I
PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA ITALIANA
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ENRICO DE NICOLA
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GIOVANNI LEONE |
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LUIGI EINAUDI
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SANDRO PERTINI
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GIOVANNI GRONCHI
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FRANCESCO COSSIGA
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ANTONIO SEGNI
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OSCAR LUIGI SCALFARO
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GIUSEPPE SARAGAT
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CARLO AZEGLIO CIAMPI
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Il 2 giugno 1946 il popolo italiano sceglieva la
nuova forma di stato: nasceva la repubblica ed il Re, Umberto II di Savoia,
accettava il responso delle urne ed andava in esilio abbandonando l'Italia
evitando così, e ciò va a suo merito personale, di creare tensioni e fratture
nel Paese. Con la partenza del
giovane Umberto se ne andava Casa Savoia, una dinastia inetta e che, nei
momenti cruciali della storia patria, aveva sempre compiuto le scelte peggiori:
dalla modalità dell'unificazione nel 1860 alla sciagurata condotta della II
Guerra Mondiale, passando per la crisi autoritaria di fine ottocento (Leggi
Umberto), la Grande
Guerra e, soprattutto, gli atteggiamenti favorevoli (leggi
Vit 737b17h t. Eman. III) ed accondiscendenti avuti nei confronti di Mussolini e del
fascismo. Il contestato
plebiscito del 2 giugno 1946 aprì una nuova fase nella storia italiana: al
Quirinale non vi era più un monarca ereditario ed a vita, ma un Presidente
democraticamente eletto con un mandato settennale con chiari e precisi limiti
temporali. Il sogno di Mazzini e
di tutti i democratici del Risorgimento si era avverato: l'Italia era diventata
una Repubblica con una Costituzione democratica redatta ed approvata da un'Assemblea Costituente liberamente eletta dal popolo
sovrano. Per poco più di dieci
giorni, nel giugno del 1946, il Presidente del Consiglio ALCIDE DE GASPERI fu anche "Capo Provvisorio dello
Stato facente funzioni" con il compito di rappresentare l'unità nazionale fino
all'elezione, da parte dell'Assemblea Costituente, di un Capo dello Stato. Come ha ricordato
l'onorevole NILDE IOTTI, una delle più giovani
costituenti, colui che avrebbe dovuto ricoprire tale carica doveva soddisfare
le tre seguenti determinanti condizioni: doveva essere gradito a tutti e tre i
grandi partiti di massa (la Democrazia Cristiana, i socialisti ed i
comunisti), che il 2 giugno avevano raccolto oltre l'85% dei voti, doveva
essere un notabile liberale che avesse espresso, prima del referendum
istituzionale, la propria preferenza per l'opzione monarchica in modo da
rassicurare gli oltre dieci milioni di elettori italiani sostenitori di Umberto
II, ed infine doveva essere di un uomo politico meridionale, in modo da controbilanciare
la forte presenza di politici settentrionali di nascita (il trentino "prestato
all'Italia" ALCIDE DE GASPERI, il piemontese PALMIRO TOGLIATTI ed il romagnolo PIETRO NENNI) o di adozione (il
siciliano-milanese UGO LA MALFA) presenti alla guida dei
principali partiti politici democratici ed antifascisti che accingevano a
confrontarsi sulla scena politica ed a guidare l'Italia nel lungo cammino della
ricostruzione morale ed economica. Inizialmente i
candidati corrispondenti alla descrizione precedentemente espressa erano due:
l'ex Presidente del Consiglio VITTORIO EMANUELE ORLANDO, sostenuto dai
democristiani e dalle destre, ed il padre del neoidealismo e del liberalismo
italiano, il filosofo Benedetto Croce, gradito alle sinistre ed ai laici. Per superare le
reciproche opposizioni e dare velocemente un Presidente, seppur provvisorio,
alla neonata Repubblica, De Gasperi, Nenni e Togliatti si accordarono sul nome
dell'ex Presidente della Camera prefascista, l'insigne giurista liberale
originario di Torre del Greco ENRICO-DE-NICOLA che ricoprì la massima carica
repubblicana dal giugno del 1946 all'inizio del 1948 quando entrò in vigore la
nuova Costituzione della Repubblica Italiana che egli stesso aveva promulgato. Successore di De
Nicola fu un altro liberale di simpatie monarchiche, ma di origini piemontesi
ed esperto di economia (fu infatti il padre del cosiddetto miracolo economico
italiano), il senatore LUIGI EINAUDI che venne eletto con i voti dei soli
partiti centristi governativi (DC, PSLI, PLI, PRI) dopo il tramonto della
candidatura del repubblicano conte Carlo Sforza, sostenuto da De Gasperi, ma
avversato dai dossettiani per le sue simpatie massoniche. LUIGI-EINAUDI fu un Presidente discreto e
competente che, nel 1953, seppe affrontare la prima grave crisi politica
italiana (fallimento della "Legge Truffa", ritiro dalle scena politica di De
Gasperi e successiva instabilità degli esecutivi) valendosi di tutti i propri
poteri costituzionali ed opponendosi ad ogni indebita interferenza di partiti
nelle funzioni presidenziali. Nel 1955 un'anomala
coalizione parlamentare comprendente la destra monarchica e missina, la
sinistra comunista e socialista ed un nutrito numero di dissidenti
democristiani (Concentrazione Democratica di Andreotti, Pella e Zoli) avversi
al segretario della DC Amintore Fanfani ed al Capo del Governo Mario Scelba,
riuscì a mandare al Quirinale il Presidente della Camera dei Deputati il
democristiano GIOVANNI-GRONCHI, definito da Palmiro Togliatti,
uno dei suoi grandi elettori, "l'uomo del Parlamento" e da Giuseppe Saragat,
uno dei suoi massimi critici, "il Peron di Pontedera" (Pontedera era la città
natale dell'esponente democristiano, N.d.A.) La presidenza Gronchi
iniziò all'insegna di una ventata di forte progressismo rappresentato dalla
fine della Guerra Fredda, da un forte sviluppo dell'industria pubblica
(soprattutto dell'ENI di Enrico Mattei, compagno di partito, grande amico e
grande sostenitore del Presidente della Repubblica), e dall'attuazione di
alcune parti della Costituzione, come ad esempio la Corte Costituzionale
ed il Consiglio Superiore della Magistratura, che fino ad allora erano state
solamente buoni propositi contenuti nella Costituzione repubblicana del 1948 a causa
dell'opposizione alla loro realizzazione da parte della stessa Democrazia
Cristiana (quell'atteggiamento che il giurista cattolico Leopoldo Elia ha
definito "ostruzionismo di maggioranza") che temeva che le opposizioni di
sinistra potessero avvantaggiarsi dalla nascita di tali istituti di garanzia
costituzionali. Purtroppo, invece, la
seconda parte della Presidenza Gronchi fu macchiata dal sangue dei cittadini
morti negli scontri con le forze dell'ordine durante le manifestazioni di
protesta contro il governo TAMBRONI, il cosiddetto Governo del Presidente
fortemente voluto e personalmente sostenuto dallo stesso Capo dello Stato
durante l'ennesima crisi ministeriale nel 1960, che aveva permesso al Movimento
Sociale Italiano di celebrare il proprio congresso a Genova, città medaglia
d'oro della Resistenza, in cambio dell'appoggio parlamentare dei neofascisti. Nonostante tale
drammatica esperienza ormai era segnata la strada della formazione dei governi
di centro-sinistra di Fanfani e di Moro con la partecipazione, prima indiretta
e poi diretta, dei socialisti di Nenni al governo del Paese. Il successore di
Gronchi fu un democristiano conservatore eletto con i voti determinanti delle
destre, ANTONIO-SEGNI, voluto dal leader democristiano
ALDO-MORO per controbilanciare l'apertura
a sinistra. Durante la crisi del
I governo Moro di centro-sinistra, nel luglio del 1964, Segni, da sempre ostile
alla partecipazione del PSI al governo del Paese, pose Moro e Nenni di fronte
ad una scelta drammatica: o si rinviavano le riforme strutturali del sistema
italiano care a Riccardo Lombardi "a data da destinarsi", oppure vi sarebbe
stato un gabinetto d'affari tecnico-burocratico appoggiato dal centro-destra
parlamentare e dalla destra economica, amministrativa e militare. Sullo sfondo,
come verrà appurato anni dopo da un'inchiesta di Eugenio Scalfari e di Lino
Jannuzzi, vi era il (fantomatico) tentativo di colpo di stato ordito dal
generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, il famoso "Piano-Solo", che prevedeva l'arresto e la
deportazione in Sardegna dei principali dirigenti dei partiti della sinistra e
dei sindacati operai e poi la restrizione dei diritti politici e civili della
popolazione. Lo stesso Quirinale
non doveva essere all'oscuro delle attività del generale De Lorenzo. Del resto
in una consultazione per il governo era la prima volta che un generale dei
carabinieri saliva al Quirinale. Moro ed i socialisti,
posti di fronte alla scelta preparata da Segni, optarono per porre fine alla
spinta propulsiva e riformatrice del centro-snistra optando per una politica
più moderata per "evitare il peggio". Forse è lecito
affermare quanto già detto dal compianto Sergio Turone: forse il "Piano Solo"
non venne applicato nei suoi aspetti più brutali e repressivi, ma l'obiettivo
prepostosi da Segni e dalle destre, ossia il bloccare l'azione riformatrice del
centro-sinistra, fu ampiamente raggiunto. In un Paese in cui era ben vivo
l'incubo della dittatura mussoliniana e lo spettro di Tambroni, bastò il "rumor
di sciabole", per costringere Moro e Nenni ad accettare le imposizioni moderate
che provenivano dal Quirinale, dalla Banca d'Italia e dal cosiddetto "Pentagono
Vaticano" (gli ecclesiastici più reazionari come il Cardinal Siri, il Cardinal
Ottaviani ed il Cardinal Oddi)! In quell'incontro,
Segni fu colpito, probabilmente dopo una accesa discussione con Saragat che lo
minacciava di denunciarlo all'Alta Corte per i precedentemente citati eventi
politici, da un ictus cerebrale che lo costrinse alle dimissioni anticipate
dopo soltanto due anni di presidenza. Lo stesso anno
divenne per la prima volta inquilino del Quirinale un esponente, benché
moderato, della sinistra italiana, il socialdemocratico GIUSEPPE-SARAGAT, colui che nel 1947 con la
scissione di Palazzo Barberini fondando il Partito Socialista dei Lavoratori
Italiani (poi PSDI) aveva indebolito il PSI e che nel 1953, dopo una sconfitta
elettorale del PSDI, aveva inveito contro "il destino cinico e baro". Saragat fu eletto con
i voti determinanti dei comunisti dopo che, a Botteghe Oscure, Luigi Longo
aveva sposato la posizione del leader dell'ala destra del PCI GIORGIO-AMENDOLA, favorevole all'esponente
socialdemocratico in nome di una utopica e fantomatica "unità della sinistra"
dal ricordo vagamente vetero frontista, a cui si era opposto Pietro Ingrao,
esponente dell'ala sinistra del PCI, favorevole al democristiano AMINTORE FANFANI, nell'ottica di un accordo con la
sinistra cattolica ex dossettiana (GIUSEPPE-DOSSETTI) contro il modello capitalista e
consumistico dominante. Il leitmotiv della
Presidenza Saragat fu la difesa del ricordo e dei valori della Resistenza e
dell'antifascismo e la preferenza ed il sostegno del Presidente per governi di
centro-sinistra. La sinistra democristiana accusò più volte Saragat di volere
una svolta presidenzialista, ma il Capo dello Stato smentì sempre tale
interpretazione del proprio operato. Sul finire del suo
mandato presidenziale attorno al Quirinale si addensò il rischio che il
Presidente potesse rimanere vittima di un rapimento ordito dalle destre e dalla
P2. Erano cominciati gli anni di piombo. Tali sospetti erano
talmente forti che, come ha ricordato di recente l'onorevole Armando Cossutta,
il Partito Comunista Italiano offrì il proprio aiuto a Saragat qualora, in caso
di grave pericolo, avesse voluto fuggire all'estero. In fin dei conti,
come ha detto lo stesso Cossutta, Saragat "pur essendo un socialista
scissionista, rimaneva pur sempre un socialista democratico". Nel 1988, in occasione della
morte dell'ex Presidente della Repubblica, su "l'Unità", il quotidiano
dell'allora PCI, GIAN-CARLO-PAJETTA commemorerà il defunto storico
avversario socialdemocratico, che negli anni '50 era stato dipinto dai
comunisti come "un servo del capitalismo vendutosi agli Stati Uniti ed alla DC
nonché traditore della classe operaia", affermando che "Oggi è morto un
Compagno". Il 24 dicembre 1971
con i voti determinanti del MSI di Giorgio Almirante, il democristiano GIOVANNI-LEONE diventava il sesto Presidente
della Repubblica italiana. La crisi economica avanzava ed il terrorismo
sembrava non dare tregua alla nazione, anzi fu proprio nel 1978, ultimo anno
della presidenza Leone, che la violenza delle Brigate Rosse raggiunse il
culmine: gli uomini dell'organizzazione della "Stella a cinque punte", con una
dinamica sorprendente e con collusioni e coperture mai del tutto accertate,
compirono un vero e proprio attacco al cuore dello Stato, rapendo il Presidente
della Democrazia Cristiana, l'onorevole ALDO MORO che, nell'intenzione di molti uomini
politici e secondo la previsione di autorevoli commentatori avrebbe dovuto
succedere a Giovanni Leone nella carica di Presidente della Repubblica per
guidare dal Quirinale l'incontro tra la
DC ed il PCI riuscendo, così, ad "allargare le basi della
democrazia" in Italia. Durante tutto il settennato Leone dimostrò di non essere
all'altezza delle sfide che il Paese stava affrontando non riuscendo a divenire
(questo secondo gli avversari) la guida morale e politica del popolo italiano. Anzi gli anni della
sua presidenza furono contrassegnati da un progressivo scollamento tra Paese
reale e Paese legale a cui né Leone, né il suo partito, la DC, seppero reagire in maniera adeguata.
Arturo Carlo Jemolo, insigne giurista laico e di tradizione azionista, affermò
che, dal punto di vista puramente giuridico, la presidenza Leone era stata
ineccepibile, anche se per la prima volta, per assecondare la volontà
democristiana di evitare il referendum a favore dell'abrogazione del divorzio,
Leone sciolse anticipatamente il Parlamento nel 1972, allontanandosi così dal
suo ruolo di garante super partes. Leone fu costretto a
dimissioni anticipate a seguito della campagna di denuncia di alcune supposte
attività finanziarie disinvolte dei suoi familiari, il famoso "Circo
Leone", portata avanti dal settimanale "L'Espresso", dai radicali di Marco
Pannella e Emma Bonino e dalla scrittrice Camilla Cederna che a riguardo della
vicenda scrisse un famoso-libro inchiesta Giovanni
Leone. Carriera di un Presidente Cominciavano ad
affiorare i primi piccoli e grandi scandali legati alla corruzione di uomini
appartenenti a partiti politici moderati e di governo: veniva alla luce quel
malaffare denunciato, in sordina, per tanti anni da comunisti come Pajetta ed
Alicata, da socialisti come Lombardi, e che porteranno ENRICO-BERLINGUER, solo pochi anni dopo, a porre-il-problema-della-"Questione-Morale" molti anni prima dell'azione
giudiziaria del dottor Di Pietro e del Pool di Milano. Con la vicenda delle
dimissioni di Giovanni Leone (liquidato da una certa stampa come il peggior
Capo dello Stato che l'Italia repubblicana abbia mai avuto) trovava conferma la
denuncia della corruzione della vita pubblica italiana avanzata già nel lontano
1958 da Arrigo Benedetti che sulle pagine de "L'Espresso" aveva censurato il
malcostume del nostro Paese al grido "Capitale corrotta, nazione infetta". Dopo l'uscita di
Leone sul Colle più alto di Roma salì un uomo politico che, per dirla con le
parole di Indro Montanelli, "profumava di pulizia", il socialista SANDRO-PERTINI, eroe della Resistenza e
dell'antifascismo che seppe essere il "Presidente di tutti gli Italiani" e
riuscì a riallacciare il legame tra cittadini ed istituzioni portando il Paese
fuori dal tunnel del terrorismo, criticando, anche, l'inefficienza della classe
politica. Fu il "più amato
dagli Italiani" perché con loro seppe condividere gioie e dolori. Ma non mancarono le
feroci critiche: di fare l'istrione, di non disdegnare la demagogia quando
rimproverava in TV pesantemente "ex cattedra" ministri, funzionari e
lo stesso Stato. Un capo dello Stato che denuncia pubblicamente l'impotenza e
l'inefficienza degli uomini dello Stato non si era mai visto. E' come se
un Papa sconfessasse i suoi cardinali e vescovi. Ben diverso fu il
settennato del democristiano FRANCESCO-COSSIGA che, dopo i primi cinque anni di
riserbo, volle "cavarsi qualche sassolino dalle scarpe" cominciando un'azione
esternatrice e distruttiva verso l'intero mondo politico. Verso la fine del suo
mandato il PDS ed altri partiti minori chiesero la messa in stato d'accusa di
Cossiga per non aver saputo rispettare il ruolo assegnatogli dalla
Costituzione. L'unico esponente del PDS contrario fu il giovane Massimo
D'Alema. Lo stesso Massimo D'Alema che, fatto curioso della storia, quasi sette
anni dopo, è stato favorito dal senatore a vita Francesco Cossiga nella corsa
alla successione di Romano Prodi per la guida del nuovo governo di
centrosinistra dopo la caduta di quello del Professore bolognese. Presidente della
Repubblica dopo Cossiga, un altro democristiano, OSCAR LUIGI SCALFARO, sul cui operato preferiamo non
esprimerci in questa sede perché esso non appartiene alla Storia, ma ancora
alla cronaca, come pure appartiene alla cronaca l'attuale Capo dello Stato, il
laico e "indipendente" CARLO AZEGLIO CIAMPI (qui ne diamo solo un profilo
professionale) ex Governatore della Banca d'Italia (1979-92), ex
Presidente del Consiglio dei Ministri (1993-94) ed ex Ministro del Tesoro e a
interim del Bilancio (1996-99), uno dei massimi artefici dell'entrata
dell'Italia e della Lira nell'Unione Monetaria e nell'Euro.
LE VOTAZIONI -
MAGGIORANZE ED ELETTORI
ENRICO DE NICOLA
(CAPO PROVVISORI DELLO STATO): 1946-1948; VOTANTI:
504, VOTI OTTENUTI: 396
(78%) al 1 Scrutinio da DC, PCI, PSIUP. LUIGI EINAUDI (PLI):
1948-1955; VOTANTI: 537, VOTI OTTENUTI: 323
(60%) al 4 Sc. da DC, PSDI, PLI, PRI. GIOVANNI GRONCHI
(DC): 1955-1962; VOTANTI: 833, VOTI OTTENUTI: 658
(78%) al 4 Sc. da DC, PCI, PSI, PNM, MSI. ANTONIO SEGNI (DC):
1962-1964; VOTANTI: 842, VOTI OTTENUTI: 443
(52%) al 9 Sc. da DC, PLI, PRI, PNM, MSI. GIUSEPPE SARAGAT
(PSDI): 1964-1971; VOTANTI: 927, VOTI OTTENUTI: 646
(69%) al 21 Sc. da DC, PCI, PSI, PSDI, PRI. GIOVANNI LEONE (DC):
1971-1978; VOTANTI: 996, VOTI OTTENUTI: 518
(52%) al 23 Sc. da DC, PLI, PRI, PNM, MSI. SANDRO PERTINI (PSI):
1978-1985; VOTANTI: 995, VOTI OTTENUTI: 832
(83%) al 16 Sc. da DC, PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, DP, Partito Radicale. FRANCESCO COSSIGA
(DC): 1985-1992; VOTANTI: 977, VOTI
OTTENUTI: 752 (76%) al 1 Sc. da DC, PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI. OSCAR LUIGI SCALFARO
(DC): 1992-1999; VOTANTI: 1002, VOTI OTTENUTI: 672 (67%)
al 16 Sc. da DC, PDS, PSI, PSDI, PLI, Lista Pannella, La Rete, Verdi. CARLO AZEGLIO CIAMPI:
1999 - in carica; VOTANTI: 990, VOTI OTTENUTI: 707
(70%) al 1 Sc. da l'ULIVO (DS, PPI, RI, Democratici, Verdi, SDI, PRI, altri),
PDCI, UDEUR, UV, SVP, POLO PER LE LIBERTÀ (FI, AN, CCD, altri).
ALCUNE CURIOSITA' SUGLI INQUILINI DEL
QUIRINALE Nelle seguenti righe
si mettono in evidenza alcune curiosità statistiche ed alcune analogie
riguardanti i Presidenti della Repubblica (si esclude il Sen. De Nicola eletto
dall'Assemblea Costituente e non dal Parlamento ai sensi dell'articolo 83 della
Costituzione della Repubblica Italiana): - la DC ha votato tutti gli 8 Capi
di Stato eletti nel periodo 1948-1992, gli eredi della DC sia nel
centrosinistra (PPI, RI, UDR, altri), sia nel centrodestra (CCD, altri) hanno
votato per C. A. Ciampi nel 1999; - DE NICOLA e CIAMPI
non hanno mai fatto parte delle assemblee elettive che compongono il Parlamento
della Repubblica italiana; - il solo EINAUDI è
stato eletto da una maggioranza del tutto omogenea alla maggioranza che
sorreggeva il governo in carica all'epoca dell'elezione Presidenziale
analizzata; - GRONCHI fu eletto
da una maggioranza eterogenea che andava dall'estrema destra all'estrema
sinistra ignorando i laici e spaccando in maniera profonda la Democrazia Cristiana; - SEGNI e LEONE
furono eletti coi voti determinanti delle opposizioni dei destra (PNM, MSI); - SARAGAT, PERTINI,
COSSIGA e SCALFARO furono eletti coi voti determinanti dell'opposizione di
sinistra; - i soli DE NICOLA,
COSSIGA e CIAMPI sono stati eletti al 1 scrutinio grazie all'accordo tra i tre
maggiori partiti dell'Assemblea Costituente (DC, PSIUP, PCI) nel caso del
Presidente DE NICOLA, grazie ad un preventivo accordo tra i partiti del governo
di pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI) e l'opposizione di sinistra (PCI), il
cosiddetto METODO DE MITA (Ciriaco De Mita era l'allora Segretario della
Democrazia Cristiana, N. d. A.) nel caso del Presidente COSSIGA; invece nel
caso del Presidente CIAMPI l'accordo tra la maggioranza di centrosinistra e
l'opposizione di centrodestra è stato il frutto della mediazione attuata dal
Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, l'onorevole Massimo D'Alema; - SEGNI, LEONE,
COSSIGA e CIAMPI erano stati già Presidenti del Consiglio dei Ministri; - 5 [GRONCHI, LEONE,
PERTINI, SCALFARO (Presidenti della Camera) e COSSIGA (Presidente del Senato)]
erano od erano stati presidenti di uno dei rami del Parlamento - [P. S. SARAGAT
era stato Presidente dell'Assemblea Costituente]; - 2 (SEGNI, SARAGAT)
erano Ministri degli Esteri in carica al momento dell'elezione al Quirinale; - nessuno dei 4
grandi leader democristiani (De Gasperi, Fanfani, Moro e Andreotti) è riuscito
a salire al Quirinale: * De Gasperi
semplicemente non volle questa carica; * Fanfani, nel 1971,
vide naufragare la sua candidatura a causa dell'opposizione del Vaticano le cui
gerarchie temevano che la candidature dell'uomo politico aretino
spaccasse la DC; * Moro fu ucciso
dalle BR, nel 1978, quando sembrava essere il più quotato tra i possibili
successori di Giovanni Leone, per poter guidare dal Quirinale il
Compromesso Storico con la DC
di Zaccagnini ed il PCI di Berlinguer; * Andreotti ha
cercato di conquistare il Quirinale alla fine della sua carriera, nel 1992, ma
la fine del CAF e del pentapartito lo hanno bloccato. Una domanda sorge
spontanea: se i 4 più importanti uomini politici di governo dell'Italia
repubblicana del periodo 1946-1992 non hanno ambito al Quirinale dopo aver
ricoperto altri importanti incarichi di partito, preferendo lottare per altre
cariche (Presidenza del Consiglio, Ministeri, Segreteria DC) non è che in
Italia, durante il periodo analizzato, i veri centri del potere non fossero
rappresentati dalla Suprema Magistratura repubblicana, ma piuttosto da altre
cariche che, all'apparenza, potevano sembrare di minore importanza? Per parafrasare
Pietro Nenni non è che "la stanza dei bottoni" non
fosse al Quirinale, ma a Palazzo Chigi" o "a
Piazza del Gesù", sede nazionale della Democrazia Cristiana? (questa domanda più
che legittima, fu teorizzata dallo stesso Nenni che aveva riferito le frasi
virgolettate, riferendosi alla Presidenza del Consiglio e non alla Presidenza
della Repubblica).