"Mein Kampf"
Adolf Hitler
Il 9 novembre 1923 Hitler tenta un'insurrezione armata a Monaco per
impadronirsi del governo, ma il putsch viene sventato dalla polizia che spara
agli insorti. Hitler viene condannato a cinque anni di galera, poi ridotti a
nove mesi, e il Nsdap viene messo fuori legge. È durante la prigionia nella
fortezza di Landsberg che scrive "Mein Kampf", in cui viene teorizzata
l'ideologia nazista propria del suo partito Nsdap. In realtà il libro in sé non
introduce nulla di veramente nuovo, nessuna ideologia o concetto personalmente
elaborato, bensì raduna assieme varie teorie e pensieri di vari personaggi sia
d 939d39j ell'Ottocento che d'inizio secolo, come pure concezioni tratte dai movimenti
pangermanisti, nazional-patriottici, antisemiti e anche dai cristianesimo
integralista. Vi si trovano ispirazioni del superomismo di Nietzsche e del
misticismo e antisemitismo wagneriano, delle teorie razionali ispirate al
darwinismo sociale di Gobineau, dell'antisemitismo e del pangermanesimo di
Shöner, del misticismo del teorico Völk Paul de Lagarde, per citarne solo
alcuni. Ed è proprio con un richiamo al movimento nazional patriottico Völkisch
che ha inizio la prima parte di "Mein Kampf", "Rendiconto", con il ricordo da
parte di Hitler del paese natio, Branau sull'Inn, situato proprio al confine
tra l'Austria e la Germania;
fedele appunto all'ideologia Völkisch, sembra ad Hitler stesso un segno della
provvidenza l'essere nato alla frontiera dei due Stati tedeschi che si
proponeva di riunificare in una sola grande Germania. Il suo racconto prosegue
con la descrizione della propria infanzia, poi della morte del padre che era
impiegato statale, e del suo trasferimento a Vienna con l'intento di entrare
all'Accademia di Belle Arti. Respinto per due volte, condusse una vita precaria
lavorando saltuariamente come operaio e anche come artistoide vendendo propri
dipinti fino alla maggiore età quando poté beneficiare del lascito paterno.
Gran parte degli scorci autobiografici del "Mein Kampf" sono caratterizzati da
memoria selettiva e distorsione dei fatti, e sono volutamente oggetto di
invenzioni, omissioni ed esagerazioni che mirano a rafforzare quella che voleva
presentarsi come l'immagine profetica del prodigioso führer del popolo tedesco,
guidato dal destino nel suo onorevole compito. Dopo i quattro anni trascorsi di
stenti a Vienna, nei quali era stato sempre più vicino alla stampa
pangermanista e agli ideali tedesco-nazionali, si trasferisce a Monaco di
Baviera. Nel 1914, allo scoppio della guerra, con la speranza che ne sarebbe
sorta una grande Germania, si arruolò come volontario. Nel 1916 fu ferito ad
una gamba, per tornare poi l'anno dopo sul campo. La resa tedesca del 1918 lo
turba profondamente avendo distrutto le sue gloriose aspettative. Nel 1919 è di
nuovo a Monaco, dove, deluso ed indignato per le durissime condizioni di pace
sottoscritte a Versailles dalla Germania, si iscrive al neonato Dap. Serbò per
sempre rabbia e rancore contro i comunisti e i democratici, colpevoli a suo
dire di aver ceduto le armi a causa di una politica antinazionale e
criminosamente rinunciataria. All'interno del Dap assume man mano sempre più
potere, infiammando i suoi ascoltatori durante i suoi discorsi in una birreria
di Monaco. La grande assemblea popolare del movimento partitico avvenne il 24 febbraio 1920. In "Mein Kampf"
Hitler ricorda con orgoglio quel giorno, quando prese in mano il programma e
cominciò per la prima volta ad illustrarlo, e già sentiva che i principi del
movimento cominciavano a diffondersi nel popolo tedesco. Il programma era
organizzato in venticinque punti: era anticapitalistico, antimarxistico,
antiparlamentare, antisemita e rifiutava categoricamente le responsabilità e le
conseguenze della guerra. Gli aspetti positivi (come misure protettive per il
ceto medio) restano pressoché sul vago. Nel complesso conteneva le fondamentali
componenti della concezione nazionalsocialista: la tesi della conquista di uno
spazio vitale, l'antisemitismo, l'aspirazione totalitaria. Dopo aver cambiato
nome in Nsdap, il partito nazionalsocialista dei lavoratori finì con l'essere
di fatto comandato da Hitler che lo organizzò secondo le proprie dottrine,
peraltro non originali ma frutto di rielaborazioni sterili di teorie
preesistenti e a lui contemporanee. Le idee di fondo comuni erano sempre il
pangermanismo e l'antisemitismo, corroborato da una radicale idea di razza, per
preservare la quale il fine avrebbe giustificato ogni mezzo, anche il più
spregevole e disumano. Ne "Il movimento nazionalsocialista", la seconda parte del
"Mein Kampf" finita di scrivere nel 1926, riprendendo l'idea di de Lagarde
della nazione come entità spirituale, che tenesse unito il popolo, la porta
alle estreme conseguenze affermando prima che lo Stato nazionale può solo
conservare la razza e la sua conservazione è la sola condizione di civiltà, e
poi che lo Stato a tutti i costi deve attivarsi per mantenere pura la razza.
Qui si innestano dunque i principi dell'eugenetica, in quanto solo chi è sano
deve generare figli, e dell'antisemitismo, per cui gli ebrei, visti come
parassiti nocivi che infestano e imbastardiscono la razza ariana, andrebbero
eliminati per "difendere" la specie, il Völk germanico. Nell'ideale hitleriano la Germania, una volta
raggiunta l'unificazione di tutte le genti di razza pura che le sono proprie,
sarebbe stata in grado di dominare su tutte le altre nazioni e specie, per
natura inferiori. In sintesi l'idea fulcro del nazionalsocialismo è quella
della superiorità della razza germanica su tutte le altre. Il popolo tedesco
vide confermata con il nazionalsocialismo la possibilità di riscattare la
dignità offesa nella prima guerra mondiale e di riaffermare la supremazia
tedesca in Occidente.