture di mercato e dalla variabilità delle forze ambientali.

Dobbiamo anche distinguere il cambiamento secondo che esso prevalentemente investa il rapporto tra l'impresa e l'ambiente esterno (cambiamento strategico) o propriamente riguardi l'interazione reciproca tra le variabili interne al sistema aziendale (cambiamento organizzativo).



Il cambiamento strategico riguarda il modo di essere (competere) e il modo di porsi dell'impresa nei confronti della concorrenza (posizionamento competitivo). Ogni cambiamento di percorso richiede cambiamenti di strutture e processi organizzativi , nonché cambiamenti di metodi di formulazione, implementazione o attuazione della strategia (R. Cafferata, Sistemi ambiente e innovazione, 1995).

Il cambiamento organizzativo, invece, riguarda le caratteristiche della differenziazione e dell'integrazione che segnano il sistema aziendale al suo interno (C. Argyris 1964; L.W. Porter-E.E. Lawler III-J.R. Hackmann 1975).


2.1 Il cambiamento del sistema economico

Dagli anni '70, l'ambiente in cui operano le imprese è in continuo cambiamento; un cambiamento ambientale tanto continuo ed imprevedibile che può essere definito "turbolenza".

Al cambiamento ambientale è seguito quello dell'organizzazione del sistema di produzione, dell'organizzazione delle imprese, delle modalità competitive. In sintesi il cambiamento ambientale ha segnato il passaggio dall'era industriale-fordista a quella post-industriale. Per le imprese si aprono nuove prospettive competitive e organizzative, nuove opportunità e nuove minacce.

Alcune caratteristiche del sistema economico post-industriale possono essere riassunte, prendendo in considerazione i <cambiamenti ambientali> e le <risposte delle imprese>, nella seguente figura:



Figura 2.1 Caratteristiche del sistema economico post-industriale:

Cambiamento ambientale

Risposta delle imprese

Minore sostenibilità del vantaggio competitivo

Ricerca di soluzioni imprenditoriali originali

Ipercompetizione

Differenziazione (sottrarsi alla concorrenza di costo)

Aumento del potere d'acquisto dei consumatori

Ricerca della qualità

Individualizzazione dei consumi (ovvero rifiuto del prodotto standardizzato)

Flessibilità produttiva e personalizzazione del prodotto

Tendenza alla liberalizzazione di investimenti e commercio nel mondo

Internazionalizzazione dell'economia e delle imprese

Impossibilità di trovare nuovi clienti (saturazione del mercato)

Ricerca della fidelizzazione del cliente

Progresso nelle tecnologie di produzione

Flessibilità del sistema di produzione

Maggiore efficienza di trasporto e comunicazione (minori costi, velocità,.)

Abbattimento delle distanze geografiche, maggiori possibilità di operare all'estero

Proliferazione di marche e cliente consapevole

Ricerca del rapporto qualità-prezzo e maggior potere dei distributori



2.2 Organizzazioni quasi-gerarchiche

Le imprese subiscono nel corso degli anni profondi cambiamenti. Il cambiamento non riguarda solo i prodotti, le tecnologie, o i mercati, ma anche l'organizzazione. Fonte primaria dell'innovazione d'impresa è proprio il fattore organizzativo. Diversi autori hanno individuato nell'innovazione organizzativa, appunto, un motore dello sviluppo economico e del processo di cambiamento delle imprese (Schumpeter 1942; Arrow 1974).

Attualmente una delle innovazioni principali su cui sono impegnate le imprese è il passaggio a nuove forme di organizzazione fondate sulle architetture reticolari. Le quali appaiono in netto contrasto con le modalità di organizzazione classiche attraverso cui le imprese sono andate sviluppandosi nel tempo. Si assiste, cioè, al passaggio dalle organizzazioni quasi-gerarchiche a forme di organizzazione basate su architetture di tipo reticolare.

Per comprendere il significato del termine "organizzazioni quasi-gerarchiche" è necessario innanzitutto definire i concetti di "organizzazione" e di "gerarchia".

L'organizzazione è lo strumento necessario al raggiungimento dei fini di impresa; consiste, cioè, in una serie di decisioni e di azioni ordinate che rendono possibile con la massima efficienza il raggiungimento di uno scopo predefinito (Scott, 1981).

Il concetto di gerarchia è invece legato a quello di autorità, subordinazione e comando. Secondo l'ordinamento gerarchico ogni persona impiegata nell'organizzazione deve avere qualcuno al di sopra di sé al quale riferire e dal quale ricevere in linea diretta ordini e istruzioni. Solitamente l'organizzazione gerarchica viene rappresentata come una piramide con un vertice ristretto e una base piuttosto ampia, tra loro nettamente distinte e sparate quanto a compiti e responsabilità; più precisamente, al vertice vengono attribuite le decisioni di rilievo e le funzioni di comando e di controllo, mentre alla base spettano funzioni di tipo operativo e routinario.

Si può, a questo punto, cercare di definire il concetto di organizzazione quasi-gerarchica. Le caratteristiche di tale tipo di organizzazione vengono individuate sotto un duplice profilo: economico ed organizzativo. Sotto il profilo economico, le modalità di crescita privilegiate sono quelle dell'internalizzazione di nuove fasi del ciclo, accompagnate da un grado crescente di integrazione e da dimensioni via via maggiori. Sotto il profilo organizzativo si punta sulla mobilitazione e sulla concentrazione delle risorse interne in luoghi predefiniti cui viene attribuita ex ante discrezionalità decisionale (E. Rullani, 1989); si punta, inoltre, sulla centralizzazione dei processi decisionali e con un sistema di coordinamento basato su standard e programmi.

Nelle organizzazioni quasi-gerarchiche il sistema delle relazioni interne viene stabilizzato lungo itinerari predefiniti. Eventuali variazioni rispetto al disegno organizzativo selezionato hanno il carattere di eccezionalità, perché riguardano problemi circoscritti e discontinui. In tali organizzazioni, inoltre, il centro decisionale rimane il luogo di intermediazione per le connessioni tra i diversi punti collocati alla periferia del sistema (E. Rullani, 1989). Il sistema delle relazioni interne all'organizzazione tende quindi ad essere scarsamente modificabile in tempi brevi. Per poter modificare il profilo e le caratteristiche di un organizzazione quasi-gerarchica occorre insomma rivederne l'impianto generale, disegnando nuove strutture.


2.3 Verso strutture più flessibili

Negli ultimi anni l'organizzazione delle aziende è stata travolta dalla crescente complessità ambientale e ha subito una sostanziale rivoluzione.

Le tradizionali strutture piramidali e gerarchiche sono state sostituite da strutture piatte, articolate e flessibili, costituite da sistemi di unità operative dotate di grande autonomia, legate tra loro da svariati rapporti reticolari.

Questa trasformazione è stata interpretata da alcuni come un passaggio da sistemi centralistici a sistemi federali, in analogia con certe tendenze in atto nelle istituzioni politiche (O'Toole e Bennis, 1992; Handy, 1992). La metafora federale applicata alle aziende è stata però facilmente attaccata da critici non superficiali. Un elemento fondamentale di un sistema federale è il principio di sussidiarietà, che lo distingue alla radice da un sistema semplicemente decentrato: nel primo il potere risiede nelle unità periferiche, e viene trasferito verso l'alto solo per quegli aspetti che conviene gestire a scala più ampia; nel secondo il potere risiede nel centro, che lo distribuisce nella misura che ritiene opportuno, in genere a fini efficientistici nell'ottica dei propri obiettivi.

Queste considerazioni inducono a una riflessione circa una differenza fondamentale tra le istituzioni politiche e quelle economiche: per quanto riguarda le prime, a partire dal XVIII secolo è stata progressivamente abbandonata la concezione patrimonialistica, secondo cui lo Stato era proprietà del sovrano e ogni altro potere-proprietà (sulle cose e sugli uomini) derivava da lui secondo il sistema dei feudi e dei privilegi. Lo Stato non ha più (o non dovrebbe avere) come fine la ricchezza di chi detiene e gestisce il potere, ma il benessere e lo sviluppo economico e culturale dei cittadini. Per le istituzioni economiche vale invece ancora oggi il principio patrimonialistico. Tuttavia si avverte sempre più che questo principio contiene alla sua base una incoerenza radicale. La visione dell'azienda come "al servizio" degli stakeholder e ancor più l'"orientamento al cliente", costituisce il segnale di una evoluzione in atto.

Già nei primi anni Sessanta si è cominciato a sostenere la tesi che l'azienda non dovesse rispondere soltanto agli interessi dei suoi principali protagonisti, i capitalisti e i lavoratori dipendenti, ma anche ad altri "aventi causa": gli stakeholder.
Questi possono essere i più diversi, ma i più importanti sono in genere, oltre agli azionisti e ai dipendenti, i fornitori, i clienti, i creditori, i debitori, le diverse istituzioni o istanze pubbliche e sociali (Ackoff, 1994).

In coerenza con tale visione, si dovrebbe abbandonare l'idea dell'esistenza di una gerarchia tra gli attori che risiedono o ruotano intorno all'impresa.

La concezione basata sugli stakeholder appare quindi in contraddizione, o almeno diversa, rispetto ad altre concezioni che pongono il cliente come destinatario finale dell'azione dell'azienda. Tra queste, particolare importanza ha quella basata sulla catena del valore, sviluppata particolarmente da Porter (Porter, 1982), che rappresenta l'azienda come un processo lungo il quale si crea il valore aggiunto, processo che ha come termine inevitabile il mercato o il cliente.
La catena del valore è messa in questione anche dalla crescente complessità dei rapporti tra le organizzazioni, profit e non, che tendono ad assumere una caratterizzazione reticolare.

La visione basata sulla"costellazione del valore" pone il cliente al centro del sistema del valore. Ma non come destinatario finale di un processo ( Normann, Ramìrez), bensì come categoria degli utilizzatori delle risorse, che perdono il connotato di passività tradizionalmente legato alla figura del cliente (specie se inteso come consumatore o utente finale), per diventare protagonisti della creazione di ricchezza. Al punto da sostenere che compito principale del "produttore" sta non tanto nel produrre, quanto nel mettere il cliente in condizione di creare ricchezza (di qualsiasi tipo, anche culturale o ricreativo) con i beni/servizi ricevuti. Il cliente non è più concepito come "consumatore" o distruttore di ricchezza, ma come espressione di un ruolo attivo in un sistema circolare o reticolare della produzione di valore. Fine dell'azienda diventa il facilitare il cliente nella sua attività creativa, sia alleggerendolo di attività complementari a quella sua principale sia collaborando con lui nella realizzazione di tale attività.


2.4 L'evoluzione dei modelli di organizzazione industriale

Il modello di industria che emerge alle soglie del XXI secolo è profondamente diverso dal modello dell'industrializzazione di massa sul quale sul quale si basa la teoria economica tradizionale.

Fattore cruciale per la competitività delle imprese è sempre più la velocità di adozione delle innovazioni di prodotto e la flessibilità di integrazione con altre imprese o organizzazioni piuttosto che la continua espansione delle capacità produttive, tramite gli investimenti, o il contenimento dei costi di produzione.

Il ruolo delle piccole e medie imprese è aumentato negli anni recenti in seguito al processo di "outsourcing" e allo sviluppo di relazioni di subfornitura, connesse con la focalizzazione crescente delle imprese nelle produzioni nelle quali esse hanno uno specifico vantaggio competitivo.

Le prospettive di sviluppo della singola impresa dipendono dalle relazioni sempre più articolate e complesse di integrazione con altre imprese non solo quelle appartenenti allo stesso gruppo finanziario, ma anche con molte imprese esterne.

La creazione di alleanze strategiche, joint-ventures, consorzi e cordate sono diventati strumenti quasi abituali in tutti i settori, quali quelli della produzione, della distribuzione, della finanza e della ricerca.

Secondo un approccio meso-economico o reticolare, una moderna economia industriale è caratterizzata da un fitto intreccio di partecipazioni finanziarie e di relazioni di cooperazione tra i diversi gruppi industriali.

Appare sempre più chiaro che la grande e la piccola impresa, pur rappresentando due modelli di organizzazione della produzione spesso considerati come alternativi, devono ambedue confrontarsi con la stessa sfida competitiva nei mercati internazionali e seguono politiche organizzative tra loro simili e complementari. Infatti, il processo di ricerca di una maggiore flessibilità da parte delle grandi imprese che adottano una struttura più decentrata, corrisponde al processo di ricerca da parte delle imprese minori di forme di integrazione in reti o network dal carattere più formalizzato e stabile.

In termini metodologici, un sistema produttivo può essere analizzato secondo diverse prospettive.

In particolare, la prospettiva macro-economica si basa sul modello di concorrenza perfetta, che è quasi irrilevante per chi si interessa all'analisi dei cluster di imprese o del comportamento della singola impresa.

Invece, la prospettiva micro-economica, che si basa sull'uso di modelli di management o di economia aziendale, porta allo studio di casi singoli.

Infine, la prospettiva meso-economica si basa sul paradigma del network e dei costi di transazione (Williamson, 1981).

La differenza tra queste diverse prospettive spiega le differenze cruciali tra il paradigma tradizionale della grande impresa ed il modello dei network di imprese, sia di grandi che di piccole e medie dimensioni. (tab.1)


Tab.1 Due modelli di industria

Modello classico di impresa

Modello del network di imprese

Sviluppo dei ruoli manageriali

Sviluppo dei ruoli imprenditoriali

Rapporti di controllo stabili nelle imprese controllate

Variabilità elevata delle partecipazioni finanziarie tra i diversi gruppi e all'interno del gruppo

Riduzione dei costi del lavoro pagato ai subfornitori

Riduzione graduale del prezzo

Flessibilità dl lavoro e licenziamento degli occupati

Stabilità e lealtà del lavoro e flessibilità dei contratti di subfornitura

Investimenti in R&S in campi tecnologici specifici

Integrazione di tecnologie differenti ed investimento nella formazione continua

Espansione incrementale delle capacità di produzione tramite investimenti in nuovi impianti produttivi

Veloce obsolescenza tecnologica e crescita della produttività tramite ristrutturazioni

Massimizzazione delle vendite e della quota sul mercato nazionale

Focalizzazione su specifici segmenti del mercato internazionale

Sfruttamento delle economie di scopo tra produzioni differenti

Focalizzazione in prodotti specifici e acquisizione di tecnologie complementari

Aumento della dimensione dell'impresa

Sviluppo di nuovi prodotti

Crescita tramite le esportazioni

Internazionalizzazione dell'impresa e scambiop di know how

Investimenti in paesi nuovi a basso costo del lavoro

Acquisizioni e cooperazione con imprese locali nei paesi più sviluppati

Fonte: Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell'Innovazione, a.a. 2000/01.


La complessità del modello di organizzazione dell'industria moderna è alquanto diversa dalla semplicità del modello neoclassico di concorrenza perfetta, che sopravvive come base metodologica delle analisi macro-economiche. Queste indicazioni basandosi su una prospettiva così aggregata o così distante dal problema considerato, se da un lato possono giovare in termini molto generali, d'altro certamente non affrontano i veri problemi dello sviluppo di un sistema industriale moderno.

D'altro lato, l'integrazione crescente delle imprese in "cluster" di tipo settoriale o geografico rende sempre meno adeguate le metodologie di analisi, che mirino ad analizzare esclusivamente i meccanismi di tipo strettamente micro-economico o "aziendale", mentre sono necessari metodi di analisi capaci di considerare i meccanismi, che operano a livello di sistema complessivo o che sono di tipo "meso-economico" o intersettoriale.

In particolare, in una prospettiva macro-economica sono rilevanti le forze che portano ad un equilibrio e le caratteristiche di efficienza aggregata di quest'ultimo. Invece, in una prospettiva micro-economica sono fondamentali i meccanismi di tipo sostanzialmente gerarchico, che legano tra loro le fasi di ideazione, decisione e attuazione all'interno della singola impresa. Infine, in una prospettiva meso-economica sono fondamentali i meccanismi di interazione-consenso-cooperazione tra le imprese che appartengono allo stesso cluster o network.


3. Le organizzazioni a rete

L'abbandono del modello gerarchico di base tayloristica, è stato necessario per la compresenza di una serie di fattori come: la rapida evoluzione tecnologica, i cicli di vita accorciati dei prodotti, lo spostamento della concorrenza su dimensioni internazionali, le esigenze sempre più personalizzate della domanda e in generale il globale incremento di complessità e instabilità del sistema.

Le organizzazioni tradizionali (gerarchiche o quasi-gerarchiche), sebbene dotate di una struttura molto lineare e chiara, non riescono a rispondere a queste nuove esigenze. "La spinta verso formule di gruppo piuttosto che individuali, di interfunzionalità piuttosto che di specializzazione, di accettazione normale di fatti non previsti piuttosto che di previsioni rigorose, ma inefficaci e non modificabili, rende meno precisi i compiti da svolgere e la loro divisione, imponendo nuovi modi di lavorare" (L. Hirschhorn; T. Gilmore).

E' possibile evidenziare le differenze fra sistemi quasi-gerarchici (imprese economicamente autosufficienti, basate sulla centralizzazione dei processi decisionali e con una natura delle relazioni interne, modellate dal disegno della struttura) e le architetture reticolari (M. Benassi):

  1. Nelle architetture reticolari le relazioni non sono intese come semplici linee di connessione date una volta per tutte, ma rappresentano una risorsa di importanza fondamentale. Non è tanto il numero (la densità) delle relazioni ad essere di per sé significativo, quanto la possibilità di accedere ai diversi punti e di attivare direttamente le risorse distribuite nel sistema in funzione dei problemi e delle opportunità che via via si presentano.
  2. Un'altra differenza riguarda il profilo e le caratteristiche degli attori. Il principio di autonomia degli attori rappresenta una componente fondamentale delle architetture reticolari, intrecciata con la dimensione relazionale.
  3. E' diversa la natura del processo decisionale: le organizzazioni quasi gerarchiche sono caratterizzate dalla centralizzazione, mentre all'interno delle architetture reticolari è presente una decisionalità distribuita, che è ben diversa da una pura decentralizzazione. Nelle architetture reticolari la riproducibilità e la valorizzazione del contesto relazionale rappresentano un potente fattore di convergenza, che orienta e dà senso alle decisioni.

L'impresa-rete, post-industriale, "è necessariamente decentrata e interstiziale; in quanto deve essere là dove avvengono i mutamenti, dove sono i clienti, dove si origina e si consuma il business, nei punti sul confine esterno dell'organizzazione, ma anche sui confini interni ".

Le aziende rete, grazie alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, usufruiscono di potenzialità di collegamento che permettono una forte delocalizzazione del lavoro sia territoriale che strutturale. I nodi devono quindi attivare un continuo flusso informativo, e allo stesso tempo diminuiscono i livelli gerarchici e i ruoli all'interno dell'azienda diventano più sfumati e meno rigidi.

Le funzioni strettamente operative tendono a diminuire e le aziende si attendono sempre di più contributi da professionisti. L'informazione diventa più interpersonale e informale e si trasforma in un elemento funzionale per supportare il lavoro di gruppo.

3.1 L'impresa-rete

Le definizioni di impresa-rete sono molteplici e sono utilizzate per contraddistinguere processi e situazioni anche molto diverse fra loro. L'impresa-rete naturale è definita come: "Quel sistema di riconoscibili e multiple connessioni e strutture, entro cui operano nodi ad alto livello di autoregolazione (sistemi aperti vitali) capaci di cooperare fra loro (ossia condurre vari tipi di transazioni efficaci) in vista di fini comuni o di risultati condivisi" (F. Butera, 1990).

Scendendo nello specifico, con il termine nodi (o sistemi) ci si riferisce a : "Le parti costitutive di una rete organizzativa. Entità grandi o piccole, orientate ai risultati, relativamente autoregolate, capaci di cooperare con altri e di interpretare gli eventi esterni" (F. Butera, 1990).

L'impresa rete si presenta quindi con un centro e con una serie di diverse unità (i nodi), con cui esistono rapporti sistematici di ordine economico e di natura organizzativa (raggiungimento coordinato di obiettivi, relazioni interpersonali, trasferimento informale di conoscenza, ecc.). I nodi devono, allo stesso tempo, essere dotati di una forte autonomia decisionale, ma anche di elevate capacità d'integrazione, di trasmissione e condivisione di informazioni all'interno dell'intero sistema a rete.

La definizione di rete è stata oggetto di particolare attenzione da parte degli "economisti industriali", e in particolar modo dai neo-evoluzionisti, che si sono avvalsi del concetto di rete per interpretare le tendenze evolutive del capitalismo industriale.

Secondo tale prospettiva, l'evoluzione del capitalismo industriale è collegata alla natura dei rapporti di interazione e di coevoluzione che intercorrono tra ambiente e sviluppo economico, ed è caratterizzata dall'affermarsi in successione di tre paradigmi tecnologici: la meccanizzazione puntuale, la produzione di massa e l'automazione.

La forma reticolare si caratterizza per la presenza di molti sistemi auto-organizzatori (moduli intelligenti) che sostituiscono la forma gerarchica e centralizzata.

L'organizzazione reticolare della produzione si caratterizza per due elementi: 1) l'autonomia dei singoli processi puntuali di uso dell'energia e dell'informazione; 2) la possibilità di connettere le operazioni di un ciclo unitario in modo decentrato grazie alla circolazione delle informazioni nella rete costituita dai diversi "moduli intelligenti" (B. Di Bernardo, E. Rullani).

In termini meramente descrittivi la rete viene definita dagli economisti industriali neo-evoluzionisti come "l'insieme delle alleanze e degli accordi, più in generale di tutte le relazioni (tecnologiche, produttive e commerciali) di natura non competitiva, allacciate da imprese indipendenti e miranti a sfruttare i vantaggi delle reciproche complementarietà". Questo tipo di rete si può costituire all'interno della singola impresa o, alternativamente, tra più imprese e può assumere la forma di rete centrata o di rete simmetrica". (E. Rullani)

Il concetto di rete è stato oggetto di definizione anche da parte degli "studiosi di organizzazione, più precisamente, con il termine rete, nell'ambito della teoria transazionale, vengono designate "tutte quelle forme di coordinamento tra imprese che rendono un dato aggregato di unità economiche un sistema intermedio tra la forma mercato e la forma gerarchica di organizzazione economica". Si fa pertanto riferimento ad un range di strutture e meccanismi di coordinamento tra imprese all'interno del quale si possono identificare diverse tipologie, quali reti proprietarie, come le joint ventures, le reti non proprietarie, ma con condivisione di utili e centralizzate, come il franchising, le reti paritetiche e senza utili in comune, come i consorzi, le reti centralizzate ma informali come il sub-contracting, le reti informali e paritetiche come i clans che regolano i trasferimenti reciproci privilegiati di clienti o di know how all'interno di piccoli gruppi d'impresa (Grandori).

Con l'intento di pervenire ad una definizione di rete che abbia valore non solo sul piano della semantica in generale ma che fosse soprattutto funzionale al conseguimento degli obiettivi conoscitivi della ricerca, è stata prescelta una puntuale definizione di rete. Più precisamente col termine rete si individua, in prima approssimazione, quella "specifica modalità di organizzazione delle forze produttive che si caratterizza per la presenza di connessioni interattive, basate su linguaggi condivisi, codificati e specialistici". In un'accezione che utilizza alcuni concetti precedentemente definiti, col termine rete (che qualifica la modalità di organizzazione) si intende designare "l'insieme delle forme di cooperazione e di collaborazione che vengono allacciate da imprese (che qualificano il tipo di rapporto non competitivo alla base della modalità di organizzazione di rete), ossia l'insieme degli accordi e delle alleanze (evocative del tipo di strategia relazionale sottostante ai rapporti) che hanno un ruolo sempre più importante nell'evoluzione del capitalismo industriale di moti paesi.


Dalla comunicazione interna a quella organizzativa

In questi anni, nelle aziende italiane è maturata la consapevolezza del reale contributo che la comunicazione interna può dare alla gestione delle risorse umane e allo sviluppo organizzativo. Il nuovo modello organizzativo delle imprese rete ha rivoluzionato i processi di comunicazione interna.

Fino agli anni '70, le imprese strutturate in modo assolutamente gerarchico, si limitavano a produrre un giornale aziendale (house organ) che comunicasse le attività e i successi dell'azienda, in un'ottica non immune da influenze paternalistiche.

Negli anni '80 la comunicazione interna inizia ad essere vista, non solo come "voce dal vertice", ma come "scambio", basato sul dialogo fra capo e collaboratore. Le esigenze cambiano, il dipendente diviene oggetto di maggiori attenzioni in qualità di portatore di bisogni. E' meno disposto a sottostare ad un sistema di gestione fondato su obbedienza e controllo, ma è più attento alla qualità della vita aziendale e attivo nei confronti dell'intero sistema-azienda.

Con gli anni '90 la compresenza della velocità di cambiamento di tutti i parametri: il mercato, la concorrenza, le tecnologie, che hanno rinnovato il paradigma organizzativo di riferimento, ha prodotto il passaggio nelle aziende da strutture gerarchiche piatte a strutture a rete, dove l'enfasi è posta sulle relazioni trasversali e orizzontali. La leadership non coincide solo più nel potere, ma s'identifica con la capacità di valorizzare i collaboratori e di farli crescere attraverso l'organizzazione.

Il punto di vista muta, un conto è uno schema del modello tradizionale con una comunicazione ad una via, dall'alto verso il basso, dove si assegnano ordini e disposizioni organizzative unilaterali, un altro è un sistema a rete, decentrato, multipolare, basato su nodi con forti deleghe decisionali ed un sistema di comunicazione a due vie. La "comunicazione interna" passa da strumento soft: orientato all'integrazione, all'immagine e alla fedeltà ad uno hard, costitutivo di questo modello organizzativo. Assume un ruolo d'importanza strutturale, non limitando la sua azione agli obiettivi operativi dell'organizzazione, ma riconsidera in modo nuovo l'approccio con le risorse umane. I dipendenti sono considerati come clienti-interni, la cui motivazione diventa fondamentale per mobilitarli spontaneamente verso gli obiettivi dell'azienda.

La comunicazione interna assume allora un nuovo ruolo, un significato più ampio, mentre cadono le distinzioni fra interno ed esterno, è stato perciò introdotto il concetto di comunicazione organizzativa.

"La comunicazione organizzativa è l'insieme dei processi di creazione, di scambio e di condivisione di messaggi e d'innovazioni all'interno delle diverse reti di relazioni che costituiscono l'essenza dell'organizzazione. Essa coinvolge i membri interni, i collaboratori interni-esterni e tutti i soggetti esterni in qualche modo interessati e coinvolti nella vita dell'organizzazione, compresi i suoi clienti effettivi o potenziali. Essa consente ai soggetti interessati di conoscere e di partecipare ai processi produttivi e decisionali; di conoscere i prodotti e i servizi e di apprezzarne le modalità di erogazione; di conoscere tutta l'organizzazione, le sue attività, le sue politiche e i cambiamenti in corso; di definire e condividere la missione, la cultura e i valori, gli obiettivi economici e sociali che l'impresa o l'ente si prefiggono" (E. Invernizzi).

Si è passati quindi da una visione focalizzata su particolari pubblici di riferimento e da scambi formativi finalizzati al funzionamento operativo dell'organizzazione, ad una che privilegia gli obiettivi e si basa su una comunicazione globale.

Sono stati identificati 4 livelli di comunicazione organizzativa (E. Invernizzi):

  1. La comunicazione funzionale: che si occupa delle informazioni di tipo operativo necessarie a supportare i diversi processi produttivi e decisionali interni e quelli di cooperazione con soggetti esterni all'impresa. Si tratta di informazioni provenienti in genere dal vertice aziendale ed è un livello di comunicazione che era già presente nelle organizzazioni di tipo gerarchico, sebbene nelle organizzazioni a rete è qualitativamente migliore.
  2. La comunicazione informativa: si riferisce alle informazioni necessarie a far conoscere l'impresa nel suo complesso, i suoi prodotti, le sue politiche, la sua missione a diversi pubblici interni e/o esterni. Serve a migliorare la visibilità dell'impresa aiutando i dipendenti a comprendere la loro collocazione organizzativa e ad avere maggiore orgoglio del loro lavoro. L'azienda potrà proteggersi meglio da eventuali attacchi esterni. Questo livello di comunicazione dovrebbe essere gestito dall'ente di comunicazione (interna ed esterna insieme).
  3. La comunicazione formativa: si riferisce all'attività di trasmissione di competenze svolte nel contesto lavorativo o in strutture esterne. Serve anche per coinvolgere i collaboratori facendoli condividere i valori e la cultura aziendale e alimenta l'identità dell'organizzazione
  4. La comunicazione creativa: si realizza nelle occasioni di dialogo sia verticale che orizzontale. Il sapere si trasferisce spesso anche dal basso verso l'alto in modo informale. I suoi obiettivi sono la creazione e la trasmissione di un sapere innovativo.

La comunicazione interna (nel senso tradizionale e restrittivo del termine) è stata definita come un "sistema caratterizzato da elevata codifica e dal prevalere di emissione manageriale", mentre la comunicazione organizzativa "ha una pluralità di emittenti, un'alternanza dei ruoli di emittente e ricevente nelle stesse persone, una combinazione di conoscenza esplicita e tacita, un intervento di regolazione e negoziazione del management" (G. Santoro).

La comunicazione interna serve quindi a dare notorietà ai fatti aziendali ad operare in modo migliore, a cogliere le logiche dell'azione aziendale ad orientarsi nel cambiamento per affrontare le eventuali emergenze.

La comunicazione organizzativa invece serve a:

  1. Ampliare il know-how aziendale, producendo nuovi prodotti e servizi e aumentando il patrimonio cognitivo dell'azienda. Per far questo utilizza strumenti di supporto al lavoro cooperativo (come il groupware) che sono inseriti in sistemi di apprendimento diretto (team professionali) e d'informazione completa e rapida (posta elettronica, videoconferenze).
  2. Collaborare attivamente, dare trasparenza agli eventi aziendali, agire direttamente e formulare ipotesi d'intervento. Sono utilizzati tutti gli strumenti per l'ascolto e lo scambio interno: dalle assemblee alla multimedialità interattiva.
  3. Costruire e realizzare progetti; ottenere risultati organizzativi comuni. Favorire la circolazione delle informazioni e l'integrazione attiva nei processi di organizzazione aziendali.

Con la comunicazione organizzativa cadono gli steccati fra comunicazione interna ed esterna.

In primo luogo sono cambiati i pubblici di riferimento dell'impresa e sono cresciuti gli interlocutori che risultano difficili da collocare: ad esempio i subfornitori pubblici interni od esterni, la catena dei concessionari oppure consulenti o collaboratori con cui si instaurano rapporti continuativi.

Il secondo motivo è che risulta impossibile tenere separati i canali e l'influenza delle comunicazioni interne ed esterne. La comunicazione esterna influenza anche quella interna perché i dipendenti costituiscono parte del pubblico dell'azienda, ma anche quella interna si trasforma in uno strumento di comunicazione esterna per esempio con gli operatori front-line, che contribuiscono a formare l'immagine dell'azienda, oppure con le convention che diventano eventi di richiamo. E per questo che la creazione di un ente unico per la comunicazione diventa la risposta migliore per fronteggiare queste esigenze.

Infine, esiste una ragione più concettuale: un'azienda non può rischiare avendo come punto di riferimento un unico pubblico, ma deve impostare una politica ed una strategia in grado di raggiungere contemporaneamente più pubblici, valorizzando sinergie e coerenza (G. Gabrielli).

All'interno d'imprese che si riorganizzano per processi, si terziarizzano in sistemi a rete per ricercare maggiore flessibilità e adattabilità, la comunicazione diviene un fattore necessario per l'integrazione, lo scambio, la coesione aziendale. "Diventa il fluido che collega e orienta tutto il sistema sostituendosi e cambiando il peso dei tradizionali meccanismi d'integrazione e di governo".

Comunicare significa quindi anche coordinare e facilitare la suddivisione delle responsabilità decisionali, superando i confini gerarchici e funzionali e rafforzando così l'organizzazione del lavoro per team; favorire la cultura d'ascolto e dell'utilizzo di molteplici reti informative; stimolare l'apprendimento e l'innovazione.

La comunicazione "interna" deve essere messa a regime, diventare sistema di lavoro, e i mezzi devono incastrarsi in modo perfetto con l'organizzazione. In questo contesto sono proprio i nuovi media, con le loro caratteristiche d'integrazione e d'interattività, che meglio rispondono alle nuove esigenze della comunicazione aziendale.




La politica della rete

La strategia della rete non è solo quella del decentramento o dell'outsourcing o della terziarizzazione ma è quella di una collaborazione permanente e a due vie tra il centro e le varie periferie del sistema. Non è più solo il problema di decidere se è meglio comprare o vendere, tenere in casa o esportare. Si tratta di creare sistemi di collaborazione tra i fornitori e l'impresa centrale, di creare connessioni e sistemi operativi per far cooperare "nodi" e sistemi autonomi e sovrani (F. Butera, 1998).

Sia le reti d'imprese sia l'impresa rete rappresentano nuovi modelli basati su:

a) una nuova configurazione dei confini (impresa che agisce al di fuori dei propri confini giuridici legali);

b) una relazione di partnership con fornitori, clienti e concorrenti;

c) il reciproco sostegno con le istituzioni e la pubblica amministrazione;

d) persone che lavorano non solo come forza lavoro o risorse, ma come   professionisti ad alto livello di autonomia, sorta di microimprese alleate con l'impresa principale.


Le reti di impresa e l'impresa rete sono caratterizzate dai seguenti elementi costitutivi:

a) i processi interfunzionali, interaziendali e interistituzionali che attraversano imprese e unità organizzative diverse (l'impresa rete, infatti, opera al di fuori dei confini giuridici dell'impresa);

b) la valorizzazione avviene attraverso una doppia catena del valore: il valore economico e il valore sociale. Essi si rinforzano a vicenda attraverso il ciclo "redditività - investimento - visibilità - supporto sociale interno ed esterno - strategie compatibili";

c) essa è composta di nodi vitali, capaci cioè di sopravvivere e prosperare in una relativa autonomia. Essi sono "nodi produttivi" (imprese, unità organizzative, ruoli professionali) che operano nella stessa "arena decisionale" di "nodi istituzionali" (enti pubblici, comuni, scuole, gruppi sociali);

d) essa è internamente connessa attraverso legami deboli e forti di cui fruire, su cui comunicare, talvolta da progettare (scambi, procedure, informazioni, comunicazioni, relazioni sociali, rapporti di potere, ecc);

e) essa è composta da strutture multiple che devono essere fra loro coerenti e adatte alle strategie e alle sfide: gerarchia, mercato, sistema informativo, sistema telematico, strutture sociali, strutture politiche, ecc);

f) essa è regolata da proprietà operative peculiari: come i nuovi sistemi decisionali, di regolazione dei conflitti, di rafforzamento dell'appartenenza alla rete, ecc. Il più importante dei sistemi operativi, come è evidente e soprattutto necessario, è il sistema di governo, in tutte le sue articolazioni centrali e periferiche.

Due fattori sono cruciali nelle nuove forme reticolari di impresa: il sistema di governo e la rete di persone.

Il sistema di governo (governance system) include aspetti come la proprietà, l'autorità formale, il controllo dei mezzi operativi, il possesso delle conoscenze chiave e così via. La più significativa peculiarità del governance system delle reti di imprese e dell'impresa rete è data dalla coesistenza della spinta e supporto strategico dell'agenzia focale o strategica e dalla autoregolazione dei nodi.

Sono gli attori che danno vita alla rete: i nodi sono costituiti da organizzazioni ad alta intensità di persone. Le connessioni legano fra loro principalmente le persone, sono "reti di persone". Le strutture (nuove burocrazie, mercati, sistemi informativi a supporto della cooperazione, telecomunicazioni, sistemi sociali) hanno al centro le persone; lo stesso sistema di governo complessivo è una arena per una molteplicità di persone.

Questo tipo di impresa non può funzionare senza una profonda integrazione fra dimensioni economiche e sociali, sia all'interno sia all'esterno: è un insieme di comunità vitali. Essa dispone di una competitività strutturale basata sulla capacità di mantenere e sviluppare nel tempo una relazione di partnership con fornitori e clienti.

CAPITOLO TERZO

Approccio transazionale o relazionale?


Rapporto impresa-fornitori (di risorse in senso lato)

La relazione tra fornitore e cliente è al centro di un processo di profonda evoluzione e cambiamento che ha già lasciato segni indelebili nel comportamento delle aziende. Le quattro dimensioni fondamentali sulle quali le imprese hanno sempre lavorato per massimizzare il vantaggio competitivo - costi, servizio, qualità e innovazione - sono oggi in gran parte subalterne al fattore "tempo", inteso in tutte le sue articolazioni: tempi di sviluppo di nuovi prodotti; tempi di avviamento; tempi di produzione; tempi di cambio di produzione; tempi di distribuzione.

Ma se la dimensione temporale si va sempre più configurando come fattore critico di successo, allora il problema fondamentale di ogni attività produttiva si trasforma in quello del contenimento dei tempi di produzione di un bene o di erogazione di un servizio, un processo che vede pienamente co-responsabili e co-protagonisti tanto l'azienda che opera sul mercato finale, quanto i suoi fornitori.

E in effetti sono sempre più spesso i collegamenti tra fornitori e cliente a determinare il valore aggiunto di una determinata attività, soprattutto quando le tecnologie utilizzate sono sviluppate o gestite dai fornitori stessi. L'implicazione strategica di questo semplice dato di fatto si traduce nella necessità di dover coinvolgere sempre più i fornitori nello sviluppo del prodotto. Fondamentale, dunque, è poter innovare insieme, ed è questo l'obiettivo sotteso dalle logiche di

outsourcing, la modalità attualmente più evoluta di gestione del rapporto fornitore/cliente (J.A. Carlisle - R.C. Parker, 1991).

Fino allo scorso decennio la relazione di un'impresa con i propri fornitori era incentrata sul prezzo e contemplava forniture basate su ordini a breve termine che rendevano necessario un controllo sistematico delle forniture stesse, nonché adeguate scorte di sicurezza che appesantivano il magazzino.

Un passo decisivo verso una maggiore integrazione e flessibilizzazione dei processi è stato compiuto con i primi contratti di fornitura integrata, siglati negli Stati Uniti e in Giappone mediante i quali si è cominciato a definire una sorta di outsourcing operativo fondato su accordi di lungo termine in cui le caratteristiche delle forniture avrebbero potuto variare sulla base di criteri preconcordati e predefiniti. Ma l'aspetto più importante di questo tipo più evoluto di rapporto era rappresentato dal livello qualitativo ed autocertificato delle forniture stesse, un livello sufficientemente elevato da configurare una sorta di responsabilità condivisa nei confronti del prodotto finale. In tal caso, ovviamente, mentre veniva meno l'esigenza di effettuare controlli di qualità, andava assumendo sempre più rilevanza il processo di selezione dei fornitori, chiamati ad integrarsi perfettamente nelle logiche operative del cliente.

Quest'ultimo limite è stato superato nella seconda metà degli anni '90, grazie all'implementazione di strategie di outsourcing globale con uno o più fornitori esterni, non più semplicemente integrati nell'operatività dell'azienda cliente, ma in grado di cooperare attivamente nella progettazione di nuovi prodotti, servizi e tecnologie. Nelle attuali relazioni di outsourcing globale l'impresa assume dunque le caratteristiche di un sistema aperto, collegato ad una rete di fornitori attraverso rigorose ma flessibili procedure integrative. Tutto ciò presuppone un'elevata capacità di delega imprenditoriale che in molte aziende stenta ancora ad affermarsi. Nei settori meno competitivi, spesso ancora orientati al prodotto piuttosto che al cliente, i cambiamenti intervenuti nel rapporto con i fornitori vengono generalmente considerati come una difficoltà per l'azienda stessa, costretta a modificare le proprie logiche di approvvigionamento in una direzione considerata più a rischio, in quanto suscettibile di un minor numero di controlli e verifiche. Ma i concreti risultati ottenuti dalle imprese più innovative attraverso l'implementazione di processi di outsourcing globale hanno già ampiamente dimostrato come il trend in atto rappresenti, invece, una concreta opportunità di migliorare la propria capacità di fare business, ottenendo tangibili ed immediati riconoscimenti dal mercato (Herald of the Outsourcing World, 2001).


Evoluzione del rapporto fornitori-clienti (nel settore degli approvvigionamenti)

Le strategie adottate dalle imprese nel gestire le fasi a monte del processo produttivo sono cambiate, in questo secolo, seguendo una traiettoria ben precisa (A. De Maio-E. Maggiore, 1992).

Le tappe fondamentali di questo percorso possono essere così riassunte: 1) integrazione verticale (anni venti-cinquanta); 2) deverticalizzazione / uso del mercato (anni sessanta-settanta); rafforzamento del rapporto con i fornitori in chiave prevalentemente logistica: JIT - just-in-time (anni settanta-ottanta); comakership (anni novanta).

Integrazione verticale:


Tramite l'integrazione verticale le imprese cercarono di incrementare il loro potere di mercato nei confronti di concorrenti e fornitori.

L'ipotesi alla base di una strategia di integrazione consisteva nella convenienza economica della produzione interna o dell'acquisizione della società fornitrice rispetto al sostenimento continuo di costi transazionali (costi d'uso del mercato) in relazione all'acquisto della merce.

Il cliente adottava, cioè, una strategia di internalizzazione della fase produttiva a monte e ciò molto spesso si realizzava attraverso l'acquisizione delle società fornitrici.

Deverticalizzazione:


Negli anni sessanta-settanta processi di fabbricazione ed assemblaggi di componenti sempre più complessi richiesero la padronanza di tecnologie molto diversificate e specializzate.

Si delineò così la tendenza delle imprese a ricorrere sistematicamente alla fornitura esterna per la produzione di lotti di dimensioni contenute o per commesse di materiali che avrebbero richiesto lo sviluppo all'interno dell'azienda di nuove capacità specialistiche.

La politica generale di questo periodo consisteva nell'acquistare a prezzi che fossero i più bassi possibile, nel disporre di una folta schiera di fornitori alternativi e nel mantenere elevati stock di sicurezza in magazzino.

Just-in-time (jit):


I profondi mutamenti dello scenario competitivo degli anni settanta e ottanta hanno spinto le imprese ad allacciare rapporti di collaborazione con i propri fornitori, come risposta al contempo ai limiti dell'integrazione verticale ed a quelli del mercato delle subforniture. Le imprese tendono a stipulare sempre più spesso contratti di fornitura "just in time".

Sotto l'influsso delle nuove filosofie produttive (jit) e dei nuovi approcci alla qualità, fornitori e clienti allacciano relazioni di lungo termine per la realizzazione di prodotti, spesso su specifica del committente.

Comakership:


L'enorme aumento dei costi di ricerca e sviluppo, l'accrescere dei rischi connessi all'utilizzo di nuove tecnologie, la più rapida obsolescenza dei nuovi prodotti, la maggiore complessità sistemica di prodotti e processi, la necessità di coniugare innovatività di prodotto con flessibilità ed efficienza operative, sono i fattori che hanno spinto in questi anni le imprese a rafforzare l'integrazione con i propri fornitori, anche per quanto concerne le problematiche progettuali e di industrializzazione del prodotto (G. Merli - M. Loni, 1990).

Il fornitore viene coinvolto nei rischi e nelle opportunità potenziali del business del cliente con responsabilità specifica di coproduttore (comaker).



Evoluzione del rapporto fornitori-clienti (nel settore bancario)

Il rapporto banca-cliente risente degli effetti generati dalla tecnologia, in termini di una relazione più facilitata. La tecnologia, quindi, può essere studiata quale causa di relazioni di mercato più coinvolgenti, collaborative, personalizzabili.

Le soluzioni multimediali in banca possono, cioè, favorire relazioni con la clientela di tipo one to one.

Dalla distanza esistente tra complessità del servizio offerto dalla banca e conoscenze ed abilità dei fruitori del medesimo, nasce la possibilità di applicare i servizi del marketing relazionale in presenza di alta tecnologia, cioè si dischiudono le possibilità di adottare un approccio nuovo che prende il nome di marketing relazionale interattivo (G. Ferrero, 1992).

I caratteri propri di questo nuovo approccio di marketing sono i seguenti:

maggiore interazione tra produttore e consumatore facilitata dall'interfaccia elettronica;

consistenti investimenti iniziali, che rappresentano costi fissi non facilmente comprimibili;

necessità di coordinare tra loro, in fase di produzione del servizio, non solo le funzioni interne all'azienda ma spesso di coinvolgere anche lo stesso utilizzatore finale;

necessità di prevedere lo sviluppo tecnologico in particolare per quanto riguarda gli standard adottati dal mercato;

importanza strategica del fattore tempo;

necessità di educazione dei consumatori per una rapida adozione del prodotto;

necessità di assumere un duplice ruolo di marketing: sia market driving quindi di stimolo della domanda, sia market driven, ossia di soddisfazione dei bisogni esistenti.

Per evolvere la logica di marketing occorrerebbe dunque passare dalla trasmissione monodirezionale dei messaggi al dialogo efficace, sfruttando le opportunità offerte dalla tecnologia, in grado di rendere il servizio al cliente modellabile già in fase di progettazione e dunque personalizzabile, su misura delle esigenze espresse. Far partecipare il cliente alla fase di progettazione del prodotto significa ottenere risultati di un certo rilievo in termini di:

personalizzazione di massa,

fidelizzazione

diminuzione del time to market nei confronti di tutti i prodotti identificabili con la propria banca,

aumento del bacino dei clienti potenziali,

diminuzione del time to acceptance del servizio bancario offerto,

instaurarsi di una corretta relazione di learning relationship tra istituto bancario e clientela,

instaurarsi di un rapporto di tipo relazionale (interattivo e personalizzato), supportato e coadiuvato della tecnologia, che condurrebbe alla possibilità di evolvere verso forme di interattività in tempo reale.


Il problema dei confini nella qualificazione del rapporto impresa-fornitori

Nell'ambito del rapporto impresa-fornitori di risorse in senso lato un aspetto importante quanto dibattuto è rappresentato dal problema della delimitazione dei confini d'impresa.

"L'azienda è come un branco di pesci il quale ha sempre determinati confini che, però, non sono mai gli stessi. In un certo momento infatti, essi non sono più quelli dell'istante che immediatamente precede e non ancora quelli del successivo." (E. Giannessi, 2000).

Con il termine confini ci si riferisce non solo ai confini strutturali, gli unici definibili con certezza, ma anche e soprattutto ai confini visti secondo una prospettiva sistemica secondo la quale questi ultimi sarebbero "sfumati ed evanescenti". (G. M. Golinelli)

Dal punto di vista strutturale si definisce esterno quel fornitore di risorse che non opera all'interno dell'impresa fruitrice di tali risorse, ad esempio un'azienda esterna. E' invece considerato interno quel fornitore che opera stabilmente all'interno dell'impresa alla quale fornisce le risorse, ad esempio un dipendente.

Dal punto di vista dell'approccio sistemico, invece, per definire i confini si adotta il criterio dell'autonomia giuridica. Nel senso che, ad esempio, un dipendente che fornisce determinate risorse è considerato un fornitore interno in quanto privo di autonomia giuridica; mentre un'azienda terza rispetto all'impresa in questione è considerata fornitore esterno in quanto gode di una propria autonomia giuridica. In tal caso, quindi, il discriminante per definire un fornitore esterno o interno è l'autonomia giuridica.

In realtà bisogna chiedersi se il rapporto contrattuale di dipendenza ha a che fare con la proprietà, in altre parole, se il dipendente debba essere considerato di proprietà dell'impresa.

Naturalmente dal punto di vista strettamente giuridico non è possibile parlare di proprietà con riferimento a persone fisiche, e quindi alle risorse umane. Guardando però al tipo di rapporto contrattuale instaurato tra dipendente e impresa ed individuando così l'intensità del legame tra gli stessi ci si avvicina più o meno ad un concetto di proprietà.

Uno dei casi in cui sicuramente l'impresa può pretendere l'erogazione di una risorsa da parte del proprio dipendente, sulla base del rapporto contrattuale che li lega, è il caso delle invenzioni del prestatore di lavoro. Il codice civile e la legge sui brevetti in caso di invenzioni di personale dipendente da un'azienda o un ente pubblico prevedono tre ipotesi: a) se l'attività inventiva costituisce l'oggetto del rapporto di lavoro (cosiddetta invenzione di servizio) "i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore"; b) se l'attività inventiva non è prevista come oggetto del contratto, ma l'invenzione è comunque il frutto dell'attività svolta in dipendenza del rapporto di lavoro i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto a esserne riconosciuto autore, spetta un equo premio; c) se l'invenzione, anche se rientra nel campo di attività dell'azienda o ente in cui opera l'inventore, non è riconducibile al rapporto di lavoro, al datore di lavoro spetta il "diritto di prelazione per l'uso esclusivo e non esclusivo dell'invenzione, o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all'estero, verso corresponsione di un canone o del prezzo".

In definitiva il rapporto contrattuale essendo un legame molto forte ha delle implicazioni che si avvicinano molto al concetto di proprietà.

Comunque, ciò che conta per l'impresa nel rapporto con i fornitori non è tanto la proprietà ma la disponibilità degli stessi (M. Pellicano, 2001).

A seconda dei fornitori si notano, quindi, modalità diverse di disponibilità, basate sulla proprietà (nel caso dei fornitori interni), o sul senso di appartenenza (nel caso dei fornitori esterni).

Se il fornitore è interno (ad es. un dipendente), dal punto di vista strutturale, la disponibilità è assicurata dalla proprietà. Se, invece, il fornitore è strutturalmente esterno il tipo di rapporto che l'impresa deve instaurare dipende dalla criticità della risorsa. Nel caso si tratti di una risorsa banale l'impresa instaurerà un rapporto di tipo transazionale/occasionale, di breve periodo; nel caso di risorse critiche/rilevanti l'impresa dovrà fare leva su fattori cosiddetti soft, tali da ingenerare nel fornitore un senso di appartenenza.

Una chiave esplicativa del problema è fornita dall'interpretazione dell'evoluzione sistemica fornita dalla Teoria della dipendenza dalle risorse. Il principio di base di tale teoria è che l'attività di governance, nel rispondere all'elevata complessità ambientale (Legge di Ashby) e gestionale nella quale opera, prende coscienza dell'impossibilità di possedere tutte le risorse che le sarebbero necessarie per esplicitare la propria attività economica (per la scarsità di risorse e/o per il controllo delle risorse critiche da parte di organizzazioni esterne) e, di conseguenza, allo scopo di ridurre l'incertezza, organizza un esplicito controllo delle risorse. Ciò induce a "creare" ambienti esterni "negoziati" (Soda G., 1998), più stabili e prevedibili, esercitando, pertanto, un maggior controllo sulle risorse critiche disponibili possedute da altre organizzazioni (Pfeffer J., Salancik G.R., 1978).

Pertanto, il confine tradizionale, considerato certo e definito (tale, quindi, da consentire una valutazione dell'ambiente inteso come ciò che è esterno all'impresa), nell'interpretazione della TDR assume i caratteri dell'incertezza e della mobilità nel tempo, proprio perché dipendente dalle relazioni contingenti attivate dall'impresa in un dato momento storico-economico.

Dunque, con la TDR si prende in considerazione una concezione del confine molto più sfumata e problematica, rispetto al passato, quando tutto era ricondotto al concetto di proprietà.

In ogni caso non conta più la scelta tra ciò che si possiede e ciò che si acquisisce, quanto piuttosto ciò che si riesce a governare, e di cui si ha la disponibilità (M. Pellicano, Sistemi relazionali d'impresa).

Dal punto di vista organizzativo, dunque, quando l'impresa esce dai confini proprietari, ricercando nuove risorse, dilata la propria struttura organizzativa incerta, legata alla disponibilità delle risorse, e la ridefinisce in un più ampio contesto relazionale e reticolare, nell'ambito del quale va ricercata una più soddisfacente definizione di confine.

In definitiva, l'ambiente interno di un'impresa è dato dal complesso delle risorse di cui la medesima dispone stabilmente, essendo capace di governarne le sottostanti relazioni. Perché ciò si verifichi, è necessario che si realizzi una piena consonanza tra il punto di vista dell'impresa, svolgente la funzione di coordinamento dinamico delle risorse, e i singoli stakeholder, apportatori di tali risorse.

In altri termini, è necessario che l'impresa coordinatrice consideri, alla luce della TDR, lo stakeholder quale apportatore di risorse indispensabile per la vitalità del suo sistema; così come lo stakeholder deve considerarsi appartenente al sistema in questione, in quanto ad esso lega la sua stessa sopravvivenza.

In tale ottica, è possibile pervenire ad una ridefinizione del concetto di confine che, pur mantenendo i caratteri di dinamica mobilità, considera interne al sistema soltanto le relazioni di questo tipo ed esclude, via via, e caso per caso, quelle che non presentano le precipue caratteristiche cui si è accennato (dipendenza e appartenenza).

E' di fondamentale importanza per l'impresa ottimizzare il rapporto con i fornitori di risorse critiche, in quanto tali risorse, trasformate poi in capacità distintive, sono indispensabili per conseguire un vantaggio competitivo rispetto alle imprese concorrenti.

Le fasi del processo di generazione e appropriazione di valore, nell'ottica del conseguimento del vantaggio competitivo, sono le seguenti:

  1. incorporazione: in questa prima fase vengono innanzitutto evidenziate le potenzialità delle risorse. Una volta individuate quelle risorse considerate critiche per l'impresa, si cerca di stabilizzare le relazioni con i fornitori delle stesse, fidelizzandoli.

Gli incorporati sono o all'interno della struttura (dipendenti) o fuori della struttura ma dentro il sistema (altre imprese). I non incorporati, fornitori di risorse banali, sono quelli con i quali l'impresa intrattiene rapporti di tipo occasionale, non avendo interesse a legarli.

Con la stabilizzazione delle relazioni si ottiene la disponibilità delle "capacità di base", ossia di quelle risorse potenzialmente generatrici di valore.

  1. creazione: in questa seconda fase le "capacità di base" vengono trasformate in "capacità distintive" attraverso la creazione di valore. Si ha creazione di valore facendo interagire, nel modo giusto, nei processi tali capacità di base. Si tratta di un'operazione particolarmente delicata in quanto, essendo il valore dinamico, a seconda di come vengono fatte interagire le risorse si avrà maggiore o minore creazione di valore. Risorse giuste che però interagiscono male non creano valore. Questo è quanto suggerisce la Resource-Based View. Le risorse utilizzate dalle imprese diventano diverse perché esse, in funzione della loro formula imprenditoriale9, le selezionano e plasmano diversamente nel tempo.

In definitiva, il valore così creato costituisce un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.

  1. appropriazione: l'ultima fase è quella dell'appropriazione di valore inteso come quantità di valore che si riesce ad ottenere alla fine del processo, e che è rappresentato dalla differenza tra il valore potenziale delle risorse e il valore assorbito dalle stesse.

Ogni fornitore, infatti, da una parte genera valore, dall'altra però comporta anche un costo per l'impresa. Quanto più un fornitore è considerato critico, nel senso che contribuisce in maniera elevata alla creazione di valore ed ha un potere contrattuale elevato, tanto più si renderà necessario fidelizzarlo in modo da ridurre il suo potere contrattuale. Un fornitore con un elevato potere negoziale si appropria di più valore.

Gli interlocutori (concorrenti effettivi e potenziali, fornitori, clienti) che hanno un elevato potere contrattuale, sono in grado di acquisire una quota più elevata della redditività che il settore è in grado di generare (M. Porter).

La fidelizzazione ha la finalità di legare il fornitore (così come il cliente) all'impresa rendendolo quindi meno attratto da eventuali proposte di altre imprese. Affinché la fidelizzazione sia efficace è necessario far leva su elementi diversi da quelli esclusivamente monetari, bisogna far leva, cioè, su elementi cosiddetti soft che vanno ad incidere nella sfera umana, psico-sociologica, quali ad esempio il senso di appartenenza, un ambiente di lavoro particolarmente sereno, gradevole etc. Puntare su elementi soft riduce il pericolo del potere contrattuale avversario, infatti, mentre c'è sempre qualcuno in grado di offrire di più dal punto di vista economico, sono invece difficilmente riproducibili quegli stessi elementi soft, quelle stesse condizioni di lavoro che legano il fornitore all'impresa.

Riassumendo, se il fornitore offre una risorsa critica, l'organo di governo tenderà a stabilizzare la relazione puntando su elementi non economici ma soft; se il fornitore offre una risorsa non critica adotterà una gestione di tipo occasionale puntando su elementi economici.





Possibili criteri per l'individuazione dei confini d'impresa

E' possibile individuare una serie di criteri, di modalità con le quali differenziare l'interno dall'esterno, il sistema dall'ambiente, l'azienda dall'ambiente e dal mercato.

1. Il primo criterio a cui fare riferimento è un criterio di tipo giuridico e si polarizza attorno ai termini <proprietà> e <contratto>10 ed ai concetti sottostanti. In sintesi, esso si fonda sulla convinzione che gli elementi appartengono ad un sistema se quest'ultimo ne ha la proprietà o ne condiziona l'attività tramite vincoli contrattuali.

Il criterio in esame riveste un ruolo centrale nelle analisi sui confini delle organizzazioni. Anche in campo economico aziendale è forse il criterio maggiormente diffuso e di più grande utilità applicativa, ad esso fanno riferimento gli studi sul soggetto giuridico e, di conseguenza, sulle relazioni tra lo stesso soggetto giuridico e il soggetto economico. "La diversità del soggetto giuridico nonostante la comunanza del soggetto economico offre, dunque, un criterio sufficiente per individuare economicamente un'azienda, rispetto alle altre" (P. Onida, 1954).

Il criterio giuridico è essenziale per affrontare le problematiche sui confini aziendali e rappresenta l'approccio istituzionalmente più diffuso in dottrina per caratterizzare e distinguere l'azienda.

2. Un secondo criterio fa riferimento alle barriere spaziali e temporali. L'assunto principale è che le organizzazioni erigono barriere di tipo spaziale (muri, cancelli, porte, addetti alla sicurezza, ecc.) e temporale (calendari delle attività, orari di lavoro, ecc.) per distinguere gli elementi e le attività interne da quelle esterne (R.W. Scott, 1994). Questo approccio può essere definito <fisico>.

3. Un terzo criterio è basato sulla condivisione degli interessi. Secondo tale approccio sono da considerarsi interni i soggetti che trovano nell'azienda il punto di riferimento di interessi di tipo istituzionale (F. Rocchi, 1994).

4. Un ulteriore criterio può essere definito comunicazionale, in quanto si basa sulle metodologie comunicazionali ed in particolare sull'elemento principe della comunicazione: il linguaggio. La chiave della distinzione tra interno ed esterno è la condivisione del linguaggio. L'organizzazione pone il suo confine dove viene meno la condivisione di uno stesso linguaggio (E. Rullani, 1989; L. Pilotti, 1990).

5. Un ultimo criterio è quello basato sulla divisione del lavoro e sulla codificazione delle attività. Il sistema, attraverso i suoi partecipanti, individua le attività necessarie alla sua esistenza ed al suo sviluppo, le codifica e le utilizza per stabilire e discernere ciò che è "dentro" da ciò che è "fuori" (W. Taylor, 1911; M. Weber, 1974; H.A. Simon, 1958).

In realtà nessuno dei sopraccitati criteri sembra in grado di dare una soluzione autonoma alla questione dei confini aziendali. Essi però forniscono due importanti indicazioni per stabilire un concetto di confine in grado di spiegare il complesso sistema delle relazioni azienda-ambiente.

La prima si ricollega alla volontà di individuare l'elemento unificante e di collegamento tra i diversi criteri citati. Tutti possono, in qualche modo, essere ricondotti all'aspetto soggettivo del sistema dell'azienda. E' possibile affermare, quindi, che il confine di un'azienda si pone dove termina l'influenza della sua azione di governo e comincia quella di un'altra organizzazione (Pfeffer e Salancik, The External Control of Organization, 1978).

I confini rappresentano, dunque, quella zona di passaggio tra interno ed esterno che circoscrive le risorse e le attività sulle quali l'azienda stessa è in grado di esercitare la sua discrezionalità e sulle quali estende la sua influenza e il suo controllo. (Ferrero, Istituzioni di economia aziendale)

Il problema viene, quindi, affrontato in una nuova ottica: l'azione e l'autonomia di governo divengono il criterio di base per individuare i confini dell'azienda e la sua <soggettiva indipendenza>. (Thompson, L'azione organizzativa; Normann, Condizioni di sviluppo)

La seconda indicazione che si ricava dai criteri precedentemente elencati è che, comunque, nessun approccio è in grado di delimitare in modo netto e preciso il confine del sistema aziendale. E' semmai possibile individuare un continuum caratterizzato da una <zona di confine>, più o meno ampia, nella quale non è agevole la distinzione tra sistema e ambiente.

In questa zona l'autonomia di governo dell'azienda e la sua discrezionalità di controllo sugli elementi e sulle attività non vengono meno, ma subiscono particolari vincoli e restrizioni derivanti dalla più forte influenza di altri sistemi. Fino ad arrivare ad un punto dove, per impossibilità o per scelta, l'azienda non è in grado o non vuole estendere la sua azione diretta e la sua discrezionalità ed è allora che si parla di ambiente esterno.


2.2 L'impresa cross-border

Nell'attuale contesto economico caratterizzato da rapidi mutamenti di scenario, un'azienda deve valutare con grande attenzione l'entità delle risorse imprenditoriali assorbite da ciascun binomio prodotto/mercato in cui è presente.

Tuttavia un'analisi del portafoglio prodotti/mercati dovrebbe essere propedeutica ad un'ulteriore indagine volta a determinare, per ciascun business, quali attività della catena del valore siano evidentemente delegabili ai terzi, ai fini di una più alta efficienza (N. Ferrocino, 2001).

Il primo passo per l'impresa consiste nel definire il più chiaramente possibile il proprio core business, ovvero quel nucleo essenziale di risorse e competenze la cui esternalizzazione risulterebbe incompatibile con la sopravvivenza della stessa. Fatto ciò è possibile procedere mediante una strategia di outsourcing.

L'outsourcing più frequente riguarda i servizi informatici e logistici in quanto esistono vantaggi collettivi derivanti dalla specializzazione di imprese terze in queste aree d'affari, con un raggio d'azione esteso tendenzialmente a tutto il mercato.

Dopo la fase di ripensamento strategico del proprio core business, fase in cui l'azienda ha perseguito strategie di outsourcing per le funzioni convenientemente delegabili all'esterno, si possono perseguire anche business potenzialmente previsti nei servizi interni che l'impresa continua a gestire, compatibilmente con una missione aziendale definita secondo un approccio marketing oriented.

La capillarità territoriale e la capacità di gestire una particolare tecnologia o qualità dei rapporti con la clientela sono elementi sui quali si può costruire l'inserimento in nuovi business anche senza implementare più o meno marcate modificazioni strutturali.

L'impresa post-industriale muove sempre più decisamente verso una configurazione di impresa senza confini, intesa in tale contesto nella duplice valenza di impresa transnazionale (globalizzazione geografica) e di impresa che riorganizza il proprio campo di attività verso settori confinanti e interrelati (globalizzazione sistemica). (Cultura d'impresa, 2001).

I confini (borders) da attraversare (to cross) non sono intesi soltanto come frontiere spaziali; ci si riferisce, infatti, al graduale affievolimento delle linee di confine esistenti tra i vari business, appartenenti ad aree di filiera convergenti11 .
Il termine cross-border indica, dunque, un insieme di relazioni di tipo imprenditoriale e settoriale, confinanti e interrelate, con specifico riferimento ai settori: bancario, assicurativo, della distribuzione al dettaglio e delle telecomunicazioni.

Il motivo per il quale le strategie di crossing-border sono applicate è a dir poco evidente, data la continua ricerca di soddisfazione di un cliente sempre più esigente ed indirizzato verso soluzioni di primo ordine.

È per questo motivo che l'imprenditore cross-border deve essere anche in grado di stipulare determinate alleanze, grazie alla sua capacità di relazionarsi con altri imprenditori, in modo da acquisire il know-how necessario ad interpretare la nuova attività (N. Ferrocino, 2001).

Oggi più che mai si avverte l'esigenza di imprese che sappiano ridisegnare la loro missione strategica in modo tale da potere agire come global players, attraverso l'adozione di strutture più flessibili e dinamiche.

Affinché si sviluppino idonee strategie di crossing-border occorre, innanzitutto, l'intervento di due fattori esogeni quali la deregolamentazione e l'innovazione tecnologica in quanto capaci di rimuovere gli ostacoli al libero gioco di mercato.

La crescita e la stessa sopravvivenza di un'impresa cross-border sono fortemente legate alla capacità che questa ha di prevedere i futuri sviluppi dell'ambito competitivo di riferimento, i cui confini virtuali dovrebbero essere sufficientemente ampi ed elastici così da permettere una visione esaustiva delle opportunità di mercato.


3. Outsourcing e sistemi aperti

Le organizzazioni sono strettamente legate all'ambiente in cui si collocano e con il quale sono in relazione costante.

Siamo di fronte a quelli che vengono indicati come "sistemi aperti", vale a dire sistemi che dialogano continuamente con l'esterno, attraverso cicli e processi articolati e complessi.

I sistemi chiusi sono costituiti, al contrario, da quei meccanismi e/o macchinari che svolgono funzioni rigidamente predeterminate - prive di qualsiasi grado di libertà - e che quindi contengono in sé tutti gli elementi e le condizioni necessarie e sufficienti al loro funzionamento.

A metà strada tra sistemi aperti e sistemi chiusi si collocano alcune apparecchiature e dispositivi che - pur essendo programmati o progettati in tal senso - risultano, comunque, in grado di regolare almeno parzialmente il proprio funzionamento sulla base delle informazioni e degli stimoli provenienti dall'esterno.

I quattro principi fondamentali su cui si fonda la teoria dei sistemi aperti sono: omeostasi, varietà, equifinalità ed evoluzione.

L'omeostasi, negli organismi viventi, indica la capacità di mantenere - nonostante il contatto costante con un ambiente esterno instabile - uno stato interno stabile, grazie all'attivazione di sistemi di correzione automatica delle anomalie.

La varietà delle risposte dell' organizzazione dipende dalla complessità della sua struttura, struttura a sua volta strettamente dipendente dall'ambiente esterno.

Con equifinalità si indicano i gradi di libertà con cui è possibile elaborare ed implementare strategie diverse per raggiungere il medesimo obiettivo.

L'evoluzione, infine, si riferisce alla capacità dell'organizzazione di scegliere e ritenere quei sistemi e processi che maggiormente aiutano l'organizzazione stessa a cogliere opportunità e sfide proposte dall'ambiente in cui opera.

Sul versante opposto alla teoria dei sistemi aperti troviamo la tradizionale visione meccanicista dell'organizzazione. Non è un caso che tale visione si fondi sull'analisi dell'apparato burocratico elaborata da Max Weber e sugli studi di management scientifico compiuti da Frederick Taylor.

I sistemi aperti presentano la caratteristica di poter essere gestiti in modo "contingente", in un processo di ricerca continua di adattamento ed equilibrio con l'ambiente esterno.

In un ottica strettamente manageriale, non c'è sistema organizzativo migliore di quelli fondati sulla teoria dei sistemi aperti. In un simile modello tutti possono o potranno concorrere - ognuno con il proprio specifico e peculiare contributo - allo svolgimento di determinate funzioni: in altri termini, nell'organizzazione moderna, sistemi gestionali diversi possono essere utilizzati tanto per svolgere funzioni diverse, quanto per operare in ambienti diversi.

In generale, tanto più l'ambiente in cui un'organizzazione opera è mutevole o turbolento, tanto più pericolosa si dimostra l'idea meccanicistica dei sistemi chiusi, fondata sull'errato convincimento di poter interpretare correttamente l'ambiente "a priori" per fissare obiettivi e definire compiti e/o funzioni.

L'organizzazione che voglia vivere e svilupparsi al meglio deve poter contare su processi e sistemi organizzativi in continua evoluzione che le permettano di adattarsi creativamente al variare delle condizioni ambientali esterne.

I metodi in cui si concretizza questa apertura verso l'esterno sono molteplici, ma tutti caratterizzati dal fatto che permettono all'organizzazione di ridefinire continuamente e con facilità il rapporto con i propri obiettivi nel mondo esterno. Tra questi rientra certamente l'outsourcing.

L'outsourcing, infatti, permette all'organizzazione di acquisire processi elaborati e messi a punto all'esterno da soggetti che hanno raggiunto il livello d'eccellenza in un determinato settore. L'outsourcing, è pienamente coerente con i principi che stanno alla base della teoria dei sistemi aperti: omeosatsi, varietà, equifinalità ed evoluzione. Tale metodo stabilizza le organizzazioni poiché introduce elementi di flessibilità capaci di autoregolarsi e autocorreggersi quando l'ambiente lo richiede (omeostasi).

L'outsourcing introduce elementi di varietà nell'organizzazione, dato che il rapporto, spesso intimo e comunque di medio/lungo periodo che s'instaura con il fornitore di processi, la rende più articolata e in definitiva più complessa.

L'outsourcing è coerente con il principio di equifinalità per almeno due motivi: può essere pensato e strutturato in molti modi e può coesistere con altri sistemi e processi.

Infine, l'outsourcing è coerente con il principio dell'evoluzione poiché l'organizzazione che utilizza processi e servizi esterni può apprendere - proprio dall'esterno - come riorganizzarsi al proprio interno, aggiungendo questo nuovo know how al proprio; ovvero, forte dell'esperienza compiuta, scegliendo di continuare a ricorrere a terzi per espletare alcune determinate funzioni.

L'unico vero limite dell'outsourcing va ricercato nel tentativo di utilizzarlo alla stregua di un sistema chiuso. Ricorrere all'outsourcing solo per tagliare costi o ridurre personale, significa non aver compreso la sua funzione, rendere rigido e meccanico uno strumento plastico e flessibile.

L'obiettivo dell'outsourcing è quello di permettere di definire quali siano i processi dell'organizzazione suscettibili di miglioramento - per esempio, attraverso l'esternalizzazione - e quali, invece, rappresentino di per se lo strato dell'arte del proprio settore, tanto da rendere l'esternalizzazione inutile. Solo in questo processo di continua discriminazione tra ciò che è eccellente, ciò che è migliorabile e ciò che dev'essere totalmente rivisto, l'outsourcing può dispiegare tutte le sue potenzialità, in primo luogo offrendo alle organizzazioni più evolute e complesse, nuove e sempre più stimolanti opportunità di adattamento alla sempre più rapida mutevolezza dei mercati in cui operano (How Magazine, 2001).


3.1 Definizione dell'outsourcing

L'outsourcing emerge come uno degli strumenti manageriali, di carattere tattico e strategico, che hanno conosciuto la maggiore espansione nel corso degli ultimi decenni e che continuerà a proporsi nei suoi diversi ambiti e nelle sue varie applicazioni come una via obbligata per la sopravvivenza sul mercato delle imprese.

Liberarsi di alcune funzioni per puntare sulle attività in cui l'azienda si sente più forte: è questo in sostanza il motivo principale, affiancato a quello della riduzione dei costi, che spinge un numero sempre maggiore di imprese a ricorrere all'outsourcing.

Delegare a fornitori esterni la gestione di attività considerate non strategiche per le imprese costituisce l'unica via concretamente praticabile per raggiungere l'obiettivo di concentrarsi sul core business.

Si potrebbe fornire una serie di definizioni di outsourcing tuttavia il concetto generale può essere espresso in forma estremamente sintetica, descrivendo l'outsourcing come quel processo che porta alla "acquisizione da un fornitore esterno di prodotti o servizi attualmente risultanti dalla diretta attività produttiva e di gestione interna dell'azienda".

Il principio è semplice: far fare agli altri ciò che fanno meglio di noi, in modo tale da ridurre i costi, migliorare la qualità dei servizi o dei prodotti intermedi di cui si ha bisogno, e liberare così le risorse necessarie per lo sviluppo di ciò che costituisce la vera attività d'impresa.

Affinché l'outsourcing si sviluppi come tecnica di gestione aziendale è necessario che siano soddisfatte, fra l'altro, due condizioni: la prima ha carattere oggettivo e consiste nella presenza sul mercato di operatori sufficientemente professionali e specializzati, che garantiscano un efficiente espletamento della funzione da esternalizzare; la seconda ha invece natura più soggettiva e riguarda il superamento da parte del management societario di varie remore psicologiche, in particolare il timore di un "autoridimensionamento" professionale.



L'introduzione dell'outsourcing all'interno di un'azienda è operazione non facile, che incontra resistenze di ogni genere a tutti i livelli della struttura gerarchica aziendale oltre che sindacale.

Solamente a livello di top management si è ormai diffusa la consapevolezza del fatto che un'impresa agile e snella, la quale abbia il meno possibile di struttura fissa ed acquisti all'esterno i servizi "generali" sia il modello vincente nei mercati attuali e che solo delegando tutte le funzioni ausiliarie a fornitori specializzati diviene possibile concentrarsi sulle attività per le quali si possiede un'effettiva competenza ed un vantaggio competitivo. I top manager propendono più che in passato per il ricorso all'outsourcing, in quanto ritengono che ciò possa portare ad una riduzione dei costi (in particolare di quelli fissi) e ad una maggiore flessibilità dell'impresa.

Per i prossimi anni le grandi imprese cercheranno di decentrare tutte le attività che possono essere prodotte all'esterno in modo più competitivo, concentrandosi invece su quelle in cui vi siano competenze distintive ben evidenti e non riproducibili altrove.

Oggi il business dell'impresa ha nuovi confini; outsourcing, terziarizzazione, specializzazione ed internazionalizzazione sono parole d'ordine che devono essere prese seriamente in considerazione da tutte le aziende, se si vuole aumentare l'efficienza complessiva del sistema produttivo.

In quest'ottica le aziende sono obbligate a rivedere quale debba essere la propria configurazione. Normalmente questo ripensamento porta a quattro conclusioni:

il business è più globale di quanto non si pensi;

il prodotto è sempre più servizio ed il servizio è sempre più integrato;

le funzioni interne che possono essere fatte fare da altri sono moltissime;

ci sono molti nuovi business: una volta che l'azienda si sarà alleggerita delle funzioni delegabili all'esterno, si potranno perseguire anche i business che sono potenzialmente presenti nei servizi interni.

Una volta che si sia accettata l'idea di esternalizzare la maggior parte delle funzioni aziendali, la difficoltà diventa, come sempre, l'esecuzione. Nelle aziende si riscontrano sempre forti resistenze nel momento in cui si deve diminuire la dimensione complessiva delle proprie attività. La diffusione dell'outsourcing viene dunque ostacolata dalla preoccupazione comune a molti responsabili di perdere il controllo di una parte del sistema aziendale.

Non bisogna infatti dimenticare che l'outsourcing non solo riguarda esclusivamente attività non direttamente legate alla missione aziendale, ma è anche destinato a fallire nel raggiungimento dei propri obiettivi, ove venga adottato come soluzione finalizzata esclusivamente alla riduzione dei costi aziendali e dunque quando la sua implementazione non sia direttamente mirata ad una maggiore focalizzazione dell'impresa verso il proprio core-business. In altre parole l'outsourcing è destinato a produrre successi solo se ben inserito in un piano strategico aziendale, del quale costituisca sicuramente parte fondamentale, ma allo stesso tempo subordinata al raggiungimento di obiettivi di crescita dimensionale o quanto meno di aumento di produttività nelle attività proprie dell'azienda.


3.2 Motivazioni alla base dell'outsourcing

Le principali motivazioni che inducono all'outsourcing possono essere suddivise in due gruppi: le prime di carattere tattico, le successive di carattere prevalentemente strategico.

Ogniqualvolta nella decisione di ricorrere all'outsourcing le ragioni tattiche prevalgono su quelle strategiche, le possibilità di ottenere risultati insoddisfacenti aumentano in misura considerevole. (M. Raduazzo - V. Marino, 1998).

Un'eccessiva enfasi su obiettivi di breve termine connessi alla necessità di far fronte alle emergenze costituisce dunque un segnale d'allarme su un modo di procedere che non di rado conduce a risultati ben al di sotto delle aspettative.

Viceversa costituiscono una solida base per un efficace outsourcing le decisioni fondate su considerazioni di carattere strategico, tendenti a concentrare le proprie attività nelle aree in cui l'azienda costruisce il proprio vantaggio competitivo.

Le motivazioni principali che inducono all'outsourcing sono le seguenti:

1. Mancanza di professionalità specifiche all'interno dell'azienda: in questo caso l'impresa ricorre all'outsourcing perché non possiede al proprio interno le risorse necessarie in termini di capacità professionali specifiche.

Per esempio, se si è in fase di espansione aziendale, e specialmente se questa espansione avviene in nuovi mercati, l'outsourcing costituisce un'alternativa praticabile e conveniente allo sviluppo in proprio, partendo da zero, di competenze specifiche riguardanti i nuovi problemi che la situazione di crescita impone di affrontare.

2. Riduzione dei costi operativi: sicuramente la più importante tra le ragioni di carattere tattico che inducono a ricorrere all'outsourcing è legata alla necessità di ridurre o quantomeno di tenere sotto controllo la crescita dei costi fissi aziendali o, più in generale, dei costi operativi.

Il ricorso all'outsourcing consente infatti, da un lato, di modificare la struttura dei propri costi aziendali, aumentando l'incidenza di quelli variabili e diminuendo l'incidenza di quelli fissi sui costi totali, dall'altro, grazie alle economie di scala e ad altri vantaggi connessi con la specializzazione del provider, permette di ridurre i costi operativi totali. Di questa riduzione beneficerà naturalmente anche l'impresa-cliente.

Inoltre, imprese che tentano di svolgere tutte le funzioni in proprio, possono incorrere in spese eccessive ed impreviste di ricerca, sviluppo o marketing, spese che dovranno necessariamente essere trasferite sul cliente finale sotto forma di aumenti di prezzo e che dunque possono rendere meno appetibili i prodotti dell'impresa sul mercato.

3. Necessità di attrarre capitali ed allocazione piu' efficiente delle risorse: l'outsourcing riduce la necessità di capitali da investire in funzioni non direttamente legate al core-business, permettendo allo stesso tempo di attrarre più facilmente capitali dal mercato.

Ogni organizzazione trova dei limiti nelle risorse disponibili. La sfida costante consiste nel far sì che tali risorse limitate siano allocate nelle aree a maggior valore aggiunto.

L'outsourcing permette all'organizzazione di deviare le sue risorse da attività ausiliarie ad attività per le quali si riscontra un maggiore ritorno in termini di qualità o di servizio al cliente.

Molto spesso le risorse in questione sono risorse in termini di manodopera. Attraverso l'outsourcing di attività ausiliarie, l'organizzazione può trasferire il personale, in tal modo liberato, ad attività a maggior valore aggiunto. Il personale, le cui energie erano dirette all'interno dell'azienda, viene così reimpiegato per attività mirate all'esterno, ossia al cliente (M. Libelli, 1997).

4. Riduzione dei rischi: agli investimenti decisi da un'organizzazione sono sempre associati considerevoli rischi. Tramite l'outsourcing un'azienda diviene più flessibile, più dinamica, più capace di cogliere i cambiamenti e le mutevoli opportunità offerte dal mercato. L'outsourcing è uno strumento per suddividere i rischi connessi a tali decisioni tra più imprese.

5. Focalizzazione sul core-business: l'outsourcing permette all'azienda di concentrarsi sulle questioni generali, lasciando i dettagli operativi alla definizione di un esperto esterno. Esso è uno strumento manageriale che può condurre ad una maggiore chiarezza ed efficacia nel perseguimento degli obiettivi primari, che consistono nel focalizzare ed interpretare con successo i bisogni del cliente finale. 

L'outsourcing rende possibile all'impresa di accelerare la crescita e di migliorare i risultati attraverso un'espansione degli investimenti nelle aree che le offrono maggiori vantaggi competitivi.


CAPITOLO QUARTO

Il ruolo dell'IT nel processo di cambiamento strategico


Il commercio elettronico: verso nuovi rapporti tra imprese e mercati

Per e-commerce (electronic commerce) si intende lo svolgimento di affari tramite Internet attraverso l'elaborazione e la trasmissione elettronica delle informazioni sia come testi che come immagini e suoni (D. Benvenga, 2001).

Gli scambi elettronici possono riguardare diverse attività come la compravendita di beni e servizi, il trasferimento di fondi, le contrattazioni dei titoli di Borsa, la distribuzione on line di contenuti digitali, la progettazione di un prodotto in collaborazione con il cliente, ecc..

Si possono distinguere due tipi di attività di e-commerce in relazione ai soggetti che entrano in contatto:

l'attività B2B, cioè Business to Business;

l'attività B2C, cioè Business to Consumer.

Il business to business:

Il mercato B2B si riferisce all'utilizzo dell'infrastruttura Internet per l'effettuazione di transazioni interaziendali e/o extra aziendali.


Si possono distinguere due macro-aree all'interno del mercato B2B:

da un lato gli scambi commerciali tra aziende veicolati tramite la rete (aziende utenti);

dall'altro la fornitura di servizi infrastrutturali e di supporto all'attività di e-commerce (aziende fornitrici di ICT).

Questo tipo di scambi fra aziende non sono un fenomeno recente quanto quello relativo ai consumatori finali. Già dagli anni Settanta infatti esistono dei sistemi informatici definiti EDI (Electronic Data Interchange) che permettono di effettuare scambi di informazioni tra aziende diverse attraverso linee di comunicazione dedicate.

L'avvento di Internet ha segnato una vera e propria svolta epocale. Ciò ha consentito, grazie all'impiego di Intranet ed Extranet , di inserire le aziende e le organizzazioni in sistemi di comunicazione globale. Uno dei risultati è che soggetti anche molto distanti tra loro sono facilmente collegabili, favorendone gli scambi e, quindi, lo sviluppo di reti di imprese; ciò soprattutto a vantaggio delle PMI.

L'e-commerce B2B consente di:

diminuire i costi d'acquisto e i tempi di trasferimento di dati e materiali;

coordinare più efficientemente la logistica;

migliorare i rapporti con i clienti riducendo i costi di assistenza e coinvolgendoli nella progettazione di prodotti e servizi;

sviluppare nuovi business e promuovere la propria offerta in un mercato globale.

Grazie a questi suoi vantaggi, quello B2B è il mercato con i più alti tassi di crescita nell'ambito della new economy. Si pensi che nel corso del 1999 il mercato dell'e-commerce in Italia è ammontato a circa 3.550 miliardi di lire, e di questi l'80% circa si riferiva a transazioni del tipo B2B. Inoltre per il 2003 si prevede il raggiungimento dei 100 mila miliardi di lire con il contributo dell'area business pari all'88%. (Centro studi "mira", 2001).

Fig.1 - La nuova catena del valore

Fonte: Ceccarelli Pims & Associati

Il business to consumer:

Il business to consumer dell' e-commerce è l'attività di scambio via Internet di prodotti e servizi tra imprese e consumatori finali.

Il B2C può assumere diverse forme: dalla semplice promozione, da parte delle imprese, dei propri prodotti on line, utilizzando la rete come una vetrina virtuale con la possibilità di contattare un pubblico ben più ampio e a costi molto ridotti; fino alla possibilità per i consumatori di acquistare i prodotti e/o servizi direttamente da casa con un semplice click; fino addirittura a scegliere le caratteristiche del prodotto collaborando con l'azienda nella progettazione e disegno dello stesso. (D. Benvenga, 2001).

La straordinaria forza di internet sta proprio nella possibilità di instaurare un rapporto interattivo con i consumatori che permette di personalizzare l'offerta, (mass customisation), a vantaggio sia delle imprese, sia dei consumatori.

Un altro tipo di commercio on line che si sta sviluppando negli ultimi tempi è il C2C, il Consumer to Consumer, attraverso lo sviluppo di aste on line. Il sito d'asta si occupa della gestione delle contrattazioni e garantisce la sicurezza degli scambi e l'identità degli utenti.

In definitiva, non bisogna guardare all'e-business o all'e-commerce con riferimento semplicemente a commercializzazione di prodotti industriali attraverso internet, che è un aspetto parziale e un po' limitato del fenomeno, quanto piuttosto considerare l'e-business un'opportunità che è offerta alle imprese per migliorare il proprio sistema di relazioni, nel senso di renderle più efficienti e più efficaci. Più efficienti soprattutto dal punto di vista economico, cioè un'opportunità per ridurre il costo della relazione sia dal punto di vista dell'impresa sia ovviamente dal punto di vista dell'interlocutore d'impresa, i suoi clienti. Più efficaci nel senso di migliorare la qualità della relazione (ad es. per la facilità del contatto attraverso internet).

Quindi, l'opportunità che offre questa tecnologia, migliorando l'efficacia e l'efficienza della relazione, è di rendere nel complesso più soddisfacenti le relazioni interne dell'impresa, ovviamente considerando tutti e due gli interlocutori, cioè sia l'impresa che i consumatori. (Seminario "AIESEC" 2001)12

Dal punto di vista delle strategie di marketing tutto ciò comporta nuovi rapporti tra imprese e mercati. Tenendo presente il concetto di filiera, si fa riferimento sia alle relazioni ascendenti, quelle tra impresa e fornitori, sia alle relazioni discendenti, quelle tra l'impresa e i consumatori.

Questo aspetto delle relazioni d'impresa è stato, soprattutto nel recente passato, negli anni '90, alla ribalta del dibattito scientifico. In particolare l'oggetto di tale dibattito era il fenomeno della relationship, cioè della trasformazione delle relazioni da occasionali a stabili, in pratica la stabilizzazione delle relazioni, questo sia con riferimento ai fornitori sia con riferimento ai clienti.

Se guardiamo al rapporto dell'impresa con i fornitori, in concreto questo fenomeno di dare maggiore stabilità alle relazioni si è riscontrato per esempio nei rapporti che le imprese hanno, non più con una totalità di fornitori percepiti in modo omogeneo l'uno con l'altro tra cui si sceglie in base alla convenienza economica, quanto piuttosto col fatto che l'impresa tende a legare alcuni fornitori in particolare e con questi stabilire un rapporto molto stretto (sono i cosiddetti rapporti di partnership, comakership, etc.).

Questa stabilizzazione studiata nei rapporti dell'impresa con i fornitori, si è riscontrata anche nel rapporto dell'impresa con i suoi clienti. Tutto ciò riguarda l'evoluzione del concetto di marketing verificatasi negli anni '90, si è passati cioè dal marketing transazionale/commerciale al marketing relazionale/interattivo. Il rapporto tra impresa e cliente deve avere una forte valenza relazionale, cioè deve tendere alla stabilità, deve essere soprattutto una relazione molto partecipata, molto interattiva, in altre parole personalizzata (marketing one-to-one).

A questo punto ci si chiede quale sia l'impatto delle reti telematiche, delle nuove tecnologie, sul sistema delle relazioni d'impresa.

Una possibile risposta, a livello intuitivo, è che, in via generale, tali strumenti informatici hanno una funzione neutra, cioè dipende dall'uso che di essa si fa. Le reti telematiche, come pura applicazione tecnologica, sono neutre, hanno soltanto una funzione di moltiplicatore degli effetti; a seconda, poi, di come vengono utilizzate possono sia moltiplicare relazioni di tipo occasionale che relazioni stabilizzate.

Per poter dare una risposta più esauriente sul tipo di impatto che hanno le nuove tecnologie sulle relazioni d'impresa è necessario, innanzitutto, distinguere tra "reti aperte" e "reti chiuse".

La rete delle reti, internet, in quanto "rete aperta" sicuramente favorisce l'occasionalità delle relazioni, cioè rende i clienti potenzialmente più infedeli rispetto alle offerte aziendali, questo perché dilata enormemente la capacità che il cliente ha di essere informato, di avere a disposizione più alternative più proposte, di poter avere più potenziali contatti, e quindi di poter scegliere liberamente tra un'offerta piuttosto che un'altra. Al tempo stesso, però, internet è anche uno strumento che, utilizzato nel modo giusto, consente alle imprese di legare, fidelizzare i clienti, stabilizzando le relazioni attraverso la soddisfazione degli stessi (customer satisfaction; customer relatioship management

Ci sono poi le applicazioni delle reti informatiche e informative che sono "reti chiuse", protette. Applicazioni di questo tipo sono, ad esempio, extranet la rete chiusa che collega l'impresa con gli interlocutori esterni (normalmente nell'ambito del business-to-business, quindi che collega l'impresa ai propri fornitori) o intranet che è la rete chiusa che aiuta a governare meglio le relazioni interne all'impresa. Tali applicazioni, per loro natura, vanno nel senso della stabilizzazione delle relazioni. Sia extranet che intranet, infatti, rendono le relazioni più assidue, più stabili, più partecipate.


Il ruolo del web e l' e-business

Vanno sviluppandosi nuovi servizi e nuove forme di comunicazione, ad esempio gli ambienti sotto Internet, le video conferenze e la TV digitale.

Ad essere coinvolti non sono solo le tradizionali imprese dell'Information Technology, delle telecomunicazioni e dei media, ma anche i processi di tutte le organizzazioni, indipendentemente dalla loro dimensione. Riguarda la comunicazione al proprio interno e verso l'esterno, l'organizzazione e i processi. La stessa natura dell'impresa, soprattutto se operante nel terziario e nei servizi, è così profondamente influenzata dall'utilizzo delle tecnologie che queste ultime assumono un ruolo strategico. (C. Crespellani Porcella, 1998).

Le stesse imprese produttrici di beni durevoli giocano spesso la propria competitività attraverso le infrastrutture tecnologiche non solo per la gestione operativa ma anche per trasferire e divulgare contenuti e valori attraverso una comunicazione mirata e talvolta innovativa. Questo le mette in grado di passare da un approccio verso un target indifferenziato e poco mirato ad una focalizzazione su soggetti/clienti con esigenze individuali.

La diffusione dell'informatica ha silenziosamente gettato le basi per una nuova modalità di intendere le organizzazioni e le imprese stesse, i loro clienti, e i servizi da offrire a questi ultimi. (C. Folias, 2000)

Il network computing diventa così l'infrastruttura tecnologica che porta ad un nuovo concetto di business basato sulla rete e sulle ICT (Information and Communication Technologies). Un modello che rivoluziona la concezione di mercato, di marketing e di vendita. Con il termine e-business, in effetti, si vuole intendere proprio questo nuovo contesto e questa nuova modalità di "fare" business. Il termine vuole rappresentare un nuovo modo di approccio al mercato. L'e-business è quindi un fenomeno di mercato che si diffonde attraverso le tecnologie di rete, gli ambiente di workgroup, l'integrazione con i fornitori, clienti e partner, e, infine, lo sviluppo del commercio elettronico.

Questo determina non solo la trasformazione dei processi tradizionali delle imprese, ma rafforza il fenomeno della loro concentrazione sul proprio core business, esternalizzando, attraverso diverse forme di outsourcing, tutte le attività che i partner e i propri fornitori sono più adatti a svolgere.

A beneficiare maggiormente sono evidentemente tutte quelle attività che si occupano di beni in qualche modo veicolabili attraverso la rete: informazioni, news, software, immagini, suoni, operazioni bancarie, finanziarie e assicurative, conoscenze e competenze, decisioni ecc. (C. Crespellani Porcella, 1998).

Questo nuovo mezzo/canale si affianca a quelli tradizionali, ma in certi casi può soppiantare quelli precedenti. La sua economicità è evidente, ad esempio, in ambito bancario, nella differenza tra il costo di una transazione bancaria eseguita allo sportello e quella svolta in rete, a favore della seconda.


L'impatto del commercio elettronico sul sistema produttivo e distributivo italiano

Per quanto riguarda i trend di sviluppo, nel 1999-2000 il commercio elettronico in Italia è cresciuto molto rapidamente, ciò a causa del ritardo precedente rispetto agli altri Paesi europei.

Nel 1999 il commercio elettronico di tipo Business to Consumer ha toccato circa 470 miliardi di lire mentre il Business to Business ha realizzato un giro d'affari molto superiore, pari a 2.500 mld di lire nel 1999. Tenendo presente che il settore della distribuzione è il principale destinatario delle iniziative di e-commerce, i tre quarti dei progetti hanno come target il cliente/fornitore, meno della metà il consumatore finale e solo il 10% la P.A. (fonte: Databank Consulting).

Se il commercio elettronico Business to Business appare oggi offrire opportunità più ampie, interessanti e più immediatamente praticabili rispetto al Business to Consumer, un motivo fondamentale è che permette importanti riduzioni dei costi connessi alle varie transazioni. Internet aumenta la concorrenza tra i fornitori di prodotti/servizi e le possibilità di accesso a questi ultimi. Applicazioni interessanti riguardano, per esempio, la riorganizzazione dei rapporti con i fornitori a costi notevolmente bassi, la ricerca e l'acquisizione di semilavorati fatta su scala mondiale tramite Internet. (E. Lucarelli, 2001).

L'interattività, alla base del commercio elettronico, risulta ancora frenata dalle vecchie regole. La stragrande maggioranza delle aziende non comprende che Internet offre specificità che, se ben sfruttate, potrebbe promuovere uno straordinario vantaggio competitivo. Se non si persegue una efficace strategia di comunicazione (accordi, link site, portali, banner, etc), la presenza su Internet può risultare seriamente compromessa. Pertanto l'interattività rappresenta l'aspetto forse più qualificante della rivoluzione digitale.

In rete l'impresa acquista con estrema facilità una visibilità mondiale e la sua vocazione all'innovazione, con un costante aggiornamento dei contenuti del sito, può essere testimoniata con più efficacia che altrove. Tuttavia è ancora fortemente stridente il contrasto tra le straordinarie potenzialità del mezzo ed il modo in cui viene sottoutilizzato. Accettare la sfida di Internet comporta per le imprese lo sconvolgimento dei tradizionali modelli organizzativi, all'insegna della diffusione di una vera cultura dell'on line a tutti i livelli dell'azienda.

Fattori che giocano a favore dell'apertura del mercato dell'e-commerce

L'irreversibile tendenza da parte delle imprese all'utilizzo dello strumento    Internet;

L'impiego della rete come leva competitiva;

I vantaggi nell'utilizzo di uno strumento senza barriere all'ingresso;

Il coinvolgimento di tutte le funzioni dell'impresa nella gestione del business connesso all'e-commerce.

Fattori critici che possono ritardare lo sviluppo dell'e-commerce in Italia :

Data la peculiarità del tessuto produttivo italiano, formato in prevalenza da piccole e medie imprese, sulle quali gravano i maggiori rischi e incertezze relativamente all'investimento nelle nuove tecnologie, è ovvio che la diffusione dell'e-commerce riguarda essenzialmente misure per aiutare le Pmi ad entrare nella new-economy e acquisirne i vantaggi (E. Lucarelli, 2001).

A questo proposito vanno affrontati al più presto e con una visione strategica 3 problemi fondamentali:

Infrastrutture

Il sistema produttivo e dei servizi italiano, nel processo di sviluppo della new economy e net economy, sta pagando il prezzo della mancanza di un'adeguata infrastrutturazione. In Italia mancano reti evolute di telecomunicazione, la banda larga, le cablature, che permettano accessi facile alla rete, velocità e volumi di trasmissione adeguati alle esigenze dei trend di sviluppo.


2) Cultura

Il ritardo della scuola sulle nuove tecnologie costituisce un fattore di grossa penalizzazione, che si riscontra sia nella bassa densità di computer e scarsa familiarità con gli strumenti informatici nella popolazione in genere, sia nella inadeguatezza dei profili formativi dei giovani.

Bisogna considerare, a questo proposito, che lo sviluppo della new economy non solo crea nuove figure professionali, ma rivisita anche tutte quelle tradizionali, aggiornandole, riqualificandole o rinnovandole completamente.

Occorre, dunque, prevedere una formazione mirata con interventi nel sistema scolastico e universitario.

3) Reti fra PMI

La capacità delle imprese di lavorare a rete che troviamo nei Distretti Industriali va valorizzata per lo sviluppo di "Distretti Virtuali" fra aziende che fanno la stessa attività o attività connesse.

Si tratta, in pratica, di costituire centri operativi organizzati come "centri di servizi", in grado di utilizzare strumenti di ICT avanzati e di contribuire ad offrire soluzioni a quei problemi finanziari e tecnologici che oggi costituiscono una barriera allo sviluppo del commercio elettronico.

L'economia digitale è destinata a cambiare sempre più la dimensione produttiva, ma il fattore critico di successo per qualsiasi start up restano le risorse umane e le professionalità dotate di competenze nuove ed articolate.

Il profilo tipico dell'azienda di successo nell'e-business

Il business to business grazie ad un'integrazione verticale ed orizzontale, permette ad operatori dello stesso settore di incontrarsi senza vincoli geografici, di concludere affari con rapidità ed efficienza senza precedenti.

Venendo meno la componente "personale" del rapporto commerciale, la sfida verrà giocata su un mercato globale, nel quale la competizione tra gli operatori sarà esasperata e imporrà standard qualitativi e di efficienza elevatissimi. Flessibilità ai cambiamenti del mercato, precisione nell'evadere gli ordini, rispetto rigoroso dei tempi di consegna saranno le armi vincenti dei venditori della nuove generazione.

Insomma, la nuova economia impone alle aziende l'adozione di nuovi modelli organizzativi e di nuove strategie. Capire le nuove regole di mercato, individuare i fattori critici ed i modelli organizzativi vincenti sarà fondamentale per la sopravvivenza delle aziende sul mercato.

Per quanto riguarda l'individuazione del tipo di azienda di successo nell'e-business, l'evoluzione del settore porterà presumibilmente alla conseguente affermazione di aziende nelle quali la quantità di fisicità e di virtualità sarà determinata dal tipo di settore nel quale la stessa opera. Se il settore di appartenenza e' un settore di prodotti o servizi digitalizzabili, cioè che possono essere consegnati interamente via Web, la parte fisica sarà 'ridotta ai minimi termini All'estremo opposto si collocano le attività' di produzione o di servizi che richiedono necessariamente la presenza fisica del cliente, come il mercato delle auto: qui naturalmente la componente fisica resterà dominante. Le aziende solo virtuali dovranno assumere connotati tradizionali, mentre quelle tradizionali dovranno imparare l'economia della rete.

Le aziende vincenti risulteranno quelle che avranno saputo affrontare il cambiamento realizzando strategie innovative basate su business plan intelligenti. Mantenere il costo marginale dei prodotti offerti al di sotto del ricavo marginale rimane una regola fondamentale.


L'impatto del commercio elettronico sui consumatori

Nell'ambito dell'e-business, acquirente e venditore possono svolgere in un contesto di natura elettronica ed interattiva alcuni o tutti i processi che definiscono la transazione nelle diverse fasi in cui questa si sviluppa:

prevendita: si tratta di quei processi che, implicando la condivisione delle informazioni relative alle caratteristiche principali dell'offerta e della domanda degli agenti economici interessati allo scambio, consentono all'acquirente di arrivare a definire la scelta d'acquisto,

vendita: si tratta di quei processi finalizzati alla definizione dell'ordine e del pagamento;

consegna del prodotto o downloading: si tratta della consegna fisica o elettronica, come nel caso dei prodotti e servizi digitalizzabili (es. software, libri, servizi di prenotazione);

post-vendita: si tratta di tutte quelle attività legate all'utilizzo del prodotto, dalle istruzioni d'uso a quelle che consentono di accedere alla rete fisica di assistenza, fino ad arrivare all'assistenza e alla manutenzione a distanza attraverso la rete stessa.

Qualunque impresa, sia che si avvalga di un luogo fisico, il punto vendita, sia che ne usi uno virtuale, il sito web, per relazionarsi alla sua clientela deve comunque produrre un servizio commerciale, o meglio, un insieme di servizi elementari che serve la complessiva domanda di approvvigionamento.

I consumatori scelgono una data formula distributiva proprio in relazione al valore assegnato ai suoi attributi. Gli attributi del servizio commerciale possono essere riferiti alle due funzioni fondamentali della distribuzione, la funzione logistica (prossimità, stoccaggio, ampiezza dell'assortimento e orari di apertura ) e quella informativa (preselezione degli assortimenti, profondità degli assortimenti, informazioni personali). La prima si concreta nel mettere a disposizione del consumatore in un certo luogo un certo insieme di beni, la seconda nel fornire un supporto informativo in grado di aiutarlo a scegliere ciò che meglio soddisfa i suoi bisogni (E. Ottimo, 2000).

E' quindi possibile effettuare un confronto tra commercio virtuale e fisico valorizzando le opportunità e i costi connessi al modo con cui le diverse formule distributive, tra cui anche il commercio elettronico, forniscono i diversi servizi elementari utilizzati dal consumatore per definire l'acquisto.

Per i beni ad acquisto "banale", frequente, a medio-basso valore unitario, la conoscenza del prodotto è diffusa e nello shopping prevalgono valutazioni di carattere logistico. La rete è quindi in forte svantaggio, poiché l'operatore virtuale che consegna a domicilio rende visibili una parte dei costi logistici che, normalmente, sono sostenuti dal consumatore con la visita al negozio. Quindi, a meno di non partire subito con volumi consistenti, l'onere del trasporto e della fase di ordering difficilmente riescono a coprire i risparmi dell'eliminazione del punto vendita. (E. Ottimo, 2000)

Per i beni ad acquisto problematico, poco frequente e a medio-alto valore unitario, il consumatore svolge un processo di ricerca dell'informazione su modelli, prezzi e marche. La rete, a prima vista, dovrebbe allora avere un vantaggio molto consistente rispetto ai canali fisici. Non solo basta un click per passare da un capo all'altro del mondo, ma è anche ipotizzabile che una quota o l'intero costo di consegna a carico del consumatore sia compensato dal tempo risparmiato da questi nel processo di ricerca, svolto direttamente da casa.

In realtà così non è: è possibile esemplificarne le ragioni dividendo tali beni in due ulteriori grandi gruppi.

Da un lato, ci sono i beni per cui il consumatore è in grado di definire l'acquisto in base al solo esame delle caratteristiche tecniche. In questi casi, la rete ha buone potenzialità come canale diretto produttore/distributore-consumatore, configurandosi come un'emanazione evoluta delle vendite per corrispondenza (es. specialty alimentari, video, libri, prodotti di nicchia).

Dall'altro lato, ci sono, invece, quei beni per cui l'informazione non è così facilmente codificabile o, comunque, per cui il consumatore non è in grado di valutare autonomamente la reale differenziazione o, ancora, quelli per cui la prova del bene è parte del processo di acquisto (es. abbigliamento, arredamento, gioielli, automobili). Il rapporto personale e fiduciario tra il venditore e il consumatore è qui fondamentale, per cui la rete, almeno per i marchi leader di mercato, potrebbe avere uno spazio non eccessivamente rilevante.

Il consumatore attraverso la rete, non solo ha la capacità di accedere a diverse fonti informative e di servizio, dettando sempre più vincoli per l'acquisizione di beni e servizi per effetto di un confronto esasperato delle diverse offerte, ma può attivare nuove forme d'interazione a diversi livelli e generare nuove aggregazioni di consumatori (comunità virtuali).

Si rafforza così non solo il potere contrattuale, ma si genera un meccanismo attraverso il quale è possibile configurare i propri desideri, spesso composti da un determinato mix di informazioni, suggerimenti, beni e servizi.

Le comunità virtuali sono dunque un nuovo modo di concepire il rapporto con i clienti. Ma sono soprattutto un innovativo ed emergente catalizzatore dell'organizzazione della domanda. Gli utenti si identificano sempre più in nuovi attori sociali, che attraverso le comunità virtuali, adottano nuove forme di scelta, sempre meno sensibili alle vecchie forme di comunicazione commerciale. Le scelte si basano sempre più su testimoni a cui si dà fiducia. Le comunità virtuali hanno la capacità di svolgere questo ruolo e di generare nuovi contesti. Si viene così a creare del nuovo valore attraverso la soddisfazione di istanze di partecipazione e la presenza di ricchezza informativa.

Il caso di Amazon.com, sito in Internet per l'acquisto dei libri in rete, non è solo un eccellente esempio di servizio commerciale, distributivo e informativo in rete. E' la presenza di un nuovo valore consistente nei commenti liberi resi disponibili dagli altri lettori che in qualche modo certificano il valore e le caratteristiche dell'oggetto di proprio interesse.

Infatti, uno dei modelli più interessanti e di successo tra quelli introdotti finora dalla comunicazione on line è proprio quello della comunità virtuale: un circolo di utenti legati da un interesse specifico si incontrano in gruppi di discussione unendo le proprie esperienze e scambiando opinioni e punti di vista.

Le comunità virtuali sono un importante strumento di "fidelizzazione" dell'utenza e un generatore spontaneo di contenuti che non solo possono costituire un eccellente elemento di aggregazione attorno a un tema interessante per l'azienda, ma possono fornire informazioni estremamente utili all'azienda stessa.

Un forum per i venditori permette di condividere esperienze, chiedere e ricevere suggerimenti, risolvere problemi, creare un senso di comunità e di gruppo, pur continuando a operare anche a migliaia di chilometri di distanza. Un forum su u prodotto aperto ai clienti permette di incrementare l'efficienza del servizio di assistenza condividendo domande e risposte nella comunità, e di ricevere dal mercato segnali di grande interesse per l'azienda. (A. Granelli, 1996)

2.1 La gestione del rapporto con i clienti alla luce delle innovazioni tecnologiche

I clienti rappresentano il capitale di maggior valore delle aziende, le quali riconoscendo l'importanza della gestione dei rapporti con i clienti assegnano risorse di gestione per migliorare l'esperienza dei clienti e rendere massimo il potenziale profitto di questo capitale.

Il mercato per la gestione dei rapporti con i clienti, o CRM (Customer Relationship Management), si sta evolvendo rapidamente.

I dirigenti aziendali di settori diversi hanno cominciato a prestare particolare attenzione alla gestione dei rapporti con i clienti. Con la rapida espansione delle applicazioni per il commercio elettronico e la necessità di impostare l'attività commerciale e l'assistenza ai clienti su Internet, le soluzioni CRM devono rappresentare il punto centrale per tutte le attività correlate ai clienti nei vari canali di vendita. (C. Crespellani Porcella, 1998)

Il CRM è una strategia per la gestione dei rapporti con i clienti progettata per l'ottimizzazione di entrate, profitti e fedeltà della clientela. L'implementazione di una strategia CRM consente di migliorare tutti i processi e le soluzioni tecnologiche aziendali in funzione delle vendite, del marketing e della fornitura di servizi in tutti i tipi di contatto con la clientela, ad esempio tramite Web, posta elettronica, telefono, fax o rapporto diretto.

L'obiettivo principale della strategia CRM è quello di fornire un quadro completo della clientela, indipendentemente dalla posizione in cui si trovano le informazioni o dal tipo di contatto con i clienti.

Per ottenere i vantaggi della strategia CRM, è importante implementare una soluzione integrata in tutti i sistemi informativi correlati alla clientela collegando i dipartimenti ai vari livelli aziendali per ottenere un quadro completo dei clienti allo scopo di fornire un servizio migliore.

Attualmente è in corso la combinazione della strategia CRM e del commercio elettronico in una soluzione incentrata sui clienti. Ciò consente l'interazione, la vendita e l'assistenza dei clienti tramite tutti i canali disponibili.

Il mercato per la gestione dei rapporti con i clienti è estremamente dinamico. Il fattore più incisivo è l'espansione di Internet, che consente l'esecuzione di attività e processi aziendali finora impensabili, ad esempio marketing diretto e "personalizzazione di massa" dei programmi di marketing, punti di vendita su Internet con funzioni di acquisto online e gestione autonoma degli acquisti da parte dei clienti. L'assistenza ai clienti è l'elemento fondamentale che consente a ogni azienda di differenziarsi dalle altre aziende per attrarre nuovi clienti e mantenere la clientela acquisita. Con Internet la concorrenza è diventata molto più aggressiva. Le aziende concorrenti infatti possono essere facilmente raggiunte con un semplice clic del mouse.

Le aziende stanno prestando sempre maggiore attenzione all'interazione con i clienti e ai possibili metodi per il miglioramento dell'esperienza dei clienti tramite qualsiasi tipo di interazione o contatto. I clienti, decisamente corteggiati dalle aziende, sono al comando della situazione e in grado di dettare alle aziende come essere trattati o contattati.

I produttori di applicazioni CRM tradizionali hanno dovuto riposizionare la propria azienda nel contesto del commercio elettronico, ristrutturando le applicazioni in funzione di Internet e implementando nuove funzionalità. Le applicazioni CRM abilitate al commercio elettronico consentono l'interazione con i clienti tramite tutti i mezzi e canali disponibili, ad esempio telefono, Web, posta elettronica e contatto diretto.

I produttori che hanno sviluppato una sola soluzione CRM, quale un'applicazione per il supporto tecnico dei clienti, stanno attualmente attuando interventi di integrazione della loro soluzione con altre applicazioni, ad esempio per l'automazione degli strumenti di vendita o per la gestione di assistenza specifica.

È tuttavia necessario disporre di un sistema per la gestione delle varie fasi del ciclo di vita della clientela, ovvero acquisizione, assistenza e consolidamento.

L'integrazione di applicazioni CRM con altre applicazioni aziendali è un fattore sempre più importante per l'utilizzo efficiente delle informazioni sui clienti disponibili.
Una strategia CRM consente di incrementare entrate e profitti attraendo nuovi clienti, aumentando i rapporti commerciali e il grado di soddisfazione e fedeltà dei clienti, migliorando l'efficienza dei processi aziendali e consentendo l'adozione di tecnologie meno costose.

L'obiettivo principale di questa strategia è quello di ottenere entrate maggiori, anziché tagliare i costi. Le soluzioni CRM migliorano le attività di vendita e marketing e consentono di fornire ai clienti un servizio migliore. Ciò favorisce l'acquisizione di nuovi clienti e il consolidamento dei clienti acquisiti, i quali vengono incoraggiati all'acquisto di prodotti più numerosi in quantità maggiori. Il vantaggio per i clienti finali è l'accesso a un servizio migliore, nonché ai prodotti e ai servizi desiderati nel momento più conveniente. Le aziende che non hanno adottato una strategia CRM o che non utilizzano applicazioni CRM si ritrovano certamente svantaggiate rispetto alla concorrenza.

3. Vantaggi e rischi della Grande Rete

Per un'impresa la Rete costituisce un'opportunità reale per tutti i flussi di comunicazione che la riguardano: i flussi verso l'esterno e quelli all'interno dell'organizzazione. In entrambi i casi la rete telematica rappresenta un'occasione di razionalizzazione e di incremento di efficienza, ma anche una vera leva di marketing, attraverso l'attivazione di nuovi canali di relazione con gli interlocutori ed eventualmente di nuovi canali di vendita e distribuzione di prodotti e servizi (A. Granelli, 1996).

Alcuni vantaggi dell'integrazione di Internet nei processi di comunicazione dell'azienda sono:

risparmio di costi di comunicazione: Internet può integrare ed eventualmente sostituire comunicazioni via fax, telefono, posta, con il vantaggio di un costo della comunicazione indipendente dalla distanza e dal numero di interlocutori;

incremento nella rapidità di accesso e scambio di informazione: Internet offre un'enorme quantità di informazioni. La progressiva selezione di una serie di siti informativi rilevanti può portare a notevoli risparmi di tempo e denaro nell'analisi competitiva, nella ricerca e sviluppo, e in tutte quelle funzioni aziendali che si fondano sulla rielaborazione di informazioni;

impostazione di nuovi paradigmi di relazione: la possibilità di superare con facilità gli ostacoli della distanza attivando relazioni più coinvolgenti tra utenti rende Internet non soltanto un succedaneo di sistemi di comunicazione esistenti, ma un ambiente innovativo in cui attivare nuovi tipi di relazione con gli interlocutori dell'azienda a tutti i livelli. L'azienda può impostare via Internet una relazione più diretta con gli utenti dei suoi prodotti e servizi, sia traendo feedback da tutti i suoi interlocutori, sia studiando soluzioni per servire in modo più efficace i consumatori finali senza intermediazioni.

Di fronte alle opportunità offerte da Internet, l'approccio ad esso da parte dell'azienda deve essere caratterizzato dai seguenti elementi:

integrazione: Internet deve rappresentare un'opportunità da integrare all'interno dei processi di comunicazione tradizionali;

decisione strategica: l'adozione di Internet dovrebbe essere decisa a livello strategico, in quanto fonte diretta di vantaggio competitivo e perché, per utilizzarla con successo, occorre impegno di risorse di qualità e coerenza.

Progetto di comunicazione coerente: la scelta di Internet richiede conoscenza del mezzo e delle sue caratteristiche peculiari.


3.1 I vantaggi del commercio elettronico

I vantaggi derivanti dal commercio elettronico sono specifici per il venditore o l'acquirente.

Vantaggi per il venditore

Presenza in un mercato globale;

Miglioramento del modello distributivo che consente di vendere sul mercato prodotti a prezzi competitivi vista la riduzione dei costi connessa alla vendita diretta al pubblico;

Acquisizione di nuove quote di mercato non raggiungibili con i canali di vendita tradizionali;

Miglioramento della Supply Chain (catena di fornitura);

Riduzione dei costi generali di gestione;

Notevole flessibilità nel modificare il mix distributivo per rispondere in tempi rapidi alle richieste di mercato;

Possibilità di promuoversi a costi molto ridotti rispetto ai canali pubblicitari tradizionali;

Possibilità di colloquiare in tempo reale con i clienti, d'informarli delle novità attraverso la posta elettronica (fidelizzazione);

Possibilita' di fornire un servizio di assistenza post-vendita qualificata.

Vantaggi per l'acquirente

Incremento delle possibilità di acquisto di prodotti indipendentemente dalla localizzazione dei venditori;

Possibilità di accedere a prodotti molto diversificati a costi inferiori;

Riduzione dei prezzi e migliore qualità del prodotto / servizio;

Miglioramento dell'assistenza (assistenza on-line e richiesta di supporto tramite Internet).


3.2 I rischi del commercio elettronico

Prima di attivare delle iniziative di e-commerce occorre conoscere quali possono essere i rischi e i problemi in termini di sicurezza. Questi sono proporzionati al tipo di utilizzo che si fa del web. Si possono distinguere tre fasi diverse di utilizzo di Internet da parte delle aziende:

I. Sito con web statico. L'azienda utilizza il sito Internet per mostrare i propri prodotti e il proprio marchio (una sorta di vetrina virtuale), comunica con clienti e fornitori tramite e-mail. L'azienda ha una rete Intranet interna collegata a Internet e protetta da un Firewall;

II. Sito con web interattivo. È una fase più avanzata del sito che oltre a presentare i prodotti/servizi, contiene anche dati aziendali e permette ai clienti/fornitori di realizzare scambi on line. Ciò comporta rischi non solo per l'integrità dei dati ma anche per la riservatezza degli stessi con il rischio di un loro utilizzo per attività illegali;

III. Sito web integrato con i processi aziendali. I rischi crescono ulteriormente poiché gli attori che interagiscono con l'azienda e ne accedono ai dati sono molteplici (clienti, fornitori, banche, enti pubblici, dipendenti, ecc.).

Nella tabella seguente vengono specificati i rischi e le possibili soluzioni in relazione al tipo di utilizzo di Internet:

FASE DI UTILIZZO DI INTERNET

RISCHI

SOLUZIONI

Web statico

(dovuti ad atti vandalici)

  • Di integrità e di continuità del servizio
  • Conseguente perdita di immagine

Contromisure di sicurezza di base (firewall, filtri di protocollo, Proxy, antivirus, sistemi operativi sicuri)

Web interattivo

In più ai rischi precedenti esiste il pericolo di perdere la riservatezza dei dati con il loro utilizzo per fini dolosi

Contromisure più sofisticate e complesse (VPN, firewall più sicuri, protocolli di sicurezza specifici per il commercio on line, ecc.)

Web integrato

I rischi per la riservatezza dei dati crescono a causa del maggior numero di soggetti che interagiscono con il sito

Tecnologie più sofisticate basate sulla crittografia, quali i certificati e le firme digitali

Fonte 1999 - 2001 Centro Studi "mira" - Cultura d'Impresa

Un aspetto fondamentale nello sviluppo del commercio elettronico è il pagamento on line. Tra i sistemi di pagamento on line più utilizzati, grazie alla sua velocità e comodità, troviamo quello tramite carta di credito.

Accanto ai vantaggi esistono anche dei rischi che ne frenano l'utilizzo. Il più temuto dagli utenti Internet è la possibilità che qualcuno intercetti i dati della propria carta di credito e li utilizzi illegalmente.

Il rischio effettivamente esiste se si effettuano transazioni su siti sconosciuti e non affidabili. È necessario, infatti, che i siti abbiano un sistema di sicurezza per la comunicazione cifrata, che permette ai dati di viaggiare in modo incomprensibile ad esclusione delle due parti interessate alla transazione. Esistono comunque già altri tipi di carte con incorporato un microprocessore, le cosiddette smart card, che permettono di comunicare autonomamente i dati in modo cifrato.

Quello della sicurezza è, quindi, un problema molto delicato che deve trovare soluzioni adeguate per il futuro, sia per l'attività di e-commerce delle aziende, sia per la sicurezza dei dati personali degli e-buyers.

Oltre alle soluzioni tecnologiche, che sicuramente esistono e si diffonderanno sempre di più, si dovranno superare ostacoli di natura psicologica e culturale legati alle caratteristiche proprie del commercio elettronico.

3.3 I rischi dell' e-commerce per la PMI

Una delle difficolta' che si incontrano nell' ottenere risultati tangibili per lo sviluppo dell' e-commerce per la PMI è dovuta al fatto che l' e-commece crea valore aggiunto crescente, solo e soltanto quando si riesce a dare ampiezza alla economia di scala, acquisendo una base di networking di partenariato di impresa sufficientemente elevata.

Infatti lo sviluppo dell' e-commerce se viene preso in considerazione con troppa faciloneria, sia per l' aumento dei costi aggiuntivi non remunerativi, sia perche' contribuisce ad attuare trasparenza nei prezzi e di conseguenza un maggior impegno nella conquista e mantenimento della clientela, rischia di erodere il profitto di impresa anziche' accrescerlo.

E' quindi necessario saper prevedere come l' e commerce, proprio per il fatto che tende ad innestare una maggior concorrenzialita', determina rischi di insuccesso i quali possono rendere fallimentare la PMI , anziche' facilitarne lo sviluppo; cio' e' vero nel caso che non si attuino strategie che conducono a rendimenti crescenti,cosi da compensare le maggiori spese e l' aumentata concorrenzialita' in merito ad una maggiore ampiezza dei fattori di economia di scala .

Va' inoltre sottolineato che la logistica dei trasporti per la spedizione dei prodotti diviene un fattore particolarmente critico, nel caso di iniziative di e-commerce di ampia scala con tipologia business-to-consumer (B2C).

Pertanto senza una ottimale gestione della logistica dei trasporti ,ed un sistema di assicurazione delle merci accordato con la maggior sicurezza possibile dei pagamenti on line , il sistema di fiducia "cliente/fornitore", facilmente entra in crisi, e cio' crea ulteriori difficolta' di attuazione del e-commerce rispetto ai criteri relazionali conosciuti nell' attuazione del tradizionale sviluppo del mercato locale.

L'uso delle nuove tecnologie, provocando mutamenti repentini della concezione tradizionale del lavoro, induce problemi di instabilita' e ritardi nella attuazione del management che in certo qual modo diviene una delle caratteristiche dei "mercati elettronici spaziali" . Pur tuttavia, l'utilizzo della comunicazione elettronica rappresenta una tendenza ineludibile per la sopravvivenza delle imprese nella concorrenza determinata dalla globalizzazione dei mercati che viene favorita ed accelerata dalla utilizzazione delle tecnologie di comunicazione interattiva; pertanto e' opportuno sottolineare come sia necessario superare la carenza di una formazione e di organizzazione delle responsabilita' manageriali nelle imprese in modo che siano adeguate alla nuova dimensione dei mercati, che solo se e' ben coordinata nelle relazioni interattive a distanza puo' aprire indubbi vantaggi.

PARTE TERZA


I CASO

Marazzi: Acquisizioni e accordi, una strategia vincente[6]

La Marazzi Ceramiche è uno dei colossi mondiali nell'industria delle piastrelle in ceramica. Al suo attivo 18 grandi stabilimenti e 3.500 dipendenti, per un fatturato annuo che si aggira intorno a mille miliardi.

La crescita del giro di affari negli ultimi 15 anni è in gran parte attribuibile alle acquisizioni, alle esportazioni e alle attività estere (76% del fatturato annuo) del gruppo guidato da Filippo Marazzi, nipote dell'omonimo fondatore. Se già negli anni Trenta la Ceramica Marazzi si era sviluppata rapidamente, è il figlio Pietro negli anni Cinquanta a dare all'azienda un ruolo e una dimensione internazionale.

Grazie alla ricerca di nuove soluzioni tecnologiche ed estetiche e alla rivoluzione tecnologica data dal procedimento della monocottura prima (1975) e dal firestream dopo (1985), la Marazzi si è affermata sul mercato mondiale e ha completato la sua struttura multinazionale con una politica di acquisizioni che, a partire dagli anni Ottanta, l'ha portata ad assumere il ruolo di leader in Europa.

Il processo di internazionalizzazione viene potenziato agli inizi degli anni Ottanta con la costituzione in Spagna e Stati Uniti delle strutture produttive di Marazzi Iberia Sa e di American Marazzi Tile Inc. Nel contesto del mercato spagnolo delle ceramiche, il gruppo di Sassuolo ha realizzato una forte penetrazione

in termini di quota di mercato. In questo Paese infatti, la produzione di ceramica si è sviluppata molto rapidamente, tanto che la Spagna è diventata il secondo produttore di ceramica nel mondo. Nel 1991 è stata inoltre acquistata la Pennaroya, utile per il potenziamento delle esportazioni del gruppo verso i mercati europei e del Nord America. La quota della Marazzi sul mercato interno è attualmente vicina a quella del leader di mercato. Significativa anche la presenza sul mercato americano.

Nonostante gli impegni d'Oltralpe, Marazzi non ha trascurato il mercato italiano e tra il 1989 e il 1991 ha acquistato l'intero pacchetto azionario di Ceramiche Ragno e ha potenziato la One Tile spa di Anagni con la realizzazione di Ramacolor, colorificio dedicato alla produzione di smalti per le aziende del gruppo.

Negli anni Novanta il processo di internazionalizzazione è proseguito con la realizzazione di joint ventures e accordi di collaborazione in Germania, Turchia, Malesia e Messico. L'accordo più rilevante e di lunga durata si è rivelato quello concluso nel 1991 con la Eczacibasi Group, importante holding turca, per la costruzione di una nuova fabbrica in Turchia. L'obiettivo della joint venture (in cui la Marazzi ha una quota di minoranza) è produrre e distribuire piastrelle in un nuovo mercato e nel contempo avere un osservatorio strategico privilegiato verso i grandi mercati dell'Est.

Le altre operazioni hanno visto la concessione di licenza e la cessione di know how due aziende: l'accordo con la Gail, azienda tedesca di grande prestigio, stipulato nel 1989, prevedeva l'acquisto della Marazzi della licenza brevettuale per produrre piastrelle con il procedimento della smaltatura a supporto incandescente firestream, sviluppato nel 1986 e coperto da brevetto in molti Paesi del mondo; l'accordo con la holding Hong di Kuala Lampur (Malesia) metteva a disposizione il know how relativo al procedimento della monocottura, con la concessione della licenza d'uso dei marchi Marazzi per iprodotti ottenuti con questo procedimento.

Ultima operazione in ordine di tempo è stata l'acquisto di dell'intero pacchetto azionario delle società francesi France Ceram, France Alfa e delle loro controllate francesi Cerebati, Gres d'Artois e Carofrance. La posizione strategica ha giocato un ruolo importante in questa operazione, visto che gli stabilimenti sono situati tra l'Alsazia e la Lorena, al confine tra Francia e Germania, nel centro dell'Europa e in una zona particolarmente ricca di materie prime pregiate per gli impasti ceramici.

Al termine di queste operazioni di acquisizione la Marazzi ha raggiunto il ruolo di leader europeo nella produzione di ceramica.

In uno scenario fortemente competitivo, caratterizzato da rapidi e continui cambiamenti, la presenza strutturata e organizzata in ogni singolo mercato è la chiave perché l'azienda si sviluppi e attivi i servizi necessari ai distributori e agli utilizzatori dei prodotti in ceramica. Per presidiare i mercati con prospettive di considerevole aumento dei consumi, bisogna essere produttori. Infatti, essere produttori in Usa, Francia, Spagna significa avere una maggiore sensibilità del mercato e poter organizzare una struttura di vendita.

La presenza dell'azienda e lo sviluppo dei volumi di vendita in diversi mercati possono essere efficacemente realizzati solo creando insediamenti produttivi con reti di vendita e di distribuzione capillari nel mercato stesso. Il caso del mercato della ceramica negli Stati Uniti è emblematico in questo senso. La Marazzi negli Usa serve le grosse catene di distribuzione del fai da te, che pretendono una puntualità nel servizio estremamente difficile da offrire semplicemente esportando. Per fornire un tale livello di servizio bisognerebbe comunque mettere insieme centri logistici in loco. Nel caso statunitense, un ulteriore incentivo a lavorare in loco è dato dalle condizioni competitive più favorevoli rispetto all'Italia: negli Usa manodopera ed energia sono meno costose rispetto al nostro Paese. Lo stesso discorso è applicabile al caso delle acquisizioni in Spagna e Francia. La Spagna è il secondo produttore mondiale di ceramica e nel 1996 ha superato anche l'Italia per consumo di piastrelle. Avendo una popolazione inferiore a quella italiana, ciò significa che il consumo pro capite è più alto. E' un mercato completamente presidiato dai produttori locali; se non si agisce in qualità di produttori non si è quindi in questo grande mercato.

La Marazzi ha dunque adottato una politica di acquisizione che le ha consentito di penetrare nel mercato spagnolo, importante punto strategico per l'inserimento nel mercato europeo. In Francia, tramite l'acquisizione della France Ceram, si è perseguito uno scopo analogo, tanto che oggi la Marazzi ha raggiunto la leadership del mercato francese. Questa posizione le permette di essere presente nel mercato più importante in Europa e di poter stabilire un ulteriore punto di penetrazione.

Attualmente, la posizione strategica occupata dalla Marazzi è di assoluta preminenza, dato che l'Europa è il primo mercato mondiale per il consumo di ceramiche. La presenza su diversi mercati permette all'azienda di Sassuolo di recepire le tendenze e le aspettative di utilizzatori e progettisti, tutti spunti necessari per migliorare continuamente il prodotto. Di conseguenza, il prodotto nasce nel mercato e da questo l'azienda trae indicazioni e gusti, inglobati poi tramite l'applicazione dei processi e delle moderne tecnologie, accessibili grazie alla continua circolazione delle conoscenze e delle tecnologie ceramiche. In questo settore, infatti, non esiste alcun limite alla circolazione della conoscenza tecnologica, sebbene ogni azienda poi si differenzi per la propria attività. In molti Paesi del mondo la produzione di ceramica è cresciuta in modo rilevante (come in Cina) senza che fossero disponibili particolari conoscenze tecnologiche sulla ceramica. Ciò perché tutti i produttori di impianti e le organizzazioni che mettono a disposizione know how forniscono ai Paesi interessati la tecnologia di base. Ecco perché il gruppo Marazzi agisce nel singolo mercato e combatte con il produttore locale per vincerlo o per lo meno per mettersi allo stesso livello del concorrente.

Dunque, in ogni parte del mondo un'azienda può cominciare a produrre ceramica. E infatti nei due casi in cui la Marazzi ha ceduto know how ha passato conoscenze tecnologiche di base.

L'internazionalizzazione presuppone una pianificazione di medio e lungo periodo, la valutazione delle potenzialità di un mercato, una grande determinazione per raggiungere gli obiettivi e un forte collegamento tra le aziende del gruppo che mettono a disposizione uomini, conoscenze, esperienze dei diversi settori.

Agendo in questa direzione, il gruppo Marazzi ha raggiunto una posizione consolidata in Europa e non prevede ulteriori interventi di acquisizione. Tuttavia, è sempre pronto a cogliere eventuali occasioni offerte dal mercato, senza intraprendere iniziative avventurose in Paesi che non possono dare garanzie certe. Proseguirà invece l'attività di ricerca tecnologica, soprattutto all'interno dell'azienda, ma avvalendosi della collaborazione accademica, di ricercatori e free lance. L'innovazione tecnologica è orientata a ottenere prodotti sempre migliori a prezzi sempre più bassi e il fattore prezzo secondo la Marazzi sarà sempre più determinante per la globalizzazione dei mercati e determinerà la penetrazione nei diversi mercati della ceramica.
















II CASO:

EniData: i vantaggi dell'outsourcing[7]

Rapidi e profondi mutamenti nello scenario competitivo stanno sempre più coinvolgendo anche le imprese italiane. Alcune di esse hanno scelto di affrontare il cambiamento intervenendo solo su singole aree, altre - soprattutto in settori tecnologicamente avanzati - sono state chiamate a una trasformazione globale. Questa seconda strategia ha comportato la necessità di rinnovarsi contemporaneamente all'interno (organizzazione, risorse umane, processi), e all'esterno (posizionamento dei prodotti/servizi, relazioni con i clienti). Si è dovuto "in altre parole riprogettare interamente l'azienda e costruire un programma di passaggio dalla situazione attuale a quella obiettiva"[8].

EniData ha intrapreso proprio questa difficile strada a partire dal 1994. Allora EniData era uno dei tanti esempi di società dedicate all'informatica all'interno di un gruppo industriale. Costituita negli anni Settanta, anni in cui la possibilità di differenziazione nell'Information Technology sembrava un'opportunità perseguibile in modo relativamente agevole, EniData si basava sullo stesso presupposto strategico di altre imprese analoghe: la convinzione che fosse piuttosto semplice conciliare le esigenze del mercato interno al gruppo con quelle del mercato esterno. Purtroppo, la storia di molte società nate da questa idea ha dimostrato che è estremamente difficile avere successo.

Nel 1994 EniData presentava un quadro con alcune luci, ma anche molte ombre. In sintesi questa era la situazione:

pur ricavando più dell'80% del suo fatturato all'interno delle società del gruppo, non era riuscita a conquistarsi il ruolo di referente tecnologico e informatico primario;

l'innovazione tecnologica che, aveva subito già una grande accelerazione vedeva le competenze di EniData ancora legate in gran parte a tecnologie tradizionali;

i servizi di EniData si erano appiattiti sulla gestione operativa dei mainframe per alcune società del gruppo e sulla fornitura di risorse di analisi e programmazione;

la forte autonomia delle società del gruppo nella definizione delle strategie tecnologiche e applicative aveva prodotto un'elevata dispersione nel portafoglio delle competenze EniData (chiamata a intervenire su un numero elevato di piattaforme e sistemi applicativi);

come spesso avviene nei casi di società di servizi interne a un gruppo, la relazione con i clienti era resa ambigua dal rapporto di "parentela": raramente si arrivava a una definizione precisa dei livelli di servizio richiesti ed EniData non era in grado di conquistare termini negoziali adeguati (né sotto il profilo delle tariffe, né sotto quello del ruolo);

gli investimenti che sarebbero stati necessari per riallineare le competenze e di conseguenza il "prodotto" di EniData non erano compatibili con la situazione economica della società né tantomeno sorretti da un piano organico di futuro sviluppo.

Era dunque indispensabile ridefinire globalmente la strategia e il ruolo di EniData. Occorre però ricordare che nello stesso periodo anche il gruppo Eni avviava un processo di grande cambiamento e quindi si rendeva necessario per EniData non semplicemente cambiare, ma entrare in una logica di "co-evoluzione" con le strategie che il gruppo si stava dando.

EniData ha deciso di avviare il cambiamento dal problema più immediato e immediatamente visibile: l'efficienza nell'uso delle risorse.

E' stata realizzata, dunque, una ricerca che ha individuato significative possibilità di riduzione dei costi (conseguibili attraverso l'ottimizzazione della gestione dei centri di calcolo, il consolidamento dei centri e la standardizzazione dei sistemi applicativi in alcune aree). A seguito di questa prima indagine, Eni ha deciso di dare vita a un'iniziativa di gruppo di più ampio respiro.

Nacque così, nel marzo 1995, il "Progetto Informatica Eni". Questo progetto è stato ed è un momento eccezionale di collaborazione tra professionisti che, pur avendo avuto scarse occasioni di confronto in passato, hanno trovato presto un linguaggio comune e soprattutto un impegno fondamentale condiviso nel produrre dei risultati per il gruppo. E' stato uno sforzo poderoso: basti pensare che in alcune fasi del progetto sono state coinvolte nei vari gruppi di lavoro fino a 180 persone.




Dopo un anno di attività sono stati conseguiti i seguenti risultati:

l'individuazione dei processi di business e dei correlativi sistemi informatici la cui convergenza tra le vari società del gruppo costituisce un'ampia opportunità e un significativo valore;

la definizione di una strategia di Information and Communication Technology (Ict) che mette a disposizione di tutte le società un'infrastruttura operativa comune, flessibile e interoperabile;

un business case che dimostra il vantaggio economico del consolidamento dei diversi centri di calcolo in due sole unità;

la sperimentazione di un sistema di knowledge sharing che ha consentito a tutti i partecipanti di contribuire al progetto condividendone i risultati.

Nell'attuazione del progetto informatica Eni si è delineato anche un possibile nuovo ruolo per EniData.

In particolare, era maturata la consapevolezza che la gestione di un'infrastruttura operativa di quella ampiezza e complessità richiedeva un outsourcer di gruppo di altissima professionalità. Era risultato evidente che il miglioramento dei sistemi applicativi delle diverse società, se presentava l'opportunità di creare convergenza, aveva bisogno però di un soggetto che assicurasse la capitalizzazione delle diverse esperienze e il loro riutilizzo. Cioè, anche nel caso EniData, si era rivelata la necessità di una funzione centrale che presidiasse la "meta-conoscenza", ossia le condizioni perché le conoscenze dei vari soggetti potessero diventare patrimonio comune in una logica di sviluppo sistemico. In questo spirito, il ruolo di EniData diventava quello di catalizzatore e collante dell'intelligenza collettiva che le esperienze delle varie società contribuiscono a definire[9]. Insieme a ciò, era emersa la disponibilità delle società operative e di EniData a rinnovare la qualità dei rapporti reciproci: il lavoro comune aveva infatti permesso di ritrovare il rispetto delle reciproche professionalità e il desiderio di rifondare la relazione su valori quali la competitività e i risultati. E' scattato cioè il fattore fiducia. "La fiducia è l'aspettativa di un comportamento prevedibile, corretto e cooperativo " ed EniData stava dimostrando nei fatti di poter corrispondere alle nuove attese che si andavano manifestando.

Dunque, dal progetto informatica Eni stava sopraggiungendo una grande opportunità per EniData, ma per coglierla era necessario intraprendere una trasformazione profonda sia nel portafoglio di competenze sia nella cultura sia nei comportamenti diffusi.

Proprio per questi motivi, in parallelo al progetto informatica Eni, EniData ha avviato un progetto interno di assesment and gap analysis al fine di approfondire la comprensione delle proprie aree di debolezza e di poter quindi anticipare il più possibile il programma di cambiamento.

Dopo pochi mesi, i contenuti principali della nuova mission erano scritti. EniData si doveva caratterizzare, da un lato, come l'outsourcer interno per la fornitura dei servizi di infrastruttura (centralizzati e distribuiti) e, dall'altro, come il system integrator di riferimento per lo sviluppo dei nuovi sistemi applicativi, in particolare per quelli gestionali. Ciò significava, però, potenziare di molto il know how tecnico, di acquisire competenze robuste di project management e di cambiare la modalità di interazione con i clienti. Tutto ciò era reso, poi, particolarmente difficile dai tempi ristretti a disposizione. Per essere all'altezza della nuova mission si è dovuto intervenire con rapidità e decisione in quattro aree: l'organizzazione, le risorse umane, le alleanze e la cultura interna. Così è stata disegnata e messa in atto una nuova organizzazione basata su qualità ed efficienza dei servizi, gestione propositiva del cliente e responsabilizzazione sui risultati. E le posizioni di leadership sono state assegnate anche a dirigenti del gruppo che potevano garantire, oltre a una riconosciuta competenza professionale, la capacità manageriale di realizzare il cambiamento.

Per quanto riguarda, poi, le risorse umane, sono stati reclutati dall'esterno alcuni professionisti, da inserire a diversi livelli di responsabilità, ed è stato avviato un piano di assunzione di neo-laureati. Parallelamente, si è proceduto a un programma di mobilità per quella popolazione che non aveva caratteristiche professionali coerenti con la nuova mission, né i presupposti per essere utilmente riconvertita. Per accelerare l'immediata operatività, è stato progettato un sistema di partnership che coinvolgesse alcuni leader di mercato e che, sotto varie forme e in una logica di reciproca utilità, garantisse a EniData un adeguato e più rapido contributo di competenze e una capitalizzazione di Know how.

Infine, per quanto riguarda la cultura interna, sono stati predisposti piani di comunicazione, di formazione e di rinnovamento dei sistemi gestionali delle risorse umane con l'obiettivo di allineare valori e comportamenti alla nuova mission della società.   

III CASO:

Il CRM nelle banche italiane: l'esperienza del gruppo Siemens Business Services[11]

Le imprese di tutto il mondo stanno vivendo un'era estremamente dinamica: con la diffusione di Internet, i mercati diventano sempre più trasparenti, i cicli innovativi sempre più brevi, l'offerta di prodotti e servizi vieppiù omogenea, mentre si fanno sempre più evidenti i segnali di una incombente saturazione.

Questi fattori alimentano una sempre maggiore competizione, oltre a dare molto più potere contrattuale ai clienti. Perché mai come oggi è stato così facile confrontare aziende, prodotti e servizi, potendo cambiare il fornitore senza difficoltà.

La sfida, delle aziende, così come il mondo bancario, è allora quella di assicurarsi la fidelizzazione dei propri clienti. Oggi il cliente è al centro di qualsiasi processo. Perché un cliente soddisfatto è più aperto ad analizzare nuovi prodotti e servizi, che gli vengono proposti, e va così ad alimentare un circolo virtuoso di vendita.

In questo contesto, il CRM - Customer Relationship Management - assume un ruolo determinante nella strategia di qualsiasi realtà.

Il Gruppo Siemens Business[12] Services, referente italiano di SBS GmbH, da anni lavora al fianco dei propri clienti mettendo loro a disposizione tutti gli strumenti che possono aiutare a conoscere meglio i rispettivi clienti.

E in occasione del convegno "Customer Relationship Management e fattori abilitanti per le banche italiane", il Gruppo Siemens Business Services espone la propria esperienza con due realtà primarie del mondo finanziario: Banca Intesa e Banca Reale.

Banca Intesa

Banca Intesa è la holding del Gruppo risultante della aggregazione fra Cariplo e Ambroveneto. Dal gennaio 1999, la Società Intesa Sistemi e Servizi (ISS) coordina tutta l'operatività riguardante lo sviluppo e la gestione dei sistemi informativi e delle telecomunicazioni, le attività centralizzate di back-office, gli allestimenti logistici e di sicurezza, l'amministrazione degli immobili, gli acquisti e la gestione dei fornitori e il Call Center nato nel 1995 con un servizio di "Telephone Banking".

Di fronte all'evoluzione delle esigenze dei clienti della Banca Intesa, ISS ha deciso di servire il cliente in un ottica di banca multicanale integrata, pianificando quindi la trasformazione dell'attuale Call Center in un "Contact Center" multimediale dotato di nuove funzionalità e di nuovi servizi.

In particolare, Siemens Informatica, società del Gruppo Siemens Business Services, in collaborazione con Telecom Italia e con Siemens Telematica, è stata scelta come partner per il progetto di "contact center" multimediale.

Siemens Informatica è stata responsabile:

Dell'integrazione della logica bancaria nel front-end;

Della realizzazione delle funzionalità di "inbound" e di "outbound" sotto la forma di una barra telefonica la cui realizzazione è basata sulla integrazione con il software di Computer Telephony Integration (CTI);

Dell'implementazione delle funzionalità multimediali in "Visual TLB" realizzando il concetto di postazione ibride (chioscho);

Dell'integrazione di "Visual TLB" con l'applicativo bancario "Scrivania Cariplo" per l'accesso ai servizi.

Banca Reale

Reale Mutua Assicurazioni è una delle maggiore compagnie italiane con due milioni di polizze gestite, 900.000 famiglie clienti e 250.000 polizze con aziende. Qualche mese fa Reale Mutua Assicurazioni ha deciso di estendere il suo business verso il settore finanziario per offrire ai suoi clienti servizi bancari, finanziari ed assicurativi, senza limiti tecnologici, di spazio o di tempo.

Siemens Informatica è stata incaricata della realizzazione dell'infrastruttura tecnologica del progetto Banca Reale con una specifica attenzione alle problematiche di Customer Relationship Management (CRM).

Reale Mutua Assicurazioni ha scelto la soluzione Financial Mall Maker (FMM) di Siemens Informatica perché sfrutta le caratteristiche proprie del canale Internet (interattivo, digitale, del tipo "one-to-one", ecc.) per conoscere meglio la Clientela, alimentare il sistema informativo di marketing, offrire nuovi servizi, da personalizzati a ridisegnati, e quindi aumentare il valore di ciascun Cliente tramite un processo continuo di fidelizzazione.

In particolare Siemens sta realizzando:

Un front-end innovativo e integrato per l'accesso ai servizi bancari ed assicurativi attraverso canali quali Call Center e IVR, Internet, Teletext e GSM, Agenzie promotori finanziari;

Un sistema di CRM;

Un middleware di connessione i sistemi "legacy" e di back-office della Compagnia.

Il progetto Banca Reale, in corso di realizzazione, è il primo esempio in Italia di integrazione di business assicurativo e bancario basato sulla implementazione di soluzioni di CRM.









IV CASO:

Le piccole aziende e le opportunità offerte da internet[13]

L'interesse che, particolarmente in tempi recenti, le PMI hanno maturato nei confronti dell'e-business è legato soprattutto alle aspettative che esse ripongono nel commercio elettronico come volano di nuove opportunità di business, che consenta loro di affacciarsi, a costi contenuti, su nuovi contesti competitivi nazionali e internazionali.
C'è però da osservare come, in tali realtà economiche, la dotazione di risorse interne funzionali alla corretta implementazione e gestione delle nuove tecnologie di rete, necessaria perché si generino le performance attese, non è sempre presente. Si assiste, inoltre, ad una approccio talvolta miope e spesso poco attento degli imprenditori e del management nella lettura dei potenziali di innovazione offerti da Internet.
Del fenomeno delineato è testimone la Stelnet, impresa che, proprio cogliendo l'esigenza delle PMI di realizzare un percorso completo di attivazione e gestione del commercio elettronico, offre servizi di consulenza in tale ambito.

La Stelnet nasce a Cagliari nel 1986 con i finanziamenti della legge 44, quando un gruppo di giovani imprenditori intravede interessanti opportunità di business nella gestione delle informazioni commerciali, da raccogliere presso banche dati nazionali e internazionali e da veicolare verso le PMI. Lo sviluppo della Stelnet è rapido e l'impresa cagliaritana crea una catena di punti vendita in franchising sul territorio nazionale, conservando le attività di acquisizione e trasformazione dei dati nella struttura centrale sarda.



La crisi degli anni 92 -93 e l'avvento di Internet rappresentano un momento di svolta per l'impresa. Intervengono, infatti, profondi cambiamenti nell'organizzazione interna e nel sistema di offerta che tuttora permangono e che hanno consentito, negli ultimi cinque anni, il raggiungimento di risultati sia in termini sviluppo dimensionale (fatturato e numero di affiliati) che di penetrazione commerciale (numero di clienti) particolarmente lusinghieri.

Sul fronte interno l'esigenza di ridurre gli organici ha spinto la Stelnet a potenziare la struttura reticolare. Oggi l'originaria rete di punti vendita è un network di società di consulenza e parte dei dipendenti di un tempo sono partner esterni. Alla struttura centrale compete un ruolo di coordinamento, gestito agevolmente attraverso le tecnologie informatiche.

Sul fronte esterno, le opportunità generate da Internet ben si sono coniugate con la disponibilità di risorse interne di elevato profilo, consentendo la realizzazione di un sistema d'offerta indirizzato in particolar modo alle PMI, che si compone di un corpo di servizi integrati di accompagnamento alla gestione dell'e-commerce e ai processi di internazionalizzazione dell'offerta.

In tale contesto, la creazione del sito in senso fisico (la parte hard del processo) rappresenta soltanto uno degli elementi del sistema. Per gestire il commercio elettronico ed, eventualmente, accedere a mercati internazionali occorre elevare le competenze informatiche dell'impresa/cliente e, nel contempo, valutare l'assetto organizzativo dell'impresa e ripensarlo in modo innovativo.

A tale scopo l'impresa cagliaritana opera attraverso consulenti con competenze estremamente variegate: di informatica, di change organizzativo, di formazione. Tali affiliati/consulenti costituiscono delle nuove professionalità che la Stelnet ha denominato e registrato con il nome di "e-manager" e di "infobroker".

A testimonianza del maggior valore dei fattori soft del servizio (consulenza e formazione) si rileva come una grossa fetta delle imprese che si rivolgono a Stelnet abbiano già realizzato il loro sito, ma registrino performance poco brillanti, se non fallimentari, nella gestione del commercio elettronico.

L'impresa 44 sottolinea, inoltre, come le esigenze formative e consulenziali aumentino al ridursi delle dimensioni delle imprese/clienti e che, conseguentemente, in tali micro-contesti i servizi di assistenza erogati debbano risultare particolarmente pervasivi e riguardare ogni aspetto del business.

Un ulteriore elemento di interesse riguarda la composizione dei clienti della Stelnet. All'impresa cagliaritana si rivolgono, in uguali proporzioni, sia imprese business to business che business to consumer. Ciò sconfessa l'idea che la rete sia un veicolo promozionale e comunicazionale adatto a toccare prevalentemente il mercato di massa. Al contrario, le potenzialità della rete consentono di veicolare, se ben organizzate, un notevole numero di informazioni sulle caratteristiche del proprio sistema d'offerta presso altri utenti-trasformatori e di cogliere, in forza delle informazioni di ritorno, nuove opportunità di business.

La complessità delle risorse e delle competenze coinvolte nei processi di accompagnamento alla realizzazione del sito e i profondi cambiamenti richiesti da un approccio "coerente" al commercio elettronico determinano tempi di attuazione dei progetti sufficientemente meditati ed articolati. Per tale motivo la Stelnet fa seguire ad una fase di apprendimento/formazione della durata di 3-6 mesi, quella di una graduale implementazione della strategia di e-commerce di pari durata.
L'impresa cagliaritana, però, non è attiva solo sul fronte dei servizi di consulenza alle imprese. In sintonia con quanto realizzato da altri soggetti operanti nell'information technology (anche di maggiori dimensioni), grandi sforzi vengono profusi nella diffusione della conoscenza e dell'utilizzo di Internet.

In effetti, il carattere trasversale delle tecnologie di rete e delle competenze necessarie per la loro gestione consentono e spingono ad attivarsi in tale direzione.
Per tale motivo la dinamica realtà cagliaritana si è impegnata in progetti di formazione finalizzati alla riqualificazione e all' empowerment del personale di enti pubblici e di grandi imprese. In tal senso, tra le attività di maggior successo dell'impresa 44 si può annoverare il progetto per "operatori telematici nel telelavoro", realizzato per il Ministero del Lavoro e teso al recupero di personale in cassaintegrazione. Altri progetti hanno visto la realizzazione di banche dati internazionali per nuove idee d'impresa, nonché la riqualificazione imprenditoriale del personale del gruppo Alcatel a rischio di licenziamento.

In aggiunta, si sottolinea, come lo sviluppo dell'utilizzo della rete e l'apprendimento che viene a generarsi attraverso la gestione di tali progetti formativi siano elementi che consentono la maturazione di nuove competenze e l'individuazione di nuove prospettive di crescita aziendali.




V CASO:

E-business nella PMI: gli effetti delle nuove tecnologie sui supermercati ALVI[14]

Alvi S.p.a. è una catena di distribuzione alimentare situata nel sud Italia, con sede centrale a Castel S. Giorgio, e con oltre 150 punti vendita distribuiti in 6 regioni (Basilicata, Molise, Puglia, Lazio, Calabria, Campania), e 3 centrali di distribuzione (Castel S. Giorgio, Fisciano e Matera). L'azienda nasce come ditta individuale negli anni '60 con il nome di SuperCandida S.p.a. per la commercializzazione di materie prime per la produzione di detergenti e detersivi. Dopo qualche anno, diversifica l'attività iniziando a commercializzare detersivi all'ingrosso e al dettaglio.

Negli anni '90 con la diffusione della nuova formula dei discount, si decide di trasformare i punti vendita in soft e hard discount, cogliendo al volo l'opportunità di ampliare la propria rete.

Ma ben presto la domanda cambia nuovamente, come facilmente prevedibile per un cliente esigente come quello italiano, che si differenzia nei comportamenti d'acquisto e di consumo da quello tedesco, inglese e americano, e nasce l'esigenza di convertire i punti vendita prima in soft discount e poi in supermercati.

Oggi molti dei punti vendita Alvi S.p.a. sono supermercati al cui interno c'è un'area discount, per offrire al cliente la possibilità di scegliere prodotti non di marca fortemente scontati. Si tratta di una scelta di sviluppo programmata dall'imprenditore, il dott. Angelo Villani, in base alle possibili risposte del mercato, politica che denota flessibilità della struttura aziendale e predisposizione all'innovazione.

La Alvi S.p.a., è socia dell'Interdis ed opera, con supermercati SuperAlvi, Alvi Discount e Iper Alvi. A partire dal primo maggio '99, la denominazione sociale è cambiata da La SuperCandida S.p.a., in Alvi S.p.a., insegna che oggi identifica tutti i punti vendita.

Una delle prime esigenze della società è stata quella di realizzare una efficiente comunicazione fra le diverse sedi e la sede centrale, con l'obiettivo di migliorare la qualità delle informazioni per una miglior gestione dei punti vendita. In tal senso, grazie ai feedback ottenuti, i punti vendita che risultano poco redditizi vengono riconvertiti. Tale scelta viene presa sulla base di analisi di mercato tese a verificare la possibile redditività per localizzazione e tipo di clientela servita.

La seconda esigenza è stata quella di realizzare una rete Intranet per ottenere informazioni analitiche sulla clientela, da utilizzare per fidelizzare la stessa creando nuovi servizi personalizzati.

Internet, in tal senso, permette di compiere un grande passo in avanti, riducendo il costo della comunicazione, prima realizzata sinteticamente a mezzo fax e via modem, garantendo tempestività e analiticità delle informazioni.

La Alvi si è rivolta alla IBM per individuare la giusta soluzione informatica alle due principali necessità. La società in primo luogo ha chiesto la predisposizione di un nuovo metodo per raccogliere ed analizzare i dati relativi alle vendite dei negozi. Precedentemente la società raccoglieva questi dati trasferendo files tramite PC su linee telefoniche. I mezzi informatici a disposizione erano piuttosto obsoleti ed utilizzavano differenti tipi di PC presso i vari rivenditori. Questa soluzione è dispendiosa e con risultati finali inadeguati alle necessità del cliente. In secondo luogo, la richiesta della società di installare un nuovo strumento di comunicazione basato su e-mail via Internet.

La soluzione business-to-business fornita dalla IBM è stata ottenuta sviluppando un'applicazione in Internet con tecnologia Lotus Domino.

Sono diversi i benefici per l'azienda legati alla soluzione informatica.

L'applicazione personalizzabile Domino permette di scaricare facilmente dati utili dai servers periferici sul servers centrale utilizzando Internet. Inoltre, la società può usare i dati in maniera intelligente, attraverso un processo di costruzione e ricerca delle informazioni, per soddisfare in modo rapido i bisogni di inventario e analisi di tendenza dei dati del cliente e dei negozi.

Con la nuova soluzione, Alvi riesce ad ottenere dati da tutti i suoi dipartimenti giornalmente, riuscendo a realizzare un migliore monitoraggio delle operazioni ed un intervento più rapido per migliorare l'attività di vendita dei punti periferici. Inoltre, con l'utilizzo di Lotus Domino e di Notes Client ottiene srvizi di messaggistica stessa piattaforma per tutte le esigenze di collaborazione e di comunicazione via e-mail.

Il sistema è usato anche per amministrare l'ampia area di network attraverso la società e per ospitare un'applicazione Intranet nella sede centrale, accessibile a tutto lo staff dell'ufficio centrale (circa 40 utenti), agli utilizzatori mobili ed al personale di vendita. Ogni impiegato coinvolto nelle vendite ha, quindi, accesso a questa soluzione.

La soluzione realizzata si presta ad integrare facilmente l'ulteriore crescita della rete di vendita. Saranno possibili, inoltre, ulteriori servizi:

creare servizi web interni per la sua organizzazione, utilizzando note di società e distribuzione di news sui prezzi;

ottimizzare il processo di assortimento tra i depositi;

consentire il management della catena di forniture aggiungendo gradualmente partners e fornitori in un network strutturato di comunicazioni basato su Internet e/o Intranet.

Per il futuro la Alvi S.p.a. punta a diversificare l'offerta di servizi al cliente, creando un sito web che permetta alla clientela di tutti i punti vendita di ottenere informazioni su fidelity card, politiche di sconti e promozioni, localizzazione di nuovi punti vendita, etc.

Grazie a questa soluzione tecnologica la società ha già ridotto i costi ed i carichi di lavoro ed ha aumentato la competitività sul mercato.

Oggi è in grado, inoltre, di realizzare un'attenta analisi per prodotto e per tipologia di cliente, grazie alle informazioni ricavate dalle righe scontrino ed alla gestione della barriera cassa.

Avere la possibilità di ottenere e analizzare dati significativi, per assumere decisioni strategiche in modo tempestivo, rappresenta uno dei primi tangibili benefici per la società. Inoltre, la soluzione e-mail lotus notes fornisce un sistema per distribuire facilmente informazioni ai personaggi chiave della società stessa.

Oggi il costo delle informazioni è notevolmente più basso, e l'efficacia gestionale è aumentata.

CONCLUSIONI

Il lavoro svolto, sullo sfondo delle innovazioni ambientali, tecnologiche, economiche, ha avuto lo scopo di evidenziare le ripercussioni di tali cambiamenti sulle relazioni d'impresa.

Volendo analizzare il percorso evolutivo delle imprese, si è proceduto, innanzitutto, all'analisi delle tre strutture economiche fondamentali e alternative per il governo delle transazioni: il mercato, la gerarchia e il clan.

Quanto più la cooperazione tra soggetti agenti (contraenti) è a lungo termine, quanto più le transazioni tra le parti sono intense, specifiche e soggette a incertezza, tanto più emergono i vantaggi dell'uso di organizzazioni gerarchiche, programmate a durare nel tempo come le imprese. Le organizzazioni gerarchiche, però, sono efficienti fintanto che funziona con successo il meccanismo di coordinamento e controllo basato su regole, incentivi, esercizio dell'autorità e del potere. Esse reagiscono con impaccio o sono inerti - quindi possono fallire - di fronte alle turbolenze ambientali, quando invece si richiedono velocità e flessibilità nell'adattamento.

Il mercato, invece, è la forma più efficiente di governo delle transazioni quando è possibile realizzare contratti istantanei ed esaustivi, in presenza di bassa incertezza, di elevata misurabilità dell'oggetto scambiato, di inesistenza di investimenti specifici e di elevata sostituibilità tra le parti.

Il clan, infine, costituito sui presupposti della lealtà e della fiducia personali, è efficace soprattutto nei casi in cui le transazioni tra due o più parti comportino investimenti a medio-lungo termine. Per assicurarsi l'efficacia del controllo, i capi

prestano attenzione alle aspirazioni dei lavoratori ad essi subordinati, essi scelgono di attivare meccanismi motivazionali basati su incentivi non solo monetari e di carriera, ma anche su principi morali, che rafforzano l'impegno collettivo nel perseguimento dei fini organizzativi.

Le strutture organizzative di tipo clanistico, quindi, sono particolarmente adatte alle imprese a tecnologia avanzata, ove è richiesto un impegno collettivo di lavoro (teamwork).

Secondo la Teoria dei Costi di Transazione, nell'alternativa make-or-buy (gerarchia o mercato) va considerato il costo totale della transazione, cercando di minimizzare le voci che lo costituiscono. L'economia dei costi di transazione sostiene e sviluppa l'idea secondo cui la minimizzazione dei costi di transazione è il problema chiave nell'organizzazione delle attività economiche. Infatti, un'impresa tenderà ad espandersi fino a che i costi di organizzare una transazione in più all'interno dell'impresa diventano uguali ai costi di effettuare la stessa transazione mediante uno scambio sul mercato aperto.   

In presenza, però, di forme di collaborazione tra imprese vanno ripensati o ridisegnati i quadri concettuali e gli strumenti di analisi. Le regole della concorrenza cambiano e i rapporti competitivi impongono forti cambiamenti nella teoria dell'impresa e nella teoria delle organizzazioni. In tal caso risultano del tutto inapplicabili gli schemi interpretativi della teoria dei costi di transazione che si limitano a confrontare e ad esaminare singolarmente le varie alternative interno-esterno. I parametri di costo sono poi ulteriormente indeboliti quando il singolo rapporto fra imprese assume una più marcata connotazione relazionale rispetto ad una connotazione transazionale.

Dopo aver descritto i tre modelli idealtipici di governo delle relazioni d'impresa, si è passati all'analisi degli accordi cooperativi che rappresentano la risposta delle imprese all'aumentata competitività che le circonda.

Accanto a una dimensione competitiva della condotta strategica delle imprese si afferma, quindi, una dimensione cooperativa che si realizza attraverso stretti rapporti interaziendali.

Di recente l'osservazione dei comportamenti delle imprese mostra rapporti stretti per realizzare maggiore flessibilità e per migliorare le capacità innovative delle organizzazioni coinvolte.

Gli accordi cooperativi si sviluppano in presenza di attività produttive strettamente complementari, ma dissimili, tali cioè da rendere costosi i processi di integrazione interna, e nel contempo conveniente il ricorso ad accordi anziché al mercato.

Tali accordi possono essere utilizzati come strumenti per attuare diverse strategie d'impresa: a) strategie di espansione orizzontale; b) strategie di espansione verticale; c) strategie di diversificazione del prodotto.

Data l'importanza e l'estensione del fenomeno degli accordi, sono stati analizzati separatamente gli accordi fra imprese e gli accordi con fornitori ed intermediari.

Gli accordi fra imprese costituiscono delle manovre di crescita esterna; essi richiedono l'apporto economico, finanziario e organizzativo di altre imprese per essere realizzati. L'accordo è un modo di accesso al mercato o alla tecnologia da parte di un'impresa che non ha ancora le relative conoscenze o competenze.

Accordi e acquisizioni con i concorrenti mirano, di frequente, ad una maggiore concentrazione e alla realizzazione di una quota di mercato significativa entro un breve intervallo di tempo, per rendere più difficile la risposta dei concorrenti o per rispondere ad una manovra analoga.

Gli accordi e i legami con fornitori e intermediari, invece, riguardano aree funzionali circoscritte.

Un rapporto organico con le imprese di fornitura può avere un impatto determinante sulle innovazioni di prodotto dove vari attori possono portare un contributo singolarmente limitato ma globalmente significativo. Inoltre, l'impiego sistematico e congiunto di fornitori e intermediari, con rapporti di influenza e di coordinamento reciproco riduce l'ammontare degli investimenti dell'impresa che governa la filiera delle attività e modifica il rapporto fra costi fissi e costi variabili nell'impresa centrale, spostando gli investimenti verso unità esterne.

Si può affermare, quindi, che lo sviluppo dell'impresa dipende anche dalle risorse esterne e che, conseguentemente, la realizzazione di relazioni di tipo cooperativo rappresenta un vero e proprio investimento.

Le strategie basate su sistemi e reti di relazioni cooperative rappresentano scelte ottimali che consentono alle imprese di interagire con la crescente complessità del sistema scientifico-tecnologico, da un lato, e della domanda di mercato, dall'altro.

Nello studio dell'evoluzione delle relazioni d'impresa non si poteva non tener conto della teoria dell'impresa sistema vitale.

A tal riguardo la prima considerazione da fare è che i fenomeni imprenditoriali sono inevitabilmente interconnessi ed interdipendenti con la moltitudine dei fenomeni inerenti lo sviluppo della società e, più in generale, dell'intero eco-sistema. Fra le diverse metodologie di indagine, adottate per una maggiore comprensione dei principi che regolano il funzionamento delle imprese, di particolare interesse è, appunto, l'approccio sistemico.

L'approccio sistemico concepisce l'impresa come un sistema unitario in virtù delle relazioni ed interazioni che legano i suoi elementi costitutivi.

Il modello del sistema vitale viene, quindi, utilizzato per qualificare il sistema impresa. Quest'ultima, cioè, è un'organizzazione in grado di sopravvivere attraverso adeguamenti, trasformazioni e ristrutturazioni nei propri assetti logico-fisici. Tale vitalità del sistema impresa si estrinseca allorquando l'impresa interagisce con il contesto interno ed esterno in cui opera per apprendere, adattarsi, svilupparsi e migliorare nel tempo le proprie condizioni di efficacia.

In definitiva, un sistema per qualificarsi come vitale deve poter sopravvivere attuando processi di apprendimento capaci di consentire un adattamento al contesto ovvero inducendo alla modifica del contesto stesso.

Nel suo funzionamento il sistema tende alla stabilità ma sollecitato ed orientato dalle pressioni ambientali le caratteristiche della stabilità si modificano: l'impresa versa, quindi, in uno stato di equilibrio continuamente dinamico nel tempo. In tale situazione anche la struttura organizzativa subisce processi di adattamento, nel senso dell'adeguamento ad altri sistemi e al bisogno di raccogliere e trasformare le informazioni veicolate dalle pressioni ambientali.

L'impresa è esposta ad una varietà di pressioni esterne ed interne al cambiamento. Dagli anni '70, l'ambiente in cui operano le imprese è in continuo cambiamento; un cambiamento ambientale tanto continuo ed imprevedibile che può essere definito "turbolenza". Al cambiamento ambientale è seguito quello dell'organizzazione del sistema di produzione, dell'organizzazione delle imprese, delle modalità competitive.

Attualmente una delle innovazioni principali su cui sono impegnate le imprese è il passaggio a nuove forme di organizzazione fondate sulle architetture reticolari. Si assiste, cioè, al passaggio dalle organizzazioni quasi-gerarchiche a forme di organizzazione basate su architetture di tipo reticolare.

Nelle organizzazioni quasi-gerarchiche il sistema delle relazioni interne viene stabilizzato lungo itinerari predefiniti. Eventuali variazioni rispetto al disegno organizzativo selezionato hanno il carattere di eccezionalità, perché riguardano problemi circoscritti e discontinui. Il sistema delle relazioni interne all'organizzazione tende quindi ad essere scarsamente modificabile in tempi brevi. Per poter modificare il profilo e le caratteristiche di un organizzazione quasi-gerarchica occorre insomma rivederne l'impianto generale, disegnando nuove strutture.

Le tradizionali strutture piramidali e gerarchiche sono state sostituite da strutture piatte, articolate e flessibili, costituite da sistemi di unità operative dotate di grande autonomia, legate tra loro da svariati rapporti reticolari.

L'abbandono del modello gerarchico di base tayloristica, è stato necessario per la compresenza di una serie di fattori come: la rapida evoluzione tecnologica, i cicli di vita accorciati dei prodotti, lo spostamento della concorrenza su dimensioni internazionali, le esigenze sempre più personalizzate della domanda e in generale il globale incremento di complessità e instabilità del sistema.

Il modello di industria che emerge alle soglie del XXI secolo è profondamente diverso dal modello dell'industrializzazione di massa sul quale si basa la teoria economica tradizionale.

Fattore cruciale per la competitività delle imprese è sempre più la velocità di adozione delle innovazioni di prodotto e la flessibilità di integrazione con altre imprese o organizzazioni piuttosto che la continua espansione delle capacità produttive, tramite gli investimenti, o il contenimento dei costi di produzione.

Il ruolo delle piccole e medie imprese è aumentato negli anni recenti in seguito al processo di "outsourcing" e allo sviluppo di relazioni di subfornitura, connesse con la focalizzazione crescente delle imprese nelle produzioni nelle quali esse hanno uno specifico vantaggio competitivo.

Le prospettive di sviluppo della singola impresa dipendono dalle relazioni sempre più articolate e complesse di integrazione con altre imprese.

Le aziende rete, grazie alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, usufruiscono di potenzialità di collegamento che permettono una forte delocalizzazione del lavoro sia territoriale che strutturale.

L'impresa rete si presenta quindi con un centro e con una serie di diverse unità (i nodi), con cui esistono rapporti sistematici di ordine economico e di natura organizzativa (raggiungimento coordinato di obiettivi, relazioni interpersonali, trasferimento informale di conoscenza, ecc.). I nodi devono, allo stesso tempo, essere dotati di una forte autonomia decisionale, ma anche di elevate capacità d'integrazione, di trasmissione e condivisione di informazioni all'interno dell'intero sistema a rete.

La strategia della rete non è solo quella del decentramento o dell'outsourcing o della terziarizzazione ma è quella di una collaborazione permanente e a due vie tra il centro e le varie periferie del sistema. Si tratta di creare sistemi di collaborazione tra i fornitori e l'impresa centrale.

Nel prosieguo, si è passati ad analizzare il rapporto impresa-fornitori (di risorse in senso lato), nel tentativo di rispondere all'interrogativo intorno al quale ruota il presente lavoro.

La relazione tra fornitore e cliente è al centro di un processo di profonda evoluzione e cambiamento. In effetti sono sempre più spesso i collegamenti tra fornitori e cliente a determinare il valore aggiunto di una determinata attività. Fondamentale, dunque, è poter innovare insieme, ed è questo l'obiettivo sotteso dalle logiche di outsourcing, la modalità attualmente più evoluta di gestione del rapporto fornitore/cliente.

Nel settore degli approvvigionamenti, ad esempio, l'enorme aumento dei costi di ricerca e sviluppo, la crescita dei rischi connessi all'utilizzo di nuove tecnologie, la più rapida obsolescenza dei nuovi prodotti, la maggiore complessità sistemica di prodotti e processi, la necessità di coniugare innovatività di prodotto con flessibilità ed efficienza operative, sono i fattori che hanno spinto in questi anni le imprese a rafforzare l'integrazione con i propri fornitori.

L'organizzazione che voglia vivere e svilupparsi al meglio deve poter contare su processi e sistemi organizzativi in continua evoluzione che le permettano di adattarsi creativamente al variare delle condizioni ambientali esterne.

I metodi in cui si concretizza questa apertura verso l'esterno sono molteplici, ma tutti caratterizzati dal fatto che permettono all'organizzazione di ridefinire continuamente e con facilità il rapporto con i propri obiettivi nel mondo esterno. Tra questi rientra certamente l'outsourcing.

Delegare a fornitori esterni la gestione di attività considerate non strategiche per le imprese costituisce l'unica via concretamente praticabile per raggiungere l'obiettivo di concentrarsi sul core business. Il principio è semplice: far fare agli altri ciò che fanno meglio di noi, in modo tale da ridurre i costi, migliorare la qualità dei servizi o dei prodotti intermedi di cui si ha bisogno, e liberare così le risorse necessarie per lo sviluppo di ciò che costituisce la vera attività d'impresa.

Ogni organizzazione trova dei limiti nelle risorse disponibili. La sfida costante consiste nel far sì che tali risorse limitate siano allocate nelle aree a maggior valore aggiunto. L'outsourcing permette all'organizzazione di deviare le sue risorse da attività ausiliarie ad attività per le quali si riscontra un maggiore ritorno in termini di qualità o di servizio al cliente.


Di grande utilità per capire il tipo di approccio che l'impresa dovrebbe adottare nei confronti dei propri fornitori (approccio transazionale o relazionale?) è lo studio della delimitazione dei confini d'impresa.

Dal punto di vista strutturale si definisce esterno quel fornitore di risorse che non opera all'interno dell'impresa fruitrice di tali risorse. E' invece considerato interno quel fornitore che opera stabilmente all'interno dell'impresa alla quale fornisce le risorse.

Dal punto di vista dell'approccio sistemico, invece, per definire i confini si adotta il criterio dell'autonomia giuridica. Ci si chiede, a tal proposito, se il rapporto contrattuale di dipendenza abbia a che fare con la proprietà, in altre parole, se il dipendente debba essere considerato di proprietà dell'impresa. Naturalmente dal punto di vista strettamente giuridico non è possibile parlare di proprietà con riferimento a persone fisiche, e quindi alle risorse umane. Guardando però al tipo di rapporto contrattuale instaurato tra dipendente e impresa ed individuando così l'intensità del legame tra gli stessi ci si avvicina più o meno ad un concetto di proprietà. In definitiva, si ritiene, quindi, che il rapporto contrattuale essendo un legame molto forte abbia delle implicazioni che si avvicinano molto al concetto di proprietà.

I confini rappresentano, dunque, quella zona di passaggio tra interno ed esterno che circoscrive le risorse e le attività sulle quali l'azienda stessa è in grado di esercitare la sua discrezionalità e sulle quali estende la sua influenza e il suo controllo.

Comunque, nessun approccio è in grado di delimitare in modo netto e preciso il confine del sistema aziendale. E' semmai possibile individuare un continuum caratterizzato da una <zona di confine>, più o meno ampia, nella quale non è agevole la distinzione tra sistema e ambiente.

In questa zona l'autonomia di governo dell'azienda e la sua discrezionalità di controllo sugli elementi e sulle attività subiscono particolari vincoli e restrizioni derivanti dalla più forte influenza di altri sistemi. Fino ad arrivare ad un punto dove, per impossibilità o per scelta, l'azienda non è in grado o non vuole estendere la sua azione diretta e la sua discrezionalità ed è allora che si parla di ambiente esterno.

In realtà, ciò che conta per l'impresa nel rapporto con i fornitori non è tanto la proprietà ma la disponibilità degli stessi. Se il fornitore è interno (ad es. un dipendente), dal punto di vista strutturale, la disponibilità è assicurata dalla proprietà. Se, invece, il fornitore è strutturalmente esterno il tipo di rapporto che l'impresa deve instaurare dipende dalla criticità della risorsa. Nel caso si tratti di una risorsa banale l'impresa instaurerà un rapporto di tipo transazionale/occasionale, di breve periodo; nel caso di risorse critiche/rilevanti l'impresa dovrà fare leva su fattori cosiddetti soft, tali da ingenerare nel fornitore un senso di appartenenza. E' di fondamentale importanza per l'impresa ottimizzare il rapporto con i fornitori di risorse critiche, in quanto tali risorse, trasformate poi in capacità distintive, sono indispensabili per conseguire un vantaggio competitivo rispetto alle imprese concorrenti.

Riassumendo, la conclusione cui si è giunti è la seguente: se il fornitore offre una risorsa critica, l'organo di governo tenderà a stabilizzare la relazione puntando su elementi non economici ma soft; se il fornitore offre una risorsa non critica adotterà una gestione di tipo occasionale puntando su elementi economici.

Un altro importante quesito cui rispondere riguardava l'impatto delle tecnologie informatiche sul sistema delle relazioni d'impresa: tali tecnologie inducono ad una maggiore stabilità o ad una maggiore occasionalità dei rapporti?

L'e-commerce, ossia lo svolgimento di affari tramite Internet attraverso l'elaborazione e la trasmissione elettronica delle informazioni sia come testi che come immagini e suoni, nelle due varianti principali del business-to-business e del business-to-consumer, costituisce un'opportunità offerta alle imprese per migliorare il proprio sistema di relazioni, nel senso di renderle più efficienti e più efficaci. Più efficienti soprattutto dal punto di vista economico, cioè un'opportunità per ridurre il costo della relazione sia dal punto di vista dell'impresa sia ovviamente dal punto di vista dell'interlocutore d'impresa, i suoi clienti. Più efficaci nel senso di migliorare la qualità della relazione (ad es. per la facilità del contatto attraverso internet).

Premesso questo, una possibile risposta all'interrogativo relativo all'impatto delle reti telematiche sul sistema delle relazioni d'impresa è che, in via generale, tali strumenti informatici come pura applicazione tecnologica, sono neutri, hanno soltanto una funzione di moltiplicatore degli effetti, a seconda, poi, di come vengono utilizzati possono sia moltiplicare relazioni di tipo occasionale che relazioni stabilizzate.

Per una risposta più esauriente è, inoltre, necessario distinguere tra "reti aperte" e "reti chiuse".

La rete aperta, Internet, in quanto tale, sicuramente favorisce l'occasionalità delle relazioni, cioè rende i clienti potenzialmente più infedeli rispetto alle offerte aziendali, questo perché dilata enormemente la capacità che il cliente ha di essere informato, di avere a disposizione più alternative più proposte, di poter avere più potenziali contatti, e quindi di poter scegliere liberamente tra un'offerta piuttosto che un'altra.

Le reti chiuse, Intranet ed Extranet, invece, per loro natura, vanno nel senso della stabilizzazione delle relazioni, rendendole più assidue, più partecipate.

Per concludere, sono infine state illustrate esperienze d'impresa inerenti ciascuna ad una diversa strategia tra quelle trattate nel corso del presente lavoro (accordi strategici, outsourcing, customer relationship management, e-business) per evidenziare il fatto che nella scelta del tipo di strategia e di relazioni da adottare bisogna tener conto soprattutto del contesto in cui l'impresa è inserita.

A seconda, quindi, del tipo di realtà economica, sociale, tecnologica competitiva, etc., in cui è immersa l'impresa sarà necessario rispondere con una diversa strategia.


BIBLIOGRAFIA


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I costi decisionali concernono l'assorbimento di risorse umane e informative che vengono utilizzate per individuare le alternative di azione più efficienti, da parte di ciascun attore, in relazione alla propria funzione obiettivo.

I costi distributivi riguardano la gestione dei meccanismi di controllo dei comportamenti degli attori, idonei ad assicurare che la distribuzione dei risultati della transazione sia equa e conforme alle aspettative.

I costi di cambiamento sono gli oneri connessi da un lato all'abbandono della struttura economica precedente, dall'altro all'avviamento della struttura sostitutiva.

Cioè riescono ad internalizzare i relativi costi.

R. H. Coase, La natura dell'impresa, in G. Brusio (a cura di) La teoria economica dell'organizzazione, Il Mulino, Bologna, 1989.

I costi di coordinamento (o di transazione) sono quelli necessari per formulare un contratto ex-ante e per controllarne e assicurarne l'esecuzione ex-post.

I costi di produzione sono quelli necessari all'esecuzione del contratto stesso.

Intesa qui come burocrazia che ha il suo presupposto fondamentale nell'esercizio dell'autorità dall'alto verso il basso e dove le persone operano in base a condizioni ben delineate e formalizzate.


Una relazione è una connessione logica o fisica tra componenti della struttura. L'interazione è la fase in cui le componenti, attivando le relazioni strutturali, effettivamente scambiano risorse e condividono conoscenza al fine del raggiungimento del comune scopo.

Il concetto di consonanza può essere inteso come una sorta di compatibilità tra sistemi, atta a consentire che essi possano rapportarsi raccordandosi. La risonanza concerne, invece, lo sviluppo ideale della consonanza. Si tratta di una condivisione accompagnata da appartenenza e sintonia, un progressivo attenuarsi dei confini strutturali per effetto di un grado massimo di apertura, con raggiungimento, in termini di qualità del rapporto, di livelli sempre maggiori di fiducia e condivisione di orientamenti e prospettive tra sistemi interagenti, da cui emerge una nuova realtà sistemica inclusiva che comprende e riassume i sistemi di partenza.

Nella struttura ampliata vengono ad essere qualificate le relazioni tra le componenti interne e tra queste ed alcune tipologie di componenti esterne.

Formula imprenditoriale: è un sistema di business dove il vantaggio competitivo non dipende da un solo elemento (il costo del lavoro, ad esempio) ma da molti che convergono e diventano coerenti tra loro, dando vita ad un sistema consonante e coerente.

Le disposizioni contrattuali integrano il criterio della proprietà. Per gli elementi non assoggettabili a vincoli di proprietà - tipicamente gli elementi umani - diviene rilevante la possibilità di condizionarne le attività in virtù di vincoli contrattuali.

L'idea di filiera fa perno su una sequenza più o meno necessaria di attività, vale a dire all'insieme degli stadi intermedi intercorrenti, in "salita" o in "discesa" tra un input di partenza (una materia prima o un semilavorato) e un correlativo prodotto finito.


Seminario "AIESEC", E-commerce o E-business, 29 marzo 2001.

Fonte: Antonietta Donia, I casi de L'impresa, luglio 1998.

Fonte: Luigi Manganelli, I casi de L'impresa, maggio 1997.

Gianfilippo Cuneo, Riprogettare l'impresa per competere in un mondo senza confini, Milano, Il Sole 24 Ore, 1992, pag. 9.

Pierre Lèvy, L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 1996.

Francis Fukuyama, Fiducia. Come le virtù socialicontribuiscono alla creazione della prosperità, Milano, Rizzoli, 1996, pag. 40.

Fonte: Comunicato stampa 14 dicembre 2000, Siemens Informatica S.p.a. 2000.


Il Gruppo Siemens Business Services - che comprende Siemens Informatica, Italdata, SBS, Siemens Enterprise Consulting, Sitecnika e Sitekne - rappresenta in Italia la SBS, Siemens Business Services GmbH, tra i principali fornitori mondiali di soluzioni e servizi innovativi nell'area dell'Information and Communication Technology. Con la sua vasta esperienza IT e la specifica conoscenza del settore delle Comunicazioni, SBS offre servizi a valore aggiunto nell'area dell'electronic e del mobile business che vanno dalla consulenza all'integrazione di sistemi, alla gestione di interi processi di business per utenti di ogni settore merceologico. Nata nel 1995, SBS si è rapidamente affermata come leader di mercato in Germania e in Europa. SBS ha raggiunto un fatturato di 5,4 miliardi di Euro nell'esercizio 1999/2000 ed attualmente impiega più di 33.000 collaboratori in 88 paesi.

In Italia il gruppo, erede di Siemens Data prima e di Siemens Nixdorf poi, ha chiuso l'anno fiscale 1999/2000 con un fatturato di oltre 1.390 miliardi di lire.

Fonte: Professionisti al servizio delle PMI di Felice Piccolo

Fonte: e-commerce, Piccola impresa nel mezzogiorno, di Federica Mondo






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