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L'OLOCAUSTO - LA PERSECUZIONE

storia



L'OLOCAUSTO

LA PERSECUZIONE

La notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 in Germania si scatenò una grandissima caccia all'ebreo.

Fu la cosiddetta "notte dei cristalli".

Gli ebrei erano accusati di tradimento e di aver rovinato l'economia tedesca.

In realtà, dopo la sconfitta della 1a guerra mondiale, Hitler aveva bisogno di un "capro espiatorio".

Agli ebrei era stato vietato di frequentare le scuole ed erano stati privati di tutti i diritti civili.

Dopo la notte dei cristalli fu loro imposto di vivere tutti insieme nelle "case ebree".

In Italia Mussolini introdusse nel 1938 le leggi razziali contro la popolazione ebraica ed era fermamente convinto che gli italiani dovessero essere convinti della propria superiorità.

Era perciò necessario eliminar 535b15f e chi era ritenuto di razza inferiore, in questo caso gli ebrei.





























LO STERMINIO

In un primo tempo i superiori nazisti pensarono di far emigrare gli ebrei.

Dopo l'occupazione della Polonia, si decise di deportare in quel territorio gli ebrei tedeschi.

Il numero degli ebrei era così elevato che fu necessario istituire dei ghetti in cui concentrarli.

Il ghetto più famoso fu quello di Varsavia.

Gli sviluppi della guerra resero impraticabile l'emigrazione degli ebrei, fu così che si giunse all'eliminazione fisica.

Già nel 1941 cominciò il trasferimento degli ebrei nei campi di concentramento e di sterminio come quelli di Treblinka, Belzec, Sobibor, Auschwitz, Birkgnau.

Qui alcuni vennero subito uccisi, altri vennero costretti a lavori disumani finché, annientati nel fisico e nella mente, venivano portati nei forni crematori.

Gli ebrei russi non furono deportati, ma i nazisti preferirono fucilarli.

In Italia la prima deportazione fu quella degli ebrei romani il 16 ottobre 1943.

Nel 1944 gli ebrei italiani detenuti nelle carceri vennero trasferiti nel campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena.

Il più grande campo di sterminio italiano fu quello della risiera di San Sabba, nella periferia di Trieste.

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GHETTI E CAMPI DI STERMINIO

La reclusione degli Ebrei in quartieri delimitati da mura fu attuata per la prima volta in Spagna nel 1412.

Nel 1500 rinchiudere gli Ebrei in quartieri speciali recintati era diventata una pratica in tutta l'Europa.

Dopo l'occupazione della Polonia, le autorità naziste, trovandosi di fronte ad un numero molto elevato d'Ebrei, istituirono ghetti nelle principali città polacche.

Nei ghetti si viveva in condizioni drammatiche a causa del sovraffollamento e del degrado igienico; le malattie, specialmente il tifo, si diffondevano con estrema facilità.

Fu così che i nazisti scelsero la strada della "soluzione finale", cioè l'eliminazione fisica degli Ebrei nei campi di concentramento e di sterminio.

Qui coloro che non venivano uccisi subito, non solo erano costretti a vivere in condizioni di estremo degrado subendo ogni tipo di umiliazione sia fisica che morale, ma erano costretti a lavorare soprattutto nella produzione di tutto ciò che poteva essere utile alle truppe tedesche impegnate al fronte.

Per i nazisti era conveniente uccidere subito i deboli, i bambini e gli anziani e sfruttare gli altri fino all'esaurimento delle loro energie.

I campi di concentramento furono dotati di centri di sterminio, cioè di una vasta camera a gas per uccidere e di diversi forni crematori per bruciare i cadaveri.

Per gli Ebrei giunti nel campo di concentramento non c'erano molte speranze di sopravvivere.

Auschwitz fu la località polacca che ospitò più Ebrei; qui c'era una vera e propria rete di campi di concentramento e di centri di sterminio.

Sul cancello di Auschwitz una scritta in ferro battuto recitava: "il lavoro rende liberi"; essa va intesa nel senso che il lavoro servile delle razze inferiori procura felicità e libertà alla razza pura.

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LA RISIERA DI SAN SABBA:UN CAMPO DI STERMINIO IN ITALIA

La Risiera di San Sabba è un complesso di edifici alla periferia di Trieste.

I tedeschi se ne impossessarono e in un primo momento lo usarono come campo di prigionia dove venivano rinchiusi i prigionieri militari e gli Ebrei, destinati ad essere smistati nei campi di sterminio.

In un secondo momento, una parte del complesso fu trasformata in forno crematorio e la Risiera divenne l'unico campo di sterminio situato in Italia.

Alla fine della guerra i tedeschi in fuga lo fecero saltare con la dinamite per eliminare le prove dei loro crimini.

Le vittime furono circa 5000.

































LA LIBERAZIONE

La liberazione avvene il 25 aprile 1945.

Ad occidente gli Alleati, avevano superato il "Vallo atlantico" e avevano travolto l'esercito nemico liberando uno dopo l'altro i paesi occupati.

Nello stesso tempo, l'Armata Rossa era penetrata nei confini della Germania che, in tal modo, venne a trovarsi stretta in una morsa senza scampo.

Russi e Alleati si congiunsero nel cuore della Germania, lungo il fiume Elba e ai gerarchi nazisti non restò altro che firmare la resa senza condizioni.

In Italia il 25 aprile 1945 grazie all'aiuto dei partigiani le città del nord vennero liberate.

Mussolini, travestito da soldato tedesco, fu intercettato da una pattuglia di partigiani mentre cercava di riparare in Svizzera: fu fucilato il 28 aprile a Dongo, sul lago di Como.

Hitler si tolse la vita il 30 aprile in un bunker di Berlino.

I tedeschi cercarono di smantellare i campi di sterminio in modo da nascondere agli occhi del mondo le prove delle atrocità commesse.

In alcuni casi riuscirono a distruggere i forni crematori, come avvenne per la Risiera di San Sabba.

























LO STATO D'ISDRAELE: UN CONFLITTO PERPETUO

Alla fine della seconda guerra Mondiale gli Ebrei che si erano stanziati in Palestina avevano raggiunto il numero di 550.000 e convivevano con 1.250.000 Arabi in un clima di tensione e di continui scontri.

L'Inghilterra aveva un mandato sulla Palestina, cioè aveva il compito di creare tutte le possibili condizioni per promuovere la pacifica convivenza e l'indipendenza delle due popolazioni così diverse tra loro.

Gli Inglesi preferirono affidare il futuro della Palestina all'ONU.

Gli Ebrei di Palestina il15maggio 1948 proclamarono la nascita dello Stato d'Isdraele. Ma gli Arabi di Palestina non vollero mai accettare la nascita dello Stato d'Isdraele e, dopo aver formato una "Lega araba"con i paesi vicini, diedero vita al primo conflitto arabo-isdraeliano.

Esso si concluse con una netta sconfitta degli Arabi.

Il bilancio finale vide migliaia d'arabi di Palestina costretti ad abbandonare la loro terra.

Da questa situazione nacque l'OLP, cioè l'organizzazione per la liberazione della Palestina, guidata da Yasser Arafat: essa considerò la nascita dello Stato d'Isdraele un atto di vera e propria aggressione dei confronti della popolazione palestinese.

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LA TERRA PROMESSA

Il popolo ebraico è sempre stato in lotta per la sopravvivenza.

Nella Bibbia DIO promise al suo popolo una terra: la Palestina.

Giunti nella "terra promessa" si insediarono, vivendo di pastorizia e di agricoltura.

Qualche tempo dopo però dovettero abbandonarla e poi farvi ritorno, ma le popolazioni locali non erano disposte a far spazio ai nuovi venuti e a convivere con loro. Non sappiamo per quali ragioni, decisero anche di fuggire dall'Egitto e, sotto la guida di Mosè, ritornarono in Palestina.

Insediati nuovamente nella "terra promessa" fondarono Gerusalemme.

Nel 63 a.C. i romani conquistarono Gerusalemme e la sottoposero al loro dominio che non fu mai sicuro, per le continue rivolte degli ebrei.

Nel 70 d.C. le truppe dell'imperatore Tito entrarono in Gerusalemme, devastarono il tempio e la repressione fu molto feroce e spietata.

Da allora si confonde la storia degli ebrei con le parole: "diaspora" e "pogrom".

Presso i popoli dove emigrarono furono guardati con diffidenza, accusati di colpe mai commesse, visti come estranei alla società e perseguitati.

Nel 1870 il giornalista ebreo, Theodor Herzl fece nascere il "sinonismo", un movimento che cercava di riunificate gli ebrei sparsi nel mondo; così le famiglie ebraiche comprarono dagli Arabi degli appezzamenti di terra e si unirono in un popolo destinato ad aumentare con l'intensificazione della persecuzione in Europa.

Gli ebrei divennero molto potenti nel campo economico, tanto da offrire lavoro agli arabi.

Questa situazione creò tensione e sorsero dei movimenti nazionalisti arabi che, nella 2a guerra mondiale, si allearono con la Germania nazista.



















RIFLESSIONI

PROPRIO SOTTO LE FINESTRE DEL PAPA

La persecuzione e la deportazione degli ebrei ci dovrebbe far riflettere sul senso di "umanità".

Un esempio?

Il "Saint Louis" era una nave che salpò da Amburgo con 900 profughi ebrei a bordo. Erano uomini, donne e bambini che avevano ottenuto il permesso di imbarcarsi per Cuba, ma le autorità di quell'isola li respinsero.

Toccò i porti di ben 11 nazioni, ma nessuno li volle.

Alla fine la nave tornò in Germania dove tutte quelle persone furono deportate e uccise.

Un altro esempio?

Lo "struma" era una nave con 769 profughi ebrei che salparono dalla Germania, ma gli inglesi li respinsero.

La nave cercò inutilmente di attraccare in un porto turco; vagò per qualche giorno finchè, travolta da una tempesta, affondò.

In Italia il colonnello Kappler, ingannò gli ebrei, dicendogli che se avessero raccolto 50 chili d'oro in 36 ore sarebbero stati salvati.

Gli ebrei pensarono di essere al riparo, invece la polizia delle SS   il 16 ottobre 1943 circondò le case del ghetto e rastrellò uomini, donne e bambini.

Qual'era la posizione della chiesa cattolica di fronte alle deportazioni e agli stermini?

Dagli studi più recenti emerge la netta condanna del nazismo del papa Pio XI.

Al contrario il papa Pio XII fece ben poco per evitare lo sterminio degli ebrei. Recentemente, il papa Wojtyla ha chiesto scusa per i peccati commessi contro gli ebrei.

In Italia, molti preti, suore e parroci, di loro iniziativa rischiarono la vita per salvare gli ebrei.





















Insieme di testimonianze e leggi beffarde che riguardano il dramma crudo dello sterminio degli ebrei.


Testimonianze



Deportata numero 89219

Arianna Szöreny, nata a fiume nel 1933, venne arrestata nel 1944 con tutta la famiglia dai nazisti; sopravviveranno solo lei e un fratello.

Questa testimonianza è stata raccolta nel 1979 da Lidia Baccaria Rolfi


Che cosa ricordi dell'arresto?

Tutto, certi avvenimenti non si possono dimenticare, anche se fino al   momento dell'arresto non avevo mai saputo la differenza che passa fra un ebreo e un non un ebreo.

Papà e mamma erano ebrei, ma mia mamma si era fatta cattolica e noi eravamo battezzati.

Io mi preparavo per ricevere la prima comunione.

Come facevo a sapere - a undici anni - che cosa voleva dire essere ebrea? Nessuno me ne aveva mai parlato forse per non turbarmi. [.]

L'arresto allora ti colse impreparata?

Certo, ricordo, ero ancora a letto.

Due tedeschi aprirono la porta di camera mia con un calcio, urlando.

Mia madre mi disse di alzarmi e di vestirmi, così, davanti a loro; avevo vergogna. La casa era tutta piantonata da militari, fuori ci aspettavano due camion coperti da un telone. [.] ci caricarono sui camion, ci portarono a Udine, dove ci interrogarono uno per volta.

Eravamo nove: papà, mamma, cinque sorelle e due fratelli.

A papà presero tutti i soldi e l'orologio, con i miei fratelli fecero altrettanto, poi ci trasferirono nello stesso giorno alla Risiera di San Sabba, a Trieste [.]

A San Sabba sapevate che cosa stava succedendo, avrai sentito delle voci, hai visto qualcosa?

Sono rimasta soltanto sei giorni a San Sabba, vedevo quel grande camino fumare ma a me avevano detto che là bruciavano le immondizie e anche i nostri bagagli.

Di notte si sentivano grida e latrati ma erano coperti dalla musica che suonava in continuazione e ci impediva di dormire.



Una mattina, dopo sei giorni di cella, entrarono i tedeschi, fecero l'appello, ci fecero uscire dalle celle, ci portarono alla stazione e ci rinchiusero in un carro bestiame, già tanto pieno di tanta gente, tutti in silenzio perché i soldati ci terrorizzavano con grida, urla, comandi, che io non capivo e che la mamma non mi traduceva per non spaventarmi. [.]

Il viaggio fu terribile [.]

Quando vi fecero scendere dal treno, ad Auschiwitz, qualcuno fra di voi sapeva dove si trovava, a che cosa andavate incontro?

Gli altri non so, io non sapevo niente e nessuno mi aveva detto niente.

A me è parsa una liberazione scendere da quel vagone.

Mi sembrava che non mi potesse succedere niente di peggio di quel viaggio.

E poi, cosa si può pensare a undici anni?

A undici anni si vive ancora attaccati alla mamma e quando sei con la mamma credi che non ti possa succedere niente, perché lei ti protegge.

Ti dirò che al primo momento, più che spaventata, ero curiosa e guardavo quella scena come se fossi stata a teatro.[.]

A suon di frustate ci misero in fila per cinque. [.]

Ci spinsero in una baracca, ancora con i nostri bagagli.

Dal soffitto pendevano dei bocchettoni per docce.

Speravamo di poter bere, ma non credo che da quei bocchettoni sia mai uscita dell'acqua. [.]

Rammenti qualche episodio di questo periodo, qualcosa che ti ha colpita durante la tua permanenza con le donne?

Aspetta, c'è qualcosa che mi ha sconvolta, che mi ha messo all'improvviso davanti all'origine della vita.

Una notte - io non dormivo - si sentì un vociferare in fondo alla baracca, una donna venne a chiamare mia madre.

Stava per nascere un bambino.

Di bambini lei se ne intendeva, ne aveva avuti otto.

Le compagne della partoriente, delle jugoslave, fecero di tutto perché non si sentissero i vagiti del neonato, non ricordo se maschio o femmina. Canticchiavano, facevano rumore.

La mattina dopo eravamo sul piazzale dell'appello, vidi delle SS   che si esercitavano a colpire al volo un sacco che uno di loro gettava per aria.

Nel sacco c'era il neonato che, nonostante tutte le precauzioni, era stato scoperto, forse della Kapo.

Non ricordo che fine ha fatto la madre del bambino. [.]








Tu hai il numero tatuato sul braccio: ti ricordi quando te lo hanno fatto? Che cosa pensavi in quel momento?

Non ricordo bene quando fu.

So che un giorno ci portarono alla sauna, sempre la solita storia, tutte in fila. Mamma mi mise davanti a me, per farmi coraggio.

Con una specie di pennino intriso d'inchiostro mi tatuarono il numero sul braccio. Subito il braccio gonfiò e si formò una crosta, poi la crosta cadde e rimase in blu questo numero: 89219.

Ho impiegato tempo a imparare il numero in tedesco: la mamma me lo faceva ripetere, perché bisognava rispondere quando chiamavano il numero.








































"E invece siamo vivi!"

Questa pagina è tratta dal testo autobiografico "Frantumami.

Un'infanzia 1939-1948" di Binjamin Wilkomirski, nome presunto di un ebreo internato, quando era bambino, in alcuni lager nazisti.


I miei primi ricordi d'infanzia si basano soprattutto sulle immagini precise della mia memoria fotografica e sulle sensazioni - anche fisiche - che ho conservato con esse. Poi inizia il ricordo dell'udito e di cose che ho udito, anche di cose che ho pensato, e solo alla fine viene il ricordo di parole che io stesso ho detto.

"Chi non ricorda si gioca il proprio avvenire", scrisse un saggio.

Chi non ricorda da dove viene non saprà esattamente dove sta andando.

I miei ricordi più antichi assomigliano a un campo di macerie: immagini isolate e materiale di scarto.

Schegge di memoria dai contorni duri, affilati come lame, che ancora oggi a stento riesco a toccare senza ferirmi.

Disseminate spesso in maniera caotica, queste schegge solo di rado si lasciano disporre nel tempo e seguitano a resistere con ostinazione alla volontà ordinatrice dell'adulto e a sottrarsi alle leggi della logica.

E così, se voglio scrivere, devo rinunciare alla logica sistematica, alla prospettiva dell'adulto, perché altererebbe l'accaduto.

Io sono sopravvissuto, con altri bambini.

Però era stata programmata la nostra morte, non la nostra sopravvivenza!

Secondo la logica del programma e secondo le disposizioni ideate per la usa realizzazione, noi dovremmo essere morti.

E invece siamo vivi!

Siamo vivi in contrasto con la logica e con le disposizioni.



















La testimonianza di una sopravvissuta ad Auschiwitz

Questa è la testimonianza orale di Goti Bauer, ebrea nata in Ungheria e vissuta a Fiume, deportata ad Auschwitz nel 1944.


Dopo due ore di attesa ci portarono in una baracca dove ci tatuarono un numero sul braccio, ci rasarono i capelli, ci fecero spogliare, ci fecero fare una doccia e ci lasciarono così, nude, bagnate, in attesa che qualcosa avvenisse.

Poi arrivarono dei prigionieri con un mucchio di stracci e delle scarpe logore e spaiate.

A ciascuno fu dato qualche cosa, così a casaccio: a me arrivò un vestitino logoro di cotonina, mezzo stracciato, e un paio di scarpe costituito da una scarpa da uomo, e da un sandalo da donna con il tacco alto.

Così fu fatto per tutti e non avevamo neanche il permesso di scambiarci le cose tra di noi.

Non si trattava di una distribuzione causale: era fatta intenzionalmente, dopo averci tolto tutto il resto, doveva servire a toglierci anche la nostra dignità.

Così combinati fummo messi nel lager A, il lager della quarantena.

Nel mio casa la baracca 31 che era già strapiena.

C'era un triplice strato di tavolati di legno e, in quel momento di superaffollamento su ognuno di questi dovevamo sdraiarci in dieci, così stretti che bisognava che ci mettessimo su un fianco per riuscirci.

Eravamo distrutte, inebetite da quello che c'era successo e non avevamo la forza di dire o di chiedere nulla.

Soltanto il mattino dopo cercammo di sapere quando mai avremmo rivisto le nostre famiglie, come ci era stato promesso.

Sapevamo già che i campi maschili erano separati da quelli femminili, ma speravamo di poter rivedere almeno le nostre madri, le nostre sorelle.

La risposta ci venne data nella maniera più sadica, più brutale, da quella che stava a capo della baracca e che ci chiese se noi davvero credevamo di essere arrivate in un luogo di vacanza, se non sapevamo che eravamo arrivate in un campo di sterminio in un Vernichtunglager.

Ci portò in fondo a un corridoio, a una finestrella da cui si vedeva una costruzione in cemento, sovrastata da un alto camino da cui usciva un'orribile fiamma, e ci disse: "davvero credevate di rivedere le vostre madre?" guardate lì quella fiamma: se non sono state già bruciate stanotte, stanno bruciando adesso".

Nelle mie orecchie è rimasto, e per sempre, l'urlo disperato che in quella baracca si è innalzato allora in tutte le lingue d'Europa.

Perché c'erano deportate dalla Francia, dal Belgio, dall'Olanda, dall'Ungheria, dalla Polonia, dalla Grecia, perfino da Rodi, dalla Iugoslavia e da non mi ricordo più quanti altri paesi.




Testimonianza orale di Vittorio Cremisi, di famiglia ebrea, deportato ad Auschwitz nel 1944.


Da Auschwitz abbiamo fatto la marcia di evacuazione, la famosa marcia della morte: tutta la notte, tutto il giorno del mattino presto, per portarci in qualche altro campo. A un certo momento di hanno fermati: "Chi può camminare passi da questa parte, chi non può camminare sale sul camion".

Io sul camion non ci ho voluto andare, perché il camino ci portava senz'altro alla morte, ho continuato a camminare, non ce la facevo più; e allora quel poco che avevo - un pezzo di pane, un pezzo di margarina e due sigarette - gliel'ho dato ad altri prigionieri perché mi tenessero un po' sotto le braccia, per poter arrivare.

Alla fine siamo arrivati vicino a quest'altro campo [.].

Io non ne potevo più, quando loro mi hanno lasciato andare a terra, e a mano a mano che uno cadeva i tedeschi gli sparavano, li eliminavano così, per la strada.

Allora io ho fatto finta di ridere, di giocare, di cantare, di gridare, perché non mi vedessero che ero in quelle condizioni [.].






























"Immaginavamo che i provvedimenti non si sarebbero arrestati e temevamo il peggio"

Queste pagine sono tratte dalla memoria autobiografica scritta da Mario Tagliacozzo, agente di commercio ebreo romano.


Ai primi di settembre [1938] ero a Roma e qui, lontano da miei, appena tornato al mio lavoro, mi colpì come un fulmine la notizia, appresa dal giornale della sera, dei primi provvedimenti contro gli ebrei che condannavano alla perdita della cittadinanza gli stranieri che l'avevano acquistata e vietavano agli italiani gli studi e l'esercizio dell'insegnamento.

Lontano dai miei, sentii anche più duramente la gravità del momento e le lettere di Virgola e mie, pur attraverso un velo di serenità, fecero chiaramente trapelare tutte le nostre preoccupazioni ed il pensiero costante per i nostri figli.

Immaginavamo che i provvedimenti non si sarebbero arrestati a quei segni premonitori e temevamo il peggio, avendo davanti agli occhi la tremenda visione di quanto era avvenuto in Germania. [.]

Di giorno in giorno i quotidiani misero sempre più in cattiva luce gli ebrei, quasi che da un momento all'altro essi si fossero macchiati di tutti i delitti possibili e immaginabili. Questa parte del popolo italiano, che tanto poco aveva sempre dato da fare alla giustizia, sembrava quasi che da un'ora all'altra avesse accentrato in sé ogni delitto. Lasciamo stare la storiella del prefetto meridionale che chiede l'invio di ebrei nella sua provincia per poter incominciare la campagna razziale, ma è certo che dai primi di settembre i giornali di tutta la penisola ebbero un nuovo argomento da sfruttare e su di questo largamente si accanirono.

Sorse intanto il difficile problema del parlare ai ragazzi, che sino ad allora erano stati da noi all'oscuro di quanto temevamo, poiché avevamo procurato nascondere loro la gravità del momento per tenerli il più a lungo possibile lontani da ogni preoccupazione. Quando però, con i provvedimenti scolastici proprio i ragazzi vennero colpiti, non fu più possibile tacere e fu giocoforza parlare e spiegare.

Toccammo allora con i figli argomenti storici e religiosi, cosa che non avevamo mai fatta in tanti anni, per essere sempre vissuti lontano sia dall'ambiente religioso sia da ogni cerimonia o festa della nostra comunità.

A loro ignari completamente di queste tristi malvagità del mondo spiegammo quanto avveniva e quanto sarebbe potuto accadere, chiarendo le cose e nello stesso tempo procurando di non impressionarli e di non turbare i loro animi innocenti. [.]

Successivamente [alle leggi razziali] con altri decreti, e con semplici circolari, vennero emanate altre disposizioni, quasi come un silenzioso stillicidio, giacché, per lo più , i giornali non ne parlavano.

Appunto con circolari fu stabilito che gli ebrei non potevano esercitare il commercio ambulante, né avere banchi di vendita al mercato, né fare commercio di armi, libri, di oggetti usati, di ferramenta, di preziosi, non potevano vendere liquori, né gestire esercizi pubblici.

Furono sequestrate le armi ed in un secondo tempo anche la radio.



Vi furono limitazioni per località di villeggiatura, mentre gli spostamenti ed i viaggi venivano subito segnalati alle questure.

Per alcune località di villeggiatura occorrevano speciali permessi, mentre per altre vigevano divieti assoluti di permanenza (ad esempio, intorno a Roma, Ostia, Fiumicino, i Castelli).

I nomi degli ebrei furono tolti dagli elenchi telefonici, mentre non furono più permessi né i necrologi, né le inserzioni rèclamistiche sui giornali.

I negozianti dovettero togliere le loro insegna e le rèclames luminose. [.] i teatri non potevano rappresentare commedie, opere o musiche di ebrei, non potevano essere trasmesse alla radio (neppure le musiche classiche).

Gli ebrei erano esclusi altresì dal campo cinematografico.

Non potevano venire più stampate e pubblicate opere di ebrei e quelle gia stampate vennero tolte dalla circolazione.




























Testimonianza di una deportata italiana

Questa è la testimonianza orale di Bianca Organini Mori, deportata per motivi politici nel campo di concentramento di Ravensbrück in Germania con la madre, un fratello e la sorella.


Credo che sia comune a tutte noi che siamo state nel campo di sterminio di non voler ricordare quello che abbiamo vissuto lassù.

Non so se non vogliamo ricordare perché il ricordare ci fa male oppure perché pensiamo che sia praticamente inutile anche per gli altri, per il semplice motivo che gli altri non possono capire.

Chiunque può parlare, chiunque può scrivere della deportazione, ma le parole non possono esprimere chiaramente quello che noi abbiamo patito.

Perché era una sofferenza insieme fisica, psicologica, morale, una tale sofferenza.indescrivibile.

Si fa presto a dire: "Avevo fame"; si fa presto a dire: "Mi hanno picchiato"; si fa presto a dire, non so: "Ero vestita di stracci", ma quello poi che tutte queste cose comportavano psicologicamente non si può esprimere a parole e lo capisce soltanto chi con noi ha vissuto. Perché noi siamo rimaste tanto legate le una con le altre?

Forse proprio perché ci basta una parola per capirci.

Penso invece che gli altri sia difficilissimo anche solo immaginare quella che è stata per noi l'esperienza del campo.

E poi è talmente doloroso tutto quello che noi abbiamo passato!

Con il rifiuto di ricordare è quasi come se ci salvaguardassimo.

Perché quell' equilibrio psichico che noi poco per volta, con grande fatica, siamo riuscite a ottenere, si fa presto a perderlo di nuovo, ricordando.

Siccome questo lo capiamo, ci rifiutiamo di ricordare.

















Documenti vari dell'orrore:



Dalle leggi razziali ai campi di sterminio

La politica antiebraica in Italia

Dove e quando

Nel 1938 il regime fascista emanò numerosi provvedimenti e decreti, con la quale i cittadini italiani di razza ebraica vennero privati di tutti i diritti civili. Più di 30.000 ebrei persero la loro identità e l'appartenenza a quella che consideravano la loro patria, cioè l'Italia.

La politica razziale contro gli ebrei fu decisa da Mussolini per soddisfare Hitler e per imitare la violenta campagna antisemita nazista.


Chi

La campagna diffamatoria contro gli ebrei iniziò nel 1935, quando cominciarono ad apparire sulla stampa di regime vignette satiriche, apparentemente innocue, sugli ebrei. Più tardi studenti, docenti e presidi di razza ebraica furono espulsi dalle scuole italiane, fu impedito, tra l'altro, di esercitare un'attività economica, di possedere delle terre, di fare matrimoni misti, di prestare servizio militare, di spostarsi e di fare viaggi. Questi provvedimenti ebbero conseguenze pesantissime dal 1942, quando venne attuato il progetto di sterminio della razza ebraica. Mussolini si allineò alle decisioni di Hitler.

Nel 1938 gli ebrei furono prima raccolti in campi di concentramento, creati per l'occasione, in seguito furono deportati nei campi di sterminio. Più di 7.000 ebrei italiani furono uccisi nei lager tra il 1943 e il 1945.


















Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista

Regio decreto legge 5 settembre 1938-XVI, n. 1390


Art. 1. All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in   graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all'assistentato universitario, né al conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza.

Art. 2. Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.

Art. 3. A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengono ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnate i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza delle scuole elementari.

Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall'esercizio della libera docenza.
























Dati sul censimento degli ebrei

Il 22 agosto [1938] numerose centinaia di incaricati comunali si presentarono in qualche decina di migliaia di abitazioni sparse per il territorio nazionale (ma principalmente nel centro-nord) per consegnare il foglio di rilevazione. Le indagini preliminari avevano portato all'elaborazione di elenchi composti da individui che erano effettivamente "ebrei ai sensi del censimento" e da "ebrei possibili", ritenuti tali in base a documenti e informazioni di vario tipo. Il compito di chiarire l'esattezza di queste ultime - e quindi quello di inglobare o no il proprio nucleo familiare nel censimento - era lasciato alla responsabilità del capofamiglia, peraltro avvertito delle pene previste dalla legge in caso di mancata collaborazione o di risposta non veritiera. [.] i dati finali dell'ISTAT fornirono le cifre di 58.412 ebrei "di razza" e 46.656 ebrei "di appartenenza"



































Dichiarazione sulla razza

Questa legge, redatta in gran parte da Benito Mussolini, fu approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938.


Il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce:

a) Il divieto di matrimoni italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze camita, semita e altre razze non ariane. [.]

Il Gran Consiglio del Fascismo, circa l'appartenenza o meno alla razza ebraica, stabilisce quanto segue:

a) è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei;

b)    è considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da madre di nazionalità straniera;

c) non è considerato di razza ebraica colui che è nato da matrimonio misto, qualora professi altra religione all'infuori della ebraica, alla data del 1° ottobre XVI. [.]

I cittadini italiani di razza ebraica [.] non potranno:

a) essere iscritti al Partito nazionalista fascista;

b)    essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che impieghino cento o più persone;

c) essere possessori di oltre cinquanta ettari di terreno;

d) prestare servizio militare in pace e in guerra.























L'ordinanza di polizia n. 5

Ordinanza emanata dal ministro degli interni della Repubblica sociale italiana il 30 novembre 1943.


Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano e comunque residenti nel territorio nazionale, debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili o immobili, devono essere sottoposti ad immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell'interesse della RSI, la quale li destinerà in beneficio degli indigenti sinistrati delle incursioni aeree nemiche.

Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero in applicazione delle leggi razziali vigenti il riconoscimento di appartenenza a razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.

siano pertanto concentrati gli ebrei in campo di concentramento provinciale, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati.








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