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I SIMBOLI DEL PAPA NEL MEDIOEVO - Dominatore di mostri

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I SIMBOLI DEL PAPA NEL MEDIOEVO

Innocenzo III inizia il suo pontificato con un gesto di grande importanza simbolica, che pose al centro dell'attenzione pubblica l'antico trono di Carlo il Calvo, che nel frattempo era diventato una delle principali reliquie legate al primo vescovo di Roma.

Sedere come Pietro: la cattedra di San Pietro

Il 22 febbraio, si celebrava nella basilica vaticana la festa della cattedra di San Pietro. Due cerimoniali romani della fine delle secolo XII ci raccontano inoltre che il neo eletto pontefice, subito dopo alla consacrazione si doveva sedere per 3 volte sulla cattedra di San Pietro. Questa triplice sessione commemorava simbolicamente, le 3 cattedre episcopali di San Pietro, ossia quella di Alessandria, ottenuta tramite il discepolo Marco, oltre quelle successive di Antiochia e di Roma. Facendosi consacrare Papa il 22 febbraio, Innocenzo III riuniva due cerimonie in una sola.



La cattedra su cui si sedette Innocenzo III era la cattedra in legno che gli studi intrapresi in questi ultimi decenni hanno dimostrato essere il trono imperiale che Carlo il Calvo donò forse a Papa Giovanni VIII in occasione della sua incoronazione come imperatore. La cattedra ora detta di San Pietro, è simbolo visibile del papato romano. Andandosi a sedere sulla cattedra di San Pietro fin dalla sua consacrazione a vescovo di Roma, il pontefice romano si identificava in Pietro, veniva cioè "incattedrato" come si supponeva fosse avvenuto per Pietro. Era certamente questo simbolismo, così profondamente legato alla pienezza del potere dei Papa, che Innocenzo III non si lasciò sfuggire. Il gesto di Innocenzo III chiudeva in certo senso un'epoca storica e ne apriva un'altra. Il Papa non era più soltanto vicario di Pietro, ma era sempre più Pietro; e non è certo un caso se fu proprio Innocenzo III il Papa che volle e riuscì a riservare questo titolo esclusivamente al pontefice romano.

I SIMBOLI DEL PAPA NEL MEDIOEVO - Dominatore di mostriIl trono di Carlo il Calvo consta di un largo sedile con alto schienale, sormontato da un timpano. La parte del sedile è formata da quattro montanti verticali, collegati fra loro con otto traverse, due per lato, a incastro. Nei due montanti posteriori si innesta lo schienale a timpano il cui vano è occupato da arcatelle su tre colonette e due semicolonnette ioniche. Tutti i bordi del trono, le arcatelle e le colonnette, sono decorate da liste di avorio o con una decorazione a rete o con una decorazione di motivi vegetali popolati di figure umane e di animali, spesso fantastici.

Al centro del timpano il busto dell'imperatore è circondato da quattro Angeli quelli più vicini gli porgono una corona; quello di sinistra una palma; quello di destra un'altra palma, e in più ha in mano un libro. Nel fregio di destra, subito dopo l'angelo con la palma e libro, è rappresentato un uomo in atto di trafiggere un serpente drago con una lancia. Seguono poi sei coppie di combattenti. Alla sommità del timpano compare in busto del sole e della luna, a cui seguono varie costellazioni, per terminare a destra con fu la figura della terra. L'intero schienale appare dunque come un tempio che permette all'imperatore di apparire in tutta la sua divina maestà. L'imperatore è perciò partecipe della terra e del cielo, è come Cristo, e ciò viene confermato il dal fatto che quattro sono gli Angeli che gli fanno corona. Tradizionalmente, erano appunto quattro gli Angeli che circondavano la mandorla in cui siede Cristo in maestà.

La parte anteriore del sedile è interamente occupata da formelle di avorio, disposte in tre fasce: nella prima, formata da un'unica fila di formelle, sono disposte le prime sei fatiche di Ercole, nella seconda e terza, formante da una serie di formelle doppie, e le altre sei fatiche più una fila di mostri serpentiformi. Più ci si allontana dal dossale e si scende verso la parte inferiore del trono, gli esseri umani diminuiscono, mentre aumentano i mostri dalle forme sempre più mescolate fra loro.

Tutto il trono appare così divisibile grosso modo in due zone, il cielo e la terra e, come appendice marina, esseri serpentiformi e tritoni. L'intero programma del trono appare quindi concepito per glorificare l'imperatore, a cui l'universo è interamente soggetto e spetta il diritto che tutto sia posto sotto i suoi piedi.

I mostri ricordano le in innumerevoli insidie contro cui l'eroe Ercole dominatore dei mostri a dovuto lottare; così anche l'imperatore con l'aiuto divino potrà affrontare i mali e le insidie del demonio e uscirne vincitore.

Innocenzo III utilizzò l'immagine del sole (Papato) e nella luna (impero) fin dal primo anno del suo pontificato. Già Gregorio VII si era servito di questa metafora, ma Innocenzo III la innovò sul piano interpretativo.

Con il pontificato di Innocenzo III e con la nuova impostazione della politica papale fondata sulla pienezza dei poteri si conserva un radicale cambiamento nella tipologia delle cattedre romane.

La cattedra di San Pietro tra cielo e terra

Dopo il 1235 la cattedra fu protetta da una gabbia.

Due decenni dopo, un incendio avrebbe distrutto l'arca di legno in cui si trovava la cattedra, che si salvò però per miracolo. Secondo quanto avrebbe raccontato lo stesso Papa Alessandro IV, l'incendio sarebbe stato provocato da una candela della confessione, ossia dell'altare maggiore di san Pietro, presso il quale, come ogni anno, la cattedra, adorna di candele, veniva esposta il 22 febbraio alla venerazione dei fedeli.

Una nuova attenzione alla cattedra si manifesta dalla metà del 400 in poi. Nel 1481 Sisto IV concesse per la prima volta un'indulgenza plenaria per la festa della cattedra e Paolo IV nel 1557 ordinava la cattedra fosse da allora in poi esposta anche il 18 gennaio. Nel 1665, la cattedra fu racchiusa nel monumento dell'abside della rifatta basilica di San Pietro, sopra il nuovo altare. Il monumento, opera del Bernini, sottrasse completamente agli occhi dei fedeli la cattedra simbolo del Papato, che fu come trasferita dalla terra al cielo, posta in mezzo agli angeli e dominata dalla colomba simbolo dello spirito santo.

Identificandosi con Pietro, perché questo era infondo il vero significato del gesto di Innocenzo III, il Papa si avvicinava a Cristo, e diventava cioè l'intermediario tra cielo e terra. È quanto afferma lo stesso Innocenzo in un sermone: il Papa è intermedio tra Dio e l'uomo, al di sotto di Dio, ma sopra agli uomini.

Impugnare le chiavi di Pietro

Come la cattedra di San Pietro, anche le chiavi diventano nel duecento simbolo del Papato. Tradizionalmente, le chiavi erano un attributo iconografico di San Pietro.

Nel mosaico absidale della basilica di San Pietro, restaurato da Innocenzo III, la figura designata come Ecclesia Romana tiene nella mano destra un vessillo nel quale sono raffigurati due chiavi appese a una corda e situate ad angolo retto rispetto all'asta del vessillo. Le chiavi figurano in un il vessillo tenuto in mano dall'ecclesia Romana; è il vessillo della chiesa romana. In una moneta, Carlo I d'Angiò presenta due chiavi rivolte in alto e senza corda: quale re di Sicilia, Carlo è vassallo del Papa, ossia della chiesa romana. lo stesso Clemente IV tiene le chiavi come uno scettro.

Il Papa con le chiavi

La statua di Bonifacio VIII

Il busto vaticano è il primo ritratto scultoreo di un Papa vivente, ma è anche la prima statua di un Papa che benedice con la mano destra e porta le chiavi della mano Sinistra. Il pugno sinistro serrato intorno alle due chiavi è simile a quello del San Pietro di bronzo. Bonifacio VIII è anche il primo pontefice per il quale si può documentare l'uso delle chiavi di San Pietro sullo stemma di un Papa.

Nell'impugnare le chiavi Bonifacio VIII si appropria di un attributo che era tendenzialmente di San Pietro. Un simbolo che allora doveva servire a rendere visibile il ruolo intermedio del Papa tra cielo e terra.

Il Papa, Pietro e Cristo: la grata della confessione

Innocenzo III fece apporre sotto alla confessione una grande grata metallica in rame dorato e smalti, all'interno di una sorta di facciata a due ordini di archetti erano disposte piccole statue dei 12 apostoli ai lati di Cristo in maestà tra i simboli degli Evangelisti, cinque dei quali, i soli superstiti, sono ora conservati al museo sacro della biblioteca vaticana. L'iscrizione della griglia, che è in parte una parafrasi 959h77j , ricorda le parole di San Paolo relative alla città a spirituale di Israele, gioca sul simbolismo del numero 12 che stabilisce una corrispondenza tra le tribù di Israele e gli apostoli e spiega il senso dell'intero programma della composizione voluta da Innocenzo III. Cristo è giudice su tutti i popoli e nell'esplicare il suo ruolo di giudice è circondato dagli apostoli; ma il Papa, che qui viene del resto chiamato con il nome del donatore, Innocenzo III, occupa un posto privilegiato, che era poi quello di Pietro. L'iscrizione serve qui a riaffermare la concertazione innocenziana del potere giurisdizionale della chiesa apostolica.

Con i versetti di Geremia ( "Dio" ti ha istituito oggi sui popoli e regni), Innocenzo III si vedeva attribuire poteri giurisdizionali universali, non solo sui principi, ma sui popoli e i regni. Inoltre il versetto indicava l'origine divina del potere che gli era stato affidato.

La lunetta di santa Maria di Vulturella

La grata di bronzo costituita da uno sportello mobile era forse conclusa in alto da una lunetta a traforo che si trova oggi a Roma nel museo di palazzo Venezia, e dove giunse dal convento di santa Maria di Vulturella presso Tivoli. La lunetta aveva trovato rifugio in quel monastero, feudo papale, dopo il sacco di Roma del 1527. Sulla faccia principale della lunetta, rivolta verso l'esterno, figura al centro l'Agnello, nimbato, recante la croce e circondato dall'iscrizione: "sono io la porta nell'ovile delle pecore". Di fatto, una porta fortificata si erge al di sopra dell'agnello, intorno alla quale sono disposti i simboli degli Evangelisti. L'aquila, in alto a destra è simmetrica a Luca, in alto a sinistra, mentre Matteo a destra e Marco a sinistra occupano la zona inferiore. Sopra l'agnello, al centro dell'arco, sono iscritte in un medaglione le insegne del potere episcopale, il seggio curule con braccioli leonini e la mitra, raffigurata di profilo, con i fanoni spiegati. Tale posizione conferisce a questo medaglione un inatteso ruolo di centralità, che conviene sottolineare. Nell'arco, hanno ad ogni lato del medaglione con il seggio curule, sono raffigurati i busti dei 12 apostoli. San Pietro è a destra del medaglione. Sull'architrave appaiono figure dell'antico testamento, sopra il cerchio dell'agnello pascale, di cui si mette in evidenza il ruolo di guida e di mediazione è raffigurata una cattedra a braccioli leonini sormontata da una mitra, che è qui simbolo delle potere episcopale. Ma la cattedra è papale, un esplicito riferimento alla cattedra di San Pietro.

Nell'arco e nell'architrave della lunetta, posti in esatta corrispondenza degli apostoli e dei profeti, i 24 vescovi che troneggiano, vestiti di alba e recanti la mitra. Anch'essi tengono un libro chiuso nella mano destra e con la sinistra fanno cenno di insegnare o di testimoniare a favore della dottrina. Nel medaglione centrale, piuttosto dietro l'agnello, un vescovo, di statura doppia, siede su un trono; non è nimbato ma porta le chiavi di San Pietro, e presta l'orecchio alla colomba dello Spirito Santo come San Gregorio; è inoltre l'unico a portare il palio. Il vescovo con le chiavi è iconograficamente identificabile con San Pietro. La presenza della colomba potrebbe far pensare che il vescovo seduto sul trono è Papa Gregorio magno; ma il vescovo seduto su un trono è rappresentato qui senza il nimbo, il che accentua la significatività della sua esistenza storica. Il vescovo seduto è dunque un Pontefice regnante, Innocenzo III appunto. La posizione di centralità del vescovo con pallio e chiavi, nell'ambito di un assise di vescovi che sembra raffigurare il IV concilio lateranense, indetto e presieduto da Innocenzo III nel 1215. Identificandosi con San Pietro, di cui ci tiene le chiavi, il Papa viene rappresentato come gli attributi della pienezza del potere, in una posizione di maestà con chiara preminenza sui 24 vescovi. Inoltre, il fatto è che il medaglione di San Pietro-Papa sia posto in immediata corrispondenza con l'agnello significa che il Papa riceve il suo potere non soltanto da Pietro, ma mediante Pietro, da Cristo stesso. Quindi il vescovo, seduto sul trono, che porta le chiavi di San Pietro, è quindi Papa-Pietro, e riceve la sua ispirazione dallo spirito santo, la colomba.

Moneta petrina

Il ricorso alle immagini di San Pietro poteva confrontare l'autorità papale anche sul territorio politico. E' interessante, a questo proposito il progetto di Gregorio IX di fare coniare dalla zecca di Gaeta una moneta d'argento che doveva avere su un lato l'immagine della testa di San Pietro è il nome della città, e sull'altro l'immagine del pontefice e il suo stesso nome. Nessuna moneta aveva mai recato prima di allora l'immagine del pontefice, la zecca del Senato di Roma emetteva provisini con croce e pettine, ma privi di qualsiasi riferimento al Papa. Nel conflitto tra Gregorio IX e Federico II, anche le immagini svolsero un ruolo precipuo. La coniazione dell'augustale, nel 1231, in cui Federico II è rappresentato con il busto classico dell'imperatore, può anche esser rivista, in parte, come una risposta dell'audace progetto iconografico di Gregorio IX per Gaeta.

Sigilli segreti e anelli del pescatore

L'anello del pescatore, ossia l'anello di cui i papi si serviranno fino all'800 per sigillare i documenti di natura particolare, deve, sembra, la sua la nascita alla creatività curiale del 200. Il più antico anello del pescatore, fu trovato nella tomba di Clemente IV e reca una figura sul trono e baldacchino gotico con chiavi e libro. La figura inginocchiata, forse con tiara o con mitra, rappresentava, ovviamente, Clemente IV. Il termine "anello del pescatore" è di chiaro simbolismo petrino, e rinvia esplicitamente un passo del vangelo di Matteo, che racconta come Pietro e suo fratello Andrea furono fatti da Cristo, pescatori di uomini e disse loro " seguitemi, vi farò pescatori di uomini ".

L'anello trovato nella tomba non reca però nessuna figura di Pietro pescatore, e la figura seduta sul trono sembra essere Cristo piuttosto che Pietro. Nicolò III si servirà per sigillare il reliquiario di santa Prassede, che si conservava allora nella cappella Sancta Sanctorum, reca una raffigurazione esplicita di Pietro: al centro del sigillo e figura di un giovane imberbe che tiene la canna da pesca. Nei due soli anelli duecenteschi giunti fino a noi, l'anello del pescatore non presenta quindi una raffigurazione più esplicita di San Pietro. Il papa porta sì un anello del pescatore, il cui termine è in evidente relazione con Pietro, ma l'assenza di un'iconografia di Pietro sembra insistere l'immediatezza della relazione del papa con Cristo.

L'anello del pescatore doveva, infatti, essere consegnato ai cardinali nel corso di una cerimonia che troviamo attestata per la prima volta in relazione alla morte di Clemente V. L'anello di Clemente VI presenta anche il blasone personale del Papa sormontato dalla tiara e dalle chiavi. Quello di Martino V inaugura invece una rappresentazione che rimarrà immutata nei secoli: la figura circolare mostrata San Pietro in una nave; a destra in alto, sopra l'effigie di San Pietro, appare sempre molto piccolo, il nome del Papa con il suo numero. Questa iconografia   non si impone però immediatamente. Eugenio IV, come già Clemente VII, portò un anello che aveva incise le teste degli apostoli Pietro e Paolo. L'anello del pescatore era riservato a sigillare le lettere segrete del Papa. Dalla fine del XIV secolo, l'anello servirà a sigillate un documento pontificio, i brevi spediti dai segretari del Papa, la cui pergamena era finissima e bianca, proveniente da pelli di Agnelli nati morti. Il colore candido della pergamena era in perfetta sintonia con il color bianco della veste delle Papa.

La figura di Pietro è stata indubbiamente il concetto di grande attenzione da parte del papato. Il Papa è Pietro ossia non più soltanto vicario di Pietro. L'identificazione del Papa con Pietro sottolinea l'immediatezza dell'origine divina del potere papale. I papi del 200 hanno voluto identificarsi con Pietro, per meglio avvicinassi a Cristo.



Pietro e Paolo e le bolle di piombo

La solennità dei santi Pietro e Paolo che si celebrava il 29 giugno era la festa romana più importante. I due apostoli fondatori della chiesa di Roma, i santi Pietro e Paolo, durante tutto il medioevo hanno costituito un punto di riferimento obbligato nell'ambito della autorappresentazione del papato. L'uso di porre le immagini di Pietro e Paolo sul retro della bolla di piombo risale infatti all'inizio del secolo XII.

Sotto Benedetto III si era cominciato a scrivere il nome del Papa sulle bolle della cancelleria pontificia; due secoli dopo, sotto Vittore II, sul retro fu raffigurato per la prima volta San Pietro, al quale, dal cielo, la mano di Cristo porgeva la chiavi; e su verso, la figura di Roma era circondata dal nome del Papa al genitivo. Pasquale II usò i ritratti degli apostoli incisi tra una croce e le lettere SPA e SPE; sul verso, il nome del Papa appare al nominativo, accompagnato dal numero corrispondente. La matrice del sigillo plumbeo associa il nome del Papa alle immagini degli apostoli Pietro e Paolo, sottolinea quindi l'autorità apostolica della funzione pontificia: il Papa siede tra agli apostoli. La decisione di porre le teste dei due apostoli, Pietro e Paolo, sui bolli della cancelleria coincide cronologicamente con la nascita di una leggenda incentrata sui corpi degli apostoli Pietro e Paolo: la descrizione della basilica vaticana di Pietro Mallio afferma che l'altare della confessione contenesse non solo il corpo di Pietro ma anche quello di Paolo. È una novità straordinaria, perché secondo un'antichissima tradizione i corpi degli apostoli Pietro e Paolo erano stati deposti nelle rispettive basiliche: Pietro in Vaticano e San Paolo sulla via Ostiense.

Pietro e Paolo ai lati di Cristo.

Nel restauro dell'abside di san Pietro, Innocenzo III fa raffigurare i santi Pietro e Paolo in atteggiamento di acclamazione ai due lati di Cristo in trono. E' una scena nuova, la situazione è analoga anche per quanto riguarda il grande mosaico della facciata nella basilica vaticana, al di sopra del tetto del nartece, che fu radicalmente rinnovato da Gregorio IX. L'antico tema, l'adorazione di Cristo da parte dei quattro Evangelisti e dei 24 vegliardi, fu mantenuto, ma l'agnello fu sostituito da Cristo in trono e vi furono aggiunte diverse figure, fra le quali, appunto Pietro e Paolo e lo stesso il pontefice. Nella facciata, su fronti delle navate laterali, Gregorio IX sostituì inoltre i due gruppi di anziani presenti nella raffigurazione paleocristiana con la rappresentazione ecclesiale della città di Gerusalemme, a sinistra, di Betlemme, a destra, con, in primo piano, la visione delle porte urbiche dalle quali uscivano gli Agnelli. Era un programma destinato a sottolineare, come il mosaico innocenziano dell'abside, la vocazione della chiesa romana a guidare l'umanità verso la seconda venuta di Cristo. I santi Pietro e Paolo che appaiono ai lati di Cristo in maestà è una tematica teofanica.

Pietro e Paolo e il sogno di Costantino

L'interesse che gli ambienti papali riservano tra la fine del secolo XII e i primi decenni del secolo XIII a Pietro e Paolo è però anche sotteso da un chiaro significato politico. Se ne ha la prova nel fatto che l'episodio nell'apparizione degli apostoli Pietro e Paolo all'imperatore Costantino malato di lebbra, che faceva parte dell'antichissima leggenda di San Silvestro, risalente al VI - V secolo, ha occupato un posto di rilievo nelle raffigurazioni significative per tematica e ubicazione. Il ciclo della leggenda di san Silvestro fu illustrato in un mosaico del nartece della basilica di San Giovanni in Laterano, che risale probabilmente al pontificato di Clemente III. L'importanza politica del ciclo appare evidente se si pensa che al ciclo di San Silvestro furono aggiunte, ed era la prima volta che ciò avveniva a Roma, scene ispirate alla donazione Costantino.

Il sogno di Costantino ha un posto centrale nella serie di scene tratte dalla vita di Papa Silvestro I e alla donazione di Costantino che occupano due pareti della cappella di san Silvestro presso la basilica romana dei santi Quattro Coronati, il ciclo assume un carattere squisitamente politico, rispecchia sia la posizione ideologica della curia romana in temi di rapporti tra papato e impero.

Queste scelte iconografiche sono state giustamente lette in chiave strettamente ideologica, nel senso, cioè, di cui una riaffermazione del potere teocratico del papato attraverso il recupero dell'antica tradizione apostolica.

Pietro, Paolo e Bonifacio VIII

Proprio nel 1300, l'importanza del binomio Pietro e Paolo provoca un'inattesa decisione da parte di Bonifacio VIII, in occasione della promulgazione del il giubileo. Per la promulgazione della bolla del giubileo, Bonifacio VIII aveva in un primo tempo scelto la basilica del Laterano, ma decise poi, assai rapidamente, di ripetere la cerimonia in San Pietro. Il gesto favoriva indubbiamente la basilica vaticana rispetto a quella lateranense, il Papa non incluse fra le basiliche in cui i pellegrini avrebbero potuto lucrare l'indulgenza plenaria. Lo stesso privilegio concesso alla basilica vaticana fu invece conferito alla basilica di San Paolo fuori le mura. Per ottenere l'indulgenza giubilare, i romani andrebbero dovuto recarsi durante 30 giorni sia l'una che l'altra basilica; i pellegrini forestieri erano invece tenuti a recarsi presso le due basiliche durante soltanto 15 giorni. Il Papa creò dunque una nuova peregrinatio, ricalcata sull'antica tradizione della visita alle tombe dei due apostoli romani Pietro e Paolo.

Bonifacio VIII aveva ordinato l'edificazione di un grandioso mausoleo nella navata centrale della basilica di San Pietro, a ridosso della retrofacciata. Non si trattava di una semplice tomba, ma di una cappella con sacello. la cappella era simile a un baldacchino con cupola ottagonale retta da quattro colonne. Il sacello era cinto in basso da transenne in ferro. Il sepolcro del Papa era addossato all'interno della cappella sulla parete di fondo, di una nicchia rivestita da una Cortina. Due Angeli la sollevano scoprendo così la figura giacente del Papa che si trova posto su un sarcofago decorato da stemmi della famiglia Caetani. Sopra il sepolcro, il mosaico attribuito a Jacopo Torriti si ammirava ancora nel 500: al centro in alto c'era la Madonna con il bambino, il mistico trono vuoto dell'apocalisse era sormontato da una lunga croce ed affiancato da due palme. Bonifacio VIII appare vestito del manto, con la tiara sul capo e le simboliche chiavi di San Pietro pendenti sulle mani; e inginocchiato davanti alla Madonna e al bambino Gesù, con le mani giunte che quasi si uniscono a quelle dell'una e dell'altro protese verso di lui. San Pietro lo sovrasta e tiene le mani posate sulle sue spalle, in atto di volerlo lui stesso presentare alla Madonna e al bambino. Come non osservare qui che nella loggia delle benedizioni Bonifacio VIII fece porre una sua statua fiancheggiata da quelle dei santi Pietro e Paolo.

Vicario di Cristo

Tra l'XI e il XIII secolo, il Papa diventa " vicario di Cristo " immagine vivente di Cristo in terra. Il Papa rappresenta la persona di Cristo e di conseguenza incarna la chiesa.

Nel 1592 durante i lavori di realizzazione del progetto michelangiolesco di San Pietro, si decise di demolire la tribuna della vecchia basilica, il che comportava anche alla distruzione del grande mosaico dell'abside voluto da Papa Innocenzo III. Oltre alla registrazione dell'immagine si provvide a salvare materialmente anche alcuni frammenti del mosaico. Il busto di Innocenzo III e il tondo contenente una fenice furono donati da Clemente VIII al duca Lotario II Conti, che discendeva dalla famiglia di Innocenzo III.

Al centro del mosaico innocenziano era raffigurato Cristo in trono benedicente, con ai lati San Pietro e San Paolo, inquadrati da due palme. Al di sotto dei piedi del Cristo erano le quattro fonti simboliche cui si accostavano due cervi; completavano la composizione varie scene di vita campestre. Nella zona del fregio era raffigurata la successione degli Agnelli uscenti dalla città simbolica e convergenti verso l'agnello, ai lati del quale erano Innocenzo III e l'Ecclesia Romana. L'iscrizione lungo il bordo inferiore del mosaico definiva la basilica vaticana " madre delle chiese " un titolo per il quale i canonici lateranensi avevano lottato da secoli e che veniva invece ora d'autorità riservato alla basilica vaticana.

Innocenzo III e l'Ecclesia Romana

Il mosaico contiene sostanziali cambiamenti rispetto al mosaico precedente. La revisione più importante è visibile del faccione inferiore. Il gruppo centrale trono-agnello rimane invariato, ma alle figure degli apostoli furono sostituiti i simbolici Agnelli fuoriuscenti dalle città di Gerusalemme e Betlemme. Inoltre, nella zona centrale vennero introdotte due nuove figure, Innocenzo III e l'Ecclesia Romana, che appaiono raffigurati in un ruolo di capofila delle due schiere di Agnelli e collocati in continuità strettissima con il trono, in una posizione verticalmente assiale rispetto a Cristo in maestà. Il pontefice non è più soltanto il deviatore, ma viene ad assumere un'inedita posizione di centralità, che pone la figura del Papa in una relazione straordinariamente efficace con la personificazione eretta e trionfale dell'Ecclesia Romana. Questa, raffigurata come una giovane donna, porta il vessillo con le chiavi ed è incoronata da un vistoso diadema gemmato. Ma anche il pontefice porta la tiara, il copricapo che Costantino avrebbe dato a Papa Silvestro con la donazione.

Il pontefice, in quanto vicario di Cristo, si unirebbe misticamente con l'Ecclesia Romana, così come Cristo è lo sposo della chiesa. Ma il fatto che le figure del Papa e della chiesa romana sono poste ai fianchi del trono con l'agnello, simbolo di Cristo, visualizza piuttosto l'idea che il Papa, qui identificato con la chiesa romana, riceve il suo potere non soltanto da Pietro, ma attraverso Pietro, da Cristo stesso. Inoltre, il potere del Papa è universale, spirituale e temporale insieme: il Papa porta infatti pallio, simbolo della pienezza del potere papale, e la tiara. La figura del Papa riassume in sé la dignità sacerdotale e quella regale di Cristo.

Il Papa e la fenice

La fenice, scende, sdoppiandosi, nel registro più basso sulle palme più piccole poste alle spalle del pontefice e dell'Ecclesia Romana. La duplicazione è assolutamente insolita. La fenice investe dunque ambedue le figure centrali, del Papa e della chiesa, serve cioè, probabilmente, a visualizzare l'origine divina dell'autorità papale. La fenice era infatti da secoli simbolo della risurrezione di Cristo. Ma la fenice è un uccello che si autogenera ed è dunque cui fosse anche l'esempio di verginità e si applica bene all'Ecclesia, la sposa che Innocenzo III definiva casta.

Nell'arte pagana e cristiana, la fenice simbolizzava anche l'idea di mortalità e di perpetuità.

Esiste una sola fenice alla volta: secondo la tradizione, al termine della sua lunga esistenza, 500 anni o più, la fenice appiccava il fuoco nel suo nido, attizzava le bracci con le ali e periva nelle fiamme, mentre una nuova fenice emergeva dalle braci rosseggianti. Il carattere solitario e unico della fenice simboleggiava la dignità che non muore, pur nel rispetto dell'individuo che ne era titolare.

Le mani del Papa

Il Papa tiene le mani rivolte verso l'Ecclesia Romana , un gesto che forse va letto in chiave feudale. E' un altro gesto inedito, con il quale Innocenzo III volle cogliere l'esigenza di attribuire al pontefice un ruolo che ne sottolinea la funzione terrena del Papa quale vicario di Cristo che ottiene e in suo potere unicamente da Cristo. Il Papa è l'unico e diretto delegato di Cristo in terra. Gregorio IX riprende il gesto di Innocenzo III.

Più che ad illustrare il matrimonio mistico del vescovo di Roma con la sua chiesa, il mosaico innocenziano stabilisce un identificazione immediata, anche a in termini di regalità, con la chiesa romana. Nell'esercizio della pienezza del potere del Papa, intesa nella sua duplice dimensione, ecclesiale (pallio) e temporale (tiara), il Papa agisce su delega della chiesa romana senza mediazione alcuna, perché è il suo potere politico proviene in modo inequivocabile e da Cristo (trono-agnello).

Visibilità cristica: il Papa, rosso e bianco

Innocenzo III ricorda che il Papa deve rivestire paramenti rossi quando celebra il giorno della festa dei santi Pietro e Paolo e paramenti bianchi nella festa della cattedra di San Pietro. Il Papa porta successivamente due colori, che sono poi i colori del vessillo della chiesa romana.

Il manto rosso è simbolo del martirio di Cristo, fondamento cristico della funzione pontificia; e il biancore della veste rinvia all'innocenza di vita e alla carità del Papa. La veste deve essere sorretto da un altrettanto cristica purezza interiore.

Visibilità iconografica

Nell'affresco della cappella a di San Silvestro presso la basilica dei santi Quattro Coronati, il Papa è rivestito del manto rosso e della tonaca bianca, che è decorata con un grande ricamo.

La persona del Papa rappresenta, ossia incarna la chiesa, perché è il Papa è Cristo in terra.

Simboli cristici: croci su pallio e pantofole

Il bianco e il rosso sono colori cristici: candido di santità e rosso di passione.

Così anche l'alba romana che indossa il pontefice romano è simbolo cristico.

Anche altri elementi del vestiario papale finirono per accogliere simboli cristci. È il caso, del pallio.

Il pallio papale deriva molto probabilmente da una tradizione imperiale della tarda antichità: gli imperatori e i loro alti ufficiali usavano portare delle sciarpe. Il pallio è un simbolo che il Papa, almeno fin dal IV secolo, consegna anche ad altri dignitari e ecclesiastici, in particolare a tutti gli arcivescovi, per sostenere simbolicamente l'intimità del legame con la sede apostolica.

In origine, il pallio si presentavano come una lunga sciarpa bianca, le cui estremità cadevano fino ai piedi, d'avanti e dietro. Nel XII secolo si assiste ad un cambiamento. il pallio viene fissato simmetricamente a mo' di una "Y". La parte superiore del pallio può anche sposare le curve del collo e delle spalle; nella seconda metà del 200, il palio presenta una forma che si può definire analoga alla lettera greca tau (T). Anche il palio reca più di una croce Almeno fino dal XII secolo in poi e nel 200 il loro numero aumenta fino a sei: tre croci vengono fissate sul pallio sulla parte orizzontale e tre sulla parte verticale.

Un'evoluzione analoga che riguarda anche le Pantofole del Papa. Sandali riservati ai papi, e ai vescovi e ad altri chierici privilegiati sono noti almeno fin dal sesto secolo, ma dall'inizio del XII i sandali papali si sono trasformati in una sorta di pantofola, destinata a chiudere il piede del Papa in modo più completo di quanto non potessero fare i sandali del periodo precedente. Da allora in poi, la pantofola è la calzatura ufficiale del Papa. Presentano un'ornamentazione sempre più ricca. il ricamo è costituito da elementi geometrici e vegetali, particolarmente raffinati. L'ornamentazione sembra essere disposta secondo una forma che ricorda una croce. Anche la pantofola diventa quindi strumento di avvicinamento del Papa a Cristo.

Imprimersi su Cristo: gli agni di cera

Anche gesti rituali e oggetti simbolici servirono a sostenere l'avvicinamento simbolico del Papa a Cristo. Un caso veramente interessante è costituito dagli agnelli di cera. Una volta all'anno, il sabato dopo Pasqua, il Papa procedeva ad una cerimonia nel corso della quale distribuiva degli agni di cera. Gli agni sono confezionati dagli accoliti del Papa, i quali devono per di più ricevere le 10 libere di cera dall'altare di San Pietro, e presentarle personalmente al pontefice. Gli agnelli vengono fabbricati il sabato santo e distribuiti il sabato successivo. La distribuzione è distinta in due fasi. Il sabato dopo Pasqua, in nella basilica di San Giovanni in Laterano, il Papa offre gli agnelli, confezionati con crisma e cera; gli accoliti presentano al Papa una scodella d'argento un piena di agnelli di Dio; un'altra viene data al camerlengo che la dona alla famiglia del Papa.. Il Papa distribuisce gli angni la cui cera è intrinseca di simbolismo petrino e contiene non solo olio ma anche crisma, simbolo dell'unzione.

L'Agnus Dei in cera più antico, giunto fino a noi, risale al pontificato di Giovanni XXII. Reca l'effigie dell'agnello Pasquale, il cui sangue cola in un calice. Vi si legge il nome di Giovanni XXII e un'iscrizione. L'inserimento del nome del Papa in un agnus Dei, destinato di per se a commemorare l'agnello Pasquale, è un elemento di straordinaria importanza per l'avvicinamento simbolico del Papa a Cristo. L'impressione del nome del Papa nell'agnello di cera fa fondere la persona del Papa nel corpo agnello simbolo di Cristo.

Portare e donare Cristo: la rosa d'oro

La rosa d'oro, forse il dono papale più prestigioso nel medioevo, ci interessa in questo contesto, perché questo gioiello, che veniva generalmente confezionato dall'orefice di curia, fu interpretato come un oggetto simbolico di natura cristica. La IV domenica di Quaresima, il Papa, con il capo coperto da una mitra di festa, andava a celebrare nella chiesa di santa croce in Gerusalemme. La rosa veniva unta di balsamo. Il Papa doveva tenere la rosa in mano durante tutto il tragitto fino alla chiesa, dove predicava sul significato simbolico del colore rosso e del fiore.

Sentiamo parlare della rosa d'oro papale per la prima volta nel 1049. La rosa doveva avere il peso di due once e essere offerta otto giorni prima della quarta domenica di Quaresima.

Il simbolismo cristico della rosa d'oro è già presente nell'affermazione di Eugenio III secondo il quale la rosa è " segno della passione e della resurrezione di Gesù Cristo nostro signore".

Per Innocenzo III la rosa simbolizzava non soltanto Cristo, ma la sua doppia natura. Il balsamo con cui si unge la rosa d'oro congiunge simbolicamente la natura divina e umana. Ma proprio per questo motivo, soltanto il Papa, in quanto vicario di Cristo, è autorizzato a portare la rosa d'oro in processione.

Onorio III riprende l'argomentazione del suo predecessore, spiega che La Rosa è il simbolo della trinità. Persino la forma della rosa è simbolo di Cristo: la rosa è stretta in basso e larga in alto, anche Cristo fu povero in terra, ma riempie l'intero mondo. Ogni cristiano che deve tenere in poco conto le cose terrestri ma apprezzare altamente ciò che Celeste. La più antica rosa giunta fino a noi è trecentesca e apparteneva una volta alla cattedrale di Basilea. Il gioiello è costituito da un mazzo di rose (dovevano essere 40) ed era originariamente ornata da uno zaffiro che è andato perduto.


Vero Imperatore

Alla fine del 200 è lo stesso papa, Bonifacio VII, che si autoproclama imperatore. Ciò segnala che nel corso del duecento l'imitazione dell'impero da parte del papato raggiunse un nuovo apice.

Imperialità: il manto rosso

Il diritto del papa a portare il manto rosso risale alla Donazione di Costantino che afferma che l'imperatore aveva donato a Silvestro I diversi indumenti imperiali, tra cui la clamide purpurea. Subito dopo nella sua elezione, Gregorio VII ricevette il manto rosso: è la prima volta che l'uso è attestato nella realtà. Nel giugno 1244, Innocenzo IV è costretto a lasciare Roma per rifugiarsi prima Genova e poi a Lione, città nella quale desidera convocare un concilio per deporre Federico II come imperatore. A Roma il Papa lascia un vicario, il cardinale Stefano Conti. Questi ritenendo che il Laterano non fosse più sicuro, fa fortificare sul Celio una parte delle antico convento dei santi quattro coronati, che i documenti di quegli anni definiscono appunto palazzo. All'interno del complesso, ormai una vera e propria fortezza, viene eretto un oratorio, sorta di cappella privata nella residenza del vicario papale. Il cardinale aveva fatto affrescare l'oratorio con scene tratte dalla vita di Papa Silvestro primo e dalla donazione di Costantino.

Due riguardano la donazione di Costantino. La prima si svolge davanti ad un'architettura di città o di palazzo, che simbolizza certamente la città di Roma. Costantino esce da una porta e riveste i preziosi abiti imperiali, ma non è incoronato. La sua corona è invece tenuta da una accolito che si trova una sulla porta della città. L'imperatore conduce un cavallo con la sinistra fuori dalla porta di una città e porge la tiara al Papa che è seduto sul trono. Il cavallo bianco bardato è cavalcato da un'accolito. Un altro accolito del imperatore porge al Papa un baldacchino rotondo, ossia di un ombrellino a strisce rosse gialle. Costantino piega il ginocchio davanti al Papa. Un chierico papale porta una croce processionale sopra la testa del pontefice. Il trono del Papa è messo in Particolare evidenza, e va indubbiamente interpretato quale segno di predominio del papato sull'impero di subordinazione dell'imperatore al Papa. La seconda scena è organicamente legata alla prima. L'imperatore è rivestito dagli ambiti imperiali, porta la corona e conduce il cavallo del Papa di cui tiene le briglie. È la più antica rappresentazione sicura di questo gesto simbolico di sottomissione degli imperatori al Papa. Un accolito imperiale precede l'imperatore portando la spada. Il Papa cavalca un cavallo bianco e ha la tiara sul capo; un accolito porta il baldacchino sopra la sua testa; seguono tre altri clienti chierici, che cavalcano cavalli di colore scuro.

Imperialità e autoumiliazione: la sedia stercorata

Dopo avere ricevuto il manto, il Papa doveva recarsi al laterano, dove si svolgevano i riti di insediamento e possesso. due dei cardinali più anziani lo accompagnavano fino alla sedia di pietra che si chiamava stercorata.; i cardinali lo ponevano su quella sedia con onore. Dopo essersi seduto per un po' di tempo, l'eletto riceveva dal grembo del camerlengo tre manciate di denari che lanciava esclamando: " questo argento e questo oro non vi sono dati per mio diletto; ciò che ho te lo darò ".

Il nome stercorata viene spiegato dagli stessi cerimoniali che riportavano il passo del primo libro di Samuele, in cui si Dice che Dio solleva dalla polvere il misero, innalza il povero dalle immondizie per farli sedere insieme con i principi e assegnar loro un seggio di gloria. La sedia stercorata è dunque un simbolo di autoumiliazione, forse il più radicale che sia stato mai riservato al pontefice romano. La Sedia sterconata aveva però anche un valore simbolico di carattere imperiale: nel suo basamento marmoreo coevo o non molto posteriore erano infatti raffigurati, in a altorilievo, serpenti, leoni e dragoni, immagini che costituivano " un chiaro richiamo al simbolismo del trono regale altomedievale ", ispirato da versetto biblico.

Imperialità e apostolicità: le sedie di porfido

Al Laterano il neo eletto pontefice doveva sedersi su due altri seggi che erano posti davanti alla cappella di San Silvestro. La pietra su cui si credeva fossero costruiti quei due seggi è forse l'elemento più importante. Si credeva che i due seggi erano di Porfido, il marmo imperiale per eccellenza, perché rosseggiava come la porpora. L'importanza del porfido sul piano simbolico è tale nel secolo XII che almeno due papi, Innocenzo II e Papa Anastasio IV, decisero di farsi seppellire in tombe di Porfido.

Anche Napoleone credeva che i seggi lateranensi fossero di porfido, ed è per questa ragione che ne fece portare uno a Parigi, dove ancora si conserva. Oggi però, sappiamo che quei due seggi non sono di Porfido ma di marmo detto rosso antico: un marmo che era comunque considerato fra i più rari e pregiati, in un uso a Roma fin dall'epoca della Repubblica. La forma del sedile li accomuna ai seggi di bagni pubblici, provenienti con ogni verosimiglianza dalle vicine terme.

I seggi di porfido costituivano una sorta di duplice trono. Anche a Bisanzio il trono imperiale nella sala del concistoro, elevato su gradini di porfido e coperto da un baldacchino sostenuto da colonne, era in realtà un doppio trono: i giorni feriali l'imperatore sedeva nella parte destra, rivestita d'oro, nei giorni festivi nella parte sinistra, ricoperta di porpora in segno di maggiore solennità. In altre cerimonie ufficiali si ponevano due troni, l'uno accanto all'altro.

L'insediamento del Papa sulle sedie di porfido all'ingresso del palazzo lateranense è quindi un gesto che si situa tra due poli e li deve rappresentare entrambi in una sequenza che corrisponde a una distinta simultaneità.

La pienezza dei poteri: la tiara

La domenica successiva alle cerimonie di insediamento al Laterano, il Papa si doveva recare alla basilica di San Pietro in Vaticano per essere consacrato. Finita la consacrazione il Papa riceveva il pallio; l'arcidiacono e il priore della basilica glielo aggiustavano, inserendovi tre spine d'oro, davanti e dietro e a sinistra ; sul capo, l'eletto riceveva tre pietre di giacinto. Così ornato procedeva all'altare dove celebrava la messa. Celebrata la messa, il Papa si recava al posto dove si trovava il suo cavallo bianco; dall'arcidiacono riceveva la tiara. Con la corona sul capo, faceva ritorno al Laterano cavalcando attraverso la città, e circondato dal giubilo della folla.

Anche la tiara è attestata per la prima volta nella Donazione di Costantino. Papa Silvestro primo avrebbe rifiutato la corona offerta dall'imperatore, ma avrebbe accettato per se e per i suoi successori, un copricapo frigio, il cui colore bianco veniva considerato quale simbolo della risurrezione di Cristo.

Nella letteratura romana, il cappello frigio veniva identificato con la tiara ed era considerato come il copricapo dei troiani, e poiché i Romani si consideravano eredi dei troiani, i quali a loro volta ritenevano di origine frigiana, tale cappello svolgeva a Roma un ruolo importante in termini di potere. L'origine della tiara va ricercata in Asia Minore. La tiara papale dev'essere infatti considerata come una variante nel copricapo Di forma più o meno conica che portavano tradizionalmente i re della antica Persia. La stessa parola tiara è di origine persiana, e proviene dall'aggettivo di tigra che significa appuntito. Ma è difficile pensare che la tiara fosse giunta in occidente direttamente dalla Persia. È assai più ragionevole accogliere invece l'ipotesi di secondo cui il copricapo frigio, fosse identico alla tiara imperiale Bizantina, ossia una delle corone dell'imperatore che troviamo descritta per la prima volta nel libro cerimoniale di Costantino VII.

Bisogna attendere l'inizio del XII secolo per riscontrare in ambito romano la prima attestazione del termine tiara che non sappiamo però se deriva dalla tiara persiana o dalla letteratura romana antica.

Tiara e mitra

Le più antiche raffigurazioni della mitra episcopale, che incominciano ad apparire in occidente nell'IX secolo, presentano una forma quasi identica o comunque molto simile a quella delle tiara papale. Già alla metà del IX secolo in poi, la differenziazione tra mitra episcopale e tiara si fanno più frequenti.

Innocenzo III definì la tiara, simbolo del potere temporale del Papa, e la mitra simbolo del sacerdozio. Innocenzo III sottolinea la priorità della mitra sulla tiara si manifesta nel fatto che "l'autorità pontificia è prioritaria di età più degna e più estesa di quelle imperiale".

La chiara a doppia coronata

Anche per quanto riguarda la struttura della tiara, il 200 occupa un posto preminente. Se già nelle più antiche rappresentazioni nella parte inferiore della tiara appare un gallone a forma di diadema, nel corso del XIII secolo questo cerchio viene ad aggiungersi sempre più frequentemente una vera e propria corona regale. Anche la statua funebre di Gregorio X, nella cattedrale di Arezzo, mostra, al di sopra del cerchio o diadema, una tiara che sembra ispirarsi alle corone regali e metalliche contemporanee.

Il triregno bonifacciano

Due tiare di Bonifacio VIII, quella del busto Vaticano e quella della statua lateranense, presentano due corone oltre al diadema tradizionale. Queste due tiare sono dunque un triregno, uno del termine con il quale viene del resto definita una tiara del tesoro papale del 1314. Il triregno sembra quindi essere stato ideato da Bonifacio VIII. Sotto Clemente VI, il diadema della parte inferiore della tiara fu sostituito da una corona di analoga frattura e di dimensione delle altre due. Le tre corone erano del resto disposte a distanza uguale. Nei secoli successivi, la struttura della tiara non subì più modifiche di rilievo.

Le ragioni che avevano indotto Bonifacio VIII a trasformare la tiara in un triregno non vengono segnalate da una fonte scritta. Forse il diadema di base, l'elemento più antico, sarebbe il simbolo della sovranità sacerdotale; le altre due corone rinvierebbero rispettivamente alla sovranità regale e imperiale. La tiara di Bonifacio VIII costituirebbe dunque un simbolo della pienezza di poteri del Papa.

Tiare bonifacciane

Il busto Vaticano, la cui realizzazione venne affidata da Bonifacio VIII ad Arnolfo, presenta una tiara si misura talmente alta, che corrisponde a un gomito. La forma circolare della chiara rappresenta la figura del globo. La sfera è un corpo perfetto, simbolo del macrocosmo. Il gomito è misura che corrisponde alla arca di Noè. L'arca di Noè e prefigurazione della chiesa. Come Noè guida l'arca-chiesa, il Papa è il reggente della chiesa, una e santa.

La tiara aveva una connotazione simbolica che collegava a Cristo. La donazione di Costantino diceva che il colore bianco del cappello frigio era il simbolo della resurrezione di Cristo. Le piume di pavone di cui è ornata la sommità della tiara che fu disegnata nel registro di Innocenzo III è un simbolo che rinvia alla gloria soprannaturale, un fonte e scopo di ogni sovranità. Comunque sia, le piume di pavone sono un elemento particolarmente frequente sulle tiare dei papi del 200. Innocenzo III porta la tiara nell'abside della basilica di San Pietro, nel rito dell'adorazione dell'agnello Pasquale, mentre si trova di fronte alla personificazione della chiesa. Fin dalla fine del XII secolo i papi portano la tiara e non la mitra nei monumenti funebri. Bonifacio VIII nel suo monumento funebre si è fatto raffigurare due volte. Facendosi rappresentare con la tiara, attributo della pienezza del potere, voleva ribadire la legittimità del suo potere spirituale e temporale.

L'incoronazione del Papa

Alla fine del XII secolo, il termine di incoronazione, sostituisce quello più tradizionalmente di consacrazione.

La prima rappresentazione iconografica

Benedetto Caetani eletto Papa Bonifacio VIII, riceve la tiara a doppia corona, dalle mani di Matteo Rosso Orsini, priore dei cardinali diaconi. Il neo eletto pontefice indossa il manto rosso con il pallio bianco crucigero, la dalmatica colore violetto di cobalto e le pantofole bianche. Le mani sono coperte da guanti bianchi. In terra, ai piedi e del cardinale diacono c'è la mitra che il cardinale aveva tolto dal capo del pontefice per porvi la corona che è chiamata regnum. Così voleva il cerimoniale. L'incoronazione è celebrata davanti al portico Vaticano, ossia all'esterno.

Il Papa benedicente, un nuovo Costantino: l'affresco di Giotto

L'affresco che è oggi visibile sul primo pilastro destro della basilica di San Giovanni Laterano contro la navata centrale è attribuito a Giotto. È l'unico frammento giunto materialmente sino a noi, di un ciclo di affreschi che era in origine di notevoli dimensioni. L'immagine centrale del ciclo ci è tramandato da una copia conservata in un codice della biblioteca ambrosiana di Milano.

Nel secolo scorso si incominciò a vedere nell'affresco la lettura della bolla di indizione del primo giubileo. Ma è stato ormai chiarito in modo quasi definitivo che l'affresco va messo in relazione con la cerimonia di possesso del Laterano da parte del pontefice.

Nell'affresco, Bonifacio VIII si affaccia da un pulpito ed è affiancato da due chierici. La persona alla destra del pontefice è stata identificata, con il cardinale diacono Matteo Rosso Orsini. Il chierico alla sinistra del Papa lascia vedere l'inizio di una bolla papale su pergamena. Le parole " Bonifacio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria " corrispondono infatti a una formula con cui iniziava tradizionalmente una lettera papale particolarmente solenne. Ma non sappiamo però a quale bolla si riferiva, ne si può pensare che si tratti alla bolla del giubileo del 1300, perché la formula di saluto di questa bolla, riportata anche dallo Stefaneschi nel suo trattato sul giubileo, è diversa.

Il secondo personaggio alla destra del Papa è un religioso con barba e viene presentato di profilo tra due colonne del pulpito. Si tratta di Celestino V che se ne va, come nei versi dello Stefaneschi? In tal caso, la coincidenza tra l'affresco lateranense e la miniatura del codice Vaticano dello Stefaneschi sarebbe veramente singolare e perfetta.

Il frammento dell'affresco lateranense in ci presenta il Papa benedicente, e anche questa è una novità iconografica, perché non esistono raffigurazioni anteriori di un Papa benedicente da un balcone. Il disegno del codice ambrosiano mostra elementi che fanno parte del rituale di incoronazione e di possesso che troviamo del resto descritti dallo Stefaneschi: il Papa, è rivestito del manto rosso, porta la tiara a doppia corona. Egli si affaccia dall'alto pulpito marmoreo per impartire la benedizione solenne alla folla che ha fatto ala al corteo papale attraverso tutta la città. Il prefetto di Roma porta gonnelle bipartite rosso e oro. Alla messa del Papa, dietro ai vescovi con mitra, si nota l'ombrellino, che si alterna allo stemma Caetani sul parapetto del secondo ordine della loggia. Alla sinistra del Papa, i membri della curia sono vestiti di bianco, come prevedeva il cerimoniale.

Il modo con cui Bonifacio VIII benedice la folla sembra risalire ad una matrice iconografica costantiniana. Nell'affresco lateranense Bonifacio VIII appare come il restauratore del Laterano, come un secondo Costantino.

Reinterpretazioni simboliche: il cavallo bianco

Gli affreschi dei santi quattro coronati, presentano una delle più antiche raffigurazioni del cavallo bianco del Papa, un simbolo di potere che non figurava fra le insegne donate da Costantino a Papa Silvestro I ma al quale il papato sembra accordare un interesse sempre più vivo fino ai primi decenni del 200. Soltanto l'imperatore aveva il diritto di cavalcare su un cavallo bianco accanto al Papa.

Nel descrivere la cavalcata attraverso la città di Roma, compiuta da Gregorio IX il lunedì di Pasqua 1227: il Papa salì su un cavallo bardato con tessuti preziosi.

L'interesse degli ambienti papali duecenteschi per il cavallo bianco è sottolineato dal cerimoniale di Gregorio X. Una perfetta, ma inversa, simmetria vi accomuna le vesti e il cavallo del Papa.

Anche il cavallo del Papa serve quindi ad avvicinare simbolicamente la figura del Papa alla chiesa romana, i cui due colori sono appunto il bianco e rosso.

Il colore bianco del cavallo, questo antico simbolo di potere di origine imperiale, viene sottoposto ad una reinterpretazione simbolica in una prospettiva e di purezza di innocenza di vita del corpo del Papa. Il cavallo bianco significa la carne, il panno bianco la purezza: papi e cardinali devono dominare la carne e non essere dominati da essa; la loro carne deve essere pura. I cavalli, che i vescovi cavalcano il giorno dell'elezione, devono essere bianchi o almeno coperti di bianco per significare che i corpi dei prelati devono essere puri e casti. Soltanto casti e puri possono seguire Cristo.

Esaltazione solare: i grifi

Al palazzo Vaticano Nicolò III fece aggiungere alcune ali intorno al cortile del pappagallo e una loggia massiccia di fronte al borgo; per raggiungere agevolmente la basilica di San Pietro fece costruire una scala. Nella sala del pappagallo e in quella dei Chiaroscuri dell'attuale palazzo apostolico, lussureggianti i festoni di fiori e fogliami sono arricchiti di figure di volatili; nella sala dei paramenti, più sistematici motivi vegetali cuoriformi sono intervallati da grifi di chiaro significato araldico, che vanno forse letti nel senso di una sorta di divinazione della figura del pontefice. La decorazione della sala dei paramenti presenta caratteri che derivano non solo dal mondo classico, ma anche da influenze bizantine e di derivazione orientale. I grifi sono però il frutto di un'interpretazione simbolica che tocca la figura del Papa: i grifi rinviano infatti all'esaltazione solare della figura del Papa-imperatore, un pontefice nell'immagine divinizzata dell'imperatore che viene innalzato al cielo quale " sole invincibile ".

Anche il piviale detto di Bonifacio VIII, che si conserva nel tesoro della cattedrale di Anagni, presenta una decorazione che ingloba grifi, oltre che pappagalli affrontati e aquile bicipiti. Aquile bicipiti sono un motivo prediletto dei Paleologi, tanto che ha dal terzo decennio del XIV secolo in poi, diverrà insegna araldica. Il tessuto ricamato con cui vennero realizzati i paramenti in parte donati da Bonifacio VIII ad Anagni, dunque, sarebbe forse un dono proveniente da Bisanzio. Il tesoro papale possedeva allora sei piviali ricamati con grifi e aquile bicipiti. Il grifo assume un valore Cristologico. Non a caso, lo stolone del piviale di Bonifacio VIII raffigura probabilmente l'albero di Iesse, sul quale, entro riquadri poligonali, formati da un motivo a intreccio, sono inserite figure a mezzo busto.



Caducità.

Prendendo possesso del Laterano, il neo eletto pontefice si sedeva sui tre seggi. Il modo con cui il nuovo Papa, doveva sedersi tra quei due seggi di (che simboleggiavano autorità. degli apostoli Pietro e Paolo) era un rito mortuario. Il Papa anticipava simbolicamente il suo inserimento della successione dei papi defunti. Il rito di insediamento del nuovo Papa al Laterano si era dunque fatto carico di un forte discorso sulla caducità. del Papa intesa nella sua dimensione di persona fisica.

A un discorso che ha nasce intorno alla metà del XI secolo proprio nella momento in cui la figura del Papa viene a investita di una " superpersonalità ". Per poter dire che il Papa rappresenta la persona di Cristo ed incarna la chiesa, era necessario insistere sulla caducità. fisica del successore di Pietro.

Sepolcri e caducità

Un cronista inglese, autore di un Chronicon scritto tra il 1135 e il 1174, racconta che si era diffusa la voce secondo cui, quando si avvicina la morte del pontefice, dal sepolcro di Papa Silvestro II, posto nella basilica di San Giovanni Laterano, esce una tale quantità di umidore che tutti intorno si crea del fango. Se invece se è imminente la morte di un cardinale o di una persona di alto rango, appartenente al "ceto dei chierici della somma sede apostolica ", dal sepolcro scorre tanta acqua da essere completamente irrigato.

Nei primi decenni del XII secolo, la basilica lateranense era diventata una vera e propria necropoli papale. Dei 12 papi del XII secolo morti a Roma, 10 furono sepolti in Laterano. Innocenzo II e Anastasio IV scelsero perfino tombe di porfido, e ciò costituisce una vera e propria scoperta dell'occidente latino della pietra imperiale per eccellenza. Il primo fece portare da Castel Sant'Angelo in Laterano l'ex mausoleo dell'imperatore Adriano. Il secondo trasferì dalla Via Labicana nella basilica lateranense il sarcofago di Elena, la madre di Costantino, rivestito su ogni lato vari da rilievi trionfali.

Caducità e gloria: Innocenzo III

Giacomo di Vitry nel 1216, era dovuto andare a Perugia dove risiedeva allora la curia romana, per essere consacrato vescovo di Acri. E il caso volle che egli vi giungesse all'indomani della morte di Innocenzo III. Il Papa non era ancora stato sepolto, la sua salma era stata esposta nella cattedrale della città, ma alcune persone durante la notte l'avevano spogliata furtivamente dei preziosi paramenti con cui avrebbe dovuto essere sepolta. Il cadavere fu abbandonato in chiesa, quasi nudo, in uno stato di avanzata decomposizione. Giacomo di Vitry conclude di aver potuto così constatare con i propri occhi quanto sia " breve e vano loro splendore ingannevole di questo mondo".

Questa analogia va sottolineata perché, tocca punti essenziali: la nudità., il fetore del cadavere e la transitorietà del potere.

La morte di Innocenzo III a Perugia viene ricordata in un disegno a penna che viene conservato in un codice di Praga. In questo codice che risale all'inizio del 200, il Papa, seduto sul trono, veste abiti pontifici, compreso il fanone, ma non il pallio, i guanti e le scarpe. Sul capo porta la mitra. Con la destra benedice e nella sinistra tiene un libro chiuso. Alla destra del Papa, un chierico tonsurato porta una croce processionale molto alta e fa un gesto con la sua mano destra. A sinistra, un accolito barbato tiene un ombrello sul capo del Papa. Un'iscrizione in inchiostro rosso, in esametri leonini, inquadra il disegno. La prima parte inizia con una definizione di Innocenzo III, luce del mondo, guida, e via. L'iscrizione ricorda, che il Papa, è ormai morto, vedrà il fiore di Iesse ossia Cristo. Segue poi un rammarico: Roma viene infatti privata dei i funerali del Papa, che perché ha prevalso la regia Perugia. La seconda parte dell'iscrizione, appare nella cornice che si trova vicina al chierico che alza la mano destra come un gesto che sa di disapprovazione. Il testo oppone il gregge laico e il gregge del clero, ed è quindi testimonianza dei disordini anticlericali che si manifestano tra il 1217 e l'inizio degli anni 20 del 200 nell'Italia centrale, ed anche a Perugia. L'autore ci offre una straordinaria esaltazione del Papa e defunto, che ne enfatizza il ruolo guida nel cristianità. I funerali a Roma sarebbero stati più confacenti alla dignità del defunto. Il rinvio al Papa che vedrà il fiore di Iesse è più che un semplice riferimento alla insurrezione; c'è un accostamento del Papa a Cristo.

Gregorio Magno e Giobbe nudo

A Subiaco sotto il pontificato di Gregorio IX, furono realizzati diversi affreschi a perpetuo ricordo della sua visita. Fuori dalla cappella di San Gregorio, sul lato destro della parete di ingresso, è l'affresco con le immagini di Gregorio magno e Giobbe. Il Papa, seduto in trono riveste sontuosi abiti pontificali, con tiara, pallio e piviale. All'altezza della testa si nota la tradizionale colomba in volo. Il Papa regge un cartiglio con la scritta: c'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe. E' un versetto che proviene dal libro di Giobbe e rinvia alla persona del profeta che sta ai piedi del Papa. Giobbe seduto per terra, è rappresentato coperto di piaghe e con il solo perizoma. Anche nel suo cartiglio Proviene dal libro di Giobbe: "nudo uscii dal seno di mia madre". Come si vede, il contrasto tra questi due personaggi è profondo. La figura di Gregorio magno, solenne e autorevole, rivestita dei più importanti simboli della funzione papale, sacerdotale e giurisdizionale, fa da pedant Giobbe, il cui cartiglio insiste sulla nudità della sua origine.

Il contrasto va iscritto in quella lunga sequenza retorica sulla caducità della persona fisica del Papa.

Vecchiaia e morte: il gisant di Clemente IV

Il monumento sepolcrale di Clemente IV a Viterbo presenta una raffigurazione della vecchiaia che sconfitta in quella della caducità fisica. Il gisant di Clemente IV, il primo sul suolo italiano giunto fino a noi, è infatti stato scolpito con tratti che sembrano colti dal vero; è indubbiamente il viso di un vecchio con occhi chiusi. Respingendo tutti gli attributi della bellezza fisica, il viso stanco e vecchio di Clemente IV esprime la verità della morte. Il verismo del gisant di Clemente IV è forse da attribuire alla riflessione del maestro generale dei domenicani, il che è un nuovo indizio dell'interesse dei frati predicatori nei confronti del corpo del Papa inteso nella sua dimensione di caducità.

Metafore del potere: nudità

Il Papa è nudo perché è spogliato dei suoi vestiti; il Papa non è nudo fisicamente, ma perché non porta più i vestiti che manifestano la funzione che lo ha occupato durante il suo pontificato. La nudità del Papa è legata alla natura del suo potere. Morendo, il Papa perde il suo potere, la sua nudità serve a visualizzare un concetto così fondamentale per la storia della perennità dell'istituzione del papato.

Papa Fieschi rimase nudo sulla paglia e abbandonato da tutti, secondo la consuetudine dei romani pontefici, quando muoiono. Il defunto sarebbe stato custodito, non da infedeli uscieri pontifici, ma da frati minori teutonici, che avrebbero persino provveduto a lavare il corpo del pontefice.

Caducità e transitorietà: la stoppa

La caducità fisica del Papa la dimostra la storia del rito della stoppa che finì per diventare simbolo esclusivo della transitorietà del potere del Papa regnante. Pier Damiani fu il primo a parlarne in occidente. Egli informò nel 1064 il Papa regnante, Alessandro II, che a Bisanzio un accolito presentava al neo eletto imperatore della stoppa di lino, che, accesa, veniva in un colpo d'occhio consumata dalla fiamma. La sua rapida consunzione doveva indurre i l'imperatore a vedere ciò che ha.

A Roma, il rito della stoppa viene descritto per la prima volta nell'ordo XI. Fascette di stoppa vengono accese a natale e a Pasqua nella basilica di santa Maria Maggiore. Mentre il Papa entra nel presbiterio, il sacrista gli porge una canna con in cima una candela accesa. Il Papa se ne serve per riaccendere la stoppa pendente dai capitelli delle colonne all'entrata della basilica. La cerimonia viene ripetuta in santa Maria maggiore, il giorno di Pasqua, sul soglio del presbiterio. Le differenze con il rito bizantino sono fondamentali: il Papa ha un ruolo attivo. È lui che accende, da fuoco alla stoppa grazie alla candela che gli viene offerta. Ma per questa ragione che il significato simbolico è genericamente escatologico: la stoppa accesa significa la fine del mondo, destinato ad essere distrutto dal fuoco. Intorno alla metà del 200 Stefano di Burbon, descrive un rito della stoppa il cui il Papa svolge un ruolo passivo. Per di più il rito si svolge quando il Papa viene consacrato. é la prima volta che il rito pontificio della stoppa viene descritto come a Bisanzio. È una testimonianza importante, che dimostra ancora una volta come in quei decenni centrali del 200 gli ambienti papali riservassero un interesse crescente per il valore simbolico della tiara, la corona del Papa. Le più antiche illustrazioni del rito sono quattrocentesche. La scena fu dipinta dal Pinturicchio nella libreria Piccolomini del duomo di Siena.

Il rifiuto della caducità: il gisant di Bonifacio VIII

E' la prima volta che le parole "sic transit gloria mundi" celebre monito di transitorietà, che appartiene ancora oggi al linguaggio comune, sono poste in relazione al Papa. Indubbiamente il discorso sulla caduta città fisica del Papa è un tema forte nel 200. Il gisant Di Clemente IV appare pietrificato dalla vecchiaia e dalla morte. Anche la statua funebre del defunto cardinale Guglielmo di Braye presenta un corpo irrigidito con un volto sfatto. Ma nella statua funebre di Bonifacio VIII, il viso respira serenità. Ma Bonifacio VIII si fece fare un monumento in un'immagine sulla pietra e come se fosse viva. Il viso del gisant di Bonifacio VIII è quindi immagine che fonde l'eterno nel presente ma senza annullarlo; è un ritratto vistosamente dal vero, di un personaggio ancora vivente. È questa la novità che suscita scandalo e perplessità nei contemporanei. il ritratto dal vivo di Bonifacio VIII prefigura l'immortalità. Il gisant posto in una cappella che il Papa volle come rappresentazione visibile concreta del suo pontificato, è immagine in corpo in funzione del papato.





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