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Ludovico Ariosto - IL CASTELLO D'ATLANTE

letteratura italiana



Ludovico Ariosto

IL CASTELLO D'ATLANTE


Una ricerca esemplare sulle "fonti" del Furioso, condotta da uno studioso del secolo scorso, Pio Rajna[1], ha messo in luce le infinite e intricate radici del poema. Ma il fatto che per tanti episodi, personaggi, motivi si possa risalire ad una fonte, classica o romanza, non deve indurre ingenuamente a concludere (come credo che faccia invece il Rajna), che l'opera ariostesca manchi del tutto d'originalità; piuttosto le "fonti" sono solo spunti, suggerimenti iniziali, che poi Ariosto ha assimilato alla sua 838b18i visione della vita ed ha amalgamato nell'organismo del poema, che è profondamente originale.



La materia cavalleresca era molto amata nella corte ferrarese e aveva già trovato espressione, pochi decenni prima, in un capolavoro, l'Orlando Innamorato di Boiardo, che aveva avuto grande successo. Nella sua opera Ariosto si collega direttamente a quella boiardesca, riprendendo la narrazione esattamente al punto in cui il poeta l'aveva interrotta e proseguendola con nuove avventure.

L'Ariosto spiega che questo palazzo è un nuovo incanto messo in opera dal mago Atlante, che vuole cosi sottrarre il suo amato pupillo Ruggiero al suo destino di morte precoce, e conduce nel palazzo tutti gli altri famosi guerrieri, affinchè Ruggiero non muoia per loro mano. Intanto Angelica, alla ricerca di Orlando o Sacripante che l'aiutino a tornare in patria, capita anch'essa nel palazzo fatato, protetta però dall'anello magico che la rende invisibile.

Tutti i personaggi sono mossi da un desiderio e cercano qualcosa, un oggetto materiale o metaforico: Angelica cerca la libertà e la sua patria, Rinaldo il suo cavallo e anche Angelica, Ferraù il suo elmo e Angelica, Sacripante sempre Angelica, Bradamate Ruggiero...ma il movimento è circolare, poichè torna sempre tutto al punto di partenza e oltretutto è un movimento insensato, senza meta reale, perchè l'oggetto del desiderio sempre si dilegua, è irraggiungibile. Nel palazzo incantato di Atlante gli uomini sono spinti dai loro desideri al vano inseguimento di oggetti deludenti, che loro sfuggono perpetuamente. Il mago infatti crea delle immagini vane, che appaiono e scompaiono continuamente, e in queste immagini ogni personaggio vede ciò che desidera:


"Una voce medesma, una persona

che paruta era Angelica ad Orlando,

parve a Ruggier la donna di Dordona,

che lo tenea di sé medesmo in bando.

Se con Gradasso o con alcun ragiona

Di quei ch'andavan nel palazzo errando,

a tutti par che quella cosa sia,

che più ciascun per sé brama e desia."

(Fur. XII, XX)


ciò significa che non è che creazione soggettiva degli uomini, e che sono solo il desiderio e l'immaginazione che conferiscono valore a questi oggetti.


Gli inganni del mago sono ripresi e prolungati dalle continue sparizoni di Angelica, che si invola dinanzi ai suoi inseguitori grazie all'anello fatato. Angelica, non vista, "si ride proterva"[2] dei suoi corteggiatori che che si aggirano per il palazzo come istupiditi, e si prende gioco di essi sottraendo l'altro oggetto della contesa, ovvero l'elmo di Orlando:


"Ha ben di darlo al conte l'intenzione;

ma se ne vuole in prima pigliar gioco.

L'elmo dispicca, e in grembio se lo pone,

e sta a mirare i cavallieri un poco."

(Fur. XII, LIII)


la realtà deride gli uomini che capricciosamente inganna.


Nel canto XII del Furioso troviamo Orlando, che per inseguire Angelica ha lasciato il campo cristiano e i suoi doveri da paladino e ha percorso infaticabilmente varie zone d'Europa per cercarla:

"L'ha cercata per Francia: or s'apparecchia

Per Italia cercarla e per Lamagna,

per la nuova Castiglia e per la vecchia,

e poi passare in Libia e il mar di Spagna."

(Fur.XII, IV)


Dopo aver tanto viaggiato, ad un certo punto, sente una voce ed un pianto:


"Mentre pensa cosi, sente all'orecchia

una voce venir che par che piagna:

si spinge inanzi; e sopra un gran destriero

trottar si vede inanzi un cavalliero,

(Fur. XII, IV)


"che porta in braccio e su l'arcion davante
per forza una mestissima donzella.
Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante
di gran dolore; ed in soccorso appella
il valoroso principe d'Anglante;
che come mira alla giovane bella,
gli par colei, per cui la notte e il giorno
cercato Francia avea dentro e d'intorno."

(Fur. XII, V)


ma questi non è altri che un cavaliere. Egli crede che sia Angelica, e Atlante, per attirare Orlando, fa sembrare in pericolo la donna e lo fa giungere al suo palazzo; nel Boiardo invece al castello si sostituisce una torre, ma Rajna afferma che in epoca medievale i due termini potevano essere usati benissimo come sinonimi e utilizzarli quindi per riferirsi ad una stessa cosa.

Ciò nonostante, Rajna osserva che codesto castello - quello narrato nel Furioso -, a suo avviso, altro non è che la trasformazione del giardino sul monte di Carena narrato nell'Innamorato:

Io ve dissi, segnore, e dico ancora,
Che sopra la montagna di Carena
Quel giovane fatato fa dimora,
Che al mondo non ha par di forza e lena;
Né so se ve ricorda, io dissi alora
Che se avrebbe a trovarlo molta pena,
Però che 'l suo maestro è negromante,
E ben lo guarda, ed ha nome Atalante.

(Inn. II, 3º, 26)


Entrambi i castelli hanno lo stesso fine e il medesimo autore, ma la descrizione è cambiata; mentre il Boiardo si limita a rivelare solo il materiale usato per le pareti e la posizione geografica, Ariosto ci delinea l'edificio fino all'interno:


Questo ha un giardino al monte edificato,
Quale ha di vetro tutto intorno il muro,
Sopra un sasso tanto alto e rilevato
Che senza tema vi può star sicuro.
Tutto d'incerco è quel sasso tagliato;
Benché sia grande a maraviglia e duro,
Da gli spirti de inferno tutto quanto
Fu in un sol giorno fatto per incanto.

(Inn. II, 3º, 27)


Di vari marmi con suttil lavoro
edificato era il palazzo altiero.
Corse dentro alla porta messa d'oro
con la donzella in braccio il cavalliero.
Dopo non molto giunse Brigliadoro,
che porta Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando, come è dentro, gli occhi gira;
né più il guerrier, né la donzella mira.

(Fur. XII, 7)

Né vi si può salir, se nol concede
Quel vecchio che là sopra è guardïano.

Omo questo giardin giamai non vede,
O stiali apresso o passi di lontano.
Io so che Rodamonte ciò non crede:
Mirati come ride quell'insano!
Ma se uno annel ch'io sazo, pôi avere,
Questo giardino ancor potrai vedere.

(Inn. II, 3º, 28)


D'oro e di seta i letti ornati vede:
nulla de muri appar né de pareti;
che quelle, e il suolo ove si mette il piede,
son da cortine ascose e da tapeti.

(Fur. XII, 10)


Rajna attesta che anche un altro autore, l'Agostini, ha introdotto nella sua opera, Falerina, questo stratagemma: la protagonista, dal cui titolo deriva il nome, invaghita di Sacripante, aveva fabbricato per incanto un castello per salvare costui dal suo fato avverso, che lo destinava a morire a tradimento. Solo che il nostro critico vede in entrambi gli autori una chiara imitazione di Boiardo, sia per quanto riguarda le parole con cui l'Agostini fa parlare Falerina a Ruggiero e Gradasso, sia in quelle che Atlante pronuncia alla sorella di Rinaldo nel Furioso:


- Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(disse piangendo il vecchio incantatore)
feci la bella rocca in cima al sasso,
né per avidità son rubatore;
ma per ritrar sol dall'estremo passo
un cavallier gentil, mi mosse amore,
che, come il ciel mi mostra, in tempo breve
morir cristiano a tradimento deve.

(Fur. IV, 29)


Basta ch'io la campai da dura sorte,

e per lui fabricato ho 'l bel castello,

ché a tradimento saria giunto a morte

il vago cavallier, leggiadro e bello.

Essendo prode, valoroso e forte,

pietà mi venne di tal caso fello.

(Fal. I, 67)


Ma il castello d'Atlante ci fa correre col pensiero anche ad altre invenzioni dell'Innamorato: al lago di Morgana (II, 7º, 36), al fiume del Riso (II, 31º, 45 - III, 7º, 6), alla fontana della Fata (III, 1º, 20); creazioni fantastiche che troviamo anche in altri numerosi romanzi, come ad esempio nella Tavola Rotonda, in cui compaiono la Dolorosa Guardia e il Palagio del Grande Disio, da ricordare proprio perchè anche quest'ultimo è stato edificato per magia da parte della "dama dell'isola di Vallone...credendovisi dentro riposare col profeta Merlino, e averlo a suo diletto".[3]


Ad ogni modo, nel castello vi è una moltitudine di cavalieri e dame, trasportati dentro dal mago e rinchiusi come prigioneri per salvare Ruggiero; non accade nulla, non ci sono lotte o combattimenti, i vari paladini sembrano assenti, nessuno si conosce o si riconosce, tutti affannati a cercare il loro desiderio, infatti Orlando, accorgendosi che è vuoto vorrebbe andarsene, ma Atlante non glielo permette ricorrendo di nuovo all'immagine di Angelica:


Pargli Angelica udir, che supplicando
e piangendo gli dica: - Aita, aita!
la mia virginità ti raccomando
più che l'anima mia, più che la vita.
Dunque in presenza del mio caro Orlando
da questo ladro mi sarà rapita?
più tosto di tua man dammi la morte,
che venir lasci a sì infelice sorte. -

(Fur. XII, 15)


Di castelli in cui vi sono rinchiusi una moltitudine di personaggi ne sono stati descritti tanti, solo che è difficile incontrare in letteratura lo stesso pretesto con il quale è stato costruito questo. Rajna, infatti, menziona un'opera, le cento principesse rapite da Angaraka - in un racconto del Katha-sarit-sagara - in cui vede solo una somiglianza poichè queste fanciulle sono rapite e ingabbiate in un edificio altrettanto magnifico, ma soltanto col pretesto di far compagnia alla figlia Angaravati.

Anche nel Mambriano il castello è una specie di trappola che ha creato Uriella per catturare Ivonetto, ma poi sono imprigionati anche altri cavalieri quali Astolfo, Rinaldo, Ricciardetto, ecc.[4]


La parte del castello distrutto di Atlante, invece:


Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni isculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite ed inculto;
né muro appar né torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.

(Fur., IV, 38)


trova corrispondenze nella sparizione delle opere d'incanto di Falerina e di Dragontina, entrambe narrate nell'Innamorato:


La pietra che 'l verzier suolea voltare,
Tutta è sparita e più non se vedia;
Ora per tutto si può caminare.
Largo è il paese, aperto a prateria,
Né fonte né palagio non appare;
De ciò che vi era, sol la dama ria,
Io dico Falerina, ivi è restata,
Sì come prima a quel tronco legata.

(Inn., II, 5º, 13)


Grande allegrezza ferno i duo germani,
Poi che se fo l'un l'altro cognosciuto.
Or Dragontina fa lamenti insani,
Ché vede il suo giardino esser perduto.
Lo annel tutti e suoi incanti facea vani:
Sparve il palagio, e mai non fo veduto;
Lei sparve, e il ponte, e il fiume con tempesta:
Tutti e baron restarno alla foresta.

(Inn., I, 14º, 47)



da notare, infatti, la costruzione e il significato dello stesso verso, ripreso per tre volte ad indicare un evento simile, anche se in posizione differente.

Rajna, a proposito del disfacimento del castello, nota una somiglianza anche in un episodio di un'altra opera, il Perceforest, nel quale un anello magico ha la stessa capacità di difendere dalle illusioni dei fattucchieri; Gadisfer, entrato in un castello, inivisibile ad altri, vede sospesa «au millieu de la sale geole de fer pleine de ampoules de voires et de plusieurs malefices qui destourboient a veoir le chastel par enchantements. Alors il haulce la lance et fiert parmi la geole tant fort qu'il rompit, et les feoles et les sorceries qui y estoient, et de faict chaurent en la salle par terre. Ce fair, l'enchantement qui estoit a l'entour du chastel perdit sa force, si que tous ceulx qui estoient a l'environ le povoient venir comme ung autre. ovvero - da ciò che si potrebbe dedurre - una gabbia, piena di ampolle invase da malefici, che lui penetra con la sua lancia e, così facendo, distrugge anche l'incanto che avvolgeva il castello.


I modi con i quali i cavalieri vengono attratti in inganno nel Furioso, secondo Rajna, si possono rintracciare benissimo già nell'Innamorato. Se a Ruggiero sembra che Bradamente sia stata rapita da un gigante


Vede Ruggier de la sua dolce e bella
e carissima donna Bradamante
scoperto il viso; e lei vede esser quella
a cui dar morte vuol l'empio gigante:
sì che a battaglia subito l'appella,
e con la spada nuda si fa inante:
na quel, che nuova pugna non attende,
la donna tramortita in braccio prende;

(Fur., XI, 19)


e ad Orlando che Angelica sia stata rapita da un cavaliere[6]; nell'Innamorato, alla Riviera del Riso, troviamo proprio Ruggiero ingannato da un'immagine illusoria di una fanciulla che lo prega di un favore


Poi che soccisa fu la pianta bella
E cadde a terra il trïomfale aloro,
Fuor del suo tronco sorse una donzella,
Che sopra al capo avia le chiome d'oro,
E gli occhi vivi a guisa de una stella;
Ma piangendo mostrava un gran martoro,
Con parole suave e con tal voce,
Che avria placato ogni animo feroce.

(Inn., III, 7º, 18)


- Serai tanto crudel, - dicea - barone,
Che il mio mal te diletti e trista sorte?
Se qua me lasci in tal condizïone,
Le gambe mie seran radice intorte,
El busto tramutato in un troncone,

Le braccie istese in rami seran porte;
Questo viso fia scorza, e queste bionde
Chiome se tornaranno in foglie e in fronde.

(Inn., III, 7º, 19)


Il giovanetto pien di cortesia
Promesse a quella non la abandonare,
Sin che condotta in loco salvo sia.
La falsa dama con dolce parlare
Alla riviera del Riso se invia;
Né vi doveti già meravigliare
Se còlto fu Rugiero a questo ponto,
Ché il saggio e il paccio è da le dame gionto.

(Inn., III, 7º, 21)


e Gradasso adescato con l'apparizione di un bellissimo destriero.


Gradasso era rimaso alla boscaglia,
Né trova al suo passar strata o sentiero,
E sempre avanti il varco gli travaglia
Tra l'altre piante un frassino legiero.
Lui questo con la spata intorno taglia,
Subito uscitte al tronco un gran destriero;
Leardo ed arodato era il mantello:
Natura mai ne fece un così bello.

(Inn., III, 7º, 24)


Nonostante tutte queste analogie, tutti questi elementi in comune, che sono stati così abbondantemente adottati, d'accordo anche con il Rajna, l'Ariosto è stato comunque capace di aggiungere quel qualcosa in più che non si riscontrava, invece, in altre opere anteriori: tra tutti gli scenari, le magie e gli oggetti fatati da lui utilizzati, probabilmente il castello di Atlante è quello in cui più troviamo originalità e una certa singolarità; lo si può definire, infatti, come l'emblema o il culmine di quella incessante ricerca che accomuna dame e cavalieri lungo tutta la narrazione e che sarà perennemente frustrante poichè nessuno, eccetto Bradamante, riuscirà ad ottenere l'oggetto desiderato.






Paola Falcone.




Le fonti dell'"Orlando Furioso", Firenze, Sansoni

Fur. XII, XXXVI

Tav.Rit. I, 223.

Mambr., XXXVI, 78.

Per., T. III, fº 28.

Fur., XII, 4.




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