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LA GENETICA MENDELIANA - Genotipo e fenotipo

medicina



LA GENETICA MENDELIANA



Genotipo e fenotipo

Le caratteristiche di un individuo trasmesse da una generazione all'altra sono talora definite caratteristiche ereditarie (o caratteri). Queste caratteristiche sono sotto il controllo di tratti di DNA chiamati geni (o fattori).

La costituzione genetica di un organismo è definita genotipo e le caratteristiche visibili di un organismo, determinate dal genotipo in associazione con l'ambiente, sono chiamate fenotipo.

I geni determinano solo la possibilità di realizzarsi di una particolare caratteristica fenotipica. Il modo in cui questa capacità potenziale viene sviluppata dipende sia dalle interazioni con altri geni e i loro prodotti, sia in molti casi da influenze ambientali e da eventi che si verificano casualmente durante lo sviluppo. Benché il fenotipo sia il risultato di un'interazione tra geni e ambiente, il contributo dell'ambiente è variabile: in alcuni casi l'influenza dell'ambiente è grande, in altri il contributo è nullo.





Il piano sperimentale di Mendel

Nel 1854 G. J. Mendel cominciò una serie di incroci sperimentali con il pisello da orto (Pisum sativum), per comprendere i meccanismi dell'ereditarietà.

In base ai risultati ottenuti Dagli incroci tra piante di pisello che manifestavano caratteristiche differenti, Mendel sviluppò una teoria semplice per spiegare la trasmissione delle caratteristiche ereditarie da una generazione all'altra (da ricordare che a quel tempo non si conoscevano ancora la mitosi e la meiosi).

Nei suoi primi esperimenti di incrocio seguì l'approccio più semplice, vale a dire l'analisi dell'ereditarietà di un carattere alla volta. In generale, gli incroci genetici vengono eseguiti nel modo seguente: a due individui diploidi che differiscono nel fenotipo vengono lasciati produrre gameti aploidi attraverso la meiosi; la fusione dei gameti maschili e femminili produce degli zigoti da cui derivano gli individui diploidi della progenie. L'analisi dei fenotipi dei figli fornisce delle indicazioni sull'ereditarietà dei fenotipi stessi.

Il pisello normalmente si riproduce per auto-fecondazione, cioè le antere all'estremità dello stame producono il polline (microspora che forma il gametofito maschile), che si deposita sul pistillo (che contiene i gameti femminili) entro lo stesso fiore e feconda la pianta (meccanismo detto selfing).

Fortunatamente, Mendel riuscì a impedire l'auto-fecondazione, rimuovendo prima della produzione del polline maturo gli stami dal germoglio del fiore in sviluppo. Quindi, prelevò il polline dagli stami di un altro fiore e lo sparse sul pistillo del fiore emasculato, per effettuare la fecondazione.

La fecondazione incrociata (o incrocio) è la fusione dei gameti maschili (polline) di un organismo con i gameti femminili (cellule uovo) di un altro. Una volta avvenuta la fecondazione incrociata, lo zigote si sviluppa in semi (piselli), che poi vengono piantati per analizzarne successivamente i fenotipi delle piante che ne derivano.

Mendel si procurò 34 varietà di piante di pisello che differivano per un certo numero di caratteri. Lasciò autofecondare ogni varietà per molte generazioni, per essere sicuro che i caratteri che voleva studiare fossero ereditari. Questo lavoro preliminare gli diede la sicurezza di lavorare solo con varietà in cui il carattere studiato rimaneva immutato dai genitori ai figli per molte generazioni. Tali varietà sono chiamate linee pure.

Successivamente Mendel selezionò sette caratteri da studiare negli incroci, dove ogni caratteristica si presentava in due forme alternative facilmente distinguibili (fenotipi).





Incroci monoibridi e il principio mendeliano della segregazione

Innanzitutto chiariamo la terminologia usata negli incroci:

la generazione parentale è chiamata generazione P;

la progenie dell'incrocio P è chiamata generazione F1 (o prima generazione filiale);

la generazione prodotta incrociando tra loro gli individui della F1 è chiamata F2;

l'incrocio tra loro dei figli di ogni generazione produrrà le generazioni F3, F4, ecc.

Mendel per prima cosa effettuò degli incroci tra linee pure di pisello, che differivano per un singolo carattere, chiamati per l'appunto incroci monoibridi. Impollinando piante di pisello, che davano origine solo a semi lisci, con polline proveniente da una linea pura che produceva semi rugosi, si otteneva una progenie costituita tutta di semi lisci. Lo stesso risultato fu ottenuto scambiando i genitori: cioè quando il polline proveniente da una pianta a semi lisci venne utilizzato per impollinare una pianta di pisello che dava semi rugosi fu ottenuta una progenie costituita tutta di semi lisci. Gli incroci eseguiti in entrambi i modi vengono definiti incroci reciproci.

Se i risultati degli incroci reciproci sono gli stessi, questo significa che il carattere non dipende dal sesso dell'organismo che lo trasmette. Relativamente a questo carattere i semi erano esattamente simili a uno solo dei due genitori, piuttosto che essere una miscela di entrambi i fenotipi parentali.

Il fatto che tutti i figli di genitori appartenenti a linee pure sono simili tra loro viene talvolta definito come principio dell'uniformità nella F1. Successivamente, Mendel piantò questi semi e lasciò autofecondare le piante della F1 per produrre i semi F2. Nella generazione F2 comparvero semi sia lisci che rugosi, entro lo stesso baccello. Mendel contò il numero di ogni tipo e trovò che 5.474 semi erano lisci e 1,850 erano rugosi. Il rapporto calcolato tra lisci e rugosi era di 2,96:1, molto vicino a un rapporto di 3:1.

Mendel osservò che, benché la F1 manifestasse un fenotipo simile a quello di uno dei due genitori, non era una linea pura, fatto questo che distingueva la F1 dal genitore a cui assomigliava. La progenie F1, inoltre, produceva una progenie F2 di cui una parte manifestava la caratteristica fenotipica parentale scomparsa alla generazione F1. Mendel concluse che le forme alternative del carattere analizzato nell'incrocio erano determinate da fattori particellari. Egli pensò che questi fattori, trasmessi dai genitori alla progenie attraverso i gameti, portassero l'informazione ereditaria. Dall'esame di coppie di caratteri pensò che ogni fattore esistesse in forme alternative, che noi oggi chiamiamo alleli.

Mendel, inoltre, pensò che una linea pura dovesse contenere una coppia di fattori identici. Dato che la F2 manifestava entrambi i caratteri, mentre solo una appariva alla F1, ogni individuo della F1 doveva contenere entrambi i fattori, uno per ciascuno dei caratteri alternativi. Inoltre, poiché solo uno dei caratteri era visibile alla F1, l'espressione del carattere mancante doveva essere mascherata dal carattere visibile; questa proprietà è chiamata dominanza.

Nel caso dell'incrocio liscio × rugoso, i semi della F1 erano tutti lisci; perciò l'allele che determina la forma liscia maschera, o è dominante sull'allele che determina la forma rugosa. Al contrario, il rugoso è definito recessivo rispetto al liscio, perché il fattore che determina il carattere rugoso è mascherato.

Organismi appartenenti a linee pure che contengono due coppie della stesso specifico allele di un dato gene, si definiscono omozigoti relativamente a quel gene. Quando le piante alla meiosi producono i gameti, ogni gamete contiene solo una coppia del gene (un allele) e quando i gameti si fondono durante il processo di fecondazione, lo zigote risultante contiene un fattore di un fenotipo e un fattore dell'altro. Piante che possiedono due alleli diversi di uno specifico gene sono definite eterozigoti.

Tutte le possibili combinazioni genetiche alla F1 sono rappresentate nella matrice chiamata quadrato di Punnett. Queste combinazioni danno origine agli zigoti che costituiscono la generazione F2. Alla F2 vengono prodotti tre tipi di genotipi: SS, Ss e ss. In conseguenza della fusione casuale dei gameti, la proporzione relativa di questi zigoti è 1:2:1, rispettivamente. D'altra parte, dato che il fattore S è dominante sul fattore s, i semi sia SS che Ss sono lisci e quindi i semi della generazione F2 mostrano un rapporto fenotipica "semi lisci : semi rugosi" di 3:1.

Principio della segregazione

In base alle sue scoperte, Mendel propose quella che è conosciuta come la sua prima legge, ovvero il principio della segregazione che afferma che i caratteri recessivi, mascherati alla F1 di un incrocio tra due linee pure, ricompaiono alla F2 in proporzioni definite.

Questo significa che i due membri di una coppia genica (alleli) segregano (cioè si separano) l'uno dall'altro durante la formazione dei gameti. Come risultato, metà dei gameti porta un allele e l'altra metà porta l'altro allele. In altre parole, ciascun gamete porta solo un singolo allele di ogni gene.

La progenie viene prodotta mediante combinazione casuale dei gameti prodotti dai due genitori.

Nel proporre il suo principio, Mendel operò una distinzione tra i fattori (geni) che determinano i caratteri (il genotipo) e i caratteri stessi (il fenotipo). È noto che i geni stanno sui cromosomi e la localizzazione specifica di un gene su un cromosoma è definita locus (o locus genico).

Inoltre, la prima legge di Mendel stabilisce che i membri di una coppia di alleli si separano durante la meiosi e che ogni figlio riceve da ciascun genitore solo un allele; quindi la segregazione dei geni va di pari passo con la separazione delle paia di cromosomi omologhi all'anafase I della meiosi.


Conferma del principio della segregazione: l'uso dei reincroci

In primo luogo, per confermare la correttezza dei suoi risultati, Mendel continuò le autofecondazioni ad ogni generazione fino alla generazione F6 e trovò che ad ogni generazione si ritrovavano i caratteri dominanti e recessivi. Concluse che il principio della segregazione era valido indipendentemente dal numero delle generazioni implicate.

In secondo luogo, per confermare la presenza di fattori segreganti responsabili dei fenotipi liscio e rugoso, Mendel lasciò autofecondare le piante F2. Come atteso, le piante prodotte dai semi rugosi erano linee pure, a conferma della sua conclusione che fossero omozigoti per il fattore (gene) s. L'autofecondazione delle piante derivate dai semi lisci della F2 produsse due diversi tipi di progenie: 1/3 dei semi lisci della F2 (quelli con genotipo SS) generò una progenie tutta a semi lisci, mentre gli altri 2/3 (quelli con genotipo Ss) diedero semi sia lisci sia rugosi in ogni baccello, nel rapporto di 3 lisci : 1 rugoso. I semi SS danno origine a linee pure, mentre i semi Ss producono piante che si comportano esattamente come le piante F1 autofecondate, in quanto producono una progenie con un rapporto liscio : rugoso di 3:1.

Mendel spiegò questi risultati, proponendo che ogni pianta contenesse due fattori e ogni gamete uno solo; inoltre, che la combinazione casuale dei gameti generasse una progenie nelle proporzioni osservate.

In terzo luogo, per accertare il genotipo sconosciuto di un organismo è l'effettuare un reincrocio di prova (o testcross), cioè un incrocio tra un individuo di genotipo ignoto (che generalmente manifesta il fenotipo dominante) e un individuo omozigote recessivo.

Possiamo prevedere il risultato di un reincrocio delle piante F2 che manifestano il fenotipo dominante seme liscio. Se le piante della F2 sono omozigoti SS, allora dal reincrocio con una pianta ss si avranno semi tutti lisci. In pratica, se una pianta con il carattere dominante viene reincrociata e la progenie mostra solo il fenotipo dominante, la pianta deve essere omozigote per l'allele dominante. Al contrario, le piante della F2 eterozigoti Ss reincrociata con una pianta omozigote r 656f55g ecessiva ss danno un rapporto di 1:1 tra fenotipi dominanti e recessivi. In pratica, se la pianta con il carattere dominante viene reincrociata e la progenie mostra un rapporto di 1:1 tra i fenotipi dominanti e recessivi, allora la pianta deve essere eterozigote.

In sintesi, i reincroci della progenie F2 degli incroci di Mendel che manifestano il fenotipo dominante, diedero un rapporto di 1:2 tra genotipi omozigoti dominanti e genotipi eterozigoti nella progenie F2.






Incroci di diibridi e il principio dell'assortimento indipendente

Mendel effettuò una serie di incroci in cui erano implicate contemporaneamente due coppie di caratteri. In tutti i casi ottenne sempre gli stessi risultati. In base a questi esperimenti, propose la sua seconda legge, ovvero il principio dell'assortimento indipendente che stabilisce che i fattori che controllano caratteri diversi si distribuiscono in modo indipendente gli uni dagli altri. In termini moderni significa che geni situati su cromosomi diversi si comportano in modo indipendente durante la produzione dei gameti.

Consideriamo un esempio che riguarda i caratteri del seme, liscio (S), rugoso (s), giallo (Y) e verde (y), dove il carattere liscio è dominante sul rugoso e quello giallo sul verde. Quando Mendel incrociò piante appartenenti a linee pure liscio/giallo (SS YY) con piante rugoso/verde (ss yy), ottenne che tutti i semi della F1 erano lisci e gialli, come previsto dai risultati dei monoibridi.

La generazione F1 è eterozigote per due paia di alleli a due loci diversi. Tali individui sono chiamati diibridi e un incrocio tra due di questi diibridi uguali è definito incrocio di diibridi.

Quando Mendel autofecondò le piante diibride F1, prese in considerazione due possibili risultati:

I)   che i geni che controllano i caratteri venissero trasmessi insieme dai genitori alla progenie, con un rapporto fenotipica di 3:1 tra lisci-gialli e rugosi-verdi;

II) che i caratteri venissero ereditati indipendentemente l'uno dall'altro.

In quest'ultimo caso, la F1 diibrida produrrebbe quattro tipi di gameti, S Y, S y, s Y e s y. Data l'indipendenza dei due geni, è atteso che ogni tipo gametico abbia la stessa frequenza.

Negli incroci F1 × F1 è atteso che i quattro tipi di gameti si uniscano a caso in tutte le possibili combinazioni. In un incrocio di diibridi sono possibili 16 combinazioni gametiche, dove nove sono i diversi genotipi, ma, a causa della dominanza, sono previsti solo quattro fenotipi:



S Y

S y

s Y

s y

S Y

SS YY

SS Yy

Ss YY

Ss Yy

S y

SS Yy

SS yy

Ss Yy

Ss yy

s Y

Ss YY

Ss Yy

ss YY

ss Yy

s y

Ss Yy

Ss yy

ss Yy

ss yy

9/16 semi lisci-gialli

3/16 semi lisci-verdi

3/16 semi rugosi-gialli

1/16 semi rugosi-verdi


In base alle leggi della probabilità, se coppie di caratteri vengono ereditate indipendentemente in un di ibrido, allora la F2 mostrerà un rapporto di 9:3:3:1 tra le quattro possibili classi fenotipiche.

Per Mendel questo risultato indicava che i fattori (geni), che determinavano le diverse e specifiche paia di caratteri in questione, venivano trasmessi in modo indipendente e rifiutò quindi la possibilità che i due caratteri venissero ereditati insieme.



Incroci di triibridi

Mendel confermò le sue leggi anche per la segregazione di tre caratteri. Tali incroci vengono definiti incroci di triibridi. In questo caso le frequenze genotipiche e fenotipiche alla F2 vengono previste esattamente con la stessa logica dell'assortimento indipendente.

Le combinazioni degli otto gameti materni con gli otto gameti paterni sono 64. Da queste combinazioni si originano 27 genotipi diversi e otto fenotipi diversi alla F2, dove il rapporto fenotipico è di 27:9:9:9:3:3:3:1.

In definitiva, la regola generale è che vi sono alla F2 2 n classi fenotipiche e 3 n classi genotipiche, dove "n" è il numero di coppie alleliche in eterozigoti che si distribuiscono in modo indipendente.


TEORIA CROMOSOMICA DELL'EREDITARIETA'



Mitosi

La divisione mitotica dura alcune ore e si divide in 4 stadi: Profase, Metafase, Anafase, Telofase.

In "profase" le tubuline costruite in G2, danno luogo a una serie di microtubuli che si dispongono a formare un fuso (detto mitotico) attorno al nucleo. All'interno del nucleo i filamenti di cromatina si vanno condensando, spiralizzando; ciascuno dà luogo ad un cromosoma.

Dato che il DNA si è duplicato, i cromosomi risultano costituiti ciascuno da due filamenti paralleli di cromatina condensata, detti cromatidi, uniti in un punto detto centromero che divide il cromosoma in due bracci spesso ripiegati.

Questo processo di condensazione sembra coinvolgere sia proteine non istoniche, appartenenti al gruppo delle cosiddette SMC (proteine stabilizzatrici dei minicromosomi), sia la fosforillazione dell'istone H1.

Verso la fine della profase, quando i cromosomi sono già relativamente spiralizzati, i nucleoli si disintegrano, disperdendo la loro componente granulare e condensando quella fibrillare.

Si disintegra, infine, anche l'involucro nucleare, i cui filamenti in parte si mescolano con il reticolo ruvido e in parte si addossano ai cromosomi e alle fibre del fuso.

In "metafase" i cromosomi si legano per il centromero alle fibre del fuso e si dispongono sul piano equatoriale della cellula, normalmente all'asse del fuso mitotico, ai cui apici si trovano corpicioli puntiformi detti cetrioli. A questo stadio, i cromosomi raggiungono il loro massimo grado di spiralizzazione.

Successivamente il centromero si scinde longitudinalmente in due parti, ciascuna delle quali contiene il cinetocrone di un cromatidio.

Alla metafase segue lo stadio di "anafase", che viene a sua volta distinta in due stadi.

Nel primo, detto anafase A, i cinetocroni dei cromatidi di ciascun cromosoma sembrano venir "tirati", verso i cetrioli opposti, dalle fibre cromosomiche. Il materiale nucleare si va, così, suddividendo in due gruppi di cromatidi, uguali fra loro.

Nello stadio successivo, detto anafase B, il movimento dei due cromatidi verso i poli opposti è accompagnato dall'allontanamento dei due poli cellulari a seguito dell'apparente allungamento delle fibre del fuso mantellare.

Lo spostamento dei cromosomi durante l'anafase dipende da due meccanismi:

l'uno che comporta la depolimerizzazione dei microtubuli del fuso centrale;

l'altro causato dall'azione motrice di alcune proteine localizzate nel cinetocrone.

I cromosomi si legano ai microtubuli mediante la Dineina, che tende a trascinarli verso il polo del fuso, e a due proteine del gruppo delle Chinesine (la CENP-E e l'MCAK), che li trascinano verso l'estremità "+" dei microtubuli stessi.

All'inizio dell'anafase A, l'MCAK raggiunge l'estremità "+" provocando una rapida depolimerizzazione dei microtubuli.

I cromosomi seguono l'accorciamento dei microtubuli cromosomici grazie all'azione traente della CENP-E, che rimane attaccata alla cromatina del centromero e ai microtubuli cromosomici per tutta la durata della mitosi.

A questo processo, durante l'anafase B, si aggiunge l'allungamento dei microtubuli del fuso mantellare che fanno allontanare progressivamente i due poli del fuso. Questo allungamento dipende da uno scivolamento reciproco dei microtubuli provenienti dai poli opposti.

Infine, in "telofase" i due gruppi di cromatidi sono totalmente separati fra loro e situati ciascuno a metà strada fra l'equatore e uno dei due poli cellulari.

I cromatidi (ormai da considerare come cromosomi figli) si vanno despiralizzando, ripristinando il nucleolo.

Successivamente si ricostruisce la lamina fibrosa attorno a ciascuno dei due gruppi di cromosomi figli e attorno alla lamina aderiscono vescicole che, fondendosi, ricostruiscono l'involucro nucleare.

Nel citoplasma iniziano i processi di "citodieresi": a livello dell'equatore della cellula si forma un anello contrattile (contractile ring) costituito da filamenti di actina e di miosina; questi, interagendo tra loro, provocano un fenomeno di contrazione che induce la strozzatura del citoplasma.

In conseguenza dell'azione dell'anello contrattile la membrana plasmatica si introflette e gradualmente avanza verso il centro della cellula, dove incontra le pieghe provenienti dal lato opposto con le quali si salda.

La cellula telofasica si divide così in due cellule figlie di uguali dimensioni, ognuna munita di un proprio nucleo e di propri organuli citoplasmatici.

Con la mitosi si producono cellule geneticamente identiche fra loro e alla cellula madre: il processo è quindi altamente «conservativo».

Infine, cellule geneticamente identiche formano, per divisione multipla, i cosiddetti cloni.



Significato genetico della meiosi

Le mutazioni sono cambiamenti che si verificano nel DNA di un organismo.

Sono eventi casuali e il loro successo dipende dalla selezione naturale che favorisce la propagazione soltanto di quelle favorevoli, ovvero le mutazioni che rendono gli individui più adatti al loro ambiente di vita.

Si ritiene che le mutazioni siano il principale "motore" dell'evoluzione.

Le mutazioni sono eventi rari: si calcola che ne insorga una ogni 10.000-1.000.000 di cellule.

È statisticamente improbabile che una cellula accumuli più di una mutazione. Con la divisione mitotica, altamente conservativa, occorrono varie generazioni perché una seconda mutazione abbia luogo nella stessa linea cellulare.

Dal punto di vista evolutivo, la mitosi è quindi un evento poco utile per assicurare l'accumulo di mutazioni. La vasta e rapida fioritura evolutiva degli organismi pluricellulari si deve a un diverso tipo di divisione, quella chiamata divisione meiotica

Mediante la riproduzione sessuale, un nuovo organismo prende origine dalla fusione di due cellule appartenenti a individui diversi. Le cellule che si fondono prendono il nome di gameti

Il gamete maschile è lo spermatozoo (o spermio), una piccola cellula mobile; quello femminile è l'uovo, cellula spesso di grande volume in quanto ricca di materiali di riserva.

L'unione dello spermio con l'uovo si dice fecondazione e l'uovo fecondato è detto zigote, in cui sono riuniti i genomi materno e paterno.

I gameti, mediante la divisione meiotica, ereditano un corredo apolide, costituito dalla metà dei cromosomi del corredo diploide. Due gameti apolidi che si fondono ricostituiscono, quindi, nello zigote, un corredo diploide.

La meiosi porta alla formazione, a partire da cellule diploide, di gameti apolidi.

Questo non è però il solo risultato della meiosi. Nel corso della divisione, infatti, si attua un ampio rimescolamento del patrimonio genetico fra i cromosomi di ciascuna coppia di omologhi. Questo rimescolamento è noto con il nome di crossing-over. Ne deriva che i gameti prodotti dalla meiosi non sono mai geneticamente identici fra loro e danno luogo a zigoti che presentano un'ampia variabilità genetica, anche rispetto ai genitori.



Meiosi

La «profase I» inizia con il "leptotene", caratterizzato dalla spiralizzazione della cromatina che si raccoglie in cromosomi filamentosi. I cromosomi leptotenici sono costituiti, ciascuno, da due cromatidi; nel loro decorso si notano granulazioni di eterocromatina (i cromomeri

Nello stadio di "zigotene", i cromosomi omologhi iniziano ad appaiarsi punto per punto, come i due elementi di una "cerniera-lampo"; l'appaiamento è detto sinapsi

Al termine dello zigotene l'appaiamento degli omologhi è completo e nel nucleo si riscontra, invece dello stesso numero di cromosomi leptotenici, la metà in filamenti più spessi, detti bivalenti (o tetradi): 1cromosoma = 2cromatidi    e quindi 1bi-cromosoma = 4cromatidi.

Nello stadio di "pachitene" i bivalenti vanno spiralizzandosi. In tale stadio si attua l'evento più importante della meiosi: il crossing-over, o scambio di materiale genetico fra i due omologhi.

Tale scambio riguarda frammenti appartenenti a cromatidi detti non-fratelli, perché appartenenti a cromosomi diversi del bivalente.

Il crossing-over prevede:

la formazione di una singola rottura a livello di un filamento della doppia elica del DNA di uno dei cromatidi non-fratelli;

l'incrocio e la formazione di un eteroduplex tra questo filamento e un dei filamenti di DNA dell'altro cromatidio non-fratello.

In seguito, anche l'altra mezza elica di questo secondo cromatidio darebbe luogo al medesimo fenomeno.

Segue il "diplotene" nel quale gli omologhi di ciascun bivalente iniziano a separarsi, restando però in contatto dove si è verificato un crossing-over. Si formano quindi strutture caratteristiche, con vari "occhielli" i cui punti di contatto, detti chiasmi, corrispondono a quelli precedentemente interessati allo scambio.

Alla fine del diplotene i bivalenti si spiralizzano, mentre i chiasmi sembrano scorrere verso le estremità dei cromosomi (processo di terminalizzazione dei chiasmi

La terminalizzazione conduce anche a un'apparente riduzione numerica dei chiasmi, che si fondono fra loro alle estremità cromosomiche. Questi fenomeni sono tipici dello stadio terminale della profase meiotica, la "diacinesi

Nella «metafase I» i bivalenti sul fuso hanno forma rotondeggiante, posseggono ciascuno due cromomeri (uno per omologo) distanziati fra loro e orientati verso i poli opposti del fuso, mentre sull'equatore si trovano i chiasmi.

Con la successiva «anafase I» i due omologhi di ciascun bivalente migrano verso i poli opposti del fuso, separandosi anche a livello dei chiasmi. Questi omologhi, costituiti da due cromatidi, prendono il nome di diadi in quanto corrispondenti ciascuno a metà tetrade.

Con la «telofase I», attorno a ciascun gruppo di diadi si forma un involucro nucleare mentre ha luogo la citodieresi. Le due cellule figlie derivate dalla prima divisione meiotica contengono un corredo apolide di cromosomi, con una quantità di DNA uguale a quella della cellula madre, perché ogni cromosoma (o diade) è ancora costituito da due cromatidi.

Dopo una intercinesi breve o inesistente, in ciascuna cellula figlia, inizia la profase della seconda divisione meiotica (profase II

In «profase II» i cromosomi sono già pronti a passare sul fuso.

Con la «metafase II», le diadi sono disposte sull'equatore. Ogni cromosoma sdoppia il centromero e con l'«anafase II» i due cromatidi si avviano verso i poli opposti della cellula.

In «telofase II», i poli opposti accolgono ciascuno un assetto apolide di cromatidi, per cui alla citodieresi le cellule terminali della meiosi posseggono metà cromatidi e metà quantità di DNA rispetto alla cellula di partenza: sono quindi apolidi.



Teoria cromosomica dell'ereditarietà

Attorno all'inizio del ventesimo secolo, i citologi avevano stabilito che entro una determinata specie il numero totale di cromosomi è costante in tutte le cellule, mentre il numero varia considerevolmente tra specie diverse. Ci si accorse che la trasmissione dei cromosomi da una generazione alla successiva andava in stretto parallelo con l'ereditarietà dei fattori mendeliano da una generazione all'altra.

La teoria cromosomica dell'ereditarietà stabilisce che i fattori mendeliano (geni) sono localizzati sui cromosomi.

Cromosomi del sesso

La dimostrazione della teoria cromosomica dell'ereditarietà venne da esperimenti che mettevano in relazione la trasmissione ereditaria di determinati geni con la trasmissione del cromosoma del sesso negli eucarioti a sessi separati presente in forma diversa nei due sessi. Gli altri cromosomi negli eucarioti non presenti in forma diversa nei due sessi sono gli autosomi.

I cromosomi del sesso sono designati come cromosoma X e cromosoma Y. Dato che il maschio produce due tipi di gameti relativamente ai cromosomi del sesso (X e Y) e la femmina un solo tipo di gamete (X), il maschio è definito sesso eterogametico e la femmina sesso omogametico.

Nb: in alcuni organismi il maschio è omogametico e la femmina eterogametica.



Ereditarietà legata al sesso

Le prove a favore della teoria cromosomica dell'ereditarietà fu raggiunta nel 1910 quando Morgan pubblicò i risultati di esperimenti di genetica con Drosophila Melanogaster (moscerino della frutta). Morgan trovò in uno dei suoi ceppi linee pure una mosca maschio con occhi di colore bianco, anziché del colore rosso mattone caratteristico del selvatico (questo termine si riferisce a un ceppo, un organismo o un gene che sia il più frequente nella popolazione naturale di quell'organismo, relativamente al genotipo e fenotipo). Varianti di un ceppo selvatico originano da cambiamenti mutazionali degli alleli selvatici che producono alleli mutanti: il risultato sono ceppi con caratteristiche diverse rispetto al selvatico. Gli alleli mutanti possono essere recessivi o dominanti rispetto all'allele selvatico.

Morgan incrociò il maschio con occhi bianchi con una femmina con occhi rossi proveniente dallo stesso ceppo e trovò che tutte le mosche della F1 avevano gli occhi rossi. Concluse che il carattere occhio bianco era recessivo. Successivamente lasciò che la progenie F1 s'incrociasse e raggruppò in classi fenotipiche gli individui della generazione F2. Ne risultò però che il numero di individui con fenotipo recessivo era troppo basso per essere in accordo con il rapporto mendeliano di 3:1.

Più tardi si accorse che il numero inferiore all'atteso di mosche con fenotipo recessivo era la conseguenza di una più bassa vitalità delle mosche con occhi bianchi. Inoltre, Morgan notò che tutte le mosche con occhi bianchi erano maschi. Da ciò, propose che il gene che determina la variante del colore dell'occhio fosse localizzato sul cromosoma X. La condizione dei geni associati all'X nei maschi è definita emizigote, dato che il gene è presente solo una volta nell'organismo, non essendovi alcun allele corrispondente sul cromosoma Y.

La trasmissione di un allele secondo questa modalità (cioè, da un genitore maschio attraverso una figlia femmina a un nipote maschio) è chiamata ereditarietà crisscross.

Morgan, inoltre, effettuò anche l'incrocio reciproco, incrociando una femmina con occhi bianchi (w/w) con un maschio con occhi rossi (R/Y). Tutte le femmine F1 ricevono un X con R dal padre e un X con w dalla madre; di conseguenza sono eterozigoti R/w e hanno gli occhi rossi. Tutti i maschi F1 ricevono un X con w dalla madre e un Y dal padre, per cui sono w/Y e hanno gli occhi bianchi.

Questi risultati sono diversi da quelli di un incrocio reciproco, a causa della modalità di ereditarietà del cromosoma X. L'incrocio tra mosche della F1 produce numeri approssimativamente uguali di maschi e di femmine con occhi rossi e occhi bianchi. Questo rapporto è diverso dai risultati del primo incrocio, dai cui si otteneva un rapporto di circa 3:1 tra mosche con occhi rossi e mosche con occhi bianchi, e dal quale nessuna femmina e circa la metà dei maschi mostrava il fenotipo occhi bianchi. Ciò, abbiamo detto, dipende dalla differente modalità di trasmissione dei cromosomi del sesso e dei geni in essi localizzati (quello dl colore degli occhi sta sul cromosoma X). Queste caratteristiche e i geni che le controllano sono definite come legate al sesso o meglio legate all'X, dato che il locus genico è parte del cromosoma X.

Quando non si ottengono gli stessi risultati da incroci reciproci e si osservano rapporti diversi per i due sessi della progenie, si può pensare che siano implicate caratteristiche legate al sesso. Invece, i risultati degli incroci reciproci sono sempre identici quando sono implicati geni situati sugli autosomi.

Non disgiunzione dei cromosomi X

(ACCERTARSI SE BISOGNA FARLA NECESSARIAMENTE)



Determinazione del sesso

Esistono due tipi di sistemi di determinazione del sesso:

a)sistemi a determinazione genotipica del sesso, dove il sesso dipende dal genotipo dello zigote o delle spore;

b)  sistemi a determinazione ambientale del sesso, dove il sesso è determinato da condizioni ambientali interne o esterne.


a)  Sistemi a determinazione genotipica del sesso

Il sistema di determinazione genotipica del sesso può avvenire in due modi:

nel meccanismo dovuto al cromosoma Y (osservato in tutti mammiferi) gli individui con un cromosoma Y sono geneticamente maschi, mentre quelli privi di cromosoma Y sono femmine;

nel meccanismo della bilancia cromosomi X-autosomi (osservata nella Drosophila e in una specie di nematode) il sesso è determinato dal rapporto tra il numero dei cromosomi X e il numero degli assetti autosomici. In questo sistema il cromosoma Y non ha alcun effetto sulla determinazione del sesso, ma è necessario per la fertilità del maschio.


b)  Sistemi a determinazione ambientale del sesso

Nel sistema a determinazione ambientale del sesso i fattori ambientali (ad esempio la temperatura) svolgono un ruolo fondamentale nel determinare il sesso della progenie.

Nonostante ciò, non esiste però un sistema generale coinvolto nel controllo del sesso da parte della temperatura. È importante aver presente che, benché i fattori ambientali scatenino particolari modalità di sviluppo sessuale in questi sistemi, le vie seguite sono sotto il controllo genetico. I meccanismi di determinazione del sesso ambientale sono molto più rari dei meccanismi genotipici.



Analisi dei caratteri legati al sesso nell'uomo

Ereditarietà recessiva legata all'X

Un carattere dovuto a un allele mutato recessivo portato dal cromosoma X è definito un carattere recessivo legato all'X. L'albero genealogico più noto, relativo a un recessivo legato all'X, è quello dell'emofilia A nella famiglia della Regina Vittoria. L'emofilia è una grave affezione, nella quale il sangue manca di un fattore della coagulazione, per cui una ferita può essere fatale a un emofiliaco.

Per i caratteri recessivi legati all'X, le femmine che manifestano il carattere mutato generalmente devono essere omozigoti per l'allele recessivo (a/a). Il carattere si esprime nei maschi che possiedono una sola copia dell'allele mutato sul cromosoma X.; quindi i maschi affetti generalmente trasmettono l'allele mutato a tutte le figlie femmine e a nessuno dei figli maschi.

Altre caratteristiche della trasmissione recessiva legata all'X sono le seguenti:

per gli alleli mutati recessivi legati all'X, molti più maschi che femmine manifestano il carattere, a causa del diverso numero di cromosomi X nei due sessi;

tutti i figli maschi di una madre affetta (omozigote per l'allele mutato, a/a) dovrebbero manifestare il carattere, dato che i maschi ricevono il loro unico cromosoma X dalle madri;

nei figli maschi di madri eterozigoti (portatrici, A/a) si dovrebbe osservare approssimativamente un rapporto 1:1 tra individui normali e individui che manifestano il carattere. Infatti, A/a × A/Y dà maschi metà A/Y e metà a/Y;



da un matrimonio tra una femmina portatrice e un maschio normale nascono femmine tutte normali, di cui la metà è portatrice. Infatti, A/a × A/Y dà figli femmine metà A/A e metà A/a;

un maschio che manifesta il carattere, sposato ad una femmina normale omozigote, ha figli maschi e femmine tutti normali. Tutte le femmine, tuttavia, saranno portatrici: A/A × a/Y dà femmine A/a e maschi A/Y.


Ereditarietà dominante legata all'X

Un carattere determinato da un allele mutato dominante localizzato sul cromosoma X è definito un carattere dominante legato all'X. Un esempio di carattere dominante legato all'X è quello dell'ipoplasia ereditaria dello smalto, che determina uno smalto dei denti difettoso che scolorisce.

Si noti che tutte le femmine di un padre affetto (A/Y) sono affette, mentre nessun figlio maschio lo è. Inoltre, madri eterozigoti trasmettono il carattere a metà dei figli maschi e a metà delle figlie femmine: A/a × a/Y dà femmine ½ A/a e ½ a/a, di conseguenza maschi ½ A/Y e ½ a/Y.

Le stesse regole di trasmissione dei recessivi legati all'X valgono per i caratteri dominanti legati all'X, eccetto il fatto che qui le femmine eterozigoti manifestano il carattere (A/a). in generale, i caratteri dominanti legati all'X tendono ad essere meno gravi nelle femmine che nel maschio. Inoltre, dato che le femmine hanno un numero doppio di cromosomi X rispetto ai maschi, i caratteri dominanti legati all'X sono più frequenti nelle femmine che nei maschi.


Ereditarietà legata all'Y

Un carattere dovuto a un gene mutato localizzato sul cromosoma Y, senza controparte sul cromosoma X, è definito carattere legato all'Y (o oloandrico, cioè interamente maschile).

Un possibile esempio di ereditarietà legata all'Y è il carattere "orecchio peloso", in conseguenza del quale peli tipo setole di lunghezza anormale fuoriescono dalle orecchie. Tutti i figli maschi di un padre affetto dovrebbero manifestare il carattere, mentre delle femmine nessuna.





























ESTENSIONE DELL'ANALISI MENDELIANA



Alleli multipli

L'allele più frequente nelle popolazioni naturali di un organismo è l'allele selvatico (o wild-type) e l'allele alternativo è l'allele mutante. In una popolazione di individui, d'altra parte, un dato gene può avere parecchi alleli, non solo uno. Si dice che di tali geni esistono alleli multipli e che gli alleli costituiscono una serie all'elica multipla.

Nb: nonostante esistano di un gene più di un allele, un singolo individuo diploide può possedere al massimo due di questi alleli, uno su ciascuno dei due cromosomi omologhi su cui è localizzato il locus genico.


Gruppi sanguigni ABO

Un esempio di alleli multipli di un gene è costituito dal sistema di gruppo sanguigno ABO dell'uomo. Nel sistema ABO si riscontrano quattro gruppi sanguigni: A, B, O e AB.

Diverse combinazioni di tre alleli del sistema ABO, e cioè IA - IB - i, determinano i quattro fenotipi. Le persone omozigoti per l'allele recessivo i (e quindi i/i) sono di gruppo O. Sia IA sia IB sono dominanti su i. Individui di gruppo A sono o IA/ IA o IA/i, mentre quelli di gruppo B sono o IB/ IB o IB/i. Gli individui eterozigoti IA/ IB sono di gruppo AB, in quanto manifestano entrambi i gruppi sanguigni A e B contemporaneamente (la cosiddetta codominanza).

La genetica di questo sistema segue i principi fondamentali di Mendel. Un individuo di gruppo O, ad esempio, deve avere genotipo i/i; quindi ogni genitore deve essere o omozigote per i, o essere un eterozigote, in cui i sia uno dei due alleli.



Modificazioni delle relazioni di dominanza

La dominanza completa è il fenomeno per cui un allele è dominante sull'altro, e quindi il fenotipo dell'eterozigote è indistinguibile da quello dell'omozigote dominante.

Con la recessività completa l'allele recessivo si esprime fenotipicamente solo in un organismo omozigote. C'è da dire, però, che molte coppie alleliche non manifestano questa relazione.


Dominanza incompleta

Si parla di dominanza incompleta (o parziale) quando un allele non è dominante completamente su un altro. In questo caso, il fenotipo dell'eterozigote è intermedio tra quelli degli omozigoti per l'uno o l'altro degli alleli interessati.

Un esempio può essere dato dall'incrocio tra polli con piume bianche linea pura (CB/CB) e polli con piume nere linea pura (CW/CW): esso darà alla F1 uccelli con piume blu-grigio, detti blu Andalusi. Un pollo blu andaluso non è una linea pura perché eterozigote (CB/CW), per cui negli incroci andalusi × andalusi i due alleli segregano nella progenie e producono polli neri, blu andalusi e bianchi in rapporto 1:2:1.


Codominanza

La codominanza è una modificazione delle relazioni di dominanza che può essere messa in relazione con la dominanza incompleta. Nella codominanza l'eterozigote manifesta i fenotipi di entrambi gli omozigoti. La codominanza è diversa dalla dominanza incompleta, per la quale l'eterozigote manifesta invece un fenotipo intermedio tra quelli dei due omozigoti.








Interazioni tra geni e rapporti mendeliano modificati

Interazioni geniche che determinano nuovi fenotipi

Nessun gene agisce da solo nel determinare il fenotipo di un individuo; il fenotipo è il risultato di una serie di reazioni molecolari integrate molto complesse, direttamente sotto controllo genico.

Se le due paia di alleli in un incrocio di diibridi influenzano la stessa caratteristica fenotipica, esiste la possibilità di un'interazione tra i prodotti genici a dare fenotipi nuovi e ne possono derivare, oppure no, dei rapporti fenotipici modificati, a seconda della particolare interazione tra i prodotti dei geni non-allelici.

Un esempio è dato dallo studio della forma della cresta nei polli. Nei polli, fenotipi diversi relativi alla forma della cresta derivano da interazioni tra gli alleli di due loci. Incroci effettuati tra varietà pure a cresta frastagliata e varietà a cresta singola dimostrano che la cresta frastagliata è dominante completamente sulla cresta singola. Quando i polli della F1 a cresta frastagliata vengono incrociati fra loro, si osserva una segregazione alla F2 di 3 frastagliata : 1 singola. Analogamente, la cresta a fagiolo è completamente dominante sulla cresta singola, con un rapporto alla F2 di 3:1.

D'altra parte, quando le varietà pure con cresta frastagliata e a fagiolo vengono incrociate, il risultato è diverso. Invece di avere o la cresta frastagliata o a fagiolo, tutti i polli della F1 mostrano un altro tipo di cresta, quella a noce. Quando i polli della F1 con cresta a noce vengono incrociati fra loro, non solo compaiono i polli con cresta a noce, frastagliata e a fagiolo, ma anche polli con cresta singola. Questi quattro tipi di cresta si presentano nel rapporto 9 a noce : 3 frastagliata : 3 a fagiolo : 1 singola.

La spiegazione dei risultati è la seguente:

la cresta a noce dipende dalla presenza di due alleli dominanti (R/- P/-), entrambi localizzati in due loci che segregano in modo indipendente;

la cresta frastagliata dipende dalla presenza del primo allele dominante e della seconda coppia recessiva (R/- p/p);

la cresta a fagiolo dipende dalla presenza della prima coppia recessiva e del secondo dominante (r/r P/-);

la cresta singola dipende dalla presenza delle due coppie di alleli recessivi (r/r p/p).

Quindi è l'interazione tra due alleli dominanti, ciascuno dei quali singolarmente produce un fenotipo diverso, a determinare un fenotipo diverso.

Nb: non è implicata alcuna modificazione dei tipici rapporti mendeliano.



Epistasi

L'epistasi è una forma d'interazione tra geni, in base alla quale un gene maschera l'espressione fenotipica di un altro gene. In seguito a questo tipo di interazione tra geni non vengono prodotti nuovi fenotipi. Un gene che maschera l'espressione di un altro gene è definito epistatico, mentre quello la cui espressione viene mascherata è detto ipostatico.

L'epistasi può essere causata dalla omozigosi recessiva relativamente ad una coppia allelica, per cui a/a può mascherare l'effetto dell'allele B. oppure, l'epistasi può derivare dalla presenza di un allele dominante di una coppia allelica: l'allele A potrebbe mascherare l'effetto dell'allele B. O ancora, l'epistasi può avvenire anche tra due coppie di alleli in entrambe le direzioni.


Epistasi recessiva: colore del pelo nei roditori

Nell'epistasi recessiva gli individui a/a B/- e a/a b/b hanno lo stesso fenotipo, per cui il rapporto fenotipico alla F2 è di 9:3:4 piuttosto che il tipico 9:3:3:1.

Un esempio è il colore del pelo nei roditori. I topi selvatici, gli aguti, hanno il pelo di colore grigiastro dovuto alla presenza di peli a bande nere e gialle nel mantello. Altri roditori domestici, gli albini, mancano completamente di pigmento nella pelliccia e nelle iridi degli occhi, per cui hanno pelo bianco e occhi rosa. Gli albini sono linee pure e si comportano come recessivo completo rispetto ad ogni altro colore. Un'altra varietà ha colore nero, risultato dell'assenza del pigmento giallo presente nell'aguti. Anche il nero è recessivo rispetto all'aguti.

Quando topi aguti appartenenti a linee pure sono incrociati con albini, tutta la progenie F1 è aguti e quando questi aguti F1 sono incrociati tra loro, la progenie F2 è costituita approssimativamente da 9/16 di aguti, 3/16 di neri e 4/16 di albini.

Fenotipicamente, A/- C/- sono aguti, a/a C/- sono neri e gli A/- c/c e a/a c/c sono albini, in un rapporto fenotipico 9:3:4. Quindi questo tipo di esempio dimostra epistasi di c/c su A/-, e cioè che il pelo bianco viene prodotto nei topi c/c indipendentemente dal genotipo all'altro locus.


Epistasi duplicativi recessiva: colore del fiore del pisello odoroso

Nel pisello odoroso, il colore purpureo del fiore è dominante sul bianco e dà alla F2 un tipico rapporto 3:1. In alcuni casi, incroci tra due linee pure bianche danno alla F1 solo piante a fiori purpurei. Quando questi ibridi F1 vengono autofecondati, producono una generazione F2 costituita da circa 9/16 di piselli odorosi a fiori purpurei e da 7/16 di piante a fiori bianchi, con un rapporto quindi di 9:7. Anche se non sono tutte omozigoti per gli alleli in questione, tutte le piante F2 a fiori bianchi, se autofecondate, risultano essere linee pure. Un nono delle piante F2 a fiori purpurei (con ceppo C/C P/P) è una linea pura.

Questi risultati possono essere spiegati considerando un'interazione tra due geni. I 9/16 delle piante F2 a fiori purpurei suggeriscono che i fiori colorati si manifestano solo quando due alleli dominanti indipendenti sono presenti insieme e che il colore porpora sia il risultato di una qualche interazione tra loro. Il colore bianco dei fiori deriverebbe allora dall'omozigosi dell'allele recessivo di uno o di entrambi i geni. Per cui la coppia allelica C/c determina la presenza del colore del fiore e la coppia P/p determina se il colore sarà porpora.

Per spiegare il rapporto alla F2, si può ipotizzare che il gene C controlli la conversione del composto bianco 1 nel composto bianco 2 e che il gene P controlli la trasformazione del composto bianco 2 nel prodotto finale porpora. Quindi, un'omozigosi recessiva di uno o dell'altro dei geni C e P, o di entrambi, avrebbe come effetto un blocco nella biosintesi e l'accumulo del solo pigmento bianco. Vale a dire, i genotipi C/- p/p, c/c P/p e c/c p/p saranno tutti bianchi; le uniche piante con fiori purpurei saranno quelle con genotipo C/- P/-.

Un'interazione tra due geni tale da dare origine a un prodotto specifico è una forma di epistasi chiamata epistasi duplicata recessiva (o azione di geni complementari), dove la conseguenza è che si manifesta lo stesso fenotipo ogniqualvolta una o l'altra coppia allelica è omozigote recessiva.



Alleli letali e geni essenziali

Per qualche anno dopo la riscoperta dei principi elaborati da Mendel, i genetisti cedettero che le mutazioni potessero cambiare solamente l'aspetto di un organismo vivente, ma poi scoprirono che un allele mutato poteva causare la morte.

Un allele che determini la morte di un organismo è definito allele letale ed il gene in questione è chiamato gene essenziale (i quali mutati determinano un fenotipo letale). Se la mutazione è dovuta a un allele letale dominante, sia gli omozigoti che gli eterozigoti per tale allele manifesteranno il fenotipo letale. Se la mutazione è dovuta a un allele letale recessivo, solo gli omozigoti per tale allele manifesteranno il fenotipo letale.

Un esempio di gene essenziale è il gene che determina il colore giallo del corpo nei topi. L'allele giallo ha un effetto dominante per quanto riguarda il colore del pelo, ma agisce da recessivo relativamente al fenotipo letalità, poiché solo gli omozigoti muoiono.

Nb: quando vengono incrociati due eterozigoti, gli alleli letali recessivi vengono riconosciuti in base al rapporto di 2:1 tra classi fenotipiche della progenie.





LA CONCATENAZIONE GENICA



Introduzione

I geni localizzati su cromosomi non omologhi segregano in modo indipendente durante la meiosi.

In molti casi, tuttavia, alcuni geni vengono ereditati insieme perché localizzati sullo stesso cromosoma. Geni posti sullo stesso cromosoma sono chiamati sintenici. I geni che non si assortiscono indipendentemente mostrano concatenazione (associazione) e sono chiamati geni concatenati (o associati). I geni concatenati appartengono ad un gruppo di concatenazione.

L'analisi genica è la scoperta della struttura e della funzione del materiale genico. Essa analizza la progenie di incroci tra genitori che differiscono per alcuni caratteri genici per determinare la frequenza con la quale compaiono nuove combinazioni dei caratteri in esame.

Le classi della progenie che presentano le combinazioni dei caratteri già presenti nei genitori sono chiamate classi parentali, mentre quelle che presentano nuove combinazioni sono dette classi ricombinanti. Il processo con il quale si producono nuove combinazioni è detto ricombinazione genetica. Utilizzando il reincrocio di prova è possibile determinare quali geni sono concatenati tra loro e costruire una mappa genica (o di concatenazione) di ogni cromosoma.

Un marcatore genico è un altro nome per una mutazione che conferisce un fenotipo distinguibile. In altre parole, è un allele che marca un cromosoma o un gene. I marcatori di DNA sono marcatori molecolari, cioè regioni di DNA nel genoma che differiscono tra individui e che possono essere identificati in un'analisi molecolare del DNA.



Scoperta della concatenazione genica

Esperimenti di Morgan sulla concatenazione in Drosophila

Intorno al 1911, Morgan aveva accumulato un certo numero di mutanti legati al sesso, tra i quali il gene w (white: occhio bianco) e m (miniature: ali ridotte).

Morgan incrociò una femmina con occhio bianco e ali ridotte (w/m w/m) con un maschio selvatico (W/M Y). Nell'incrocio, tutti i maschi della F1 avevano occhi bianchi e ali ridotte (w/m Y), mentre tutte le femmine erano selvatiche sia per gli occhi sia per la larghezza delle ali (W/M w/m).

Le mosche della F1 furono incrociate fra di loro e furono analizzate c.a 2.500 mosche della F2. In incroci con geni legati al sesso, l'incrocio F1 × F1 è equivalente a un reincrocio di prova, dato che i maschi della F1  producono gameti che portano il cromosoma X con gli allei recessivi per entrambi i geni e gameti che portano il cromosoma Y, che non hanno alleli per i geni in esame. Nella F2, le classi fenotipiche più frequenti in entrambi i sessi furono quelle col fenotipo dei nonni con occhio bianco e ali ridotte o occhio rosso e ali normali. Convenzionalmente ci si riferisce ai genotipi originari dei due cromosomi come genotipi parentali, ma anche riferito ai fenotipi.

Morgan osservò che 900 mosche della F2 su 2.500 (c.a 1/3, quindi il 36%) avevano combinazioni non-parentali di occhio bianco con ali normali e occhio rosso con ali ridotte. Le combinazioni non-parentali di geni concatenati vengono chiamate ricombinanti. La frequenza di fenotipi ricombinanti attesa sulla base dell'assortimento indipendente sarebbe del 50%, quindi la percentuale più bassa osservata è indice della presenza di concatenazione tra i geni.

Il gruppo di Morgan analizzò un gran numero di altri incroci di questo genere. In ciascun caso le classi fenotipiche parentali erano le più frequenti, mentre le classi ricombinanti si riscontravano con una frequenza molto inferiore. Approssimativamente le due classi parentali comparivano in egual numero e, analogamente, le due classi ricombinanti.

La conclusione generale di morgan fu che durante la segregazione degli alleli alla meiosi, alcuni tendono a rimanere insieme perché sono vicini l'uno all'altro sullo stesso cromosoma.

Nb: quanto più due geni sono vicini sul cromosoma, tanto più tendono a rimanere insieme durante la meiosi.



Ricombinazione tra geni e ruolo dello scambio tra i cromosomi

Esperimenti in Drosophila

Curt Stern riportò compì importanti esperimenti con Drosophila melanogaster. In questi esperimenti con le mosche ceppi che portavano appropriati marcatori genetici e citologici venivano incrociati e i due tipi di marcatori venivano analizzati nella generazione successiva.

Nel lavoro di Stern erano considerati due geni concatenati: il gene car (carnation: color carne) e il gene B (bar: forma a barra). Mutanti nel gene car sono recessivi e allo stato omozigote la mosca ha occhi color carnicino, invece del colore rosso del selvatico; mutanti del gene B sono dominanti e determinano una forma dell'occhio a barra, invece della normale forma rotonda.

Nell'esperimento, il parentale maschio portava cromosomi X e Y normali, con l'allele recessivo car e l'allele selvatico (BS) del gene B. Dato che il maschio è emizigote, queste mosche hanno gli occhi non-bar e di colore carnicino (car/BS Y). La femmina parentale aveva due cromosomi X anormali: uno dei cromosomi, sul quale c'erano gli alleli selvatici sia per car (carS) sia per B (BS), portava attaccata una parte del cromosoma Y; l'altro, invece, aveva l'allele recessivo car e l'allele incompletamente dominante B. Inoltre quest'ultimo cromosoma X era molto più corto del cromosoma normale dato che una parte di questo si era rotta e attaccata al piccolo cromosoma 4.

Nelle femmine, la forma dell'occhio dipende dal numero di allei B presenti: nelle femmine omozigoti B/B l'occhio è a barra molto stretta, mentre nelle femmine eterozigoti B/BS l'occhio è di forma allungata (detta barra larga). Quindi fenotipicamente, le femmine parentali avevano occhio a barra larga dato che erano B/BS, e l'occhio era di colore selvatico dato che erano eterozigoti carS/car.

Nella formazione dei gameti, venivano prodotte solo due classi di spermi: quelli che portavano il cromosoma Y, che non aveva marcatori genetici di rilevanza, e lo sperma con il cromosoma X, che portava gli alleli car e BS. le classi di uova prodotte erano invece quattro: due (parentali) si erano originate senza che avvenisse crossing-over tra i cromosomi e le altre due erano gameti ricombinati prodotti da crossing-over.

Se non avveniva ricombinazione, le due classi fenotipiche della progenie erano: (1) occhio rosso e di forma rotonda (cioè selvatico per entrambi i caratteri), con genotipi carS/BS car/BS nelle femmine e carS/BS Y nei maschi; (2) occhio carnicino a barra, con genotipi car/B car/BS nelle femmine e car/B Y nei maschi. Si ottengono anche due classi di ricombinanti: (1) occhio carnicino rotondo, con genotipi car/BS car/BS nelle femmine e car/BS Y nei maschi; (2) occhio rosso a barra, con genotipi carS/B car/BS nelle femmine e carS/B Y nei maschi.

Le mosche con occhio carnicino avevano un cromosoma X completo e le mosche con occhio a barra avevano un cromosoma X più corto del normale, al quale era attaccato un pezzo del cromosoma Y, mentre il resto del cromosoma X era attaccato al cromosoma 4. Questo riarrangiamento cromosomico poteva risultare solo in seguito a scambi fisici tra parti di cromosomi omologhi.



Costruzione di mappe genetiche

Concetto di mappa genetica

Consideriamo l'esperimento portato avanti da Morgan su Drosophila. In un individuo doppio eterozigote per gli alleli w (bianco) e m (ridotto), per esempio, gli alleli possono essere localizzati in due modi alternativi:

wS mS   wS m

oppure

w m   w mS


Nella disposizione a sinistra, i due alleli selvatici sono su un cromosoma omologo e i due alleli mutanti recessivi sull'altro; tale disposizione è chiamata in accoppiamento (o configurazione cis), in quanto gli alleli dello stesso tipo si trovano sullo stesso lato.

Nella disposizione a destra, ciascun omologo porta l'allele selvatico di un gene e l'allele mutante dell'altro; tale disposizione è chiamata in repulsione (o configurazione trans), in quanto gli alleli dello stesso tipo sono disposti su lati opposti.

I risultati ottenuti da Morgan negli incroci con Drosophila indicano che la frequenza di crossino-over (e quindi di ricombinazione) per geni concatenati è caratteristica per ogni coppia di geni: per i geni concatenati all'X, ovvero w e m, la frequenza di ricombinazione è del 36%. Inoltre, la frequenza di ricombinazione per due geni concatenati è sempre la stessa, sia che i geni siano in accoppiamento o in repulsione.

Nel 1913 uno studente di Morgan, A. Sturtevant, suggerì che la percentuale di ricombinanti potesse essere utilizzata come una misura quantitativa della distanza tra una coppia di geni sulla mappa genetica. La distanza viene misurata in um cioè in «unità di mappa» (o anche centimorgan), dove 1 unità di mappa è definita come l'intervallo nel quale avviene l'1% di crossing-over.

Quindi, i geni su un cromosoma possono essere rappresentati da una mappa genetica unidimensionale, che mostra l'ordine lineare dei geni che appartengono a quel cromosoma. I valori di ricombinazione indicano l'ordine lineare dei geni sul cromosoma e forniscono informazioni sulla distanza genetica tra due geni qualsiasi.

Nb: quanto più elevata la frequenza di eventi di crossing-over tra due geni, tanto più lontani essi sono localizzati.



































MUTAZIONI CROMOSOMICHE



Variazioni della struttura dei cromosomi

Le mutazioni cromosomiche (o aberrazioni cromosomiche) sono le variazioni rispetto alla situazione normale selvatica della struttura o del numero dei cromosomi.

Esistono quattro tipi principali di mutazioni cromosomiche, che implicano cambiamenti nella struttura del cromosoma:

delezione

duplicazione

inversione

traslocazione


Delezione

Una delezione è una mutazione cromosomica in cui un tratto di un cromosoma è marcante e comporta un cambiamento nella quantità di DNA di un cromosoma.

Una delezione è prodotta da rotture nei cromosomi, le quali possono essere indotte da agenti quali la temperatura, radiazioni, virus, sostanze chimiche o da errori nella ricombinazione. Dato che un segmento cromosomico è marcante, le delezioni non possono revertere allo stato selvatico.

Le conseguenze di una delezione dipendono dai geni o dalle parti dei geni che vengono rimossi. Negli organismi diploidi un individuo eterozigote per una delezione può essere normale. D'altra parte, se l'omologo contiene dei geni recessivi con effetti deleteri, le conseguenze possono essere gravi. Se la delezione implica la perdita del centromero, il risultato è un cromosoma acentrico, che viene generalmente perso durante la meiosi. Questo porta alla perdita dal genoma di un intero cromosoma, il che può avere conseguenze molto gravi o letali.

Negli organismi in cui è possibile effettuare un'analisi cariotipica, le delezioni possono essere riconosciute mediante tale procedura, purché i tratti perduti siano abbastanza estesi. In tal caso, si osserva un paio di cromosomi omologhi appaiati in modo sbagliato, con un cromosoma più corto dell'altro. Negli individui eterozigoti, le delezioni hanno come conseguenza delle anse non appaiate, visibili alla sinapsi dei due omologhi alla meiosi.


Duplicazione

Una duplicazione è una mutazione cromosomica che deriva dal rapporto di un tratto di un cromosoma e comporta (anch'essa) un cambiamento nella quantità di DNA di un cromosoma.

La dimensione del tratto duplicato può variare ampiamente e segmenti duplicati possono trovarsi in punti diversi del genoma oppure in una disposizione tandem (l'uno vicino all'altro). Quando l'ordine dei geni nel segmento duplicato è il contrario dell'ordine originale, si tratta di una duplicazione tandem inversa; quando i segmenti duplicati sono disposti in tandem all'estremità di un cromosoma, si tratta di una duplicazione tandem terminale.

Le duplicazioni eterozigoti danno origine ad anse non appaiate, simili a quelle delle delezioni.

Una duplicazione, probabilmente, può insorgere in conseguenza di un processo definito crossing-over ineguale, il quale si verifica quando i cromosomi omologhi non si appaiano nel modo corretto, forse a causa della presenza di sequenze di DNA simili in regioni vicine di un cromosoma. Un crossing-over nella regione di appaiamento sbagliato darà origine a gameti con una duplicazione o una delezione.







Inversione

Un'inversione è una mutazione cromosomica che si verifica quando un segmento cromosomico viene exciso e poi reintegrato nel cromosoma dopo rotazione di 180° rispetto all'orientamento originale. Vi sono due tipi di inversione:

inversione pericentrica, la quale comprende il centromero;

inversione paracentrica, la quale non comprende il centromero.

In generale, il materiale genetico non viene perduto quando si verifica un'inversione.

Le conseguenze meiotiche di un'inversione cromosomica dipendono dal fatto che l'inversione avvenga in un omozigote o in un eterozigote. Se l'inversione è omozigote (es: ADCBEFG/ADCBEFG, in cui BCD è il segmento invertito in ciascun cromosoma), la meiosi è normale e non vi sono problemi in conseguenza di duplicazioni o delezioni. D'altra parte, un crossing-over entro un'inversione eterozigote (es: ABCDEFG/ADCBEFG, in cui un cromosoma presenta il tratto BCD invertito) ha delle gravi conseguenze genetiche.

Inoltre, i cromosomi ricombinati sono diversi a seconda che il crossing-over si verifichi in individui eterozigoti per un'inversione paracentrica o pericentrica.

Nelle inversioni paracentriche eterozigoti, i cromosomi omologhi tentano di appaiarsi in modo da raggiungere un appaiamento tra le basi il più preciso possibile. Data la presenza di un tratto invertito su un omologo, l'appaiamento dei cromosomi omologhi richiede la formazione di anse che comprendono i tratti invertiti, chiamate anse di invertimento. Le inversioni eterozigoti, quindi, possono essere identificate osservando le anse.

In questo tipo di inversione, la frequenza di crossing-over non viene diminuita rispetto alle cellule normali, ma i gameti o gli zigoti risultanti dai cromosomi ricombinati non sono vitali. La non vitalità deriva da un insieme sbilanciato di geni nel gamete: uno o più geni sono mancanti, oppure uno o più geni sono presenti in doppia copia anziché in singola copia. Se non avvengono crossing-over entro l'ansa di un'inversione eterozigote, tutti i gameti risultanti ricevono un corredo completo di geni (due gameti con un ordine di geni normale, ABCDEFG, e due gameti con il segmento invertito, ADCBEFG) e sono tutti vitali. Se, invece, avviene un crossing-over singolo entro l'ansa d'inversione, l'effetto è che durante la prima anafase meiotica i due centromero migrano ai poli opposti della cellula; a causa del crossing-over tra i geni B e C entro l'ansa d'inversione, un cromatidio ricombinante viene stirato attraverso la cellula quando i due centromeri cominciano a migrare all'anafase, con formazione di un ponte dicentrico, vale a dire un cromosoma con due centromeri (cromosoma dicentrico). Man mano che la migrazione prosegue, il ponte dicentrico, a causa della tensione, si rompe. L'altro prodotto ricombinante dell'evento di crossing-over è un cromosoma senza centromero (cromosoma acentrico), il quale è incapace di proseguire la meiosi e viene generalmente perduto. Alla seconda divisione meiotica, ogni cellula figlia riceve una copia di ciascun cromosoma: due gameti possiedono una serie completa di geni e sono vitali (quello normale ABCDEFG e quello invertito ADCBEFG); mentre gli altri due gameti non sono vitali, perché sbilanciati. Da ciò, i soli gameti che possono dare origine a una progenie vitale sono quelli che contengono i cromosomi non coinvolti nell'evento di crossing-over.

Nelle inversioni pericentriche eterozigoti, la conseguenza di un singolo crossing-over entro l'ansa d'inversione è quella di ottenere come risultato dell'evento e delle successive divisioni meiotiche due gameti vitali (quello normale ABCDEFG e quello invertito ADCBEFG) e due gameti ricombinanti non vitali (ciascuno con delezione di alcuni geni e duplicazione di altri).

Alcuni eventi di crossing-over entro l'ansa d'inversione non influenzano la vitalità dei gameti, infatti, due crossing-over, l'uno vicino all'altro, con coinvolgimento degli stessi due cromatidi, producono quattro gameti vitali.

Una seconda eccezione si verifica quando i tratti duplicati e deleti dei cromatidi ricombinanti non influenzano in modo significativo l'espressione genica, e quindi la vitalità, come nel caso in cui i tratti cromosomici coinvolti siano molto piccoli.



Traslocazione

Una traslocazione è una mutazione cromosomica in cui vi è un cambiamento nella posizione e quindi una diversa localizzazione nel genoma di segmenti cromosomici e delle sequenze geniche in essi contenute.

In una traslocazione non vi è né aumento né perdita di materiale genetico. Si verificano due tipi di traslocazione semplici:

traslocazione intracromosomica, la quale implica un cambiamento di posizione di un tratto cromosomico entro lo stesso cromosoma;

traslocazione intercromosomica, la quale implica lo spostamento di un segmento cromosomico da un cromosoma a un cromosoma non omologo.

Se quest'ultima traslocazione implica il trasferimento di un segmento da un cromosoma all'altro è una traslocazione non reciproca; se comporta lo scambio di segmenti tra i due cromosomi è una traslocazione reciproca.



Variazione del numero di cromosomi

Euploidia

L'euploidia è la condizione per la quale un organismo, o una cellula, ha un assetto completo di cromosomi o un multiplo esatto di assetti completi.

Per cui, organismi eucarioti che sono normalmente diploidi ed organismi eucarioti che sono normalmente aploidi sono euploidi. In natura avvengono mutazioni cromosomiche che portano a variazioni del numero degli assetti cromosomici, e gli organismi o le cellule risultanti sono ancora euploidi.


Aneuploidia

L'aneuploidia è la condizione per la quale un organismo, o una cellula, ha un numero cromosomico che non è un multiplo esatto dell'asseto cromosomico aploide.

Tale condizione è la conseguenza di mutazioni cromosomiche che portano a variazioni del numero di singoli cromosomi. Esse possono avvenire sia negli organismi diploidi che negli organismi aploidi, a causa di una non-disgiunzione di uno o più cromosomi durante la meiosi I o la meiosi II, che portano alla formazione di gameti con un numero cromosomico anormale.

Negli organismi diploidi vi sono quattro categorie principali di aneuploidia:

nullosomia, la quale implica la perdita di un paio di cromosomi omologhi (la cellula è 2N - 2);

monosomia, la quale implica la perdita di un singolo cromosoma (la cellula è 2N - 1);

trisomia, la quale implica la presenza di un singolo cromosoma in più (la cellula è 2N + 1);

tetrasomia, la quale implica la presenza di un paio di cromosomi in più (la cellula è 2N + 2).
















IL MATERIALE GENETICO





La scoperta del DNA come materiale ereditario

Molto tempo prima che fosso provato che il DNA e l'RNA portano l'informazione genetica, i genetisti si erano resi conto che gli organismi viventi dovevano possedere qualche sostanza responsabile del trasferimento delle caratteristiche che vengono passate da genitore a figlio.

Tale "materiale genetico" avrebbe dovuto avere tre caratteristiche principali:

doveva possedere, in forma stabile, l'informazione concernente la struttura, funzione, sviluppo e produzione delle cellule di un organismo;

doveva essere in grado di replicare accuratamente, in modo che le cellule della progenie avessero la stessa informazione genetica della cellula parentale;

doveva essere in grado di andare in contro a variazione, in quanto senza variabilità l'evoluzione non avrebbe luogo;

Nei primi anni del '900 fu sperimentalmente dimostrato che i cromosomi sono i portatori delle caratteristiche ereditarie. L'analisi chimica dimostrò che i cromosomi sono composti di proteine e acidi nucleici (DNA e RNA).

Dapprima molti scienziati ritenevano che il materiale ereditario fosse costituito dalle proteine, immaginando che queste ultime dovessero avere maggiore capacità di contenere informazioni in quanto composte da 20 aminoacidi. Il DNA, con i suoi quattro nucleotidi, sembrava una molecola troppo semplice per rendere conto della variabilità degli organismi viventi.


Esperimento di trasformazione di Griffith

Uno dei primi studi fu condotto da F. Griffith che stava lavorando su Streptococcus pneumoniae, un batterio che causa la polmonite.

Griffith utilizzò due ceppi del batterio: un ceppo liscio S (= smooth) produce colonie lisce e lucenti ed è altamente infettivo (virulento); un ceppo rugoso R (= rugoso) produce colonie rugose ed è innocuo (avirulento). Ogni cellula batterica del tipo S è avvolta da un involucro polisaccaridico, o capsula, che conferisce al ceppo le sue proprietà infettive e dà luogo all'aspetto lustro e liscio delle colonie. Il ceppo ruvido è una mutazione del ceppo S e quindi manca dell'involucro polisaccaridico. Esistono diverse varianti del ceppo S, ma lo scienziato lavorò su due varietà, i ceppi IIS e IIIS. Occasionalmente, cellule di tipo S possono mutare in cellule di tipo R, e viceversa. Le mutazioni sono tipo-specifiche, quindi, se una cellula IIS muta in una cellula R, quest'ultima può solo retromutare a IIS e non ad una cellula IIIS.

Griffith iniettò dei topi con diversi ceppi batterici, verificando se l'animale rimaneva sano oppure moriva. Quando i topi venivano infettati con batteri IIR, prodotti da mutazioni di batteri di tipo IIS, i batteri IIR non avevano effetto. Quando i topi venivano infettati con batteri del tipo IIIS, morivano, e dal loro sangue si potevano isolare batteri vivi del tipo IIIS. Tuttavia i topi sopravvivevano se, prima di venire iniettati, i batteri IIIS erano uccisi al calore. Questi due esperimenti dimostrarono che i batteri dovevano essere vivi e possedere l'involucro polisaccaridico per poter essere infettivi. Nell'esperimento chiave, Griffith infettò dei topi con una miscela di batteri vivi IIR e batteri di tipo IIIS uccisi al calore. Sorprendentemente, i topi morivano e batteri vivi S erano presenti nel sangue. Questi batteri erano tutti di tipo IIIS e pertanto non avrebbero potuto originarsi per mutazione dei batteri R (sarebbero dovuti essere in caso di tipo IIS). Griffith concluse che alcuni batteri IIR erano in qualche modo stati trasformati in cellule lisce ed infettive di tipo IIIS per interazione con le cellule morte di tipo IIIS. Egli riteneva che l'agente sconosciuto responsabile per il cambiamento del materiale genetico fosse una proteina e si riferì a questo agente come al principio trasformante.




Esperimenti di trasformazione di Avery

Il biologo O. T. Avery riprese gli esperimenti di Griffith, cercando di identificare il principio trasformatore che consentiva la trasformazione dei batteri da tipo R a tipo S.

Nei suoi esperimenti lise cellule di tipo IIIS e separò l'estratto cellulare nei suoi componenti macromolecolari: lipidi, polisaccaridi, proteine ed acidi nucleici. Quindi saggiò ognun componente per verificare se contenesse il principio trasformatore controllando se fosse in grado o meno di trasformare batteri R vivi derivati da IIS in batteri IIIS. Gli acidi nucleici risultarono gli unici componenti delle cellule IIIS in grado di trasformare le cellule R in IIIS.

Avery quindi usò nucleasi (enzimi che degradano gli acidi nucleici) specifiche per stabilire se il principio trasformatore fosse DNA o RNA. Quando trattò gli acidi nucleici con ribonucleasi (o RNasi che degrada l'RNA ma non il DNA) l'attività trasformante risultò ancora presente. Al contrario, utilizzando desossiribonucleasi (o DNasi, che degrada solo il DNA), non si ottenne alcuna trasformazione. Questi risultati indicano che il DNA fosse il materiale genetico.

Nonostante ciò, i risultati di Avery furono criticati perché gli acidi nucleici isolati dai batteri non erano completamente puri, ma possedevano dei contaminanti di natura proteica.


Esperimenti con i batteriofagi di Hershey e Chase

Nel 1953, A. D. Hershey e M. Chase pubblicarono i risultati di esperimenti che provavano come il DNA fosse il materiale genetico. Stavano studiando un batteriofago (o fago, i quali sono virus che infettano batteri) chiamato T2. Esso non è in grado di riprodursi da solo, ma replica invadendo una cellula vivente ed utilizzando il macchinario metabolico di quest'ultima per produrre nuovi virus. La cellula ospite quindi si rompe, liberando la progenie virale in un processo noto come ciclo litico. I due scienziati sapevano che i T2 erano costituiti da DNA e proteine, e che il virus era in qualche modo capace di usare il proprio materiale genetico per riprogrammare la cellula ospite in modo da fare produrre nuovi fagi. Tuttavia, non erano a conoscenza di quale delle due componenti, il DNA o le proteine, fosse la causa.

Fecero crescere cellule di E. coli in terreni contenenti o un isotopo radioattivo del fosforo (32P) o un isotopo radioattivo dello zolfo (35S). Questi isotopi vennero utilizzati perché il DNA contiene fosforo ma non zolfo, mentre le proteine contengono la zolfo ma non il fosforo. Infettarono i batteri con i T2: uno aveva le proteine marcate radioattivamente con 35S, l'altro aveva il DNA marcato con 32P. Quindi infettarono E. coli non marcato con i due tipi di T2 marcati.

Quando il fago infettante era marcato con 32P, gran parte della radioattività poteva essere trovata all'interno del batterio subito dopo l'infezione; una piccola quantità, invece, associata alle parti proteiche del fago che venivano rilasciate dalla superficie delle cellule. Dopo la lisi, una parte del 32P veniva trovata nella progenie fagica.

Al contrario, dopo aver infettato E. coli con il T2 marcato con 35S, la radioattività praticamente non appariva all'interno della cellula, e niente del tutto nelle particelle fagiche della progenie; gran parte, invece, poteva essere trovata associata alle parti proteiche del fago.

Dal momento che i geni rappresentano il progetto per la produzione delle particelle virali della progenie, era da presumersi che il progetto debba inserirsi nella cellula batterica per poter costruire nuovi fagi. Pertanto, dal momento che era il DNA e non le proteine ad essere entrato nella cellula (come messo in evidenza dalla presenza di 32P e non di 35S), i due scienziati dedussero che il DNA deve essere il materiale responsabile per la funzione e la riproduzione del fago T2.


Scoperta dell'RNA come materiale genetico nei virus

Alcuni virus batterici, virus animali e virus vegetali possiedono come materiale genetico l'RNA.

Un esperimento dimostrò che l'RNA è il materiale genetico del virus del mosaico del tabacco (o TMV). Questo è costituito, dal punto di vista chimico, da due componenti quali l'RNA e le proteine. La proteina circonda il nucleo interno di RNA, lo protegge ed agisce, insieme con l'RNA stesso, nell'informazione delle cellule della pianta.

Nel 1956 venne dimostrato che quando piante di tabacco venivano inoculate con l'RNA purificato del TMV (cioè senza l'involucro proteico) le piante sviluppavano le tipiche lesioni indotte dal virus. Questo risultato indicò in modo convincente che l'RNA era il materiale genetico del TMV, ma che venne comunque suffragato. L'anno successivo queste conclusioni furono confermate, da un altro esperimento. Vennero isolate le componenti proteiche e di RNA da due ceppi distinti di TMV, ricostituendo quindi l'RNA di un tipo con le proteine dell'altro, e viceversa, e poi infettando le foglie di tabacco con due virus ibridi. La progenie virale isolata dalle lesioni risultanti era del tipo specificato dall'RNA e non dalle proteine. Quindi, l'RNA è il materiale genetico del TMV.



La composizione e la struttura del DNA ed RNA

Sia il DNA che l'RNA sono polimeri, cioè grandi molecole costituite dall'unione di molte molecole più piccole simili tra di loro, dette monomeri. I monomeri che formano DNA ed RNA sono detti nucleotidi. Ogni nucleotide è composto da tre parti distinte:

una pentoso;

una base azotata;

un gruppo fosfato.

Nel caso dell'RNA il pentoso è il ribosio, e per il DNA lo zucchero è il desossiribosio, i quali differiscono per i gruppi sostituenti legati al carbonio 2': un gruppo idrogeno (H) nel ribosio e un gruppo idrossilico (OH) nel desossiribosio.

Le basi azotate sono cinque e distinte in due tipi:

adenina (A);

Purine

guanina (G);

citosina (C);

timina (T); Pirimidine

uracile (U).

Sia il Dna che l'RNA contengono adenina, guanina e citosina, mentre la timina si trova solo nel DNA e l'uracile solo nell'RNA.

Nel DNA e nell'RNA le basi sono sempre unite all'atomo di carbonio 1' del pentoso da un legame covalente. Le basi puriniche sono legate a livello dell'azoto 9, mentre le pirimidiniche si legano a livello dell'azoto 1.

La combinazione di uno zucchero pentoso e di una base è anche detta nucleoside; se si aggiunge un fosfato ad un nucleoside, la molecola diventa un nucleoside fosfato (o nucleotide). Il gruppo fosfato (PO4 2 -) è legato al carbonio 5' dello zucchero sia nel DNA che nell'RNA.

Per la formazione dei polinucleotidi di DNA e di RNA, i nucleotidi vengono uniti da un legame covalente tra il gruppo fosfato di un nucleotide e il carbonio in 3' del pentoso dell'altro nucleotide. Questo tipo di legame fosfato 5'-3' viene detto legame fosfodiesterico, molto forti.

Nb: le due estremità della molecola non sono uguali, in quanto il polinucleotide porta ad un'estremità un carbonio 5' (con un gruppo fosfato) ed all'altra estremità un carbonio 3' (con un gruppo idrossile), caratteristica nota come polarità del filamento.


Scoperta della doppia elica del DNA

Nel 1953 Watson e Crick pubblicarono un lavoro nel quale veniva proposto un modello per la struttura chimica e fisica della molecola di DNA. Al momento della scoperta dei due scienziati, si sapeva già che il DNA era formato da nucleotidi, ma non come questi fossero associati a dare la molecola. Ciò si comprese grazie ad alcuni esperimenti.

Il primo di questi esperimenti diede notizie sulla composizione delle basi: Chargaff aveva idrolizzato il DNA di numerosi organismi, quantificando le purine e le pirimidine rilasciate. In qualsiasi tipo di DNA (a doppia elica) la quantità di purine era uguale a quella di pirimidine. Ancora più notevole, la quantità di adenina era pari a quella di timina, mentre la quantità di guanina era pari a quella di citosina. Da ciò si dedusse che ad ogni adenina strettamente associata una timina, così come ad ogni guanina è strettamente associata una citosina.

Si portarono avanti anche esperimenti che dessero informazioni sulla struttura della molecola: in particolare la Franklin aveva studiato fibre isolate di DNA mediante la tecnica della diffrazione dei raggi X. Il raggio veniva diffratto dagli atomi secondo uno schema che caratteristico del peso atomico e della disposizione spaziale degli atomi nella molecola. I raggi X diffratti erano registrati su una lastra fotografica, ed in questo modo la Franklin ottenne che il DNA è una struttura ad elica.


Il modello di Watson e Crick

Il modello a doppia elica proposto da Watson e Crick presenta le seguenti caratteristiche:

la molecola di DNA consiste di due catene polinucleotidiche avvolte l'una intorno all'altra a formare una doppia elica destrorsa, dove cioè i due filamenti si avvolgono in senso orario

le due catene sono antiparallele (cioè hanno polarità opposta) e quindi i due filamenti sono orientati in direzioni opposte con uno dei filamenti orientato in modo 5'-3', mentre l'altro è orientato in modo 3'-5'

gli scheletri di zucchero-fosfato si trovano all'esterno della doppia elica, mentre le basi sono orientate verso l'asse centrale

le basi dei filamenti opposti sono uniti da legami idrogeno relativamente deboli. Si possono osservare solo due appaiamenti specifici, che sono A con T (due legami idrogeno) e G cono C (tre legami idrogeno). I deboli legami idrogeno rendono agevole separare i due filamenti del DNA. Le coppie specifiche A-T e G-C sono dette coppie di basi complementari, in modo che la sequenza di nucleotidi in un filamento stabilisce la sequenza nucleotidica dell'altro

a causa del tipo di legame tra le basi, le impalcature zucchero -fosfato della doppia elica non si trovano ad avere sempre la stessa distanza dall'asse dell'elica stessa; questo risulta nella formazione di solchi tra di esse. I solchi possono anche accomodare al loro interno molecole proteiche in contatto con le basi del DNA


Struttura dell'RNA

L'RNA possiede una struttura molto simile a quella del DNA. La molecola di RNA è un polimero di nucleotidi di RNA (ribonucleotidi) in cui lo zucchero è il ribosio. Tre basi su quattro sono le stesse del DNA, ovvero A, G e C; la base distintiva dell'RNA è l'uracile.

Nella cellula, le diverse forme funzionali di RNA (mRNA, tRNA, rRNA, snRNA) sono molecole a singola elica. Non bisogna pensare, però, ad esse come dei bastoncini rigidi, in quanto, non appena due basi sono nelle condizioni di appaiarsi, lo fanno.

Molti virus hanno RNA come materiale genetico. In alcuni casi il genoma ad RNA è a singolo filamento, in altri a doppio filamento. Quest'ultimo possiede una struttura simile a quella del DNA.



L'organizzazione del DNA nei cromosomi

Il DNA di una cellula è organizzato in strutture fisiche chiamate cromosomi. Viene definito genoma il cromosoma, o l'insieme di cromosomi, che contiene tutto il DNA posseduto da un organismo.

Nei procarioti, il genoma è generalmente, ma non sempre, un singolo cromosoma circolare; negli eucarioti, invece, è un assetto completo aploide di cromosomi contenuto nel nucleo della cellula.

Nb: gli eucarioti contengono anche un genoma mitocondriale e, nelle piante, un genoma dei cloroplasti.


Cromosomi eucariotici

Una differenza fondamentale tra procarioti ed eucarioti risiede nel fatto che la maggior parte dei procarioti ha un singolo tipo di cromosoma, mentre la maggior parte degli eucarioti ha un numero diploide di cromosomi in quasi tutte le cellule somatiche.

Il genoma eucarioti è l'insieme dell'informazione genetica contenuta nell'assetto cromosomico aploide. La quantità di DNA totale del genoma aploide di una specie è definita come il suo valore C. I dati sul valore C dimostrano che la quantità di DNA nei diversi organismi varia in modo considerevole e che può esistere, oppure no, una variazione significativa nella quantità di DNA tra organismi correlati. Non vi è inoltre una relazione diretta tra il valore C e la complessità di struttura e di organizzazione di un organismo (detta paradosso del valore C). Infatti, in alcuni Anfibi (ex: rospi) il valore C è più alto che in molti altri vertebrati (quasi 3 volte tanto), ma non si può dire certo che gli Anfibi siano i più evoluti. Negli Anfibi, però, la maggior parte del contenuto di DNA è inutilizzato, detto materiale spazzatura.

Ogni cromosoma eucarioti è costituito da una molecola di DNA a doppia elica lineare che si estende per tutta la lunghezza, complessata con una quantità in peso di proteine circa doppia rispetto a quella del DNA. Si definisce cromatina il complesso del DNA e delle proteine cromosomiche che costituiscono il cromosoma.


DNA a sequenze uniche e ripetute

I genetisti hanno scoperto che alcune sequenze sono presenti una volta sola nel genoma, mentre altre sequenze sono ripetute. Per comodità, queste sequenze sono state raggruppate in tre categorie:

DNA a sequenze uniche

DNA a sequenze ripetute

moderatamente ripetute

altamente ripetute

I genomi eucarioti sono costituiti da DNA sia a sequenze uniche sia a sequenze ripetute; queste ultime molto complesse nel numero di tipi, di copie e distribuzione.


DNA a sequenze uniche

Le sequenze uniche, talvolta chiamate sequenze a singola copia, sono definite come le sequenze presenti da una a poche copie per genoma.

La maggior parte dei geni che conosciamo (quelle che codificano per le proteine della cellula) rientra nella classe di DNA a sequenze uniche; ma non tutto il DNA a sequenze uniche contiene sequenze che codificano per proteine.


DNA a sequenze ripetute

Sia le sequenze di DNA moderatamente ripetute sia le sequenze altamente ripetute sono sequenze presenti molte volte entro un genoma (da 105 a 107 volte).

Queste sequenze possono essere organizzate nel genoma in uno dei seguenti modi:

DNA ripetuto sparso, cioè distribuite a intervalli regolari;

DNA ripetuto in tandem, cioè raggruppate insieme, per cui la stessa sequenza è ripetuta molte volte una dopo l'altra.

Nella distribuzione delle "sequenze di DNA ripetute sparse", ogni famiglia consiste di un insieme di sequenze correlate; la sequenza è caratteristica della famiglia. Spesso poche famiglie hanno numeri di copie molto elevati e costituiscono la maggior parte delle sequenze ripetute sparse nel genoma.

A differenza delle sequenze di DNA sparso, le "sequenze di DNA ripetute in tandem" sono disposte una dopo l'altra nel genoma in un'organizzazione testa-coda. Esempi di questo tipo sono i geni per l'mRNA e il tRNA, che nella maggior parte degli eucarioti sono ripetuti in tandem organizzati in uno o più raggruppamenti (cluster).







Altre informazioni sul DNA

Il DNA, se sottoposto a variazioni di tipo chimico o fisico, può cambiare di stato.

Per esempio, se noi forniamo calore la doppia elica tende a separarsi in due filamenti a se stanti. Tale fenomeno è detto dissociazione (o denaturazione). Ogni genoma ha la sua temperatura di fusione e quest'ultima dipende dalla concentrazione di G-C: più alta è tale concentrazione più calore bisogna fornire perché avvenga la dissociazione. Non viene considerata la concentrazione di A-T e questo perché G-C presenta tre legami a idrogeno, mentre A-T solo uno.

Questa proprietà del DNA serve per descrivere la cinetica di associazione. Prendiamo un genoma, lo sottoponiamo a estrapolazione del DNA e lo frammentiamo ottenendo tanti piccoli pezzetti. Al momento in cui abbassiamo la temperatura, questi frammenti si riassociano nuovamente. Ma quanta parte del genoma si è riassociata? Possiamo utilizzare il metodo della colonna di idrossiapatite: tale sostanza permette il passaggio solo di DNA non riassociato. Quindi, applicando tale metodo, dopo un certo tempo, possiamo renderci conto della misura in cui è avvenuta la riassociazione.



Replicazione del DNA

Replicazione semiconservativa del DNA

Quando Watson e Crick proposero il loro modello della doppia elica di DNA capirono che, se il loro modello era corretto, la replicazione del DNA sarebbe stata ovvia: ogni elica avrebbe potuto essere lo stampo per la sintesi di un nuovo filamento complementare di DNA. Questo modello di replicazione del DNA è noto come modello semiconservativo, poiché ogni molecola figlia mantiene una delle due eliche parentali.

A quei tempi erano stati proposti altri due modelli per la replicazione del DNA: il modello conservativo ed il modello dispersivo.

Nel "modello conservativo" le due eliche di DNA parentali rimangono insieme o si riassociano dopo la replicazione e nell'insieme funzionano da stampo per la sintesi di nuove doppie eliche di DNA figlie. Così, una delle due molecole di DNA figlie è in realtà la doppia elica parentale, mentre l'altra consiste tutta di nuovo materiale.

Nel "modello dispersivo" la doppia elica parentale viene tagliata in segmenti di DNA a doppia elica che funzionano da stampo per la sintesi di nuovi segmenti di DNA a doppia elica. In qualche modo, i segmenti si riassociano in doppie eliche complete di DNA, con segmenti parentali e segmenti figli mescolati. In quest'ultimo caso, il DNA parentale è stato disperso in entrambe le molecole figlie.



Esperimento di Meselson e Stahl

Nel 1958 M. Meselson e F. Stahl ottennero la prova sperimentale che il modello di replicazione semiconservativo era quello corretto.

I due scienziati fecero crescere in batterio E. coli in un terreno minimo in cui la sola fonte di azoto era 15NH4Cl (cloruro di ammonio). In questo composto il normale isotopo dell'azoto, 14N, è sostituito con l'isotopo pesante 15N. Come risultato, tutti i composti delle cellule batteriche contenenti azoto, incluso il loro DNA, contenevano 15N invece di 14N. Il DNA contenente 15N può essere separato dal DNA contenente 14N usando la centrifugazione all'equilibrio in gradiente di densità (con soluzione di CsCl, cloruro di cesio).

Come passaggio successivo, i batteri marcati 15N erano trasferiti in un terreno contenente azoto nella normale forma 14N ed erano lasciati replicare nelle nuove condizioni per molte generazioni. Dopo un ciclo di replicazione (cioè una generazione) in terreno 14N, tutto il DNA aveva una densità esattamente intermedia fra quella di DNA completamente 15N e quella di DNA completamente 14N. Dopo due cicli di replicazione, metà del DNA era ancora di densità intermedia e metà era della densità del DNA contenente solo 14N. Queste osservazioni erano esattamente quelle predette dal modello semiconservativo.

Se il modello conservativo di replicazione del DNA fosse corretto, dopo un ciclo di replicazione si dovrebbero vedere due bande di DNA: una banda nella posizione di densità pesante del gradiente, in quanto contenente le molecole di DNA parentali, con entrambe le eliche consistenti di solo DNA con 15N, e l'altra banda nella posizione di densità leggera, in quanto contenente le molecole di DNA figlie con entrambe le eliche marcate con solo 14N. La quantità di DNA nella posizione di densità leggera dovrebbe aumentare ad ogni ciclo di replicazione. Il fatto che nell'esperimento si trovasse DNA di densità intermedia escludeva il modello conservativo.

Se il modello dispersivo di replicazione del DNA fosse giusto, tutto il DNA presente dopo un ciclo di replicazione sarebbe di densità intermedia; ma dopo un secondo ciclo di replicazione, il modello dispersivo prevedeva che i segmenti di DNA della prima generazione sarebbero stati dispersi nelle doppie eliche di DNA prodotte. Come risultato, le molecole di DNA si dovrebbero trovare in una banda situata a metà strada fra la posizione della banda a densità intermedia e quella della banda a densità leggera. Con cicli di replicazione successivi, dovrebbe continuare ad esservi un'unica banda che dovrebbe diventare sempre più leggera ad ogni ciclo di replicazione. Di conseguenza, neanche questo modello era in accordo con i risultati ottenuti da Meselson e Stahl.



Duplicazione del DNA

La duplicazione di una molecola di DNA richiede, secondo il modello semiconservativo:

I)   lo srotolamento della doppia elica nel punto in cui si ha duplicazione, con l'allontanamento reciproco dei due filamenti paralleli

II) la costruzione, su ciascuno dei due filamenti, di un nuovo polinucleotide con sequenze di basi complementari a quelle del filamento-stampo

In tal modo, si vengono a creare due molecole identiche alla vecchia e costituite ciascuna da un filamento vecchio e uno nuovo.

Nel particolare, una proteina antielicante (o elicasi) apre la doppia elica, creando la cosiddetta forcella di replicazione, dove i due filamenti sono orientati in senso opposto (antiparalleli). Il filamento con direzione 3'-5' è detto principale; l'altro, orientato con direzione 5'-3', è detto secondario.

Una DNA-polimerasi "legge" il filamento principale, seguendo la direzione di apertura della forcella di replicazione e trascrivendo un filamento complementare di DNA 5'-3'.

La copiatura del filamento secondario è invece più complessa. Esso viene prima "letto" da una RNA-polimerasi che trascrive un corto frammento di RNA (detto primer) che serve da innesco a una DNA-polimerasi, la quale sintetizza un corto tratto di DNA copia, sempre orientato nel senso 5'-3'. Questa DNA-polimerasi (detta ) copia, quindi, il filamento secondario in tanti brevi tratti, di circa 1.000 nucleotidi, detti frammenti di Okazaki (primer + tratto di DNA). Questo enzima, una volta giunto a contatto del primer, sostituisce i ribosil-nucleotidi del primer con i relativi deossiribosil-nucleotidi (cioè, rimuove l'RNA primer, sostituendolo con un tratto equivalente di DNA). I frammenti vengono poi saldati fra loro da enzimi del tipo ligasi.

A conclusione del processo si sono formate due nuove molecole di DNA uguali all'iniziale.



L'organizzazione dei genomi extranucleari

Il genoma mitocondriale

I mitocondri, quegli organelli che si trovano nel citoplasma di tutte le cellule di organismi aerobi, contengono gli enzimi per fare la maggior parte delle reazioni ossidative che producono energia per le funzioni cellulari.

Molti genomi mitocondriali (mtDNA) sono molecole circolari, a doppia elica e superavvolte. In alcuni protozoi e funghi i genomi mitocondriale sono invece lineari. In molti casi il contenuto in GC dell'mtDNA differisce gradualmente da quello del DNA nucleare, il che consente la separazione dell'mtDNA per centrifugazione all'equilibrio si gradiente di densità in CsCl.

Il contenuto genico, in termini di numero e funzione, è molto simile nei genomi mitocondriali di specie anche molto diverse. Tuttavia, la dimensione del genoma mitocondriale varia molto da organismo a organismo. La differenza principale tra i mitocondri animali, vegetali e fungini risiede nel fatto che quasi tutto il genoma dei mitocondri animali è codificante, mentre i genomi mitocondriali di piante e funghi hanno una grande quantità di DNA che non codifica.

La replicazione dell'mtDNA è semiconservativa, avviene per opera di DNA-polimerasi specifiche del mitocondrio e non comprende meccanismi di correzione di bozze. Come nella replicazione del DNA nucleare, per l'inizio della replicazione sono sintetizzati degli RNA che fungono da innesco. Il processo di replicazione del DNA mitocondriale avviene durante tutto il ciclo cellulare, senza nessuna preferenza per la fase S del ciclo.

Il modello dello spostamento dell'ansa (o loop displacement, D-lopp) è un utile schema generale di riferimento. Nella maggior parte degli animali, le due eliche dell'mtDNA hanno una densità diversa poiché le diverse basi non sono distribuite nello stesso modo nelle due eliche, e sono chiamate H (= heavy, pesante) e L (= light, leggera).

Il modello di replicazione a D-loop mostra una relativa asincronia nella replicazione delle due eliche complementari H e L. La sintesi di una nuova elica H incomincia in un punto di origine e forma una struttura ad ansa a forma di "D". Dopo che la nuova elica H si è allungata e prosegue la sua sintesi, avviene l'inizio della sintesi della nuova elica L in un secondo punto di origine.

Entrambe le eliche sono completate per sintesi continua. Infine, i DNA circolari sono convertiti nella forma superavvolta.
































LA TRASCRIZIONE



Espressione genica: schema generale

Ogni proteina consiste di una o più catene di aminoacidi, dove ciascuna catena è detta polipeptide. La sequenza degli aminoacidi in un dato polipeptide è codificata da un gene. Quando la cellula ha bisogno di una certa proteina, l'informazione genetica per la sequenza aminoacidica di quella proteina deve essere ottenuta dal DNA e trasformata nel prodotto finito.

Il processo di sintesi proteica comporta due fasi: la trascrizione e la traduzione. La trascrizione è la sintesi di una molecola di RNA copiata su un segmento di DNA, dove solo una delle due eliche di DNA viene trascritta in RNA. La traduzione è la conversione dell'RNA messaggero nella sequenza di aminoacidi di un polipeptide.

A differenza della replicazione del DNA, che avviene normalmente soltanto in una parte del ciclo cellulare (almeno negli eucarioti), la trascrizione e la traduzione avvengono durante tutto il ciclo cellulare, anche se sono molto ridotte durante la fase M del ciclo.

Non tutti i geni codificano proteine, quindi non tutti i trascritti genici vengono tradotti. In effetti, ci sono quattro tipi diversi di molecole di RNA, ciascuno codificato da un tipo di gene specifico:

RNA messaggero (o mRNA), il quale codifica per la sequenza aminoacidica di un polipeptide. Gli mRNA sono i prodotti dei geni che codificano per proteine, detti anche geni strutturali;

RNA transfer (o tRNA), il quale porta gli aminoacidi ai ribosomi durante la traduzione;

RNA ribosomale (o rRNA), il quale, insieme a proteine ribosomali, forma i ribosomi che sono le strutture sulle quali l'mRNA viene tradotto in proteina;

RNA nucleare piccolo (o snRNA), il quale, con alcune proteine, forma dei complessi coinvolti nella maturazione dell'RNA eucariote.



Sintesi dell'RNA

Ad ogni gene sono associate delle sequenze di coppie di basi chiamate elementi regolatori che sono coinvolti nella regolazione dell'espressione genica.

In procarioti ed eucarioti, la trascrizione si realizza mediante un processo biochimico catalizzato da un enzima chiamato RNA-polimerasi.

Prima che la trascrizione possa incominciare, la doppia elica di DNA deve essere srotolata. Nei procarioti ciò viene fatto dalla RNA-polimerasi stessa, mentre negli eucarioti lo srotolamento del DNA è opera di proteine specifiche che si legano al DNA nel punto di inizio della trascrizione. Durante la trascrizione, l?RNA viene sintetizzato in direzione 5'-3'. L'elica di DNA 3'-5', invece, viene letta per formare l'RNA ed è chiamata elica stampo. L'elica di DNA 5'-3' complementare all'elica stampo viene detta elica senso.

Nella trascrizione, i precursori dell'RNA sono i ribonucleotidi trifosfati: ATP, GTP, CTP e UTP.

La reazione di polarizzazione dell'RNA è molto simile a quella del DNA. Il nucleotide successivo da inserire nella catena è selezionato dalla RNA-polimerasi per la sua capacità di appaiarsi alla base esposta sull'elica stampo di DNA. A differenza delle DNA-polimerasi, le RNA-polimerasi possono incominciare la sintesi di nuove catene senza richiedere la presenza di un primer, ma non possiedono la funzione di correzione di bozze.

Nb: da ricordare che le catene di RNA contengono nucleotidi con la base uracile anziché con la timina; pertanto, quando si presenta sull'elica stampo del DNA un nucleotide A, verrà inserito sulla catena di RNA un nucleotide U.








Trascrizione negli eucarioti

RNA-polimerasi eucariotici

Negli eucarioti, tre diverse RNA-polimerasi trascrivono i geni di quattro tipi di RNA:

RNA-polimerasi I (per gli rRNA 28S, 18S e 5,8S);



RNA-polimerasi II (per gli mRNA e snRNA);

RNA-polimerasi III (per i tRNA, l'rRNA 5S e alcuni snRNA).


Trascrizione dei geni che codificano per le proteine da parte della RNA-polimerasi II

Negli eucarioti, i geni che codificano per le proteine sono trascritti dall'RNA-polimerasi II. Il prodotto della trascrizione è una molecola di mRNA precursore (o per-mRNA), un trascritto cioè che, per produrre un molecola di mRNA matura e funzionale, deve essere modificato o processato. I promotori di tutti i geni che codificano per proteine sono stati analizzati e i risultati indicano che essi contengono elementi promotori basali e elementi promotori prossimali.

I meglio caratterizzati degli elementi basali del promotore sono il TATA box e una sequenza ricca in pirimidine vicina al sito d'inizio della trascrizione chiamata elemento iniziatore. Il TATA box ha una sequenza consenso (cioè la sequenza trovata con maggiore frequenza in ciascuna posizione) di sette nucleotidi TATAAAA, si trova in molti geni e, dato che in generale è più facile denaturare una DNA ricco in AT rispetto ad uno ricco in GC, la sequenza TATA facilita la separazione delle eliche per l'inizio della trascrizione e determina anche l'esatto punto di inizio di questa.

Gli elementi prossimali sono localizzati più a monte del TATA box e tra questi riconosciamo il CAAT box e il GC box, con consenso GGGCGG. Entrambi, come il TATA box, hanno solo un'attività genetica nell'inizio della trascrizione.

L'accurato inizio della trascrizione di un gene che codifica per una proteina richiede l'assemblaggio dell'RNA-polimerasi II con un certo numero di altre proteine, chiamate fattori di base della trascrizione (o TF), sugli elementi basali del promotore. I fattori basali della trascrizione sono numerati in base all'RNA-polimerasi con la quale lavorano e con l'aggiunta di una lettera ad indicare l'ordine della loro scoperta (ex: TFIID è il quarto fattore di trascrizione scoperto e lavora con la RNA-polimerasi II).

Nei geni che codificano per proteine, i fattori basali e l'RNA-polimerasi II si legano agli elementi promotore in un ordine preciso:

TFIID si lega al TATA box per formare il complesso d'inizio preliminare;

2°. il complesso TFIID-TATA box agisce come sito di legame per TFIIB;

3°. TFIIB recluta l'RNA-polimerasi II e TFIIF producendo il complesso d'inizio della trascrizione minimo;

4°. TFIIE e TFIIH si legano a produrre il complesso d'inizio della trascrizione completo (che è in grado di dare inizio alla trascrizione).

Il complesso di inizio è sufficiente per un livello basso di trascrizione. Per un elevato livello di trascrizione sono necessari altri fattori chiamati attivatori, i quali controllano quali promotori siano trascritti attivamente. Gli attivatori si legano ad elementi regolatori chiamati enhancer e, attraverso l'interazione con un'altra proteina chiamata adattatore, forma un ponte con il complesso d'inizio completo. Di conseguenza, il DNA tra gli elementi basali del promotore e l'enhancer si piega. La risultante interazione tra le proteine attivatici ed il complesso d'inizio completo stimola la trascrizione.

Gli enhancer si trovano in singola o multipla copia e funzionano in entrambi gli orientamenti (sia a monte sia a valle). Elementi simili agli enhancer, che però reprimono invece di attivare la trascrizione di un gene, sono chiamati silencer. Essi sono molto meno comuni e funzionano quando sono legati a fattori trascrizionali chiamati repressori.





Trascrizione dei geni da parte dell'RNA-polimerasi III

L'RNA-polimerasi III trascrive i geni per il tRNA, l'rRNA 5S e alcuni geni per gli snRNA.

Ogni molecola di tRNA ha una diversa sequenza nucleotidica, ma tutti hanno la sequenza CCA all'estremità 3'. Le differenze nella sequenza nucleotidica spiegano la capacità di un particolare tRNA di leggere uno specifico aminoacido.

La sequenza nucleotidica di tutti i tRNA può essere ripiegata in una struttura detta "a trifoglio". Tale struttura si origina dall'appaiamento tra basi complementari in diverse parti della molecola, che forma quattro strutture a stelo, separate da quattro anse a singola elica. L'ansa II contiene la sequenza di tre nucleotidi detta anticodone, che durante la traduzione si appaia al codone dell'mRNA, con un appaiamento delle basi complementari. Questo appaiamento codone-anticodone è fondamentale per l'inserimento dell'aminoacido corretto specificato dall'mRNA nella catena polipeptidica in crescita.








































LA TRASCRIZIONE



Decifrazione del codice genetico

La relazione esatta che lega i 64 codoni ai 20 aminoacidi fu determinata mediante esperimenti.

Uno degli approcci volti a stabilire quali codoni specificassero quali aminoacidi consistè nel sintetizzare mRNA che contenessero uno, due o tre tipi diversi di basi e nell'aggiungerli a sistemi di sintesi proteica cell-free, analizzando i polipeptidi prodotti in questi sistemi. Quando l'mRNA sintetico conteneva un unico tipo di nucleotide, i risultati erano privi di incertezze.

Nei sistemi di sintesi proteica cell-free furono anche analizzati mRNA sintetici formati dall'incorporazione casuale di due basi diverse, detti copolimeri casuali. Quando vengono prodotti dei copolimeri misti, le basi vengono incorporate a caso nella molecola di sintesi. Pertanto, le molecole di poli(AC) possono contenere gli otto diversi codoni CCC, CCA, CAC, ACC, CAA, ACA, AAC ed AAA. Le proporzioni di asparagina, glutamina, istidina e treonina incorporate nei polipeptidi prodotti dipendevano dal rapporto A/C usato per produrre l'mRNA, e queste osservazioni furono sfruttate per dedurre delle informazioni circa i codoni che specificavano per questi aminoacidi.

Un altro approccio sperimentale utilizzò ancora copolimeri, ma quest'ultimi erano stati sintetizzati in modo che la sequenza fosse nota, e non casuale. Per esempio, un copolimeri ripetuto di U e C produce un mRNA sintetico del tipo UCUCUCUCUC. Quando questo copolimero viene provato in un sistema di sintesi proteica cell-free, il polipeptide che ne risulta presenta uno schema ripetuto di leucina-serina-leucina-serina. Da questo risultato, i ricercatori conclusero che UCU e CUC specificano per leucina e serina, nonostante non fosse possibile determinare quale dei due codoni codifichi per quale dei due aminoacidi.

Un altro tipo ancora di approccio utilizzò un saggio di legame ai ribosomi. Questo saggio dipende dal fatto che, in assenza di sintesi proteica, molecole specifiche di tRNA si legano a complessi formati da ribosomi ed mRNA. Per esempio, quando poli(U)-mRNA sintetico viene unito a dei ribosomi, forma un complesso poli(U)-ribosoma e solamente il tRNA.Fen (che trasporta la fenilalanina all'mRNA, con anticodone AAA) si lega al codone UUU. Il punto fondamentale è che il legame specifico del tRNA appropriato al complesso mRNA-ribosoma non richiede la presenza di lunghe molecole di MRNA, essendo sufficiente il legame di un trinucleotide.

Si noti che, in questo approccio particolare, risulta determinante la specifica sequenza nucleotidica del codone.



Caratteristiche del codice

Le caratteristiche del codice genetico sono le seguenti:

il codice è a triplette. Ogni codone dell'mRNA che specifichi un aminoacido in una catena polipeptidica consta di tre nucleotidi;

il codice non ha segni di interpunzione, ovvero è letto in modo continuo. La lettura avviene a tre nucleotidi alla volta;

il codice non ha sovrapposizioni. L'mRNA viene letto in gruppi successivi di tre nucleotidi;

il codice è quasi universale. Quasi tutti gli organismi condividono lo stesso linguaggio dal punto di vista genetico;

il codice è degenerato. Tranne due eccezioni (AUG per la metionina e UGG per il triptofano) per ogni aminoacido è presente più di un codone. Questa molteplicità del codice è chiamata degenerazione del codice, nella quale si possono riconoscere degli andamenti precisi: se in due codoni i primi due nucleotidi sono uguali e la terza lettera è U o C, quei due codoni spesso codificano per lo stesso aminoacido;

il codice ha dei segnali di inizio e di fine. Sia negli eucarioti che nei procarioti AUG quasi sempre il codone di inizio della sintesi proteica. Soltanto 61 dei 64 codoni codificano per aminoacidi, detti codoni senso. Gli altri tre codoni UAG, UGA, UAA non specificano per nessun aminoacido, detti codoni di stop (o codoni non-senso o di terminazione).

l'anticodone vacilla. Dal momento che 61 codoni senso specificano aminoacidi nell'mRNA, esiste un totale di 61 molecole di tRNA che potrebbero portare gli anticodoni appropriati. L'ipotesi del vacillamento suggerisce che l'insieme dei 61 codoni di senso possa essere letto da un numero minore di 61 tRNA diversi, a causa delle proprietà di appaiamento delle basi nell'anticodone.



Traduzione nei procarioti e negli eucarioti

La sintesi proteica ha luogo sui ribosomi, dove il messaggio genetico codificato sotto forma di mRNA viene tradotto. La molecola di mRNA viene tradotta in direzione 5'-3' ed il polipeptide è sintetizzato a partire dall'estremità N verso l'estremità C. Gli aminoacidi arrivano al ribosoma legati a molecole di tRNA. La sequenza corretta di aminoacidi si ottiene come risultato del:

1°. legame tra il codone dell'mRNA e l'anticodone complementare sul tRNA;

2°. legame di ciascun aminoacido al proprio tRNA specifico.

I tre stadi fondamentali della sintesi proteica sono:

a)  inizio

b)  allungamento

c)  termine


Inizio della traduzione

L'inizio della traduzione richiede una molecola di mRNA, un ribosoma, un tRNA iniziatore specifico, tre diversi fattori proteici d'inizio, la GTP (guanosin trifosfato) e ioni magnesio.

Nei procarioti, il primo passaggio della traduzione è il legame della subunità ribosomale da 30S alla regione dell'mRNA che porta il codone di inizio AUG. La subunità ribosomale è complessata a tre fattori d'inizio (ovvero IF1, IF2 e IF3) ad una molecola di GTP ed agli ioni magnesio.

In queste condizioni, le subunità ribosomali 30S si bloccano sull'mRNA al sito di attacco del ribosoma, il sito al quale il ribosoma si orienta nella fase di lettura corretta per l'inizio della sintesi proteica. Si può facilmente identificare il codone d'inizio AUG, infatti la maggior parte dei siti di attacco possiede una sequenza ricca in purine (tra gli 8 e i 12 nucleotidi a monte del codone d'inizio). Questa sequenza ricca in purine, AGGAGG o simile, ed altri nucleotidi nella stessa regione sono complementari ad una regione ricca in pirimidine (con sequenza CCUCC) al 3' terminale dell'rRNA 16S. La regione dell'mRNA che si lega in questo modo è divenuta nota come la sequenza di Shine-Dalgarno, il quale modello prevede che la formazione di coppie di basi complementari tra l'mRNA e l'rRNA 16S consenta al ribosoma di localizzare sull'mRNA la sequenza corretta per l'inizio della sintesi proteica.

Il passo seguente nell'inizio della traduzione è il legame del tRNA iniziatore al codone d'inizio AUG, a sua volta legato alla subunità 30S. Sia nei procarioti che negli eucarioti, AUG codifica per metionina: da ciò il fatto che le proteine di nuova sintesi cominciano con metionina.

Nei procarioti, la metionina iniziale è una forma di metionina modificata, chiamata formilmetionina (o fMet), nella quale al gruppo amminico della metionina è stato aggiunto un gruppo formilico. Quando sulla molecola di mRNA si incontra un codone AUG che non sia nella posizione di partenza della sequenza codificante, un'altra specie di tRNA viene usata per inserire una metionina in quel punto della catena polipeptidica, chiamato tRNA.Met. Successivamente, quando il fMet-tRNA.Met si lega al complesso 30S-mRNA, IF3 viene rilasciato e a questo punto risulta formato il complesso di inizio 30S, che consta dell'mRNA, della subunità 30S, del fMet-tRNA, di IF1 e IF2. In seguito si lega la subunità 50S, portando all'idrolisi del GTP ed al rilascio di IF1 e IF2.

Il complesso finale è detto complesso di inizio 70S. il ribosoma 70S possiede due siti di legame per gli aminoacil-tRNA: il sito peptidilico (P) e il sito aminoacilico (A). Il fMet-tRNA si lega all'mRNA nel sito P, mentre per il momento il sito A resta libero.

Negli eucarioti l'inizio della traduzione è molto simile. Le differenze maggiori sono il fatto che la metionina iniziatrice non è modificata e che non si trovano sull'mRNA le sequenze di Shine-Dalgarno.

In principio, un fattore d'inizio degli eucarioti, eIF-4F, riconosce il cap all'estremità 5' dell'mRNA e vi si lega. In seguito, si crea un complesso formato dalla subunità ribosomale 40S con il Met-tRNA d'inizio, diverse proteine eFI e GTP, che migra lungo l'mRNA, alla ricerca del codone di inizio AUG, che si trova inserito all'interno di una corta sequenza che indica che si tratta del vero codone d'inizio. Questo viene detto modello a scansione per l'inizio della traduzione.

Una volta trovatolo, la subunità 40S si lega ad esso, seguita dalla subunità 60S che spiazza gli eIF, a formare il complesso d'inizio 80S, con il Met-tRNA d'inizio legato all'mRNA al sito P.

Anche la coda di poli(A) dei messaggeri eucarioti svolge un ruolo nella traduzione. La proteina di legame al poli(A) legata alla coda di poli(A) si lega anche ad una delle proteine di eIF-4F del cap, portando così l'estremità 3' dell'mRNA in prossimità dell'estremità 5'; in questo modo il poli(A) stimola l'inizio della traduzione.


Allungamento della catena polipeptidica

Il processo di allungamento consiste nell'aggiunta di un aminoacido alla volta alla catena polipeptidica nascente.

In primo luogo, non appena si è formato il complesso di inizio 70S, il fMet-tRNA.Met si lega al codone AUG al sito P del ribosoma. La molecola seguente di aminoacil-tRNA, in un complesso con il fattore di allungamento Tu (cioè EF-Tu) e il GPT, si lega al codone esposto (UCC) al sito A del ribosoma. Successivamente si forma il legame peptidico tra i due aminoacidi adiacenti, catalizzato dalla ppeptidil-transferasi; gli aminoacidi uniti risultano attaccati al sito A, formando un peptidil-tRNA.

Segue un altro processo noto come traslocazione, nel quale il ribosoma si sposta di un codone lungo l'mRNA verso l'estremità 3'.

Nei procarioti, la traslocazione richiede l'attività di un altro fattore proteico di allungamento, EF-G. un complesso EF-G-GTP si associa al ribosoma, il GTP viene idrolizzato ed il ribosoma si sposta mentre il tRNA scarico viene rimosso dal sito P.

Negli eucarioti, la traslocazione è molto simile, ma in questo caso viene usato come fattore di allungamento l'eEF-2, che funziona in modo analogo a EF-G. E' stato dimostrato che in E. coli un nuovo sito della subunità 50S, detto E (= exit), è coinvolto nel rilascio del tRNA scarico dal ribosoma. Il modello prevede che il tRNA scarico si sposti dal sito P e si leghi a sito E, bloccando così il legame del prossimo aminoacil-tRNA al sito A finché la traslocazione risulti compiuta e il peptidil-tRNA sia legato in modo corretto al sito P.

Dopo la traslocazione, una reazione che richiede l'idrolisi del GTP causa il rilascio di EF-G, che potrà in seguito essere riutilizzato. Durante il passaggio di traslocazione il peptidil-tRNA resta associato al proprio codone sull'mRNA e, poiché il ribosoma si è spostato, viene ora a trovarsi al sito P. Dopo che la traslocazione è avvenuta, il sito A è libero.

Sia nei procarioti che negli eucarioti, una volta che il ribosoma si è mosso da sito di inizio sull'mRNA, avviene un altro evento d'inizio: in questo modo molti ribosomi possono tradurre in maniera simultanea lo stesso mRNA. Il complesso che si forma tra una molecola di mRNA e tutti i ribosomi che la stanno traducendo simultaneamente è chiamato poliribosoma (o polisoma).









Termine della traduzione

L'allungamento continua finché il polipeptide codificato dall'mRNA non viene completato. La fine della traduzione è segnalata da uno dei tre codoni d stop (nel nostro caso UAG). I codoni di stop non codificano per alcun aminoacido. Il ribosoma è in grado di riconoscere i codoni di stop solo grazie all'aiuto di proteine dette fattori di terminazione, i quali danno il via ad una serie di eventi specifici di terminazione che conducono al rilascio del polipeptide completato.

Tali eventi prevedono in sequenza:

il rilascio del polipeptide dal tRNA al sito P del ribosoma in una reazione catalizzata dalla peptidil-transferasi;

2°. il rilascio del tRNA dal ribosoma;

3°. la dissociazione delle due subunità ribosomali.

Sia nei procarioti che negli eucarioti gli aminoacidi iniziali (fMet e Met) vengono di solito rimossi dal polipeptide completo.







































MUTAZIONI GENICHE



Introduzione

Il DNA può essere cambiato in diversi modi, come per cambiamenti spontanei, errori nella riparazione o l'azione di particolari sostanze chimiche o delle radiazioni. Vi sono due principali tipi di cambiamenti del materiale genetico:

mutazioni cromosomiche che comportano cambiamenti che coinvolgono l'intero cromosoma o parti di questo;

mutazioni puntiformi che comportano cambiamenti che riguardano solo una o poche coppie di basi.

Le mutazioni puntiformi che hanno rivestito una particolare importanza per i genetisti sono le mutazioni geniche, i cui effetti alterano la funzione di un gene. Una mutazione genica può alterare il fenotipo cambiando la funzione della proteina.



Definizione di mutazione

La mutazione è il processo che altera la sequenza di basi nel DNA. Una mutazione, quindi, è un cambiamento di una coppia di basi del DNA o un cambiamento in un cromosoma.

Se una cellula mutata dà origine solo a cellule somatiche le caratteristiche mutate si manifestano solo nell'individuo in cui è avvenuta la mutazione, chiamata mutazione somatica. Al contrario, mutazioni nella linea germinale di organismi che si riproducono sessualmente possono essere trasmesse attraverso i gameti alla generazione successiva, dando origine a un individuo mutato sia nelle sue cellule mutate sia nelle cellule germinali, chiamata mutazione nella linea germinale.

Due diversi termini vengono utilizzati per dare una misura quantitativa delle mutazioni:

tasso di mutazione, che è la probabilità di un particolare tipo di mutazione in funzione del tempo, come il numero di mutazioni per coppie di nucleotidi per generazione o numero per gene per generazione;

frequenza di mutazione, che è il numero di casi di un particolare tipo di mutazione espresso come popolazione di cellule o di individui nella popolazione.


Tipi di mutazioni

Le mutazioni puntiformi possono essere divise in due grandi categorie, a loro volta suddivise:

mutazione per sostituzione di una coppia di basi

mutazione per transizione

mutazione per transversione

mutazione per inserzione o delezione di coppie di basi

mutazione frameshift

Una "mutazione per transizione" è una mutazione che sostituisce una coppia di basi purina-pirimidina con un'altra coppia purina-pirimidina (ex: da AT a GC).

Una "mutazione per transversione" è una mutazione che sostituisce una coppia purina-pirimidina con una coppia pirimidine-purina (ex: da AT a TA, oppure da AT a CG).

Le mutazioni per sostituzione di coppia di basi che cadono in geni codificanti per una proteina possono essere definite a seconda dell'effetto che hanno sulla sequenza aminoacidica:nessun cambiamento, cambiamento poco rilevante o cambiamento con conseguenze gravi.

mutazione missenso, che è una mutazione genica nella quale una sostituzione di una coppia di basi nel DNA causa un cambiamento nel codone dell'mRNA, con risultato che nel polipeptide viene inserito un aminoacido differente (il fenotipo cambia a seconda del tipo di aminoacido);

mutazione nonsenso, che è un mutazione genica che determina nell'mRNA un cambiamento da un codone che specifica per un aminoacido a un codone di terminazione (UAG, UGA o UAA). Essa dà origine alla terminazione prematura della catena polipeptidica, quindi al posto del prodotto completo, verrà rilasciato un frammento tronco del polipeptide (non funzionante);

mutazione neutra, che è una mutazione di sostituzione di una coppia di basi in un gene che cambia un codone nell'mRNA, ma l'aminoacido risultante non determina alcuna alterazione nella funzionalità della proteina prodotta. Questa è un tipo di mutazione missenso, in cui il codone mutato codifica per un aminoacido diverso ma chimicamente equivalente a quello originario e quindi non altera la funzione della proteina;

mutazione silente, che è una mutazione di tipo missenso, la quale si verifica quando un codone nell'mRNA viene cambiato in modo da codificare ancora per lo stesso aminoacido. La proteina in questo caso è ovviamente identica a quella selvatica.

Se una o più coppie di basi vengono aggiunte o delete da un gene che codifica per una proteina, la fase di lettura dell'mRNA risulterà cambiata dal punto della mutazione in poi, poiché fa slittare la fase di lettura a valle dell'mRNA di una base così che vengono incorporati aminoacidi sbagliati. Questo tipo di mutazione viene detto "mutazione frameshift". Esse solitamente rendono non funzionale le proteina; spesso generano dei codoni di stop, che daranno origine a una proteina tronca; in alternativa, le mutazioni frameshift possono fare continuare la sintesi oltre il normale codone di stop, dando origine a un polipeptide insolitamente lungo.


Reversioni e mutazioni di tipo soppressore

Le mutazioni puntiformi possono essere suddivise in due classi in base ai loro effetti sul fenotipo:

mutazione in avanti, che è una mutazione che causa un cambiamento genotipico in direzione dal selvatico al mutante;

mutazione per reversione, che è una mutazione che causa cambiamento genotipico in direzione dal mutante al selvatico.

Quest'ultimo tipo può essere suddiviso a sua volta in reversione vera se la reversione riporta a codificare l'aminoacido originale presente nel selvatico, o in reversione parziale se la reversione porta a codificare un aminoacido diverso che può però restaurare la funzionalità completa o parziale della proteina.

Gli effetti di una mutazione possono essere diminuiti o aboliti da una mutazione soppressore, che è una mutazione in un sito diverso da quello della mutazione originaria. La mutazione soppressore maschera o compensa gli effetti della prima mutazione, ma non la fa revertere.

In base a dove avvengono le mutazioni soppressore possono essere distinte in:

soppressori intragenici, se queste avvengono all'interno dello stesso gene in cui si trova la prima mutazione, ma in un sito diverso;

soppressori intergenici, se queste avvengono in un gene diverso.

Sia i soppressori intragenici che quelli intergenici agiscono in modo da permettere la produzione di coppie totalmente o parzialmente funzionanti della proteina resa inattiva dalla prima mutazione. Tuttavia, il meccanismo di azione dei due tipi di soppressori è completamente diverso.

I soppressori intragenici agiscono alterando un diverso nucleotide all'interno dello stesso codone nel quale è avvenuta la mutazione originale, oppure alterando un nucleotide in un differente codone. La soppressione intergenica avviene come risultato di una seconda mutazione in un gene diverso. I geni che causano soppressione di mutazioni in altri geni vengono chiamati geni soppressori. Molti geni soppressori agiscono cambiando il modo in cui l'mRNA codificato dal gene mutante viene letto. Ciascun gene soppressore può sopprimere gli effetti di un solo tipo di mutazione nonsenso, missenso o frameshift.







Mutazioni spontanee

Le mutazioni spontanee sono mutazioni che avvengono naturalmente. Esse possono avvenire durante la replicazione del DNA o nelle fasi G1 e G2 del ciclo cellulare.

Due dei più comuni eventi chimici che portano alla produzione di mutazioni sono:

depurinazione

deaminazione

Nella "depurinazione" una purina viene rimossa dal DNA quando si rompe il legame tra essa e il desossiribosio. Se queste lesioni non vengono riparate non vi è una base che serva da stampo per la base complementare durante la replicazione del DNA. Quindi in suo luogo verrà inserita una base scelta a caso, che potrà produrre una coppia di basi con appaiamento errato.

Nella "deaminazione" si ha invece la rimozione di un gruppo amminico da una base. Per esempio, la deaminazione della citosina produce uracile, la quale non è una base normale del DNA, anche se è una normale base dell'RNA. Un sistema di riparazione rimuove la maggior parte degli uracili prodotti per deaminazione della citosina. Tuttavia, se l'uracile non viene rimosso, porterà alla sintesi di un'adenina nella nuova elica di DNA durante la replicazione, determinando la conversione della coppia di basi CG a una coppia di basi TA per transizione.



Mutazioni indotte

Le mutazioni indotte sono mutazioni che avvengono quando un organismo è esposto deliberatamente o casualmente ad agenti fisici o chimici, noti come mutageni.

Tra questi agenti ricordiamo in primo luogo sia i raggi X che i raggi UV. I raggi X penetrano nei tessuti e collidono con le molecole, spostando gli elettroni dalla loro orbita e creando ioni. Tali ioni possono rompere i legami covalenti, inclusi quelli zucchero-fosfato dello scheletro del DNA.

È inoltre importante notare che per molti organismi, uomo incluso, l'effetto delle radiazioni ionizzanti è cumulativo. I raggi UV, invece, non hanno energia sufficiente per produrre ionizzazione. Uno degli effetti dei raggi UV sul DNA è la formazione di legami chimici anormali tra molecole di pirimidine adiacenti sulla stessa elica o tra pirimidine di eliche opposte nella doppia elica.

In secondo luogo, possiamo menzionare l'effetto dei mutageni chimici quali sia sostanze naturali sia sostanze sintetiche. Questi mutageni possono essere raggruppati in due classi in base al loro meccanismo d'azione: analoghi delle basi e agenti che modificano le basi, e agenti intercalanti.

Gli "analoghi delle basi" sono molto simili alle normali basi che si trovano nel DNA. Essi esistono in stati chimici alternativi, uno normale e uno raro. Questi stati alternativi si chiamano tautomeri. In ciascuno di questi stati l'analogo delle basi si appaia con una diversa base del DNA. Dato che gli analoghi delle basi sono così simili alle normali basi, possono essere incorporati occasionalmente nel DNA al posto delle basi normali.

Tra gli "agenti che modificano le basi" abbiamo l'acido nitroso (HNO3), il quale è un agente deaminante che rimuove gruppi aminici (-NH2) dalle basi G, C e A. Quando la citosina è trattata con acido nitroso, viene prodotto uracile che si appaia con l'adenina, producendo una transizione da CG a TA durante la replicazione. Analogamente, l'acido nitroso modifica l'adenina producendo ipoxantina, una base che si appaia con la citosina piuttosto che con la timina, dando luogo a una mutazione per transizione da AT a GC. Una mutazione indotta da acido nitroso può revertere con un secondo trattamento con lo stesso mutageno.

Un altro mutageno che modifica le basi l'idrossilamina (NH2OH), che reagisce specificamente con la C, modificandola per aggiunta di un gruppo idrossilico (OH), così che essa può appaiarsi solo con A invece che con G. Le mutazioni indotte dall'idrossilamina sono quindi transizioni da CG a TA. Queste mutazioni non possono essere revertite da un secondo trattamento con altri mutageni.

Altro ancora è il metilmetansulfonato (MMS), il quale introduce gruppi alchilici (ex: -CH3) sulle basi in un certo numero di siti. La G mutilata si appaia con la T, invece che con la C, dando transizioni da GC a AT.

Gli "agenti intercalanti" si inseriscono tra basi adiacenti in una o entrambe le eliche del DNA. Se l'agente intercalante si inserisce tra due coppie di basi adiacenti di un'elica di DNA, che serve da stampo per la sintesi di un nuovo DNA, verrà inserita una base in più a scelta. Il risultato sarà una inserzione di una coppia di basi. Se l'agente intercalante si inserisce al posto di una base nella nuova elica del DNA, quando la doppia elica si replica dopo che l'agente intercalante è stato preso, si avrà una delezione di una coppia di basi. Se ciò avviene in un gene che codifica per una proteina, il risultato sarà una mutazione frameshift. Tali mutazioni possono essere revertite da un trattamento con gli stessi agenti.



Meccanismi di riparazione del DNA

Le mutazioni spontanee o indotte sono un danno del DNA. Sia la cellula procarioti che quella eucariote possiedono diversi sistemi di riparazione su base enzimatica per fronteggiare questi danni. Alcuni sistemi correggono le regioni danneggiate facendo revertire il danno, meccanismo noto come correzione diretta. Altri sistemi excidono la regione danneggiata e poi riparano il buco risintetizzando la regione mancante.


Riparazione dovuta all'attività di correzione delle bozze della DNA-polimerasi

Quando viene inserito un nucleotide scorretto, l'errore viene spesso scoperto dalla polimerasi. La sintesi del DNA si arresta e non può procedere fino a quando il nucleotide sbagliato non sia stato exciso e non ne sia stato aggiunto uno corretto. Solo a questo punto, la polimerasi si muove di nuovo, riprendendo la sua attività polimerizzante.


Riparazione degli errori di appaiamento diretta dalla metilazione

Malgrado la correzione delle bozze da parte della DNA-polimerasi, un numero significativo di errori rimane non corretto dopo che la replicazione è stata completata.

Molti appaiamenti errati tra le basi, presenti nel DNA dopo la replicazione, possono essere corretto da un altro sistema di riparazione chiamato correzione degli errori di appaiamento diretta dalla metilazione, il quale riconosce gli appaiamenti errati e poi procede con la sintesi riparativa. Questo processo richiede il riconoscimento di quale sia la base corretta (la base dell'elica parentale) e quale quella errata (la base sull'elica neosintetizzata).








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