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Lo stile letterario di Giulio Cesare

letteratura latina



Lo stile letterario di Giulio Cesare



La produzione letteraria di Caio Giulio Cesare iniziò molto presto: storici e scrittori come Svetonio e Tacito ricordano che in giovane età Cesare scrisse poesie d'amore ed alcuni poemetti, uno su Ercole e uno sulla tragedia di Edipo, in seguito scrisse anche il ben più rilavante trattato linguistico intitolato De analogia; tutte queste opere sono però andate perdute, così come purtroppo le celebri orazioni nelle quali Cesare eccelleva e per le quali era molto famoso nell'antichità, come riportano sia Cicerone che Tacito.

Le sole opere di Cesare giunte fino a noi sono i due Commentari: il De bello Gallico, in sette libri, che sono sia opera storica che autobiografica, perché appunto descrivono il suo operato durante i sette anni di guerra in Gallia, e il De bello Civili, che narra della guerra civile contro Pompeo.

Cesare non fu il primo tra i latini a scrivere commentari, ma superò tutti quelli che lo avevano preceduto in questo genere difficilissimo e non ci fu nessuno dopo di lui che riuscì ad eguagliarlo. Gli storici prima di lui, infatti, raccontavano ancora in annali la storia di Roma rifacendosi alle origini ed includendo nelle narrazioni le leggende; in nessuno di loro c'era la ricerca accurata e l'esame critico dei fatti.



Lo scopo di Cesare era senza dubbio quello di narrare le sue imprese ed in un certo senso giustificare la sua condotta, ma egli non si lascia mai trasportare dalla passione e dall'orgoglio, rimane sempre obiettivo e fedele alla storicità degli avvenimenti da lui raccontati. Cesare non vede la storia come pura e semplice narrazione dei fatti, ma come una ricerca ed un esame di tutti quegli aspetti sociali, politici, economici, militari e geografici che accompagnano gli avvenimenti.

Il primo libro del De bello Gallico, per esempio, si apre proprio con la descrizione geografica della Gallia e solo successivamente l'attenzione si sposta sulla vicenda militare che riguarda gli elvezi; inoltre gran parte del VI libro è dedicata ad un'ampia digressione sui costumi dei galli e dei germani, nella quale si scorge una velata critica da parte di Cesare verso queste popolazioni senza dubbio più primitive rispetto ai Romani, ma c'è anche una certa ammirazione da parte del condottiero per il coraggio di questi popoli e riguardo alle loro usanze così diverse da quelle romane.

Si nota subito che lo stile è molto distaccato, Cesare parla sempre in terza persona, dal punto di vista sintattico l'esposizione è lineare ed oggettiva, anche riguardo al lessico Cesare usa sempre termini molto semplici e ricorrenti, a scapito della variatio, egli non si cura che di essere chiaro e quindi non è minuzioso e prolisso, bensì rapido e conciso. Riesce così a raccontare la conquista della Gallia e della Britannia senza annoiare il lettore perché il linguaggio è semplice ma la sua prosa non è arida, anzi è elegantissima, oggettiva senza essere disadorna.

Nonostante il tono distaccato e la completa assenza di commenti espliciti da parte dell'autore, l'opinione e il messaggio che talvolta Cesare vuole comunicare al lettore traspare comunque dalla narrazione, magari nascosto tra le righe del racconto.

In alcuni casi, anche se molto raramente, Cesare abbandona la completa oggettività della trattazione ed interviene in prima persona entrando nel vivo della questione ed esprimendo la sua opinione, come avviene per esempio nel capitolo XIV del libro VI in merito al dibattito degli studiosi riguardo alla pratica dei Druidi di non adoperare la scrittura per tramandare le loro dottrine.

Sempre nella descrizione dei costumi dei galli si può osservare che Cesare è sempre preciso riguardo al linguaggio, ma evita di usare termini stranieri a meno che non vi sia costretto come nel caso del termine druides per il quale non esistono corrispettivi in latino, ricorre così alla cosiddetta interpretatio romana delle divinità celtiche, che vengono del tutto assimilate a quelle romane anche se le somiglianze probabilmente erano molto superficiali, questo in modo da facilitare la comprensione del lettore romano.

Per quanto riguarda lo stile a parte la consueta oggettività, dal punto di vista grammaticale ogni periodo è costruito in modo regolare e lineare, Cesare, infatti fa molto spesso ricorso all'uso del participio sia come predicativo sia nel costrutto dell'ablativo assoluto conferendo così rapidità e scorrevolezza al periodo; impiega spesso la proposizione relativa, nei suoi vari usi e forme, e il discorso indiretto eliminando ogni drammaticità e "retoricità" dalle parole dei personaggi; la narrazione scorre come un documento di guerra, anche accompagnata da documenti ufficiali e lettere al senato, senza fronzoli, come se fossero i fatti stessi a parlare.



Nel De bello Civili, scritto in tre libri e che racconta la guerra civile contro Pompeo, dalle campagne militari in Italia fino alla battaglia di Farsalo, l'obiettività e il distacco dell'autore che aveva caratterizzato il De bello Gallico viene un po' attenuata, senza dubbio perché ora Cesare non si trova a dover affrontare dei nemici esterni, dei nemici di Roma, ma deve affrontare un suo personale avversario.

Molto spesso quindi il generale sottolinea il fatto di essere stato, nonostante il suo desiderio di pace e di trattativa, costretto allo scontro con Pompeo dalla sua mancanza di collaborazione ed insiste sui torti subiti da quest'ultimo. Aumenta quindi il coinvolgimento e la passione di Cesare nelle vicende che sono trattate in modo molto più complesso, ricco di pathos e di drammaticità, che erano assenti dal De bello Gallico. Un'altra differenza è data dal fatto che in questi Commentari Cesare critica in modo molto più evidente i suoi nemici spesso ricorrendo all'ironia per mettere in risalto le loro motivazioni meschine e personali rispetto al suo interesse per il bene dello stato; nel De bello Civili inoltre mette molto in rilievo l'eroismo dei suoi soldati, sottolineando il legame di fedeltà che li unisce al loro comandante.

È molto evidente quindi che ci sono notevoli differenze dal punto di vista stilistico tra il De bello Gallico e il De bello Civili, non solo per la presenza molto più attiva della personalità dell'autore, ma proprio perché la struttura del secondo commentario è molto più complessa e anche lo stile narrativo di Cesare diventa più ricco e dinamico, alcune volte perfino drammatico, come per esempio all'inizio dell'opera che si apre con la descrizione della seduta del senato in cui la lettera di Cesare che proponeva la trattativa non viene presa in considerazione e invece il senato impone solo a lui di sciogliere l'esercito per non essere dichiarato nemico di Roma; un altro momento molto drammatico è quello della ritirata di Durazzo, quando lo stesso Cesare avrebbe rischiato di perdere la vita.

Entrambe le opere di Giulio Cesare quindi appaiono come dei veri capolavori ognuna con le sue differenze rispecchia forse i due aspetti principali della personalità del condottiero: il generale, il soldato, e l'uomo politico che dimostra tutta la sua abilità, sia nel De bello Gallico con una prosa lucida, ma appassionante, ricca di strategia, sia nel De bello Civili con una narrazione più raffinata e più personale, che descrive la situazione molto più complicata di una guerra civile, uno scontro tra romani e tra avversari che un tempo erano stati alleati.









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