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La poesia allegorico-didattica

letteratura italiana



La poesia allegorico-didattica

Nella seconda metà del Duecento e sino al primo decennio del Trecento fiorisce in Toscana una poesia didattica a carattere allegorico. Essa riprende il modello del romanzo cavalleresco fondato sul tema del viaggio di ricerca, con lo scopo di illustrare un corpo di dottrine, di insegnare, nelle norme morali, di educare e formare la nuova borghesia cittadina comunale.

La narrazione del viaggio non si esaurisce nel significato primo o letterale, nella rappresentazione concreta degli incontri, delle avventure, degli ostacoli e del raggiungimento finale della meta, ma allude a un altro significato in cui quegli incontri, avventure, ostacoli, assumono un senso dottrinale relig 212g69c ioso o morale. Potrebbe assomigliare alla poesia didattica del nord Italia, ma questa è priva dell'elemento allegorico e della complessità dottrinale che caratterizzano questa poesia in Toscana.

Lo scopo didattico e divulgativo è prevalente, e collega strettamente questo tipo di poesia allo sviluppo della civiltà comunale e alla nascita di una classe, quella borghese mercantile, che sentiva l'esigenza di istruirsi, differenziandosi dalle classi popolari e rivaleggiando con quelle del vecchio mondo feudale.

Lo Stile è quello medio o "comico" e dunque lontano dall'elevatezza del "tragico", lo stile comico era più adatto alla narrazione e più accessibile a un pubblico più vasto e variegato rispetto a quello elitario della lirica d'amore. La forma della poesia alleogorico-didattica è il poemetto. La metrica varia dai ritmi giullareschi degli esempi più antichi, all'uso del settenario a rima baciata (impiegato da Brunetto Latini) o dell'endecasillabo.

Quale esempio della struttura è il "Detto del Gatto Lupesco" di autore anonimo scritto in versi ottonari in rima baciata, il titolo è dovuto al fatto che il giullare che la cantava indossa una maschera da gatto col muso da lupo. È un monologo in cui il protagonista intraprende un viaggio verso una croce del deserto e di alcune disavventure.



Brunetto Latini

Nato a Firenze intorno al 1220, era un notaio che aveva partecipato, come esponente del partito guelfo, all'amministrazione della città promuovendo anche l'uso di cursus ella prosa della cancelleria fiorentina. Inviato nel 1260 in ambasceria presso Alfonso X di Pastiglia, durante il ritorno seppe della sconfitta dei guelfi a Montaperti e dell'esilio che lo aveva colpito. SI trattenne dunque in Francia dove restò poco meno di sette anni, in questo periodo tradusse e commentò in volgare fiorentino i 17 capitoli dell'opera De inventione di Cicerone. Infine scrisse in prosa in lingua d'oil il Trésor (Tesoro) enciclopedia dello scibile medievale, e in volgare fiorentino il poemetto allegorico didattico Tesoro, detto comunemente Tesoretto. Un altro poemetto dello stesso tipo, sempre in volgare è il Favolello (poemetto o racconto in versi dal francese fablel) dedicato a Rustico Filippi. Brunetto tornò a Firenze nel 1267, fu priore della città. Morì nel 1294.

Il Trésor ebbe ampia diffusione in tutta Europa. D'altronde era stato composto in lingua francese perché, come scrive l'autore per giustificarsi, questa era proprio la lingua "più comune a tutti i popoli". L'opera è divisa in tre libri: il libro I tratta di filosofia, teologia, fisica, anatomia, geografia, agricoltura, storia naturale, zoologia; il libro II di morale e di filosofia pratica; il libro III della rettorica e della politica.

Nel Tesoretto, gli stessi argomenti sono riassunti in modo più rapido ed esposti in maniera narrativa, secondo lo schema allegorico del poemetto in cui si narra un viaggio. L'esordio è autobiografico: Brunetto dice di esser stato raggiunto a Roncisvalle della notizia della sconfitta di Montaperti e d'esserne rimasto così turbato da aver smarrito la retta via. Nel pieno dello smarrimento apparve una donna che rappresenta la Natura, Brunetto poi incontra Cortesia, Leanza (lealtà) Prodezza (coraggio), e Larghezza (generosità). Personificazioni delle quattro virtù cavalleresche. Poi entra nel regno di Amore dove incontra Ovidio, autore latino, che gli indica la strada giusta per riprendere il cammino smarrito. Arrivato a Montpellier il protagonista confessa le proprie colpe e i propri propositi di penitenza. Il poemetto si interrompe al momento dell'incontro Tolomeo che si appresta a esporre l'inizio del cosmo. Composto in 2994 settenari in rima baciata, ne deriva un effetto ritmico un po' forzato e monotono. Il linguaggio è volgare fiorentino "medio".

È stato attribuito a Latini anche un altro poemetto, il Mare amoroso, in endecasillabi sciolti. A questa attribuzione fa però ostacolo il lessico ricco di lucchesismi.



Il Fiore

Un fiorentino di nome Ser Durante, esperto conoscitore della lingua d'oil e delle cose di Francia, parafrasò in volgare, con il titolo di Fiore, l'opera "Roman de la Rose" (romanzo della Rosa). Che questo ser Durante sia Dante Alighieri è ipotesi già sostenuta cento anni fa. Solo un allieva di Brunetto Latini come Dante avrebbe potuto avere tale conoscenza della Francia, e inoltre vi son numerosi riscontri testuali, linguistici, stilistici, culturali che collegherebbero il Roman de la Rose, il Fiore e la Commedia.

L'autore riprende il le vicende narrative del Roman de la Rose, ora parafrasando, ora liberamente rifacendo il testo francese, ma tenendosi lontano sia dalle teorie cortesi della prima parte dell'opera, scritta da Guillaume de Lorris, sia dalle digressioni dottrinali ed enciclopediche della seconda, composta da Jean de Meung. In generale l'autore si ispira piuttosto al secondo poeta che al primo. Lo stile del Fiore è comico, assai vicino alle soluzioni linguistiche di Rustico Filippi o di Cecco Angiolieri. Parla della ricerca di Fiore da parte di Amante. Fiore sta in un giardino custodita da severi guardiani, chiusa in un castello d Gelosia. Segue un conflitto fra Ragione, che vorrebbe far rinunciare Amante, e Amore, che ha la meglio. Dopo una serie di avvenimenti Amante può dichiarare il proprio amore per la donna, e finalmente si ha il congiungimento dei due, ma questa parte finale, che presenta toni addirittura osceni, viene giudicata spuria.

L'intelligenza

Poemetto composto alla fine del Duecento da un fiorentino rimasto ignoto. L'idea che fosse stato Dino Compagni, cronista di Firenze, è rimasta senza valide conferme. L'opera, composta da oltre 300 strofe di nove endecasillabi, risulta disorganica e il materiale enciclopedico che contiene è disposto in modo disordinato.

L'autore narra il proprio incontro con una donna bellissima, circondata da sette regine e adorna con corona di pietre preziose: le sette regine sono le virtù teologali, le pietre preziose nella corona sono il pretesto per una digressione che riecheggia i lapidari medievali, trattati sulle pietre alle quali vengono attribuite virtù miracolose e magiche. La donna bellissima è Intelligenza, che risiede nell'anima dell'uomo, ma che è anche espressione dell'intelligenza divina.






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