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STORIA DI P GRECO - EGIZIANI, EBREI, GRECI - TEOREMA, LEMMA

matematica



STORIA DI P GRECO


P greco è il rapporto fra una circonferenza e il proprio diametro, simbolicamente rappresentato dalla lettera greca П, interviene spesso in matematica, fisica, statistica, ingegneria, architettura, biologia, astronomia e persino nelle arti.


EGIZIANI

La più antica documentazione esistente di questo rapporto ci è stata lasciata da uno scriba egizio di nome Ahmes intorno al 1650 a.C., in quello che è noto oggi come il Papiro di Rhind. Ahmes scrisse: " Togli 1/9 a un diametro e costruisci un quadrato sulla parte che ne rimane; questo quadrato ha la stessa area del cerchio". Poiché sappiamo che l'area del cerchio è uguale a IIr , se quest'area è il quadrato di 8/9 del diametro, il testo di Ahmes implica che il rapporto della circonferenza al diametro è pari a 16 - 9 = 3,16049. Il valore implicito di Ahmes si discostava di meno dell'1 per cento dal vero valore di circa 3,141592, manifestando una precisione notevole per quel tempo. Questo risultato non ebbe però alcuna diffusione. Mille anni dopo i babilonesi e gli antichi ebrei continuavano infatti a usare il valore 3, che era molto meno esatto. Le formule contenute nel Papiro Rhind sono anche il primo caso documentato di un tentativo di "quadrare il cerchio", ossia di costruire un quadrato con la stessa area del cerchio.

Gli storici della matematica attribuiscono spesso agli egizi il valore di II= (256/81). In realtà non c'è alcuna prova diretta che gli egizi abbiano considerato II un numero costante, e tanto meno che abbiano tentato di calcolarlo. Essi furono invece certamente interessati a trovare il rapporto fra il cerchio e il quadrato , probabilmente allo scopo di misurare con precisione terreni ed edifici.




EBREI

La Bibbia ci fornisce informazioni molto chiare sul valore II raggiunto dagli antichi ebrei. Nello Antico Testamento leggiamo a proposito dell'altare costruito nel tempio di Salomone: "Poi fece il mare fuso: dieci cubiti da una sponda all'altra cioè completamente rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e una corda di trenta cubiti lo circondava all'intorno". Questo passo indica che il rapporto della circonferenza al diametro è 3; esso fu scritto probabilmente intorno al VI secolo a.C. (anche se descrive il tempio costruito nel X secolo a.C.).


GRECI

Dopo che in Egitto lo scriba Ahmes ebbe registrato le sue formulazioni, per un migliaio di anni nessuno dedicò più molte riflessioni al rapporto fra cerchi e quadrati.. Per tutto quel tempo egizi e babilonesi ritennero che la comprensione elementare del rapporto fosse sufficiente ai fini dell'agrimensura e della costruzione degli ed 252b13c ifici. Lo studio della misura del cerchio fu ripreso con rinnovato impegno nel quarto secolo a.C. dai greci. Il primo pensatore greco a tentare di trovare un rapporto definitivo fra un cerchio e un quadrato fu Anassagora di Clazomene (500-428 a.C.). La quadratura del cerchio fu uno dei problemi matematici più antichi.

Poco tempo dopo Antifonte e Brisone di Eraclea, contemporanei di Socrate (469-399 a.C.), tentarono di trovare l'area di un cerchio usando una brillante nuova idea: il principio di esaustione.

Se si prende un esagono e si raddoppiano i suoi lati trasformandolo in un dodecagono, e poi li si raddoppia ancora, e ancora, prima o poi si avrà un poligono con un numero di lati tanto grande da essersi trasformato in un cerchio. Prima Antifonte stimò l'area di un cerchio, calcolando l'area dei successivi poligoni -dal numero di lati sempre maggiore- in esso inscritti. Poi Brisone fece un secondo passo rivoluzionario, calcolando le aree di due poligoni, uno inscritto nel cerchio e l'altro ad esso circoscritto. Egli ipotizzò che l'area del cerchio dovesse essere compresa fra le aree dei due poligoni: questa fu probabilmente la prima volta che si determinò un risultato usando limiti inferiori e superiori. Un paio di secoli dopo, la sfida fu ripresa dal siracusano Archimede ( 287- 212 a.C.) uno fra i massimi pensatori della storia, straordinario matematico, fisico e inventore.

Quando rivolse la sua attenzione al cerchio, Archimede usò nei suoi calcoli i metodi di esaustione di Antifonte e Brisone. Si concentrò però sui perimetri dei due poligoni anziché sulle loro aree, trovando così un'approssimazione alla circonferenza del cerchio. La circonferenza ha infatti una lunghezza compresa tra il perimetro di un poligono inscritto e quello circoscritto ad essa. Le misure di tali perimetri si avvicinano sempre più tra loro con l'aumentare del numero dei loro lati, permettendo di restringere sempre più l'intervallo entro il quale dev'essere compresa la misura della circonferenza che si desidera trovare.


TEOREMA: La circonferenza rettificata è maggiore del perimetro di ogni poligono regolare inscritto e minore del perimetro di ciascun poligono regolare circoscritto.


Consideriamo due poligoni regolari di n lati, l'uno inscritto e l'altro circoscritto alla circonferenza e disposti in modo che i vertici del primo coincidano con i punti di tangenza del secondo.

AA'+A'B = 2·A'B = A'B'

Applicando il postulato di Archimede ed indicando ancora con a l'arco rettificato AB, si ha:

AB< a < A'B'

Moltiplicando per n i membri di queste disuguaglianze, otteniamo:

n AB < n a < n A'B'

A questo punto basta osservare che n ·AB, n·a ed n ·A'B' sono rispettivamente uguali al perimetro del poligono regolare inscritto di n lati, alla circonferenza rettificata ed al perimetro del poligono regolare circoscritto di n lati, per concludere che:

p < c < P


Con questo ho dimostrato che le classi p e P sono separate e che c ne è un elemento separatore. Adesso resta da far vedere che tale elemento separatore è unico, cioè che le due classi godono della proprietà dell'avvicinamento indefinito. Perciò premetto che


LEMMA: Prefissato ad arbitrio un segmento σ è possibile determinare un poligono regolare circoscritto ad una data circonferenza il cui lato sia minore di σ.


TEOREMA: Prefissato ad arbitrio un segmento σ, è possibile determinare due poligoni regolari, uno circoscritto ed uno inscritto in una data circonferenza, tali che la differenza dei loro perimetri sia minore di σ.


Siano p e P i perimetri di due poligoni regolari dello stesso numero n di lati, rispettivamente inscritto e circoscritto alla data circonferenza di centro O e raggio OB = r, e disposti in modo che i vertici dell'uno coincidano con i punti di tangenza dei lati dell'altro. Sia AB il lato del poligono inscritto e CD quello del poligono circoscritto.

Poiché due poligoni regolari dello stesso numero di lati sono simili, i loro perimetri stanno tra loro come i rispettivi raggi:

P : p = OC : OB

Applicando la proprietà dello scomporre otteniamo:

(P - p) : p = (OC - OB) : OB

Sappiamo che il rapporto di due grandezze non cambia quando si sostituiscono ad esse i rispettivi multipli secondo uno stesso numero; per cui possiamo scrivere:

(P - p) : p = 8 · (OC - OB) : 8 ·OB

Osserviamo ora che 8 · OB = 8r è il perimetro del quadrato circoscritto alla data circonferenza. Pertanto, per il teorema prima annunciato si ha:

p < 8 · OB

e quindi anche

P - p < 8 · (OC - OB)

D'altra parte, in un triangolo un lato è maggiore della differenza degli altri due; per cui dall'osservazione del triangolo OBC si ricava che:

OC - OB < CB

Abbiamo, dunque:

P - p < 8 · (OC - OB) < 8 · CB = 4 · CD

Per il precedente lemma si può trovare un numero tale che il lato CD del poligono regolare circoscritto di n lati minore di un qualunque segmento prefissato, per esempio sia minore di σ/4 si ha dunque:

P - p < 4 · CD < 4 · σ/4 = σ

La circonferenza rettificata è l'unico segmento maggiore del perimetro di un qualunque poligono regolare inscritto nella circonferenza e minore del perimetro di un qualsiasi poligono regolare circoscritto.


Per tale via, Archimede riuscì quindi a stabilire due valori tra cui II è compreso: (3+10/71) <II< (3+10/70). Il primo dei due valori vale 3,1408... e il secondo vale 3,1428...

Egli raddoppiò quattro volte i lati di due esagoni, ottenendo due poligoni di 96 lati, di cui calcolò i perimetri. Successivamente rese pubbliche le sue scoperte nel libro "Misura del cerchio". "La circonferenza di ogni cerchio è tripla del diametro, più una parte minore di un settimo del diametro e maggiore di dieci settantunesimi". Archimede sapeva di poter descrivere solo i limiti superiore e inferiore del rapporto, ma se si fa una media dei due valori si ottiene 3,1419, con un errore di meno di tre decimillesimi del valore reale.


ROMANI

Al culmine del loro impero (27 a.C.- 476 d.C.), i romani usarono spesso per II il valore di 3 1/8 (pur sapendo che 3 1/7 era più esatto), perché per le loro legioni era più facile usare 1/8 (che è una metà di una metà di una metà). In effetti, un trattato romano di agrimensura contiene addirittura le seguenti istruzioni per la quadratura del cerchio: "Dividi la circonferenza di un cerchio in quattro parti e prendine una come lato di un quadrato; questo quadrato avrà l'area uguale al cerchio". Ciò implica che II= 4. Conoscendo queste cose, ci sorprende che i romani abbiano potuto costruire i loro grandi monumenti.


CINESI

E' noto che la Cina fu sede di una fra le più antiche civiltà scientifiche e matematiche. Ma benchè già nel XII secolo a.C. la matematica cinese avesse raggiunto buoni livelli, i cinesi continuavano a usare nei loro calcoli il valore di II=3. Gli autentici progressi della Cina nella misurazione del cerchio si sarebbero avuti solo novecento anni dopo. Ch'ang Hong, ministro e astrologo dell'imperatore An-ti nella prima metà del II secolo d.C., prima di morire, nel 139, scrisse che il quadrato della circonferenza di un cerchio sta al quadrato del perimetro del quadrato circoscritto come 5 sta a 8.

c2:(2p)2=5:8

Usando un cerchio unitario (un cerchio con diametro pari a 1), abbiamo che II /16= 5/8, cosicchè eseguendo il calcolo troviamo che il valore implicito di II è uguale a radice di 10,cioè circa 3,165.

Pur essendo tutt'altro che esatto, il valore di radice di 10 divenne per molti anni l'approssimazione più popolare per II in tutta l'Asia. Wang Fau (229-267) adottava per II il valore di 3,156. Liu Hui, nel 263, usando il metodo di esaustione con un poligono di 3072 lati , trovò per II il valore di 3,1416.

L'astronomo del V secolo Tsu Ch'ung-chih, usando poligoni inscritti di almeno 24.576 lati, dedusse che II vale approssimativamente 355/113 (circa 3,1415929). Questo valore differisce di solo 8 milionesimi dell'1 per cento dal valore oggi accettato di 3,141592653589.Nessuno avrebbe trovato un valore più esatto per oltre mille anni.


INDIANI

Attorno al 530 d.C. un grande matematico indiano trovò un'equazione per calcolare il perimetro di un poligono di 384 lati; ne ricavò un rapporto fra circonferenza e diametro di radice di 9,8684 (= 3,1414). Scrisse che se a è uguale al lato di un poligono regolare di n lati inscritto in un cerchio di diametro unitario, e b è il lato di un poligono regolare inscritto di 2n lati, allora b = radice di [1/2-1/2 radice di (1-a )]. Questa è l'equazione usata per trovare il suo ben noto valore di II.

Il più grande matematico indiano del VII secolo, Brahmagupta calcolò i perimetri dei poligoni inscritti di 12, 24, 48 e 96 lati, ottenendo, rispettivamente, i valori di radice di 9,65, radice di 9,81, radice di 9,86, radice di 9,87. Poi fece un salto di fede supponendo che, all'approssimarsi dei poligoni al cerchio, i perimetri, e quindi il II, si sarebbero approssimati a radice di 10. Era, ovviamente, del tutto in errore. Appare strano che non si sia reso conto che le sue radici quadrate stavano convergendo verso un numero significativamente minore di 10 (in effetti il quadrato di II è solo di poco maggiore di 9,8696). La radice quadrata di 10 fu tuttavia il valore da lui adottato, e fu il valore che si diffuse dall'India all'Europa, e che fu usato nel Medioevo dai matematici di tutto il mondo, forse anche grazie al fatto che è così facile da trasmettere e da ricordare.


ARABI

Nel IX secolo, matematica e scienza stavano prosperando nelle culture islamiche, specialmente nell'attuale Iraq, dove viveva e insegnava uno dei più grandi matematici che nelle sue opere usò per il II valori di 3 1/7, radice di 10 e 62.832/20.000, attribuendo il primo ai greci e gli altri due a matematici indiani. Fatto più importante, nei suoi scritti usò le cifre indiane, successivamente note anche come arabe, compresi lo zero e la virgola dei decimali.


MEDIOEVO

Nel 1085 Alfonso VI di Castiglia strappò agli arabi la città di Toledo e, con essa, una grande biblioteca. Il sovrano promosse la traduzione latina di opere scientifiche dall'arabo, dal greco e dall'ebraico. Anche i crociati dell' XI-XIII secolo portarono in patria libri e insegnamenti. Adelardo di Bath, all'inizio del XII secolo, tradusse in latino gli Elementi di Euclide, lAlmagesto di Tolomeo, le opere di al-Khwarizmi e introdusse nell'Occidente i numeri arabi e la relativa notazione.

Nel 1202 Leonardo Pisano (Fibonacci) scrisse il Liber abaci , che contribuì alla diffusione in Europa dei numerali arabi e nel 1220, nella Practica geometriae, Fibonacci usò il valore approssimato di P di 1440/ (458 1/3) o di 864/275 (circa 3,1418). Alla metà del Quattrocento il cardinale Niccolò Cusano affermò di avere quadrato esattamente il cerchio, trovando che il rapporto della circonferenza al diametro era di 3,1423. Il suo metodo sarebbe stato in seguito dimostrato falso da Regiomontano (Johannes Muller, 1436-1476). Nel 1579 Viète usò lo sperimentato metodo di Archimede dei poligoni inscritti e circoscritti per stabilire che II era maggiore di 3,1415926535 e minore di 3,1415926537. Per ottenere questo risultato raddoppiò i lati di due esagoni sedici volte, trovando il perimetro dei poligoni, inscritto e circoscritto, di 393.216 lati ciascuno. Ma benchè il suo valore, esatto fino alla decima cifra decimale, fosse la misurazione di II più esatta ottenuta fino allora, la conquista maggiore di Viète fu quella di esprimere II usando un prodotto infinito. Questa fu, forse, la prima volta in cui si usò un prodotto infinito per descrivere qualcosa; fu anche uno dei primi passi nella successiva evoluzione della matematica verso identità trigonometriche avanzate e verso il calcolo infinitesimale. Anche tre matematici olandesi del tardo cinquecento usarono il metodo archimedeo dei poligoni per calcolare II. Nel 1585 Adriaan Anthonisz trovò che 377/120>II>333/106 (3,14167>II>3,14151). Otto anni dopo Adriaan van Roomen determinò II fino al quindicesimo decimale, usando in poligono inscritto di più di cento milioni di lati! Infine, Ludolph van Ceulen spese vari anni a calcolare II fino alla ventesima cifra decimale usando lo stesso metodo di Archimede, con la differenza che i suoi poligoni avevano più di 32 miliardi di lati ciascuno. Quando morì, nel 1610, van Ceulen aveva calcolato 35 cifre decimali, con gli stessi metodi usati dai matematici per migliaia di anni.


IL SEICENTO,SETTECENTO,OTTOCENTO

Il metodo di esaustione era troppo scomodo esagono a un cerchio, poté determinare che II è compreso fra 3,14022 e 3,14160. Usando un poligono di 96 lati, Snell riuscì a determinare il valore di II fino alla sesta cifra decimale e con un po' più di lavoro riuscì a verificare le 35 cifre decimali di per essere usato da molti altri nel tentativo di procedere oltre. Nel 1621 il matematico olandese Willebrord Snell trovò un metodo di calcolare fondato più sull'intelligenza che sulla resistenza. Mentre i suoi predecessori avevano ogni volta raddoppiato il numero dei lati di un poligono, Snell trovò un'approssimazione migliore usando lo stesso numero di lati. Semplicemente inscrivendo e circoscrivendo un van Ceulen. Christian Huygens inscrivendo semplicemente un triangolo riuscì incredibilmente a uguagliare l'approssimazione di Archimede per il valore di II; con un esagono riuscì a determinare nove cifre decimali esatte, usando i limiti 3,1415926533 e 3,1415926538.

Il matematico inglese John Wallis, contemporaneo di Huygens, affrontò in modo nuovo il problema di trovare l'area di un cerchio. L'equazione di Wallis, come quella di Viéte, è un prodotto infinito, ma ne differisce per il fatto di implicare solo operazioni razionali senza alcun bisogno di radici quadrate. Nel seicento vissero molti altri grandi matematici: Pascal, Keplero, Cavalieri, Fermat. Ognuno di loro fornì un pezzo importante alla soluzione del rompicapo e si avvicinò di un passo all'importantissima innovazione del calcolo infinitesimale.

James Gregory trovò una soluzione estremamente elegante del calcolo delle arcotangenti, che condusse poi a un metodo completamente nuovo di calcolare II: le serie di arcotangenti. Tre anni dopo che Gregory ebbe trovato questa nuova soluzione, il tedesco Leibniz scoprì indipendentemente la serie di arcotangenti. Leibniz fu uno dei padri del calcolo infinitesimale. L'altro padre fu Newton (1642-1727).

Per determinare il rapporto della circonferenza al diametro non bastavano più calcoli elementari. Il calcolo infinitesimale e le serie di arcotangenti permisero ai matematici di compiere calcoli molto più rapidi rispetto alla misurazione di poligoni; in effetti il calcolo di soli quattro termini di una delle serie di Newton dà 3,1416. Ben presto il vero problema divenne quello dell'efficienza: trovare un'equazione che convergesse su II con la massima rapidità. Alla fine del seicento, disponendo di questi nuovi strumenti, la ricerca delle cifre decimali di II fece un brusco salto in avanti. Nel 1699 Sharp trovò 72 cifre decimali; nel 1706 Machin 100 decimali; nel 1719 de Lagny calcolò 127 cifre (ma solo 112 erano corrette). Settantacinque anni dopo, Vega calcolò140 cifre.

Nel 1706 il matematico inglese William Jones decise di usare per la prima volta la lettera greca II per indicare questa costante. Lo fece in onore di Pitagora, scegliendo la lettera minuscola perché si trattava di un numero.

Poi,alla metà del settecento, rivolse per breve tempo la sua attenzione al calcolo di II uno fra i massimi e più prolifici matematici di tutti i tempi, Leonhard Euler (meglio noto come Eulero).

Eulero trovò molte formule di arcotangenti e serie per calcolare II, usò un metodo per calcolare 20 cifre decimali in una sola ora. I cacciatori di cifre continuarono a trovare un numero di cifre sempre maggiore: Callet 152 (1837), Rutherford 208 (1841), Clausen 248 (1847), Rutherford 440 (1853), Shanks 607 (1853), Shanks 707 (1873).


IL NOVECENTO

Nel 1945 D.F. Ferguson calcolò 530 cifre di II con una formula con arcotangenti. Questo risultato fu il frutto di un intero anno di lavoro con carta e penna, al ritmo medio di poco più di una cifra al giorno. Nel 1947 Ferguson, con l'aiuto di una delle prime calcolatrici da tavolo, aveva trovato 808 cifre di II. Nel 1948 Smith e Wrench trovarono la millesima cifra decimale di II. Nel 1949 G. Reitwiesner, J. von Neumann e N.C. Metropolis usarono il computer per calcolare 2037 cifre di II. Questo calcolo richiese solo settanta ore con una media di una cifra ogni due minuti. Con l'avvento dei computer elettronici, nel 1954, si potè calcolare 3089 cifre in soli tredici minuti. Nel 1958 le prime 704 cifre in soli 40 secondi., Le prime 10.000 cifre in un'ora e quaranta minuti. Nel 1961 furono trovate 100.265.

Kanada e Takahashi hanno calcolato e verificato più di 51 miliardi di cifre decimali di II, ma il record mondiale aggiornato al 15/05/05 è di 206.158.430.000 cifre dopo la virgola

Il fatto di conoscere un numero di cifre di II sempre maggiore non è di alcuna utilità in nessuna applicazione concreta che non sia quella di mettere alla prova un nuovo computer.


П: UN NUMERO AFFASCINANTE

I tentativi di comprendere la natura del II ha impegnato moltissimi matematici. Uno degli sviluppi più importanti fu la dimostrazione che II era un numero irrazionale, dimostrazione fornita nel 1767 da J.H. Lambert (1728-1777). Gli irrazionali sono quei numeri reali che non possono essere scritti come quoziente di due numeri interi, cioè non sono numeri frazionari. E' abbastanza semplice mostrare che numeri come radice di 2 o radice di 3 sono irrazionali, ma si dovette attendere Lambert nel diciottesimo secolo per avere la dimostrazione dell'appartenenza di II a tale categoria. La sua scoperta assume un'importanza particolare se si pensa al fatto che i numeri razionali (le frazioni) hanno uno sviluppo decimale che può essere finito o periodico; cioè le cifre decimali o finiscono a un certo punto, o sono seguite solo da zeri, o mostrano una continua ripetizione di un certo blocco di numeri. Ora, se II fosse razionale dovrebbe mostrare uno di questi due comportamenti, e quindi prima o poi si dovrebbe determinarne definitivamente lo sviluppo decimale. Dimostrando che II era irrazionale Lambert garantiva invece che il computo dei suoi decimali non avrebbe mai avuto fine. Come se non bastasse, nel 1882 F. Lindemann dimostrò che II non solo era irrazionale, ma anche trascendente. Un numero si dice trascendente se non è algebrico: se non è soluzione, cioè, di nessuna equazione polinomiale a coefficienti interi. Un punto fondamentale è che nessun numero trascendente può essere costruito con riga e compasso. Il merito di Lindemann fu dimostrare che II è un numero trascendente. In altre parole, II non è algebrico e perciò non è neppure costruibile. La scoperta di Lindemann dimostrò anche che la quadratura del cerchio, un problema che aveva occupato i matematici dall'epoca di Ippocrate fino ai tempi moderni, era una causa persa. La riga e il compasso, da soli, sono insufficienti a trasformare i cerchi in quadrati.

Le cifre di II si susseguono all'infinito in un fiume che appare del tutto casuale. Al di là del gusto di stabilire un certo tipo di record, potrebbe sembrare che il tentativo di calcolare milioni di posti decimali del numero sia del tutto ozioso. Trentanove cifre di II sono sufficienti per calcolare la circonferenza di un cerchio che racchiuda l'intero universo noto, con un errore non superiore al raggio di un atomo di idrogeno. E' difficile immaginare situazioni fisiche che richiedano un numero maggiore di cifre. E allora perché matematici ed esperti di calcolatori non si accontentano, diciamo delle prime 50 cifre decimali di II ? Si possono dare diverse risposte. Una è che il calcolo di II è diventato una sorta di parametro per l'elaborazione: serve come misura della raffinatezza e dell'affidabilità dei calcolatori che lo effettuano. Inoltre, la ricerca di valori sempre più precisi di II porta i matematici a scoprire risvolti inattesi e interessanti della teoria dei numeri. Un'altra motivazione, più sincera, è semplicemente l'esistenza di II : "perché c'è". In effetti, II è un tema fisso della cultura matematica da più di due millenni e mezzo. Per di più, esiste sempre la possibilità che questi calcoli servano a gettar luce su alcuni dei misteri che circondano II, una costante universale ancora non ben conosciuta nonostante la sua natura relativamente elementare.

Questo lungo viaggio matematico alla scoperta del II ha avuto inizio da un breve trattato scritto 2225 anni fa dall'insuperato Archimede di Siracusa: "La misura del cerchio".




IL PROBLEMA DELLA QUADRATURA DEL CERCHIO

Sicuramente tutti avranno sentito parlare della cosiddetta quadratura del cerchio, ovvero la costruzione di un quadrato avente area uguale a quella di un cerchio di raggio unitario, il che in modo ovvio si riconduce alla costruzione di un segmento lungo pi greco volte l'unità.
I matematici greci si accanirono per ottenere qualche risultato che non arrivò mai, ed è interessante notare come questi sforzi per raggiungere l'impossibile fanno parte del carattere di questo grande popolo, che del resto avvicinava molto la matematica alla filosofia, cosicchè la prima rifletteva dalla seconda una certa ansia ideale.
Per molti secoli ancora questo tipo i problemi furono analizzati con il medesimo tipo di approccio finché, dal 1600 in poi, si cominciò a mettere in crisi le strade battute in passato, e in tal modo si arrivò all'idea fondamentalmente nuova: non cercare la soluzione a questi problemi, ma dimostrare l'impossibilità di arrivare ad una soluzione. Il problema stimolò la curiosità e l'interesse di molti matematici, ma soltanto nel 1882 Lindenmann (1852-1939) dimostrò, utilizzando strumenti algebrici, l'impossibilità di quadrare un cerchio. Il rapporto tra circonferenza e diametro di un cerchio è un numero trascendente. Il primo a studiare a fondo la questione delle quadrature fu Ippocrate di Chio (460-380 a.C. circa); egli conosceva i concetti di congruenza, di similitudine, il teorema di Pitagora e vari tipi di costruzioni geometriche. In particolare Ippocrate studiò le lunule, e riuscì ad effettuare la quadratura di molti tipi di tali figure: la ricerca della quadratura anche del cerchio lo portò alla costruzione di tutte le lunule possibili ed immaginabili. Ippia, intorno al 420 a.C., scoprì una curva, la quadratrice, o anche trisettrice, per mezzo della quale era possibile quadrare un cerchio (non però con riga e compasso), e dividere un angolo in tre parti uguali. Dinostrato, intorno al 350 a.C., fece uso della scoperta di Ippia per ottenere la quadratura del cerchio.

Ma un contributo notevole a queste dimostrazioni lo si deve anche a Cartesio: i matematici si accorsero presto che la geometria cartesiana (o analitica) aveva fondamentali analogie con quella classica euclidea, e che ogni problema geometrico di costruzioni con riga e compasso poteva essere ricondotto a un ben definito sistema di equazioni algebriche. Da lì alle dimostrazioni il passo fu breve.
Ci vollero ben 2200 anni perché l'italiano Ruffini, il genio norvegese Abel e altri insigni matematici dei secoli XVII e XVIII potessero arrivare a questi risultati, ma non per questo si pensi che gli sforzi precedenti siano stati inutili: brillanti successi furono ottenuti sotto altri aspetti, anche se questa età, giustamente definita eroica, non ebbe la soddisfazione di riuscire nel suo obiettivo immediato.













LE PRIME 2000 CIFRE DI II













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