Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Che cos'è la tettonica - La deriva dei continenti

lettere



Che cos'è la tettonica

Il termine tettonica deriva dal greco «tektoniké tekné», che signifi­ca «arte del costruire», ed in senso limitativo indica la branca della geologia che studia le dislocazioni e le deformazioni della crosta terrestre: in altre parole, in base agli elementi osservabili nelle rocce, come la giacitura, le fratture, ecc., ricostruisce l'architettura della litosfera, sia attuale che passata. In senso lato, però, la tettonica studia i fenomeni endogeni che hanno determinato la formazione dei continenti, delle montagne e degli oceani in virtù di forze che agiscono dall'interno della Terra.

Le ipotesi avanzate, a tal proposito, hanno avuto una profonda evoluzione. Sino agli inizi del nostro secolo esse si fondavano essenzialmente su intuizioni che trovavano scarsi riscontri sperimentali e, di solito, consideravano le grandi strutture della Terra come elementi statici ed indipendenti tra loro. Poi, in particolare dopo il 1950, il perfezionamento­ della strumentazione tecnica ha consentito osservazioni accurate e prolungate di molti fenomeni fisici, sia sulle terre emerse che sui fondi marini, mettendo a disposizione degli scienziati una grande quantità di dati tra loro correlabili.



È stato possibile, così, definire un modello tettonico globale, quello della tettonica a placche, il quale offre una chiave di spiegazione unitaria per fenomeni che appaiono tanto diversi, come montagne, vulcani, grandi fosse marine, dorsali oceaniche e terremoti.


La distribuzione delle terre e dei mari

La superficie terrestre misura 510 milioni di kmq, di cui 149 (29%) sono occupati dalle terre emerse e circa 361 milioni (71%) dalle acque.

Le terre emerse non costituiscono una superficie continua, ma sono divise in blocchi di varia grandez­za e sono separate tra loro da vaste distese marine. Le masse più estese, nel cui interno non arriva l'influenza del mare, si dicono continenti, mentre quel­le di piccole dimensioni, tali comunque da avvertire in tutte le loro parti l'influenza del mare, si chia­mano isole.

I continenti sono: l'Eurasia[1] e l'Africa, che insieme formano il "mondo antico" perché dimore delle più anti­che civiltà; l'America, detto "continente nuovo" perché scoperto solo nel 1492; l'Australia, chiamato "continente nuovissimo" perché conosciuto nel secolo XVII; e l'Antartide, denominato "continente recente" in quanto la sua conoscenza risale a pochi decenni addietro e non è ancora completa.

Le masse conti­nentali si ra 656b11g ggruppano per la maggior parte, circa due terzi, nell'emi­sfero settentrionale, men­tre le masse d'acqua sono più estese nell'emisfero meridionale. Terre e ma­ri, quindi, mostrano una disposizione antipodica: cioè diametralmente op­posta.

Osservando un planisfero, inoltre, è facile notare altre particolarità, dette omologie geografiche, che sono comuni alla gran parte delle terre emerse. Infatti si rileva che: 1)

quasi tutti i continenti hanno una forma grossolanamente triangolare, slargata verso nord ed appuntita verso sud; 2) che i continenti situati nell'emisfero boreale presentano contorni frastagliati e numerose penisole; 3) mentre i continenti situati parzialmente o interamente nell'emisfero australe mostrano una configurazione tozza e bordi poco articolati; 4) che le coste dei continenti separati dallo stesso oceano appaiono abbastanza simmetriche in quanto alle sporgenze di un continente fanno riscontro rientran­ze in quello opposto, come nel caso dell'America meridionale e dell'Africa, in maniera tale da combaciare quasi perfettamente se si spingessero le une contro le altre; 5) che i continenti delimitano alcuni mari interni che sono allineati lungo un medesimo cerchio massimo della sfera terrestre avente il polo presso lo stretto di Bering, come il Mediterraneo racchiuso tra l'Europa, l'Africa e l'Asia.


La deriva dei continenti

All'inizio del secolo XVIII il filosofo Francesco Bacone, basandosi sulle omologie geografiche, avanzò l'ipotesi che i continenti derivassero dallo smembramento di un'unica massa, dalla quale poi si sarebbero allontanati per effetto della rotazione terrestre.

La sua intuizione agli inizi del nostro secolo (1912) è stata ripresa e sviluppata dal tedesco Wegener (Vegner), che ha elaborato la teoria nota come deriva[2] dei continenti.

Secondo questo scienziato circa 200 milioni di anni fa le terre emerse, oggi separate, erano unite in un unico grande continente, detto Pangéa, che significa "tutta terra", dal greco pan = "tutto" e ghé = "terra", circondato da un unico grande oceano, detto Pantalàssa, che significa "tutto mare", dal greco pan = "tutto" e thalassa = "mare". L'enorme blocco continentale aveva la maggior parte della sua superfice situata nell'emisfero meridionale. Poi, in corrispondenza dell'Equatore, la Pangea si spezzò in due parti e formò a nord il Laurasia, comprendente l'America settentriona­le, l'Europa e l'Asia, a sud il Gondwana, com­prendente il resto delle terre emerse, America meridionale, Africa, India, Australia.

Successivamente anche il Laurasia ed il Gondwana si frantumarono in blocchi minori che, allontanandosi l'uno dall'altro, lasciarono spazio al mare: si formarono così, l'Oceano Indiano e l'Oceano Atlantico, insieme con altri mari interni.

La disposizione e la struttura attuale delle terre emerse si sono delineate negli ultimi 65 milioni di anni.

La deriva dei continenti avrebbe prodotto anche la nascita dei grandi sistemi montuosi.

Infatti, se i vari continenti, come dice Wegener, sono come delle zattere che galleggiano sul mantello semiliquido, simili ad immensi icebergs, nel movimento di deriva le parti anteriori delle zattere avrebbero subìto, per l'attrito con il substrato, delle increspature, cioè il bordo anteriore delle masse in movimento si sarebbe corrugato a formare le catene montuose. Non a caso i rilievi più estesi e più alti della Terra sono situati nelle frange periferiche dei continenti: le Montagne Rocciose e le Ande in America, le Alpi in Europa, l'Himalaya in Asia.

Anche le parti retrostanti dei continenti, data la loro «la tendenza» a rimanere indietro, avrebbero subìto delle deformazioni, come dimostrerebbero le curvature della Groenlandia e dell'America meridionale.

A conferma della originaria unitarietà dei continenti e della loro deriva Wegener adduceva come prove indirette: 1) il parallelismo tra le coste dell'Africa occidentale e quelle dell'America meridionale, le quali, se giustapposte, coinciderebbero quasi perfettamente; 2) la constatazione che in Sudamerica, Sudafrica, India, Australia e Antartide, vi era stata, fino a circa 200 milioni di anni fa, una storia geologica uguale, testimoniata da successioni di rocce identiche e dagli stessi resti di flora e di fauna, cosa possibile solo se quelle aree erano state a contatto; 3) infine, le tracce di antiche glaciazioni trovate in continenti che attualmente sono caratterizzati da climi caldi o quanto meno temperati, e che perciò, quando sono state interessati da fenomeni glaciali, dovevano occupare una posizione diversa da quella attuale.

Wegener tuttavia, non riuscì a fornire alcuna dimostrazione diret­ta sul fatto che la distanza tra le masse continentali diminuisca o aumenti nel corso dei tempi, né fu in grado di proporre un meccanismo per spiegare con chiarezza i modi e le cause dei loro movimenti. La sua teoria, perciò, ha goduto di alterne fortune, avendo trovato entusiastici sostenitori e tenaci oppositori.

I dati oggi disponibili, enormemente accresciuti e arric­chiti dalle indicazioni del paleomagnetismo, non possono far altro che confermare l'avvenuta «migrazione» dei frammenti di Pangéa e le dispute attuali sono, semmai, sul modo migliore per ricomporre l'incastro dei singoli pezzi del supercontinente.


Le correnti convettive e l'espansione dei fondi oceanici

La teoria della deriva dei continenti, formulata da Wegener, ha ricevuto una conferma dopo il 1960, quando sono state intensificate le ricerche sulla geologia sottomarina, che hanno permesso di rilevare l'esistenza sul fondo degli oceani di un sistema di dorsali montuose di origine vulcanica, dette rift, dalle quali risalgono continuamente in superfice ingenti quantità di magma.

Il magma è portato in alto dalle correnti convettive che circolano al di sotto della litosfera e, a mano a mano che fuoriesce, si deposita ai lati delle dorsali spingendo lateralmente quello già deposi­tato in precedenza e solidificatosi. In tal modo i fondi oceanici a poco a poco si espandono, cioè si allontanano dall'asse delle dorsali, e spostano lateralmente le masse continentali. Lo spostamento oscilla, in media, tra 5 e 10 cm l'anno: movimento che, se in sé è irrilevante, diventa considerevole a distanza di tempo.

La prova dell'espansione dei fondi oceanici s'individua chiaramente nella simmetria con cui alcuni fenomeni si succedono sugli opposti lati delle dorsali, dove infatti le rocce appaiono sempre più vecchie proce­dendo verso i continenti ed il magnetismo fossile rivela regolari anoma­lie secondo fasce parallele: da una parte e dall'altra, cioè, si alternano zone magnetizzate in un senso con zone magnetizzate in senso contra­rio. Questa caratteristica dipende dal fatto che il materiale fuso, quando raggiunge la superficie e si consolida, fissa in sé la direzione del campo magnetico terrestre, il quale subisce periodiche inversioni di polarità. Perciò ogni fascia di nuovo materiale, che si depo­sita ai lati delle dorsali, registra la direzione del campo magnetico rela­tivo al periodo in cui si è formata.

La tettonica a zolle o a placche crostali

La teoria della tettonica a zolle o a placche crostali fornisce una spiegazione esauriente sulle cause dei terremoti, delle eruzioni vulcaniche, della formazione delle dorsali oceaniche e di altri fenomeni geologici. Si è arrivati alla teoria della tettonica a placche partendo dall'accettazione del principio dell'espansione dei fondi oceanici e della deriva dei continenti.

Se­condo questa teoria l'involucro solido esterno della Terra, o litosfera, non è uniformante diffuso su tutto il globo, ma è suddiviso in numerose placche, o zolle, contigue, che possono essere formate da sola litosfera oceanica, come la placca del Pacifico, o da sola litosfera continentale, come la placca eurasiatica, o da porzioni di litosfera dei due tipi, come la placca africana.

Nel complesso si possono distinguere una dozzina di placche, di cui le sei principali sono: quella pacifica, quella americana, quella antartica, quella africana, quella eurasiatica e quella indoaustraliana.

Queste placche solide si muovono separatamente l'una dall'altra, allontanandosi o avvicinandosi a velocità differenti, perché sono spostate dalle correnti convettive che si creano all'interno del materiale fluido del mantello, correnti circolari che da un lato salgono verso la crosta, dall'altro scendono in profondità, formando numerosi anelli che ruotano in senso verticale.

Nei punti nei quali la corrente convettiva arriva verticalmente fino alla crosta, questa si spacca e il magma fuoriesce dal mantello, costruendo nuova crosta terrestre lungo i margini delle placche, il che avviene lungo le dorsali oceaniche, dove la crosta è più sottile.

Se, invece, due correnti convettive, nella loro risalita dal mantello astenosferico verso la superficie incontrano delle masse continentali, ad un certo punto divergono e fluiscono orizzontalmente in direzioni opposte, sottoponendo le masse continentali a forti tensioni. Raggiunto il punto d massima tensione, la massa continentale si spezza in due parti che vengono trascinate dalle cellule convettive come da un nastro trasportatore, e, allontanandosi, danno luogo alla penetrazione del mare.

Le correnti orizzontali, dopo un determinato percorso, ne incontrano altre provenienti dalla parte opposta e con le loro forze contrarie creano un'area di compressione. Poi ripiegano verso il basso, trascinando con sé lo strato inferiore della crosta terrestre e formando delle conche sub­sidenti, cioè delle geosinclinali, dalle quali successivamente possono generarsi sollevamenti orogenetici (secondo le modalità già esaminate).

I fenomeni cui possono dar luogo due placche crostali in movimento reciproco riguardano essenzialmente la zona di contatto tra i margini, e sono molto differenti a seconda che i margini siano divergenti, conver­genti e trascorrenti e a seconda del tipo di placca, oceanica o continenta­le, cui essi appartengono.

In linea di massima si possono distinguere tre tipi di margini: costruttivi, distruttivi e conservativi.


I margini costruttivi

Si dicono margini costruttivi o di accrescimento quelli situati in corrispondenza delle dorsali oceaniche, rispetto alle quali le zolle divergono. Essi, infatti, a mano a mano che le zolle si allontanano, si accrescono per l'aggiunta di nuovo materiale magmatico che erompono dall'astenosfera attraverso le fratture della dorsale.

L'aggiunta continua di nuovo materiale porta la crosta oceanica ad espandersi, originando un nuovo bacino oceanico; invece, l'allon­tanamento dei margini comporta anche ten­sioni e fratture perpendicolari alle dor­sali, dette faglie trasformi, le quali generano terremoti con epicentro poco profondo.

Anche un blocco continentale può spaccarsi in due creando margini costruttivi e determinando la formazione di un nuovo fondo oceanico.

In pratica, la risalita del magma solleva la crosta terrestre e provoca numerose fratture in superfice; con l'aumentare della spinta, i margini della crosta cominciano a staccarsi e grossi blocchi di roccia sprofondano, dando origine ad una fossa tettonica; la fossa viene poi invasa dal mare formando un bacino oceanico in espansione.


I margini distruttivi

I margini distruttivi o di consunzione si hanno quando due zolle si avvicinano ed i loro bordi tendono a consumarsi. I fenomeni cui lo scontro può dar luogo dipendono dalla velocità dell'impatto e dalla diversa combina­zione tra margini di zolle oceaniche e di zolle litosferiche. Si può verifi­care, infatti, la convergenza tra: due zolle continentali, tra una zolla continentale ed una zolla oceanica e tra due zolle oceaniche.


Nella collisione tra due zolle oceaniche il margine di una si infila sotto quello dell'altra. Allora il margine della zolla che sottoscorre è costretto ad immergersi nel mantello e provoca due fenomeni. Da un lato trascina con sé una parte del margine della zolla sovrastante e crea, lungo la linea di sprofondamento o di subduzione, profonde fosse oceaniche; dall'altro lato, a mano a mano che s'immerge nel mantello, incontra temperature più alte, si fonde e si trasforma in magma incande­scente, che risalendo in superficie origina sulla placca sovrastante imponenti allineamenti di edifici vulcanici. Si genera, così, un sistema tettonico chiamato arco-fossa per­ché i vulcani si stendono a ghirlanda ai lati della fossa. A tale fenomeno è dovuta la serie di fosse oceaniche e di isole vulca­niche che si succedono, lungo una linea di 30.000 km, tra la zolla Pacifi­ca e quella delle Filippine.


Nella collisione tra due zolle continentali nessuna delle due può piegare verso il mantello sottostante perché entrambe sono costituite da materiale di tipo sialico, e quindi più leggero di quello di tipo simatico di cui è costituito il mantello. Le placche allora si scontrano. Lo scontro fa sollevare il materiale sedimentario, lo comprime e lo ripiega fino a formare una catena di montagne che salderà le due masse continentali, e quindi le due placche.

Così sono nate, per esempio, la catena delle Alpi, sollevatasi con il progressi­vo accostamento dell'Africa all'Europa, e la catena dell'Himalaya, for­matasi in seguito allo scontro tra la zolla Indoaustraliana e quella Eurasiatica. Anche la catena dei Monti Urali, che separa l'Asia dal­l'Europa, e quella dei Monti Appalachi, sul versante orientale degli Stati Uniti, devono la loro nascita all'impatto tra zolle continentali sal­datesi in epoche geologiche molto antiche.


Quando la collisione avviene tra una placca oceanica e una placca conti­nentale la zolla oceanica, più pesante e più sottile, sottoscorre e sprofonda nell'astenosfera con piani inclinati di circa 45°, detti piani di Banioff. Allora il margine continentale, sollevato da quello oceanico, s'increspa dando luogo a corrugamenti montuosi. Nello stesso tempo, in corrispondenza della zona di subduzione, si crea una fossa oceanica, mentre la parziale fusione della zolla sprofondata provoca la nascita di vulcani sia a mare che sui margini del continente. Lungo i piani di scor­rimento, o piani di Banioff, inoltre, a causa dell'attrito si verificano ter­remoti molto profondi (fino a 700 km).

Tipici esempi di fasce orogeneti­che nate dall'interazione tra crosta oceanica e crosta continentale sono la catena delle Montagne Rocciose e la Cordigliera delle Ande.


I margini conservativi e le giunzioni triple

I margini conservativi sono quelli delle faglie trasformi lungo le quali i lembi di litosfera scorrono l'uno a fianco dell'altro in direzioni opposte, o con diverse velocità, senza che si verifichi né accrescimento né distruzione di crosta. In California, per esempio, la placca nordamericana e la placca pacifica scivolano l'una rispetto all'altra lungo la faglia di San Andrea. Le zone di attrito, però, sono sedi di terremoti tanto frequenti quanto violenti.

Si definisce giunzione tripla l'area in cui convergono i margini di tre placche. Alcune giunzioni, quando non ci sono cambiamenti fonda­mentali nelle forze che controllano i loro movimenti, sono stabili; altre invece sono soggette a profonde evoluzioni, con creazione e distruzione di crosta, intensi movimenti sismici e fenomeni vulcanici. Ciò avviene se le placche si muovono con velocità diversa o se uno dei margini corri­sponde ad una fossa.


I cicli orogenetici

La causa fondamentale della nascita delle catene montuose è da ascriversi alla collisione tra placche crostali. Tralasciando i sollevamenti montuosi originatisi nel Pre-Paleozoico che ormai sono parti integranti dei cratoni, le grandi catene montuose si sono formate attraverso tre fasi principali, che prendono il nome di orogenesi, dal greco óros = "montagna" e ghénesis = "nascita".


Nella prima fase, detta orogenesi caledoniana, dall'antica Caledonia, nome latino dell'attuale Scozia, avvenuta nella prima metà dell'era paleozoica (circa 400 milioni di anni fa), si sollevarono i rilie­vi della Scozia, del Galles, dell'Irlanda settentrionale e delle Alpi scan­dinave in Europa, la zona orientale della Groenlandia, la regione del San Lorenzo in America, i Monti Altai ed i rilievi del Kazakistan in Asia, i Monti McDonnel ed i rilievi del Sud-Est in Australia.


Nella seconda fase, chiamata orogenesi ercinica, dalla Selva Hercynia, nome latino dell'attuale Selva Nera, in Ger­mania, avvenuta verso la fine dell'era paleozoica (300-250 milioni di anni fa), nacquero i rilievi dell'Europa centrale dalla Boemia alla Germania, gli Appalachi sul versante orientale degli Stati Uniti, i Monti Urali nell'ex Unione Sovietica ed alcuni rilievi della Sardegna, della Calabria e della Sicilia.


Nella terza fase, denominata orogenesi alpina, avvenuta nell'era terziaria (100-50 milioni di anni fa), s'innalzarono le Alpi, gli Appennini e le imponenti catene che vanno dalla Turchia all'Himalaya.


Le montagne più antiche in genere si presentano basse e con profilo dolce, perché sono state spianate dalla lunga azione di alcune forze naturali, come vento, pioggia, ghiacciai, ecc.; quelle più recenti, invece, di solito risultano alte ed aspre, perché le forze modellatrici della natura le hanno intaccate solo in parte.


Le teorie orogenetiche fino al 1960

Nell'antichità le montagne erano considerate entità stabili, cioè nate con il mondo e destinate a conservare sempre la stessa forma e la stessa altezza. Ma in seguito alla scoperta, nelle rocce delle Alpi, di alcuni fossili di organismi marini cominciò a diffondersi l'idea che le montagne si fossero formate sui fondali oceanici, da dove sarebbero poi emerse in virtù di vari processi.

Sono state formulate, così, diverse teorie orogenetiche: relative, cioè, alla formazione delle montagne (dal greco oros = "monte" e ghenesis = "nascita"). Esse, però, non riguardano i rilievi isolati, come quelli dovuti ad eru­zioni vulcaniche, ma la formazione delle grandi catene montuose.

Le principali teorie formulate sono: la teoria plutonica, la teoria della contrazione, la teoria isostatica e la teoria delle geosincli­nali.

La teoria plutonica attribuiva l'origine dei corruga­menti montuosi alla pressione esercitata dai magmi interni della litosfera. In altre parole, le rocce fluide ed incandescenti presenti all'interno del pianeta nello sforzo di risalire verso la superficie terrestre ne avrebbero sol­levato e ripiegato gli strati superiori. La loro forza, però, è stata ritenuta insufficiente per spiegare la formazione dei grandi sistemi montuosi, che presentano uno spessore enorme ed un piegamento molto complesso.

Successivamente, la teoria della contrazione, con­siderava le catene montuose come increspature dovute alla diminuzione del volume della Terra per effetto del raffreddamento del suo nucleo interno. Gli strati superiori della litosfera, in altri termini, per adattarsi alla contrazione del globo si sarebbero raggrinziti similmente a quanto succede alla buccia di una mela in via di essic­camento. Ma anche questa interpretazione è stata scar­tata sulla base di alcune obiezioni: 1) innanzitutto è tutt'altro che certo il postulato che sta alla base della teoria, e cioè che la Terra stia raffreddandosi, come dimostrerebbe in antitesi il calore sviluppato dagli elementi radioattivi e la scarsa conducibilità termica della crosta terre­stre; 2) in secondo luogo, i calcoli eseguiti portano ad una diminuzione del raggio terrestre e conseguentemente della superficie crostale troppo esigua per giustificare l'esistenza di tutte le catene montuose del pianeta; 3) inoltre, in conseguenza di una progressiva attenuazione della forza di gravità, la Terra tenderebbe ad espander­si, anziché a contrarsi, e, l'aumento di volume comporterebbe non increspature, ma lacerazioni della litosfera.

La teoria isostatica attribuisce i corrugamenti all'azione combinata di due opposti fenomeni: l'alleg­gerimento della crosta terrestre nelle regioni conti­nentali, dove si verificano continui processi di erosio­ne, e per converso il suo appesantimento nelle regio­ni sottomarine, dove vanno a depositarsi i materiali erosi attraverso il trasporto fluviale. Questi fenomeni, turbando l'equilibrio isostatico della litosfera, creereb­bero sulle terre emerse spinte laterali e pressioni che determinerebbero il sollevamento delle catene mon­tuose.

La teoria delle geosinclinali si richiama in parte ai principi dell'isostasia ed ascrive la formazione dei sistemi montuosi a vaste depressioni concave dei fondi oceanici, dette appunto geosinclinali, le quali si aprono lungo gli orli dei continenti e sono attribuite alle forze di compressione delle correnti convettive. Secondo tale teoria il processo orogenetico passa attraverso tre stadi.

In una prima fase nelle geosinclinali si depositano potenti accumuli di sedimenti prodotti dall'erosione delle terre emerse e trasportati al mare dai fiumi, che determinano un cedimento della conca marina, per subsidenza, e nello stesso tempo provocano anche numerose fratture della crosta, attraverso cui risalgono colate di magma a com­posizione basica con conseguente formazione di rocce granitiche.

In una seconda fase si verifica un'accentuazione della velocità delle correnti convet­tive che, con il loro risucchio, approfondiscono e restringono il solco geosinclinalico, per cui le rocce depositatesi vengono sottoposte a pressioni e si deformano, originando pieghe e faglie.

In una terza fase, cessato il moto delle correnti convettive, inizia­no movimenti di aggiustamento isostatico che portano le masse rocciose ripiegate ad emergere dal mare, formando le catene montuose. Il tempo neces­sario perché una geosinclinale si evolva in una cate­na montuosa sarebbe lunghissimo (tra 150 e 250 milioni di anni).

Tutti questi modelli orogenetici sono ormai superati, ma conservano comunque un certo inte­resse perché contengono elementi che, sia pure con le dovute modifiche, ricorrono nella più recente teoria della tettonica a zolle.



















I Paesi di questa regione sono: Armenia, Azerbaigian, Georgia e Russia

"deriva" = allontanamento dei continenti per forza d'inerzia

fino a quando non è stata confermata la teoria della

"deriva dei continenti"




Privacy




Articolo informazione


Hits: 6509
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024