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LA DONNA NEL SATYRICON DI PETRONIO

letteratura latina



LA DONNA NEL SATYRICON DI PETRONIO.


Il mondo del Satyricon è carnevalesco, policromo, ruotante intorno a un centro motore priapeo; perciò per fenomeno ottico delle rapide combinazioni di colori, esso risulta nero, buio, una terra senza cielo e senza dio, anzi senza dei.

Uniche entità luminose ne sono il DENARO(o il potere che viene dalla

ricchezza), il SESSO, la MORTE. Un dio vi è, onnipresente, ma è un



"DIO INFERIORE": Priapo, dio della fecondità e del sesso che però qui è

un dio adirato e vendicativo,il quale semina

LUSSURIA RISSE,PERVERSIONI,IMPOTENZA e veri e propri

SABBA PROPIZIATORI. Di Petronio non sappiamo con certezza chi

sia e quando esattamente sia vissuto:del romanzo ignoriamo l'inizio della

storia e la sua fine. Lo spirito dello scrittore è vivo in ogni pagina e ci parla

con la medesima attualità e freschezza con cui parlava ai contemporanei.

Senza volerlo veniamo attratti nella sfera di un vivere antico e passiamo

invisibili spettatori, su un palcoscenico di attori mediocri, forse un po'

volgari, ma pieni di energia e percepiamo le risate e la paura,le ambizioni e

le aspirazioni di genti umili, i discorsi paludati dei retori,le discussioni

sulla poesia e la grande arte, ma anche gli odori di cucina, i rumori delle

strade, l'animazione di piazze crepuscolari, la sporcizia delle locande, lo

squallore dei bordelli. Petronio ci guida fra i nuovi ricchi i liberti di mezza

tacca, gli schiavi specializzati e generici, le ancelle faccendiere, le vecchie

malnate e le sacerdotesse di Priapo, le bambine ingenuamente corrotte, le

signore che non conoscono che cosa sia pudicizia e divorano il piacere

sessuale con fame antica. E a questo punto che il testo cessa di essere

qualcosa di monco ed enigmatico e il tutto si delinea chiaro alla mente. Ci

viene incontro ora un intellettuale consapevole della crisi della sua epoca

priva di ideologie forti, laiche e religiose, senza Giove  e senza Cristo.

Poco importa se non riusciamo a scoprirne i dati anagrafici. Petronio è

tutto nel suo libro. Nonostante la sua ritrosia e il pudore quasi verginale

con cui ha tentato di mascherarsi e nascondersi, da quelle pagine emergono

le sue radici ideologiche e letterarie, i suoi gusti, le sue simpatie, le ragioni

dell'ironia, la sua implacabile neutralità rispetto alla materia. L'universo

femminile del "romanzo" sotto questo profilo costituisce un osservatorio

privilegiato.

Le matrone in particolare e le sacerdotesse sono FEMINAE, per lo più

agitate da sensualità selvaggia, affatto prive di senso morale,incapaci di

sentimenti delicati o di emozioni, che non siano quelle provocate dalla

VOLUPTAS sensuale. Sembra quasi che le implicazioni affettive siano indegne della loro condizione soci 515g65f ale e di privilegio e siano rimaste

appannaggio ormai soltanto delle classi emergenti, dell'umile

Fortunata l'unica nel romanzo ad atteggiarsi,nonostante il suo passato, ad

UNIVIRA e MATER FAMILIAS.

Sazie, annoiate ricercano sempre la novità dell'avventura o della

perversione. Amano le orge la scopofilia,l'ambiguità, le relazioni con

subalterni. L'uomo è indifeso nelle loro mani. Esse sono DOMINAE

forti, crudeli, sadiche e impongono le regole del gioco. La loro LIBIDO

sessuale si fonde con la LIBIDO DOMINANDI.

Nessuna di loro fra l'altro manifesta interesse per la letteratura o più in

generale per i prodotti dell'arte, nessuna si intende di poesia, come le

AMICAE dell'elegia, neppure le più ricche e raffinate come Trifena e

Circe. Al contrario portano i segni della cultura popolare per la loro

adesione convinta alle pratiche di magia o la loro saggezza alle paure

superstiziose.

Quartilla Trifena, Circe sono la prova vivente della fine del modello

femminile elaborato dal MOS MAIORUM e dalla cultura latina e

rappresentano il nuovo tipo di donna affermatosi, almeno a certi livelli

sociali, a partire dalla fine della Repubblica e testimoniato, con attoniti

accenti di sdegno da storici moralisti per la prima età imperiale.

E' soprattutto al loro operare, che Petronio affida il compito di produrre

quella immagine rovesciata del mondo che viene perseguita a lungo e in

molti modi nel romanzo, per dare concreto rilievo alla crisi morale e

all'entropia dei valori nella società romana.

QUARTILLA.

Il personaggio di Quartilla è la risultante di forze eterogenee interne ed

esterne al sistema letterario, linea di intersezione nella quale passano i

diversi piani della realtà, invenzione e satira,che si incrociano di continuo

nel testo petroniano in vitale dialettica.

Quartilla costituisce l'asse narratologico dell'episodio, il centro di

aggregazione gravitazionale, che tiene unito l'insieme e dà un senso logico

all'azione. Essa presenta più di un tratto in comune con Trimalchione

(nome parlante:dal greco tri-malkos:tre volte sciocco, tre volte padrone).

Sembra quasi che Petronio li abbia concepiti assieme. Anche Quartilla

come Trimalchione, plasma gli ambienti ed i personaggi che le stanno

accanto o che le ruotano intorno. Non è un caso se Psiche, l'ancella, si

veste come la padrona,recita come lei, usa i suoi toni ambigui, ne intuisce

e percorre i gusti -sembra essere proprio la sua "anima", come forse volle suggerire, non senza arguta ironia, l'autore, che ha scelto, secondo il solito,

il nome con un preciso intento- e se la VIRGUNCULA, a sette anni, è

pronta a rivivere le esperienze erotiche infantili della sacerdotessa senza il

minimo disagio o paura.

Ancora come Trimalchione, Quartilla è la grande maestra di cerimonia e

regge più o meno palesemente ogni cosa.

Entrambi sono dipinti, con malcelato riso, come "principi plebei", resi

omologhi dalla medesima dismisura, volgarità e arroganza e investiti dalla

medesima luce tonale. Per renderli verisimili in tale ruolo, Petronio li fa

agire in luoghi parimenti appartati,lontano dal fluire dei normali rapporti

sociali: una squallida locanda e, forse, le stanze annesse ad un tempietto

priapeo; una vecchia casa ristrutturata, enorme e disordinata come un

labirinto. Qui Trimalchione poteva imporre la sua legge, proclamarsi re

senza correre il rischio di ironici confronti, e Quartilla abbandonarsi senza

tema di biasimo ad ogni esperimento di lussuria e sentirsi regina

incontrastata.

Proprio con l'orgoglio di una regina persegue la vendetta e costringe i suoi

avversari a sottomettersi alla sadica tortura del piacere, soddisfacendo così

ad un tempo la sua LIBIDO di sesso e di dominio.

La lussuria è stata sempre indicata come il perno attorno al quale ruota

tutto il suo operare,la manifestazione più evidente del suo carattere. In

effetti il desiderio, come una vera malattia, la turba profondamente e

l'astinenza le procura tremori da febbre terzana e morbose inquietudini.

Perciò quando provoca eccitazione viene da lei assecondato con

entusiasmo, allegra naturalezza e impudica innocenza. Come in un gioco.

Per Quartilla e le sue aiutanti l'attività sessuale è un misto di libidine e di

riso;esse vivono le loro esperienze senza sensi di colpa,come impermeabili

ai turbamenti del proibito . La trasgressione sta in fondo nel culto di

Priapo, che ribalta il codice sociale e si configura come un "mondo

al rovescio", dove è normale che le donne bevano vino per sciogliere i

freni inibitori ed esercitino la signoria sui maschi. Le norme del rito

rendono dunque "puro" il loro agire e legittimi gli impulsi lascivi, anche i

più perversi.

Non bisogna però sottovalutare, per una corretta interpretazione del

personaggio, la LIBIDO DOMINANDI. Questo sembra il tratto

fondamentale del carattere, dal quale discende la brutalità e l'arroganza

tipica della sacerdotessa di Priapo nei rapporti con gli altri. Lo

testimoniano sia lo "stupro" a cui vengono sottoposti i tre giovani, con la sua partecipazione e la sua regia, sia anche i modi bruschi e decisi con cui si è impadronita della locanda e guida l'intera vicenda.

A lei non basta vincere:vuole l'umiliazione degli avversari, perché sia

chiaro chi è il più forte. Meglio ancora  poi se, ribaltando tutte le

previsioni, è il tradizionale dominatore, il SEXUS VIRILIS, a finire

dominato. Perciò sottopone Encolpio e Ascilto, i rappresentanti del vigore

maschile, ad una insopportabile prova di resistenza fino a provocarne la

nausea ed il crollo fisico e morale. Nelle mani di Quartilla il maschio è

dunque solo un mero strumento di piacere, una cosa viva da sfruttare senza

riserve. Se lo nutre, lo cura e lo rinforza è solo per ragioni pratiche ed

egoistiche, per avere cioè l'opportunità di seviziarlo ancora a suo

piacimento. Come in Circe affiora qui la concezione "dell'uomo oggetto",

paradossale e sconvolgente per la mentalità della società classica.

"L'eterno femminino" si presenta come doppiezza, crudeltà, lussuria

istrionismo, mai come tenerezza sognante o abbandono o turbamento

emotivo. Quartilla è anche un'attrice straordinaria che sa alternare

con facilità sorprendente opposte emozioni: lacrime e riso, commozione  e

disperazione, tenerezza e crudeltà.

Petronio ha insomma costruito un personaggio complesso e coerente a

tinte forti.

Nel profilo definitivo Quartilla ci appare donna di cultura e gusti plebei

grossolana e volgare anche nel linguaggio, sguaiata nella sua istintiva

emotività, decisa fino all'arroganza, lucidamente vendicativa, dotata di un

fortissimo senso di "libertà etica", che le permette di considerare normale

la LICENTIA e di andare senza limiti e condizionamenti QUA LIBET

VIA. Un personaggio insomma dell'immaginario plebeo, funzionale ad

una cultura terragna , tutta tesa al conseguimento di piaceri rozzi,

apprezzati in rapporto alla loro quantità più che alla loro qualità, del tutto

privi di implicazioni sia intellettuali sia sentimentali, in cui sesso e cibo

rappresentano l'approdo mitico di aspirazioni insaziate e di frustrazioni

generate da uno squallidi quotidiano. Nel romanzo è una presenza corposa

e originale. Con Trifena e Circe condivide la sensualità e l'intraprendenza

ma si distingue da entrambe perché le manca dell'una la sensibilità e

l'eleganza salottiera, dell'altra il gusto dell'avventura e certa morbida

femminilità. Con la moglie di Trimalchione non ha niente da spartire.

FORTUNATA.

Fortunata è senza dubbio una delle figure femminili di maggior spicco nel

Satyricon e pur nella sua umiltà si imprime nella memoria del lettore

restandovi come una presenza familiare.

Essa vive nel chiuso narrativo della CENA e non ne varca mai la soglia

sicchè rimane radicata profondamente in tutto il suo sistema di rapporti

interni ,omogenea all'ambiente e ai personaggi che lo animano.

Non bella come le eroine dei romanzi, non giovane, non di stirpe nobile

non intellettuale come certe "signore" cantate dagli elegiaci, Fortunata è

solo una MATER FAMILIAE, che ha conosciuto la miseria ed ora

"amministra" una casa doviziosa senza perdere la testa. Ha imparato dalla

precedente esperienza la lezione della concretezza, il buon senso che la

vita insegna a chi ha navigato fra tali frangenti, il coraggio, incrinato forse

dalla paura che il bel sogno possa ad un tratto svanire. Nuovo è il suo

orgoglio, frutto di una dignità cui ormai non vuole più rinunziare.

Fortunata è però anche vanitosa, come per la sua parte è Trimalchione, ma

soprattutto come donna: ama le belle vesti e l'oro e gioisce per

l'ammirazione che può suscitare.

Da popolana qual è, Fortunata si presenta istintiva e perciò incapace di

frenare le emozioni sia che finga disperazione per l'incidente accaduto a

Trimalchione o si lasci afferrare dalla furia della gelosia. Per altri versi

essa è semplice, quasi primitiva,archetipo del suo livello sociale nella

componente femminile, coerente negli affetti, senza compromessi o

sfumature.

La sua figura si fa poco a poco davanti agli occhi del narratore e nostri

prendendo forma attraverso le diverse focalizzazioni, come in un gioco di

specchi. Piano piano quella indaffarata donna di casa che "corre qua e là",

pur restando nel cono d'ombra di Trimalchione, acquista un profilo, un

corpo, un carattere, vizi e virtù, o meglio, doti e difetti e vive di vita

autonoma.

Alla fine per un attimo quella mediocre figura di donna seduce forse lo

stesso Petronio. L'ultima immagine, che gli affida alla nostra fantasia, è

infatti connotata da un gesto magnanimo, degno di un personaggio più

alto. C'è un che di eroico nella sua PIETAS ERGA  VIRUM, di un

eroico quotidiano, ma pur degno di rispetto e di ammirazione, dinanzi al

quale l'ironia regredisce e scompare.

Petronio ha tenuto per ultime le doti più belle, il coraggio e la generosità, e

per loro tramite ha recuperato Fortunata nel cerchio della HUMANITAS

Trimalchione stesso non può fare a meno di ricordare, pieno di gratitudine

un nobile gesto della sua donna, che la riscatta da ogni bassezza. Quando

egli perdette ogni avere nel naufragio della prima spedizione commerciale,

Fortunata ebbe modo di manifestare tutto il suo valore e l'affetto che

nutriva per il marito. Non soltanto infatti non lo abbandonò nell'ora del

bisogno o si diede femminilmente alla disperazione ma, con forza d'animo

e intraprendenza pari a quella del consorte, reagì con coraggio e

abnegazione. "Hoc loco, racconta ancora commosso Trimalchione

Fortunata rem piam fecit; omne enim aurum suum

omnia vestimenta vendidit et mi centum aureos in manu posuit.

Hoc fuit peculii mei fermentum". E' l'ultima immagine di Fortunata, ma

anche l'ultimo bagliore di umanità di Trimalchione. Il resto è follia, gazzarra,

gioco macabro di avvinazzati con la morte.

TRIFENA

Nell' episodio Trifena è l'unico personaggio femminile attivo. La sua

figura occupa ampio spazio nell'economia del racconto, e gioca un ruolo

di primo piano sia in rapporto alla dinamica dei fatti sia per il rilievo che

assume la sua personalità.

Di lei Eumolpo nel ritratto a focalizzazione esterna dice che è OMNIUM

FEMINARUM FORMOSISSIMA e che VOLUPTATIS CAUSA

HUC ATQUE ILLUC VECTATUR.

Trifena è dunque in primo luogo una donna di straordinaria avvenenza

attratta dal piacere, quello si intende prodotto dall'erotismo, e di

conseguenza, dato che per conseguirlo è disposta ad affrontare disagi e

rischi, amante dell'avventura.

Sono impliciti in questo primo profilo, gli attributi essenziali del

personaggio,che ne esaltano da un lato il fascino e dall'altro ne

denunciano, nonostante il tono distaccato con cui la frase viene

pronunciata da Eumolpo, le debolezze. La combinazione costituita dalla

FORMOSITAS e dalle VOLUPTAS prefigura un immagine femminile

destinata fatalmente, dato il sistema di aspettative codificate nel sistema

letterario, ad essere coinvolta in storie di lussuria e libidine.

Un chiaro segnale è già quel sostantivo FEMINA, che contiene implicita

una valutazione morale ed una classificazione . Il termine occupa il grado

infimo, così il suo valore semantico, definito per opposizione della severa

e virtuosa MATRONA e dall'altro di MULIER, la donna comune,che

colloca Trifena nella categoria delle donne di bassa statura morale.

I tratti che completano il ritratto nella successiva rappresentazione mimetica

mettono a nudo la sua debolezza culturale, suggerita dall'inquietudine e lo

smarrimento suscitati dalla superstizione, ed inoltre la natura a volte

crudele a volte tenera ed amabile, l'incapacità di nutrire odii esterni, specie

quando vengono messi alla prova della VOLUPTAS. E' padrona generosa

ed umana con la servitù: la premura con cui la servono le ancelle e gli

schiavi la soccorrono nel momento del pericolo lascia intuire che il

rapporto con la FAMILIA è improntato, nonostante tutto, ad affetto e

comprensione.

L'immagine subisce una brusca deformazione nell'ultima parte

dell'episodio;in un piccolo frammento(113,11) dell'arcipelago che emerge

dalle lacune infatti un'ancella la definisce non migliore di unoSCORTUM

e addirittura SPINTRIA, due epiteti di greve volgarità e turpitudine. Non

riusciamo a capire in quale contesto la frase sia stata detta e quindi quali

motivi avesse l'ancella per pronunciarla. Forse la narrazione rimarcava la

sua corrività alle tentazioni del sesso sotto qualunque forma si presentassero

e sviluppava nella direzione della lascivia più sfrenata il tema annunciato

dalla VOLUPTAS. E' possibile che il suo ritratto finale giustificasse

l'indiziario FEMINA dell'apertura. In fondo una certa avvisaglia si era

intravista in quel suo amoreggiare impudico con Gitone, davanti a tutti.

C'è qualcosa di perverso nel suo esibizionismo, qualcosa di morboso in

quella sua passione per un PUER DELICATUS. Forse per noia e sazietà

nei confronti delle relazioni normali, sembra attratta dal piccante delle

complicazioni emotive, dell'erotismo dell'ambiguità, dall'esplorazione di

nuovi territori del piacere: omogenea sotto questo profilo con altre figure

di spicco dell'universo femminile petroniano, ma con sue peculiarità.

Condivide così con Quartilla, ma anche con Circe, la propensione per le

situazioni fuori dalla norma, talora perverse:della seconda le manca però il

gusto per il rituale galante,della prima non ha certa arrogante,sbrigativa

volgarità. La differenza con Quartilla si può misurare oltre tutto mediante il

confronto fra i modi delle rispettive relazioni con Gitone.

La sacerdotessa di Priapo, abituata a "pesare" quasi tutti i rapporti sessuali

ovvero a valutarli con il metro della quantità e delle dimensioni, apprezza

nel PUER l'acerbità delle forme, quasi fosse uno stuzzichino per

l'antipasto:Trifena al contrario lo preferisce al superdotato Encolpio, gli si

affeziona come una bambina ad un giocattolo o, forse ancora più

ambiguamente, una madre ad un figlio, quasi persegua una confusa

nostalgia di maternità perduta, come sembra adombrare quel suo

carezzarlo e baciarlo teneramente, quel fremere preoccupato per le sue

sofferenze ed umiliazioni.

L'assenza di remore morali che ha in comune con la maggior parte delle

donne del romanzo,le permette di vivere la situazione con

naturalezza,senza turbamenti e rimorsi e di conservare una sorta di

ingenuità primitiva,che si manifesta in alcune occasioni sotto forma di

trasalimenti e vampe d'improbabile pudicizia, sorprendenti in una donna

del suo stampo.

La lussuria si condisce in Trifena con il gusto dell'avventura. Il suo

viaggiare errabondo alla ricerca del piacere la distingue ulteriormente dalle

altre donne del romanzo e la rende simile, picara doviziosa, agli

ERRANTES(105,1)protagonisti maschili.

E' anche questo un segnale preciso ed eloquente del suo sistema di vita

della sua ideologia di donna libera, che ama "vivere da maschio"non meno di

Quartilla e di Circe, fuori dagli schemi culturali tradizionali e "come

un maschio" sceglie i suoi amanti e li abbandona quando se ne stanca,

padrona della sua vita sentimentale. Inutile attendesi da Trifena promesse

di amori eterni e giuramenti sinceri di eterna fedeltà:sono "romanticherie"

fuori dal suo orizzonte culturale.

Ricca, sensuale, bellissima, disinibita Trifena è dunque donna, anche lei

da milesia e da mimo, tutta carnalità e risentita voglia di andare QUA

LIBET VIA.

CIRCE.

Circe è una donna LUCULENTA, bellissima e sensuale. Con i suoi lunghi

capelli, che si spandono naturalmente PER TOTOS UMEROS, le

chiome sciolte e scoperte avevano nel sistema segnino della cultura latina

il significato di richiamo erotico -le sopracciglia unite a marcare la fronte,

gli occhi luminosi,il naso leggermente arcuato, la bocca graziosa, il

mento,il collo e le mani ben torniti, i piedi candidi chiusi fra cordoncini

d'oro ed ancora con la voce suasiva e carezzevole, che evoca il fascino

mitico delle Sirene, è l'immagine stessa della seduzione.

Come la maggior parte delle donne nell'universo femminile petroniano

Circe è libera e disinibita, vive ed opera nella prospettiva del CARPE

DIEM una filosofia che l'ammonisce perennemente sul trascorrere degli

anni MORE FLUENTIS AQUAE e la stimola quindi a godere delle

gioie dell'età giovanile, conscia che CITO PEDE LABITUR AETAS

Per lei l'amore deve essere "lascivo", privo cioè di turbamenti passionali, e

LUSUS, un gioco con le sue regole, un'ARS praticata secondo un rituale

elegante. A questa concezione conducono la prassi discreta dell'approccio

per interposta persona, la cura del corpo e dell'abbigliamento,la misura e

la naturalezza dei gesti, la scelta dei luoghi per i convegni ed infine una

certa manierata teatralità negli atteggiamenti.

Sono infatti essenziali l'avvenenza coltivata ed il garbo pieno di grazia, ma

anche la razionalità dei comportamenti, che implica l'esclusione del senso

di possesso e quindi della "volgare"gelosia.

Circe deplora la volgarità e ama circondare la sua seduzione con un alone

di nobile galanteria .Nessuna parola, nessun concetto meno che casto esce

dalle sue labbra. Le espressioni crude lascia che sia l'ancella a

pronunziarle.

Tutto questo sembra collocare Circe nell'ambito del sistema elegiaco, ma

un' osservazione più attenta rende manifesto che in realtà la signora di

Crotone quel sistema lo utilizza e ribalta dato che è lei, una donna non

un uomo, a praticare quegli schemi:lei manda l'ancella, lei fa le proposte,

lei prende tutte le iniziative .Neppure Ovidio, laddove rivendicava per le

donne parità di diritti con l'uomo nel campo dell'amore,si era spinto così

avanti:per quanto trasgressivo,non aveva concesso alle donne niente di più

del diritto di "farsi amare". Le aveva dunque regalate in un ruolo

passivo,ben diverso da quello esercitato dal personaggio petroniano.

Circe mette a nudo l'essenza di una femminilità ferina, che la poesia aveva

celato sotto le forme dei modelli rituali.

Siamo ancora di fronte all'ennesimo esempio di "mondo alla rovescia".

Circe manifesta assai presto la natura sensuale che lasciava presagire il

messaggio implicito nel nome nonché la poderosa vanità e alterigia.

In amore non è egoista, anzi si dona con generosità . Nessun amante si è

mai levato dal suo letto senza aver raggiunto il totale appagamento, come

afferma Proseleno. Quando questo non avviene, come nel caso di Polieno

il fatto assume i connotati della eccezionalità.

Una tale fame non le crea imbarazzo; al contrario, la gratifica. E'un segno

del potere irresistibile del suo fascino. L'inappetenza del PARTNER viene

perciò da lei giudicata come un insulto alla sua bellezza. Allora diventa

irritabile e crudele. Si sente defraudata del dovuto piacere e s'accende

come una furia. Ne sanno qualcosa Polieno, frustrato, esposto al dileggio

delle sguattere, e Criside condannata come colpevole anche lei, e la

vecchia Proseleno, rea di non aver saputo far bene il suo lavoro.

Orgogliosa quanto è vanitosa, gioisce nel vedere l'uomo soggiogato e

quasi inebetito dinanzi alla sua LUCULENTITAS, le piace sentirsi

chiamare DEA REGINA e DOMINA. Lo specchio perciò non è solo

l'oggetto simbolo della sua vanità, ma anche il mezzo che le dà sicurezza

quando il dubbio s'insinua e le restituisce il senso eccitante del dominio.

La sua perversione non è infatti costituita tanto dal gusto della

degradazione, quanto della LIBIDO DOMINANDI

Più che Trifena, più della stessa Quartilla preferisce "l'uomo oggetto".

Non a caso è disposta a pagarne le prestazioni, qualora non aderisca

spontaneamente alle sue proposte. Nella scelta di Polieno come partner

questa appare la componente determinante. E'attratta, è vero, dalla

bellezza del giovane, ma soprattutto dal fatto che sia uno schiavo:in tal

modo essa può conservare una posizione di costante supremazia.

L'appellativo DOMINA assume perciò nei suoi confronti la carica

semantica originale e solo in sottordine conserva la caratura tipica del

linguaggio elegiaco. Circe è "signora"sia in  forza del fascino femminile

sia, specialmente, del superiore stato sociale.

Tutto ciò le evita possibili coinvolgimenti passionali o peggio esiti

matrimoniali, lontanissimi  o del tutto assenti dalle sue prospettive

erotiche.

Il sistema di segni esteriori del giovane, le chiome ben pettinate, il volto

curato, il passo calibrato, gli occhi "assassini" lo individuano come uno di

quei damerini frivoli. Le donne dovrebbero starne alla larga; Circe li

preferisce. La loro incostanza è per lei una dote: come vengono, così

possono andare via, senza lasciare rimpianti. Essi rappresentano il

corrispondente maschile della prostituzione femminile. Di questa gli

uomini si sono serviti da sempre senza suscitare scandalo, anzi

raccogliendo consensi. Ora le parti si rovesciano: è la donna ad usare

l'uomo. Con il suo atteggiamento Circe mette in discussione il ruolo

tradizionale della donna nei rapporti con l'uomo, rivendicando il diritto ad

una pari libertà sessuale. Se fosse stata un uomo, il suo comportamento

sarebbe stato giudicato "normale":sarebbero apparsi naturali il suo impulso

e le sue reazioni.

Ma Circe è una donna, un essere cioè destinato,per le convinzioni comuni

dell'epoca a subire -NATAE PATI, come ribadiva stizzosamente

Seneca- le voglie dei maschi, non a tacitare le proprie. La sua appartenenza

al genere femminile le avrebbe dunque dovuto precludere la possibilità di

esercitare un ruolo attivo, da protagonista nelle relazioni fra i sessi. Il fatto

che sia lei a scegliere i PARTNER e ad "usarli", va pertanto contro ogni

regola che una onesta matrona dovrebbe osservare.

Lo schema culturale, sul quale è costruito l'episodio, è quello attivo nel

mondo reale, ma come in uno specchio i rapporti appaiono invertiti; la

donna interpreta il ruolo dell'uomo e questi viceversa quello della donna.

In tutta la sequenza la figura dell'uomo, rappresentata da Polieno, esce

piuttosto malconcia, e non è questa l'unica volta che ciò accade nel

romanzo petroniano. Non solo appare più debole della donna, si lascia

sedurre senza opporre la minima resistenza, si lascia guidare, fallisce in

ogni opportunità, ma viene picchiato, cacciato, sputato, in una parola

umiliato nelle forme più infamanti.

Se vorrà sfuggire dalle loro mani, dopo averle implorate e dopo aver

tentato di corromperle col denaro, dovrà scappare a gambe levate,

vilmente, coprendosi di ridicolo.

Bellissima dunque, vanitosa, sensuale, dolcissima, ma anche orgogliosa

irascibile, crudele, teatrale, Circe è un carattere difficile da confondere con

altri della letteratura antica. Essa  ha le PHYSIQUE DU RO^LE della

protagonista femminile di un mimo e si muove perfettamente a suo agio sulla

scena di un mondo A' L'ENVERS, ma incarna anche, in funzione della

valenza satirica sempre attiva nel racconto,il tipo della signora "moderna".








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