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IL SOGNO DELL'UMANESIMO di Fancisco Rico

letteratura italiana



IL SOGNO DELL'UMANESIMO di Fancisco Rico


Prologo.


Pochi movimenti intellettuali hanno lasciato impronte più profonde di quelle dell'umanesimo; forse nessuno della stessa importanza è oggi comunemente conosciuto in modo così parziale e distorto.


Umanesimo è voce così giovane che non ha ancora compiuto 2 secoli di vita:

nacque per designare un progetto educativo del primo 800



e solo più tardi venne applicata retrospettivamente allo sfondo di un Rinascimento al tempo ancora molto da esplorare


L'umanesimo germogliò da un 727e44h ideale di rinnovamento così ambizioso, e in effetti diede frutti così vari nei campi più disparati.


Possiamo contemplare la storia dell'umanesimo

come storia dell'alta filologia, riservata a qualche dozzina di specialisti, o come storia dell'insegnamento generale di base, quasi alla portata delle masse

come solida scuola di pensiero o come un atteggiamento superficiale e persino frivola imitazione

come squisitamente italiano o come particolarmente fecondo fuori d'Italia


Possiamo persino risolvere per conto nostro le contraddizioni che ha trascinato con sé fin dal principio e preferirlo, per esempio

quando scopre nei classici il senso della storia

o, al contrario, quando tradisce il senso della storia per rivendicare i classici


Umanesimo: una tradizione storica perfettamente delimitabile, una linea di continuità fra uomini di lettere che si tramandano l'un l'altro determinati saperi, si sentono eredi di un unico patrimonio e, anche se spesso in modo conflittuale, vincolati tra loro.


Possiamo seguire la successione diretta tra maestri e discepoli per circa 2 secoli a partire dall'epoca di Petrarca, il primo ad avere tanta grazia di ingegno che riconobbe e rievocò in luce l'antica leggiadria dello stile perduto e spento umanesino: processo di trasmissione, sviluppo e revisione delle grandi lezioni di Petrarca


Preambolo.


L'idea che il fondamento di tutta la cultura debba ricercarsi nelle arti del linguaggio, profondamente assimilate grazie alla frequentazione, al commento e all'imitazione dei grandi autori di Grecia e di Roma

l'idea che la lingua e la letteratura classiche, modelli di chiarezza e di bellezza, debbano essere la porta d'accesso a qualsiasi dottrina o occupazione degne di stima e che la correttezza e l'eleganza dello stile, secondo la buona norma dei vecchi maestri della latinità, costituiscano un requisito imprescindibile di qualsiasi attività intellettuale

l'idea che gli studi umanistici così concepiti, facendo rinascere l'antichità, riusciranno a dare alla luce una nuova civilizzazione


I.   Le dimensioni del sogno.


La più vibrante esortazione a far diventare realtà questo sogno, a concretizzare la visione di un nuovo mondo ricostruito sulla parola antica, si trova nelle prefazioni delle Elegantie (1440 circa) di Lorenzo Valla.


La lingua di Roma ha dato i contributi più importanti al bene dell'umanità: il latino ha educato i popoli alle arti liberali, li ha dotati delle leggi migliori, ha aperto loro la strada ad ogni sapienza, e in definitiva li ha liberati dalla barbarie.


Il latino non si è imposto ai barbari con la forza delle armi, ma con quella dei valori, dell'amore, dell'amicizia e della pace.

Quando il latino fiorisce, tutti i saperi fioriscono con esso, e al contrario quando il latino decade, decade con lui ogni sapere.


Esprimersi in modo corretto ed elegante.


Ed è per questo che oggi, quando ormai da vari secoli nessuno ha più parlato e compreso il latino, sono in degrado la filosofia, la giurisprudenza e, in poche parole, tutte quelle materie che gli antichi avevano invece portato a livelli di eccellenza straordinari rimedio per un così drammatico panorama: coltivando il latino sarà facile restituire all'antica perfezione tutte le altre discipline tutte, sì, perché senza gli studi umanistici, nessuna disciplina può essere adeguatamente conosciuta


L'eloquenza (arte del dire) è tanto necessaria a coloro che studiano diritto, civile o canonico, medicina o filosofia, quanto a coloro che si occupano di teologia o di Sacra Scrittura i Padri della Chiesa, i grandi maestri del pensiero cristiano, ad esempio, impreziosirono sempre con l'oro dell'eloquenza le gemme del linguaggio divino, e solo chi sarà capace di comprendere quell'eloquenza comprenderà anche la parola di Dio


Ci troviamo ormai all'alba di una nuova era: incominciano la pittura, la scultura, l'architettura, arti tutte e 3 strettamente congiunte con quelle liberali e che, al pari di queste, erano decadute assieme alle lettere.


Le Elegantie infatti esortano a sferrare questo grande attacco per riconquistare ai Galli Roma prigioniera Valla aspira ad essere il portabandiera e ad assumere la parte più difficile, in prima linea; ma tutti gli uomini di lettere, gli amici della lingua di Roma dovranno entrare in battaglia


Il certamen che Valla proclama non è un semplice torneo letterario, per quanto le armi siano letterarie: il riscatto del latino implica tutta una visione della storia e mette in gioco una civiltà intera: dalle leggi alle arti plastiche, dalla medicina alla spiritualità, senza trascurarne nessun aspetto che concerna il vantaggio e il riscatto in genere di tutta l'umanità.


La vittoria sarà la disfatta dei Galli.


Francesco Petrarca: "esiste forse qualcosa nelle arti liberali, nelle scienze naturali, nella storia, nell'eloquenza, nella morale che non si debba agli italiani?? Dove sono nati o vissuti i dottori della Chiesa?? Quali oratori o poeti si potranno trovare fuori dall'Italia??"


A tanta ricchezza nulla può opporre la Gallia


Le aule della Sorbona erano la fortificazione della scolastica: sulla sottomissione, cioè, di tutte le discipline, ad un metodo che si caratterizzava per concentrarsi su problemi minuscoli da sottoporre a discussioni esasperate, condotte con gli strumenti della logica e indirizzate a dettare, in ultima istanza, conclusioni metafisiche, certezze atemporali, valide in ogni tempo e in ogni luogo la scolatica postulava una rigida stratificazione del sapere, espresso in un linguaggio strettamente tecnico, in un gergo riservato a pochi iniziati


I Galli sono dunque il nucleo più fecondo e prestigioso della cultura medievale, la scolastica, le cui grandi fortezze istituzionali, la Sorbona e Oxford, andavano infine estendendo con sempre più successo i propri tentacoli sull'Italia del 300 i Galli sono un millennio di barbarie (gli scolastici parigini sono associati in modo indifferenziato ai cardinali francesi) nulla di quanto hanno prodotto le scuole di questi tempi può essere tenuto in conto, e quei molti secoli non possono quindi che essere considerati come una lunga e fastidiosa parentesi, un'età media fra lo splendore dell'antichità e il ritorno delle buone lettere


la soluzione non potrà venire che da un'operazione di pulizia totale, che non trascuri neanche un angolino, dalla lingua e dalla letteratura ai costumi e alla vita di tutti i giorni (l'avanguardia dell'operazione, in ogni caso, spetta alle lettere)


II.     Le radici.


Non dobbiamo trascurare gli accenti patriottici dell'appello contro i Galli.

Fin dal 300 la rivoluzione umanistica si sviluppò nell'Italia divisa e discorde come un moto nazionale e unitario.


Solo in Italia poteva forgiarsi, addirittura prima del 300, l'ideale costitutivo dell'umanesimo: quel sogno grandioso di tutto l'insieme di una civiltà ricostruita sulle lettere latine nel medioevo l'Italia seppe conservare fermamente non pochi elementi della tradizione antica nella penisola la lingua e la letteratura di Roma potevano sentirsi legate in modo così stretto ad un'intera civiltà da arrivare a proporsi come la base di un'altra (o come rinascita di quella stessa), del pari intera


l'evidenza dei mali del presente non poteva che riportare prepotentemente alla memoria la grandezza del passato


Cola di Rienzo sentiva il colpo di stato del 1347 come una rinascita di quel tempo (azione politica intesa a porre rimedio alla grandissima angoscia che affliggeva la povera gente di Roma; atto di restituire al popolo il governo della città); da cui ricavava che tanta era la grandezza del popolo di Roma e l'immagine di Roma maestosa; andava così ricomponendo una visione globale del passato come modello del presente.


Petrarca salutò la rivoluzione enfatizzandone questo disegno totale e la celebrò non tanto come insurrezione contro le ingiustizie della Roma contemporanea quanto come resurrezione della Roma antica la sua esortazione a difendere la libertà si confonde con l'invito a studiare assiduamente le storie e gli annali romani, nella convinzione che in esse Cola avrebbe trovato sempre un modello per qualunque impresa valorosa


Con toni meno accesi rispetto a Cola, molti italiani intuirono che le tracce del passato segnalavano per l'avvenire un cammino che poteva intraprendersi in varie direzioni; con minore lucidità rispetto a Petrarca, altri iniziarono a meditare sul progetto unitario, il piano globale per una Roma rinnovata.


Senza un colorito specificamente italiano, mai avrebbe potuto forgiarsi il magnifico sogno dell'umanesimo.


Non vi era città, ad esempio, che non volesse vantare origini classiche o non si cercasse un padre fondatore nell'antichità.


Agli inizi del 300, Petrarca metteva mano all'Africa, e lo concepiva come un tentativo di dare un poema epico nazionale agli Italiani, unificati nella comune discendenza dalla Roma repubblicana, forte nelle armi, salda nelle istituzioni democratiche, madre di cultura il Garibaldi da mettere nelle piazze della patria risorta avrebbe dovuto essere Scipione l'Africano, l'eroe militare, moralmente integro e casto, che vince il duello storico con Cartagine e subito rimette il potere nelle mani del Senato (nel 1347 considerava però la possibilità di abbandonare temporaneamente il poema per cantare le glorie di Cola di Rienzo)


A Padova, a cavallo tra il 200 e il 300, un pugno di notai dette inizio allo stile nuovo di letteratura, e anzi di civiltà, che infine conquistò l'Occidente e che noi posteri remoti chiamiamo umanesimo.


Le posizioni repubblicane

e la figura dello scrittore attivo nella società

ampiamente illustrate nell'antica letteratura latina, non potevano che risultare particolarmente seducenti nei Comuni duecenteschi che, in lotta con la nobilità, erano riusciti ad ottenere un ampio grado di partecipazione alla vita della città e offrivano generose opportunità di potere agli uomini intellettualmente o economicamente più energici; e il sentimento di affinità con la Roma antica tendeva a cristallizzarsi in forme letterarie sempre più classiche.


Agli inizi del 300, quando la Ecerinis di Albertino Mussato, amico ed erede spirituale di Lovato, venne letta in pubblico, gli spettatori che l'acclamarono e le autorità che la premiarono, certamente applaudivano in primo luogo le implicazioni politiche della tragedia, in cui la caduta del tiranno di Padova, prefigurava quella di un nemico ben più prossimo, il veronese Cangrande della Scala.


Senza dubbio si lasciavano però altrettanto sedurre dalla dignità che intuivano nei trimetri giambici (verso costituito dalla successione di tre metri, dal carattere satirico e polemico): anche se la maggioranza non arrivava a comprenderli sufficientemente, le risonanze maestose di quei versi dovevano a molti sembrare il tono adeguato ad un tema così rilevante per la città.


Sicchè all'incoronazione di Mussato come poeta e storico in mezzo all'approvazione generale, le cerimonie si svolsero secondo gli antichi costumi, in una sorta di archeologia e letteratura applicate all'impegno civico.


La contemporaneità e il patriottismo si tingevano così in modo sempre più crescente di colori classici.


La ricchezza della società comunale diede forte impulso alla domanda di insegnamenti, e l'Italia trecentesca del Nord e del centro poteva contare su un numero notevolissimo di scuole di livello inferiore


la diffusione di tali scuole implicava ovviamente la moltiplicazione dei grammatici, cui competevano le prime fasi di ogni processo educativo


e i grammatici non solo non dismisero, ma piuttosto potenziarono il compito che fu già loro nell'antichità: provvedere all'insegnamento della lingua e insieme alla lettura e al commento dei testi


un migliore metodo didattico

la presenza di un maggior numero di grammatici

e un incremento della lettura

potevano significare solamente un crescente uso dei testi classici


man mano che

archeologia

letteratura

e vita civile

andavano progressivamente compenetrandosi, si andava creando un'atmosfera classica sempre più densa, all'interno della quale si profilava il sistema di un classicismo sempre più comprensivo, in concomitanza con il delinearsi dei meridiani e dei paralleli antichi di un intero mondo nuovo e coraggioso


Si giunse ad istituzionalizzare decreti come quello in cui le arti liberali cominciano con la grammatica.


Si andava contro quanti, in linea con la tradizione scolastica, continuavano a considerare la poesia come infima tra tutte le dottrine; si ricordava loro che la stessa Bibbia contiene abbondanti versi, parabole e simboli, e che sotto i panni del mito gli antichi profeti insegnarono verità di valore divino (però la poesia non solo è altra teologia, ma possiede un'inesauribile plasticità)


non c'è sapere che non abbia bisogno della poesia o non la utilizzi


Mussato sta anticipando la nozione umanistica delle lettere e dell'eloquenza come fonte e stimolo per ogni conoscenza, e con non meno fervore dello stesso Petrarca.


Per gli umanisti la centralità della letteratura non fu solo una teoria del sapere ma, prima ancora, un'esperienza estetica personale nella radice degli studi umanistici si agita un fascino strettamente edonistico (del piacere) per le conquiste dell'antichità, per il mondo antico come opera d'arte: un entusiasmo libero e disinteressato per una specie di bellezza che si giustifica in sé e per sé e che, in ultima analisi, trova la sua ragion d'essere nel fatto stesso che se ne possa godere; istinto naturale; essere a tal punto catturati dalla sonorità e dalla dolcezza del linguaggio dei testi antichi


Se Petrarca, Cola di Rienzo, Lovato Lovati, non avessero vibrato di tale passione di artisti, l'umanesimo non sarebbe mai venuto alla luce.


III.   Paradigmi.


A quanti comincino oggi a leggere i primi capitoli delle Elegantie, è facile che si domandino se le pietre per ricostruire una nuova Roma consistevano solo in simili pignolerie grammaticali le Elegantie entrarono subito a far parte dell'insegnamento, e le polemiche su molte delle questioni ivi discusse riempirono, per più di un secolo, centinaia di pagine


a risolvere problemi simili, e spesso in consonanza con gli orientamenti di Valla, era indirizzata buona parte della formazione che ricevevano gli alunni di Guarino Veronese, nella vivace Ferrara della metà del 400


Guarino, il più insigne maestro dell'umanesimo

spiegava i classici con un diluvio di succinte notizie sui più minuti dettagli di storia, geografia o mitologia più o meno impliciti nel testo

esigeva che fossero annotate e mandate a memoria le locuzioni usate dai grandi autori

e che ci si familiarizzasse punto per punto con i brani retorici propri di ogni tema

chi usciva dalla sua scuola non poteva non dominare il latino


Guarino ripeteva in continuazione che solo un'educazione di quel tipo poteva forgiare uomini che eccellessero sia nella vita privata che in quella pubblica.


Qual era il legame fra le grandi conquiste rivendicate dai difensori a oltranza degli studi umanistici e le minuziose informazioni grammaticali e letterarie che nella pratica offriva Guarino o i sottili dettagli linguistici che inquietavano Valla?? Come si passava dai modelli nelle arti ai modelli di vita??


L'elegantia che tanto preme a Valla coincide con la qualità che fa sì che ogni esempio venga espresso

con purezza e nitidezza

conformemente al genio della lingua

e all'esigenza di quella chiarezza che rende il discorso semplice e comprensibile

grazie al ricorso a termini propri e di uso corrente


Valla sottolinea che il linguaggio deve assumere a propria norma soltanto l'uso concreto che se ne fa e che, pertanto, il significato delle parole consiste nel loro uso

E

gli scolastici perdono il contatto con la realtà e si chiudono in un labirinto di falsi problemi, perché si basano su un gergo loro proprio, segreto

E

l'importante non è il miraggio dell'ente, ma l'evidenza delle cose, le res il senso non risiede nel pensiero astratto, ma nel linguaggio concreto il popolo parla meglio del filosofo


Non ci sorprende quindi che Valla cifri sì alte speranze nelle osservazioni grammaticali che compongono le Elegantie: dato che lo scopo consiste nel

riconquistare la realtà

recuperare la dimensione autenticamente umana della cultura, la dimensione comune a noi tutti

il primo passo deve necessariamente consistere nel riscattare la lingua reale curando le parole del popolo


Nel progetto di Valla

l'universo

la lingua

la cultura

e la società

sono inseparabili


Ogni lingua, appunto perché a fondamento della comunicazione civile, è una convenzione politica, nel senso forte del termine.


il primato della consuetudine in quanto norma linguistica

e l'esigenza di chiarezza

rispondono ad un ideale del sapere come bene pubblico, presente nella vita, attivo nella società, volto a illuminare la realtà


Sembra ragionevole erigere l'uso a norma del linguaggio; ma quale uso??

per Valla, l'universo intellettuale e il gergo tecnico della scolastica erano precisamente il punto di riferimento negativo

una lingua volgare allora non poteva ancora essere vista come il veicolo appropriato di una cultura integrale, inevitabilmente priva com'era dell'universalità e della varietà di registri a cui obbligava la stessa visione di un sapere per tutti


l'alternativa naturale consisteva nel recuperare, restaurare e imporre l'uso proprio della grande letteratura di Roma

così pervasa di coscienza civile

così incline all'espressione concreta (il latino non riuscì mai a conciliarsi completamente con le astrazioni)

così inseparabile dal convincimento retorico che la parola e le arti del linguaggio, in quanto distintive dell'uomo, costituiscano la sostanza stessa dell'umanità


Roma, tuttavia, giungeva agli umanisti malconcia tanto nella letteratura quanto nei monumenti


una delle immagini che Valla applica al restauro dei classici deturpati nel corso di una millenaria trasmissione manoscritta, indica bene fino a che punto la critica testuale gli si offrisse come chiave

non solo per capire

ma anche per recuperare nella sua pienezza la civiltà antica

correggere in modo soddisfacente i libri equivale a restituire i sommi autori quasi in patria, nel senso di restituirli al più vasto quadro della cultura che fu loro e che Valla vuol far sua


Egli conosceva a fondo tecniche, qualità e modi del restauro dei classici, e sapeva scoprire con un geniale colpo d'occhio e spiegare meglio di chiunque altro per quali errori di copia i codici leggevano cose sbagliate rispetto a ciò che gli antichi autori avevano scritto.


Gli umanisti incrementarono incredibilmente in pochi anni il patrimonio di conoscenza oggettiva a disposizione di chiunque volesse e sapesse metterlo a frutto; e va posto l'accento sia sulla quantità che sulla singolare qualità di tali scoperte.


Immagine degli antichi autori che sembrano tendere la mano, chiedere aiuto affinché li si liberi da un giudizio ingiusto.


Valla e Poggio Bracciolini furono acerrimi nemici, eppure entrambi, ognuno a suo modo, convergono nell'indicarci quali furono le vie per le quali la frequentazione dei codici (manoscritti antichi) giunse ad imprimere una nuova sensibilità e a dischiudere orizzonti anch'essi nuovi:

la fantasia di Poggio evidenzia che gli autori antichi non erano per gli umanisti le autorità senza volto né tempo della scolastica, ma uomini con una loro biografia e una loro storia, con passioni, opinioni ed esperienze rigorosamente personali, e come tali volevano leggerli e spiegarli

nel momento di Valla va avvertito che lo sforzo teso a restituire l'unico volto valido di un passo non supponeva la semplice testardaggine dell'erudito, ma la volontà di apprezzare il testo precisamente in quanto verità individuale, testimone di un pensiero e di una sensibilità peculiari, traccia del passaggio esemplare di un uomo sulla terra


la frequentazione dei codici, la critica testuale, la filologia, in effetti, acuirono negli umanisti la coscienza della diversità degli uomini e della singolarità di ciascuno


Riesumare un buon manoscritto o dare la lezione corretta di un verso significava lasciar esprimere da solo uno scrittore, con parole sue, con la sua personalità unica, e sentirsi spronati a fare altrettanto


neppure il sacro precetto dell'imitatio, della necessità di seguire i modelli classici, impedì ai migliori umanisti di ricercare con impegno una propria voce


la stessa imitatio venne concepita come una forma di emulazione e l'autore imitato fu visto come punto di riferimento che permetteva di apprezzare meglio la tonalità distintiva, la nota originale


l'imitazione, non la copia, e un'imitazione non servile


Alla radice di quei libri e di quei lavori vi era effettivamente un atteggiamento che invitata ad oltrepassare le frontiere della lingua e della letteratura e a sconfinare in territori ancora più vasti.

I pionieri, coniugando in un'intuizione unitaria monumenti, libri, notizie e nostalgie patriottiche, avevano individuato nell'antichità un modello globale, valido nei più diversi ambiti, e globalmente aspiravano a risuscitarlo.


Astio per le realtà atratte del medioevo e ideale di un sapere che tornasse alla realtà.


Uso reale di alcuni splendidi scrittori.


Non la teoria, ma la storia


Occorre capire l'autore, ma anche il copista, per far luce sulle cause che hanno determinato l'errore.


Una correzione senza errori rendeva ancor più concreto il deterioramento del passo in un'età che proprio per questo va considerata barbara, e il recupero della lettura autentica ci restituisce un modello più ricco per l'oggi persino una piccola operazione di critica testuale suppone la presa di coscienza del fluire della storia


All'umanesimo dobbiamo ancor oggi la scoperta che la nostra dimensione è la storia, che l'uomo vive nella storia, ossia nella variazione, nella diversità di ambienti e esperienze, nel relativismo; ma, quindi, anche nella speranza


perché quella visione della realtà e della temporalità implica di per sé un programma d'azione: implica che è possibile cambiare la vita, che il ripristino della cultura antica apre nuove prospettive, che il mondo può essere corretto al pari di un testo o uno stile


Per più di un secolo, da Petrarca in poi, tutti i grandi nomi degli studi umanistici sentirono di aver trovato una chiave che permetteva di aprire molte più porte di quante a prima vista poteva sembrare ai profani


la sicurezza con cui risolvevano problemi di lingua e letteratura, questioni di cronologia o geografia, e l'evidenza che le loro soluzioni e le loro scoperte indicavano inedite vie in molti campi, diedero loro una disinvoltura e una fiducia immense


il recupero di un testo dopo l'altro incoraggiò in loro l'illusione che l'antichità fosse una fonte inesauribile


calcare saldamente questo terreno confermò loro la giustezza della propria intuizione globale


furono posseduti dall'entusiamo, dal fervore della scoperta e dell'esplorazione, che li spinse a dimostrare i pregi dei presupposti e del metodo che erano loro più congeniali, applicandoli in altri campi


I presupposti giungevano al momento opportuno, e il metodo era certamente ricchissimo di possibilità, ma a poco o a nulla sarebbero serviti se essi non fossero stati riscaldati da quel fervore e quell'entusiamo.


IV.   Forme di vita.


Un'arte, una scienza è trasmessa anche in termini di modello di vita.


Nella scuola di Ferrara di Guarino si apprendevano anche le buone maniere, l'eleganza nel comportamento (gli stessi autori latini approvavano, ad esempio, la caccia, il ballo, il carnevale, il gioco della palla, ..).


Nel suo apprendistato, insomma, l'umanista doveva coniugare l'amore per le lettere con

la delicatezza del linguaggio

la nobilità dei costumi

l'affinamento dei modi


Nessuno li coniugò con più garbo del giudice del buon gusto del primo 400 fiorentino, Niccolò Niccoli è sufficiente sapere che fu considerato una guida eccellente nei nuovi studi per capire alcune ragioni che portarono al trionfo così ampio dell'umanesimo, non solo in Italia ma, seppure con una variazione di questi stessi motivi, anche al di là dei suoi confini


Il classicismo venne messo in relazione con il bon ton di cittadini di riguardo come Niccoli.


Si trattò quindi di un modo di mangiare come di un modo di divertirsi, di amare, di fare la guerra, l'arte o la letteratura; o anche, certo, di una grafia.


L'umanesimo era a ben vedere una cultura completa, un sistema di riferimenti, con uno stile di vita, ed era invero un umanesimo, un sapere che accompagnava l'uomo nelle circostanze più diverse.


I padri fondatori lo immaginarono esattamente come un'alternativa globale al mondo che disprezzavano.


La Scolastica, in effetti, era ben lungi dall'essere quel fantasma maligno, quel fossile inservibile che volevano gli umanisti, ché anzi era un continuo fermento di risultati e di influenze, che non di rado coincidevano con quelle degli umanisti

E

tuttavia, la Scolastica era per definizione un modello scientifico tale da non ammettere dilettanti, né si prestava ad entrare nella vita quotidiana (già Petrarca le imputava d'essere sterile, troppo ancorata a dati e speculazioni astratte, senza conseguenze pratiche, lontana da quell'ideale, il suo, di un sapere che si cristallizzasse in atto)


La Scolastica poteva occasionalmente arricchire di una dimensione metafisica la lirica amorosa, o fornire l'armatura intellettuale e alcune linee portanti ad un poema (e persino ad un poema geniale)

E

ma a nessuno venne in mente di associare la Scolastica ad uno stile di vita tanto seducente per i più quanto quello incarnato da Niccoli


Niccoli è dunque quasi un modello: un rampollo dell'alta borghesia mercantile che regge i destini di Firenze dal tardo 300 fino all'ascesa dei Medici nel 400 (e, per più di un verso, anche dopo); alla stessa élite appartenevano per nascita o per meriti acquisiti in qualità di cancellieri o uomini di fiducia anche

Coluccio Salutati

Leonardo Bruni

Poggio Bracciolini

Giannozzo Manetti

Matteo Calmieri

Leon Battista Alberti

e tanti altri che rientrano a pieno titolo nella schiera più illustre dell'umanesimo

fra i nomi di maggior spicco del periodo ascendente dell'umanesimo, la prevalenza di uomini facoltosi, di grande influenza economica e sociale in forza di privilegi ereditati o acquisiti, di uomini prestigiosi e invidiabili, fu decisamente chiara


L'umanesimo offriva all'élite una delle poche cose in grado di accrescere la distinzione, il superiore stile di vita che erano propri del suo rango: una cultura universale, e tuttavia dotata di un'enorme flessibilità.

E

nell'Europa feudale i potenti non ne avevano potuto godere

poiché delle aridità scolastiche non sapevano che farsene

né poteva loro bastare la letteratura volgare

nonostante che la storia antica li avesse inclinati in più di un'occasione alla lettura dei classici e, ad un certo momento, li avesse resi sensibili ai ritrovamenti bibliografici dell'ultim'ora

E

l'umanesimo, invece, forniva loro una gamma vastissima di coordinate entro le quali collocare le esperienze più diverse, e in definitiva imponeva loro poche costrizioni che non fossero di natura formale, di stile: nulla cioè in cui non potessero muoversi con agilità nel caso lo volessero


Non mancava mai un precedente antico per approvare o rifiutare una condotta, a seconda della convenienza.


Fu proprio questa duttilità ad esercitare enorme fascino sulla classe dirigente.

Giacché neanche nel campo più spinoso, nei labirinti della politica, l'umanesimo cessava di rivelarsi un sistema flessibile, capace di adattarsi alle mutevoli esigenze del presente.


le lodi della libertà e dell'uguaglianza

le virtù di Catone

o la grandezza della Roma preimperiale

acquisirono inedito vigore, quale non avevano conosciuto nei tempi precedenti, perché solo ora venivano legate a delle esperienze civiche più prossime, inserite in una visione dell'antichità incomparabilmente più ricca, in una concezione più profonda della cultura, intesa come attività di inevitabile e spiccato rilievo sociale


Le classi dominanti, fin dal primo momento, quando si resero conto dell'appassionata lucidità con la quale gli umanisti mettevano il nuovo sapere al servizio del comune, capirono che potevano giovarsi degli studi umanistici come di un eccellente strumento di governo e di diplomazia

E

ben presto, inoltre, ebbero la prova che nel corredo umanistico non mancavano mai le armi classiche più consone per rinsaldare gli equilibri minacciati


con l'umanesimo i potenti difficilmente avevano qualcosa da perdere e certamente non poco da guadagnare


nella versione ritagliata a loro misura, l'umanesimo li inseriva in un mondo ideale che invitava a

semplificare la vita

affinare l'ozio e la conversazione

e che fissava i canoni di un'eleganza inedita, vero e proprio segno di distinzione non solo rispetto ai comuni mortali, ma pure tra le fila della stessa élite


Era un universo culturale

nuovo

flessibile

versatile

confortevole


Non stupirà così lo specialissimo favore con cui venne accolto e posto in voga, in una versione adattata a interessi di parte, dalle élites italiane e ben presto europee.


Nessuno può illustrare la situazione in modo più limpido di Alfonso il Magnanimo (amore per l'antichità, curiosità per le discussioni filologiche, conosceva del latino, interesse per i libri di storia, antica o moderna)


il sovrano aveva ben chiaro che il mondo si regge per la maggior parte sull'opinione e che l'opinione allora più apprezzata si forgiava nel campo degli studi umanistici


rendersi conto di ciò e piegarlo a proprio vantaggio (anche nel caso che non avesse sentito per il mondo classico quell'attrazione che pure sentiva), sarebbe stato prova di un talento davvero sovrano e dimostrazione eccellente di quanto l'umanesimo si prestasse ad essere strumento politico e stile di vita dei grandi signori


ad Alfonso premeva soprattutto crearsi un'aureola il cui splendore cacciasse tutte le limitazioni sulla sua legittimità in Aragona e, a maggior ragione, a Napoli, un'aureola che seppe conquistare con il contributo dei più grandi umanisti contemporanei, in tutti i campi strategici


divenne ben presto nota la generosità che egli usava tanto con i suoi più stretti collaboratori quanto con quegli umanisti che ebbero con lui rapporti più sporadici


La generosità del Re perseguiva spesso risultati a breve termine, ma normalmente gli interessavano pure quelli meno immediati; perché Alfonso pensava che le battaglie si vincono anche per mezzo di dignità e opinione, merito e fama, e più mediante il prestigio personale che la forza


che ricercasse tale prestigio principalmente mediante gli umanisti la dice lunga su come gli studi umanistici potessero rappresentare un valore fra i potenti di allora


Nelle correzioni a Livio, attraverso gli strumenti non del tutto innocenti della filologia, si giocavano questioni di primato e di credito agli occhi del Magnanimo, con vantaggi, per chi fosse risultato vincitore, che ben si possono immaginare


gli studi umanistici, infatti, fra molte altre cose, erano pure un'arma e uno squisito intrattenimento da principi


V.     I cammini del nuovo mondo.


Finchè si sentirono apostoli di una buona novella redentrice e lottarono per andare al di là degli studi filologici, pur senza accantonarli, gli umanisti italiani furono anche il motore più potente della cultura europea.


E in effetti, fra la fine del 300 e l'inizio del 500, nel panorama intellettuale dell'Occidente non si registrarono quasi innovazioni o svolte di un certo rilievo che non abbiamo origine dall'umanesimo italiano o che non ne siano in qualche misura debitrici.


Quando vennero abbandonati dall'entusiamo evangelizzatore, la fiamma aveva già varcato le Alpi e il Mediterraneo; e, d'altro canto, le stesse basi culturali della cristianità non erano più, grazie a loro, quelle di un tempo; per più di un aspetto rimasero inalterate fino alla rivoluzione romantica.


Fin da principio, nessuno mise in dubbio che non era sufficiente limitarsi a coltivare gli studi umanistici propriamente detti.


Petrarca aveva dedicato la prima metà della sua vita a nutrirsi di antichità e a elaborare un'opera in latino di impeccabile classicismo voleva che il seme della filologia fruttificasse sul terreno della grande letteratura e fosse messo al servizio di nobili cause patriottiche (la ricostruzione degli Ab Urbe condita doveva sfociare nell'immagine di Scipione e nei ritratti biografici del De viris illustribus; e nel punto di contatto con le ricerche su Livio, le ricchissime annotazioni all'Eneide dovevano temprarlo per l'Africa, il vibrante poema epico sulla seconda guerra punica)

E

Ma con la riflessione, le esperienze e gli anni cambiò la prospettiva

E

Petrarca prese coscienza che né l'Africa né il De viris rispondevano appieno all'ambizioso progetto originario, né si trattava di libri che potessero essere apprezzati oltre la ristretta cerchia di un'esigua minoranza; piuttosto il contrario era quindi necessario cristallizzarla in forme e tematiche più ampiamente accessibili e maggiormente legate alla realtà del momento e alle necessità di un più vasto numero di lettori (questa prospettiva più matura incise profondamente sull'attività di Petrarca)


Se pure non avesse scritto neanche un rigo dopo i 40 anni, gli autori latini riscattati e diffusi nella prima tappa della sua carriera basterebbero per continuare a riverirlo come fondatore dell'umanesimo e padre del Rinascimento

E

ma non va sottaciuto che quegli stessi autori debbono gran parte della loro fecondità al Petrarca maturo che aveva insegnato come leggerli e trarne profitto


di modo che, se nel 300 aveva voluto essere incoronato grande poeta e storico, neanche 10 anni più tardi il titolo cui aspira sarà semplicemente quello di filosofo


Il classicismo puro e intransigente della gioventù si trasforma ora in un classicismo applicato: l'Africa e il De viris restano incompiuti e l'umanista si dedica a comporre testi più agili, meno elitari, che andassero incontro alla vita quotidiana, nelle vicende della politica, nei rapporti di amicizia, nei problemi etici, nelle grandi questioni intellettuali, per dimostrare come la tradizione antica sia la cultura umana che meglio asseconda l'insegnamento della religione.


Si tratta dei testi più svariati; ma nella sostanza l'obiettivo è sempre lo stesso: dimostrare come gli studi umanistici possano e debbano tradursi in atto, dirigersi verso la vita.




La parabola petrarchesca anticipa l'orientamento più significativo di tutto il secolo seguente: il nucleo dell'umanesimo (letterario, linguistico, storico) tende a crescere annettendosi altre discipline e cercando la simbiosi con altri saperi o, per lo meno, fecondandoli.


Non è necessario insistere sull'imperialismo della filologia di Valla, il quale giungeva a sostenere che era l'oratore e non il giurista colui che doveva dettare le leggi D egli infatti assicurava che la restaurazione della lingua di Roma avrebbe significato quella di tutte le discipline, e che persino la pittura, la scultura e l'architettura sarebbero rinate con le lettere


Il ritorno agli antichi è in lui tutt'uno con il ritorno ai Padri della Chiesa, e la critica testuale dei classici lo porta alla critica testuale del Nuovo Testamento.


Meno chiaro è, invece, quali fossero i nessi individuati da Valla fra la rinascita delle arti plastiche e il ritorno degli antichi


agli artisti di allora, certamente, le prime suggestioni di classicismo giunsero contenute nei libri dei monumenti e delle rovine


le lezioni che ne ricavarono e che divulgarono contribuirono a rafforzare ulteriormente il clima in cui il ritorno all'antichità diventava sempre più un'alternativa radicale alle frustrazioni del presente


È chiaro che non era all'irruzione di forme e di motivi antichi che Valla pensava quando sottolineava che le arti stavano rinascendo insieme con le lettere D tuttavia i punti in comune esistevano: individuare categorie linguistiche diverse comportava la definizione di categorie analogamente diverse anche in ambito estetico (nuovo repertorio concettuale con cui apprezzare le arti; nuova forma di percezione e nuovi interrogativi)


Nessuno passò dalla lingua e dalla letteratura alle arti plastiche con maggior decisione di Leon Battista Alberti


nel 400, il De pictura spiegava per la prima volta che la composizione pittorica deve consistere nello strutturare l'opera in modo tale che ogni superficie piana ed ogni oggetto si compenetrino tra loro armonicamente nella visione d'insieme


la nozione è estranea al medioevo ed erano rarissime nella stessa antichità le opere composte a regola d'arte

E

tuttavia, la composizione da lui teorizzata e proposta non poteva essere più classica


la composizione pittorica, in effetti, suppone una gerarchizzazione di elementi interdipendenti:

le superfici si risolvono in membra

le membra conformano i corpi

i corpi si armonizzano nella storia, nel tema del quadro

E

ma tale concezione non è che un'applicazione all'arte plastica della composizione che nella tradizione retorica insegnava a costruire un brano con

parole che si risolvono in frasi

frasi che conformano clausole

e clausole che si armonizzano nel periodo


anche i pittori più lontani dagli studi umanistici poterono far propria quella che era destinata ad essere una delle massime innovazioni dell'arte rinascimentale


La compositio del De pictura è solo un'ulteriore versione di un altro principio formulato anch'esso nei termini familiari della retorica, la concinnitas [eleganza] la concinnitas consiste in quella particolarissima armonia, fondata su una norma precisa, su una riflessione certa, che coniugando le parti con il tutto, dà vita alla bellezza


risolta in numeri, ritmi, proporzioni, obbedisce a dei principi concreti che la natura applica dappertutto


è sempre la natura che stabilisce la somma e divina legge dei mortali; una legge, tuttavia, che i mortali si ostinano caparbiamente a distruggere

E

può suonare paradossale che chi censura in questo modo i tentativi dell'uomo di correggere i difetti della natura abbia dato il meglio di sé in un trattato di architettura; ma questa apparente contraddizione serve proprio a dimostrare che lo sguardo di Alberti era a tal punto vasto, penetrante e acuto da accogliere e far proprie le immagini più diverse, quando non opposte, della realtà


è questa ineguagliabile ricchezza di prospettive che ha fatto del De re aedificatoria (metà del 400) il vertice supremo del primo umanesimo


L'architettura di Alberti non si limita ai semplici progetti di case, palazzi e templi: essa si estende su tutta la complessa azione dell'uomo sul mondo che lo circonda, considerata al tempo stesso come risposta a bisogni specifici e come espressione di desideri e aspirazioni, in un gioco continuo tra rispetto delle leggi della natura e possibilità (o tentazione) di imbrigliarla.


La aedificatoria spazia

dalla proiezione delle città

dall'urbanesimo nel senso più pieno e lungimirante del termine

fino alla canalizzazione delle acque sotterranee

al contenimento di mari e laghi

al traforo dei monti

alla bonifica delle paludi o alla costruzione di argini

passando per la fabbricazione di navi, macchine da guerra

e persino mezzi di trasporto, mulini, orologi e altri oggetti minuti, di grande importanza in moltissime occasioni


Alberti non si lascia ingannare dalle disquisizioni matematiche e filosofiche sulla concinnitas, pur considerandole il punto più alto della gerarchia intellettuale e l'occupazione per eccellenza del saggio: segue l'opera sul posto.


Alberti

ha meditato su numerosissimi autori antichi

ma ha anche esaminato fin nei particolari più minuti gli edifici romani, e non minor attenzione ha riservato ai moderni

ha trattato con le cariche più alte e con i semplici artigiani

da ciascuno ha appreso qualcosa e a tutti confida di poter offrire qualcosa di utile


L'oggetto del trattato, l'architettura, è per sua natura ampio e complesso quant'altri mai; ma egli vi getta risolutamente un fascio di luce svelandone gli aspetti meno scontati, ricollocando con scioltezza e libertà ogni suo punto sulle coordinate più diverse, abbordandolo sia a partire dalla teoria più rigorosa come dalla pratica più minuziosa.


Il testo fluisce in una prosa trasparente, efficace.


Ad Alberti, artefice vigoroso e precoce sostenitore del volgare, sarebbe forse tornato più agevole stendere il suo De re aedificatoria in toscano; ma, se mai ne fosse stato tentato, tale idea non avrebbe resistito nella sua mente per più di un istante: un libro che s'affacciava su tante e così complesse questioni, un libro che si raccomandava alla lettura di tanti e così diversi destinatari, non poteva che essere redatto in latino.


Sono onnipresenti i rinvii all'antichità: Alberti sembra averla passata scrupolosamente in rassegna nella usa integralità.

Tuttavia, la sostanza classica dell'opera non consiste nemmeno in questo riutilizzo di notizie e opinioni tratte dagli antichi, nel dialogo permanente che egli instaura con essi, ma in quella generosa disposizione ad inseguire le implicazioni dei vari temi su piani diversi, proiettandoli su molteplici panorami reciprocamente convergenti


era questo un modo di procedere essenzialmente classico, in quanto rispondeva alle simultanee influenze dell'intera eredità greca e romana


Argomentando intorno al patrimonio di conoscenze che l'architetto deve possedere, Alberti lo esorta a comportarsi come coloro che si consacrano agli studi umanistici: "nessuno, in questo campo, penserà di essersi adoperato a sufficienza se non avrà letto e approfondito gli autori, e non soltanto i maggiori, ma tutti quelli che su tali argomenti costituenti l'oggetto del proprio studio abbiano lasciato scritto qualcosa"


ma il fatto di sentirsi obbligato alla lettura di tutti gli autori discende dalla convizione della loro reciproca complementarietà, del loro unirsi all'interno di un sistema organico, in una concinnitas che costituisce l'autentico modello da emulare


Assumere a propria bussola questa splendida raccolta significa

porsi, di fronte ad un qualsiasi problema, gli stessi quesiti che si posero tutti gli antichi maestri

assediarlo da ogni possibile differente punto di vista

comprenderlo più profondamente passandolo con il più strenuo scrupolo a setaccio e mettendolo a contrasto con ogni possibile sfumatura che gli studi umanistici hanno insegnato ad apprezzare nei classici


Alberti non pervenne affatto alla aedificatio unicamente sulla scorta dell'insegnamento dell'antichità ma fu solo in forza del fatto di essersene appropriato secondo il programma degli umanisti che egli potè concepire l'architettura in termini tanto comprensivi e vasti


Il De re aedificatoria fonda l'architettura moderna, fino ai nostri giorni.


Gli studi umanistici erano ben altro che un semplice magazzino di materiali diversi: erano piuttosto una fittissima trama di rapporti che invitava a scandagliare la realtà attraverso un'infinità di strade percorse simultaneamente, per cammini in molti casi trascurati per più di un millennio.


la scoperta della compositio

e l'invenzione dell'architettura

sono esempi trasparenti di come il paradigma dell'umanesimo potesse determinare, come effettivamente fece, un cambio e finanche una rivoluzione in una molteplicità di ambiti, la cui ampiezza e varietà basterà il nome di Alberti a suggerire


Lo sfondo umanistico di ciascuna delle sue imprese non deve indurci a ridurre il grande Alberti a pura e semplice cassa di risonanza degli studi umanistici: tuttavia, neanche si può dire che gli innumerevoli esiti della sua straordinaria personalità sarebbero stati possibili e avrebbero avuto la portata che ebbero, senza il lievito e il contesto dell'umanesimo.


Al tempo in cui si pubblicarono le Elegantie, e per molti anni a venire, gli antichi seguitavano ad insegnare cose nuove, capaci di fornire soluzioni inedite a problemi tutt'altro che irrilevanti; e l'avventura degli umanisti sulla lingua e sulla letteratura classica costituiva un fattore di progresso reale negli ambiti più svariati.


Basti dire che gli umanisti avvertivano la necessità di collocare nomi e cose, dell'antichità come del presente, non solo nel tempo ma anche nello spazio che era loro proprio, e per questa via diedero impulso agli studi geografici, sotto forma di repertori, commenti, carte e nuovi testi.


Per l'intero 400

i grandi progetti commerciali

i sogni di conquista

le necessità di espansione di un'Europa che si scopriva giorno dopo giorno più piccola

diedero una decisiva spinta all'impresa eroica delle navigazioni e delle scoperte

in principio, un vero e proprio oceano separava umanisti e navigatori

ma dall'una all'altra sponda ci si mosse in direzione di quella contraria per incontrarsi finalmente a mezza strada


In Italia e in Spagna in particolare le convergenze erano state numerose già in anni precoci, ma l'episodio più significativo è quello che coinvolge il maggior umanista della penisola spagnola e il più grande marinaio dell'epoca, un illuminato genovese al servizio della Corona di Castiglia.


verso la fine del 400, Antonio de Nebrija compose e pubblicò l'Isagogicon cosmographiae, una lucida esposizione del metodo geografico di Tolomeo, dove le autorità classiche e i solidi fondamenti astronomici e matematici convivono con una vigile attenzione alle rotte che si andavano aprendo e ai porti dei naviganti contemporanei, dal cui slancio l'autore s'attende di lì a pochi anni il più radicale cambiamento del mappamondo ereditato dagli antichi, del quale si spera si possano colmare le lacune e riempire i vuoti, in particolare per l'emisfero degli antipodi

E

proprio in quegli stessi anni, una delle massime preoccupazioni di Colombo era dotarsi di quelle conoscenze che gli avrebbero consentito di porsi su di un piano di parità con i dotti della categoria di Nebrija


Le esperienze di uomo di mare che tempo addietro lo avevano reso fiducioso di poter raggiungere l'India per la via dell'ovest erano state ascoltate senza convincere nessuno

E

i re cattolici gli restituivano ora le speranze, spronandolo a sottoporre i suoi argomenti al giudizio dei saggi, dei letterati e dei marinai con questi ultimi non restava nulla o quasi da dire; la via d'uscita consisteva pertanto nel convincere i saggi e letterati servendosi del loro stesso linguaggio


Non sappiamo se Colombo arrivò a conoscere l'Isagogicon, ma di certo ne aveva urgente bisogno; se mai lo ebbe tra le mani, non sempre vi avrà trovato le ragioni che cercava, giacchè i dati e i calcoli di Nebrija, per lo stesso fatto di essere più corretti dei suoi, non incoraggiavano troppo il suo disegno.


Ma quello che l'Isagogicon poteva senz'altro fornirgli (e se così non fu il genovese dovette comunque procurarseli in fonti simili) erano i materiali necessari per incrociare dialetticamente le armi con i letterati, oltre a riferimenti e notizie utili alla navigazione progettata, i quali Colombo certamente non dovette trascurare.


(basti solo ricordare come la chiave della Geografia tolemaica, fedelmente esposta da Nebrija, consista nel collocare il mondo sconosciuto nel reticolo di paralleli e meridiani, fissando matematicamente le distanze, mentre la carte nautiche del 400 si limitavano a fissare le rotte secondo la rosa dei venti e la rete di percorsi che la prolunga, prescindendo dai gradi di latitudine e di longitudine)


Quando Colombo salpò alla volta delle Indie si era già appropriato di quei capisaldi teorici che costituiscono la ragion d'essere dell'Isagogicon ed era animato dal proposito di associare

le antiche competenze dei marinai

alle nuove conoscenze degli studiosi

compilando una nuova carta per navigare seguendo la latitudine dell'equinoziale e la longitudine dell'Occidente


Colombo dovette affacciarsi sul terreno degli studi e degli studiosi umanistici, perché non gli sfuggiva che proprio in quegli ambiti andavano maturando le grandi novità del momento e che proprio in essi egli avrebbe potuto trovare sostegni efficaci per recidere più di uno dei nodi che lo trattenevano.


VI.   Tra l'Italia e l'Europa.


Verso la metà del 400 gli studi umanistici erano in grado di garantire un avvenire più brillante:

eccellenti compensi

carriere tali da fare invidia a chiunque

eccellenti possibilità di impiego nelle cancellerie, nelle case di nobili e banchieri, presso la curia papale, nella famiglie dell'alto clero

relazioni e influenze

allargamento del mercato del lavoro

si rompono le barriere di classe (i milionari dell'epoca si compiacevano di circondarsi di uomini di cultura)


Una solida formazione classica faceva comodo a chiunque.


Non stupirà pertanto che all'epoca di Alfonso il Magnanimo gli studi umanistici avessero acquisito salde posizioni nel sistema educativo, dalle scuole municipali fino alle facoltà di arti, passando per i diversi livelli dell'insegnamento privato.


Non vi è momento più delicato e in ultima istanza più decisivo nella storia dell'umanesimo: perché proprio quando sembrava avessero tutte le carte in mano, si direbbe che gli umanisti italiani abbiano smesso di giocare la grande partita della nuova civiltà, dei secoli migliori che avevano così a lungo vagheggiato.


In questo momento, la situazione ha effettivamente tutte le apparenze di un trionfo:

l'umanesimo è circondato da rispetto e autorevolezza

si è andato introducendo nei circoli del potere e del denaro

e, soprattutto, ha in mano le chiavi della pedagogia


Da questo momento, senza studi umanistici, non esiste più educazione socialmente riconosciuta.


Nella stragrande maggioranza dei casi, all'alunno tipo degli umanisti, al liceale, diciamo, viene richiesto di:

destreggiarsi con scioltezza con il latino (quanto al greco gli basteranno le nozioni di base)

avere familiarità con le opere più significative (o i frammenti più significativi) dei grandi autori

muoversi agilmente attraverso l'antichità, senza dover per questo trasformarsi in un esperto dalla testa ai piedi

essere in grado di apprezzare l'ordine di un periodo e avrà comunque ben chiaro che nessun pensiero può prescindere dall'eleganza dell'espressione

le astuzie dell'inventio, della dispositio e della elocutio diventeranno per lui una forma mentale irreversibile, e non ci sarà argomento di conversazione ch'egli non sappia arricchire con una lunga serie di riferimenti al mondo classico

le lezioni e le letture, infine, lo avranno messo di fronte ad un importante repertorio di problemi morali, non già in astratto, quanto piuttosto incarnati in uomini e in testi, dandogli al contempo la sensazione che rispetto al passato recente il sapere stia vivendo un'epoca di splendore e di giustificate speranze


L'insegnamento implica sempre un certo grado di banalizzazione.


Nel momento stesso in cui la nuova cultura approda alla scuola e da lì impianta solide radici in tutta la società italiana, i massimi cultori del nucleo più caratterizzante e costante degli studi umanistici ripiegano su se stessi e sembrano perdere l'entusiasmo espansionistico che li aveva spinti a rischiare un'altra epoca


è proprio quell'impulso a uscire dal guscio della filologia, quella volontà di conquistare il mondo, ciò che si perde mano a mano che il 400 si avvia verso la fine del secolo


La divulgazione dell'umanesimo attraverso la scuola, e ben presto anche attraverso la stampa, significava mettere a disposizione pressoché di chiunque conoscenze e tecniche che fino a poco tempo prima erano state esclusivo monopolio di un'agguerrita minoranza.


Una minoranza certo ansiosa di condividere quel patrimonio, ma che nel momento stesso in cui quella diffusione era in atto si vedeva sottratta una meta e si rendeva conto di quanto la realtà fosse ben lontana dal sogno.


Si tendeva ora a dare per scontate le idee guida, e i grandi principi, a furia di essere ridotti ad una serie di formule, avevano progressivamente perduto il loro potere di attrazione.


Quel che restava da fare aveva in molti casi poco di brillante o era decisamente insipido; certo, mancavano per esempio manuali e repertori, ma un Valla si sarebbe mai messo a scrivere un libro per principianti??


Diventati gli studi umanistici un programma scolastico generalmente accettato, la figura che li rappresenta agli occhi della gente comune non è più il singolare intellettuale che si lancia in grandi imprese e che annuncia luminosi scenari futuri, ma un tipo di maestro neutro e ordinario, più o meno preparato, più o meno solerte, che passa le ore a raffinare gli adolescenti (il povero grammatico di sempre).


Agli orizzonti utopici succede la routine dell'insegnamento quotidiano; alla sfida dalla novità, alle grandi promesse, i limiti e le miserie della pedagogia.


È facile capire quindi che i letterati, e in particolare i grandi luminari dell'Università, desiderassero marcare le distanze dagli artigiani dell'umanesimo.


Poliziano si indignava del fatto che venissero chiamati grammatici anche coloro che si occupavano dell'insegnamento elementare, estendendo un titolo un tempo così illustre a chi non era nient'altro che grammatista, precettore di prime lettere.


Ancor più sintomatico sembra che fu proprio in quest'epoca che nel gergo universitario venne coniata la parola umanista per designare il professore di umanità, più tardi, e subordinatamente, applicata pure allo studioso di materie classiche, a prescindere dal fatto che fosse un professore sintomatico perché il vocabolo suona bastardo, plebeo, e mai sarebbe stato usato dagli umanisti del primo 400, né ebbe peraltro molto miglior fortuna fra gli scolari: nel momento in cui entrarono nella scuola, nei corsi propedeutici dell'Università, gli studi umanistici si banalizzarono in un termine rozzo e carico di sfumature negative, usato persino con un'inflessione di sprezzo


Del tutto diversa era, certo, la situazione al di là delle Alpi: il fervore che si va intiepidendo in Italia si ravviva spesso fuori dalla penisola (con tutto il fascino della novità).


Gli stranieri interessati agli studi umanistici erano tutta gente provvista di mezzi e influenza: ecclesiastici, nobili, altissimi funzionari.


Non importa tanto stabilire in che misura avessero assimilato le novità italiane: l'attenzione e il rispetto che dimostravano verso di esse erano il miglior biglietto da visita degli studi umanistici in terra straniera.


Fin dagli ultimi anni del 300 s'erano andati diffondendo in Europa non poche opere classiche rimesse in circolazione dall'umanesimo, e un numero non disprezzabile di scritti degli stessi umanisti.


Ma il ricorso ad uno o a più di questi testi non comportava in alcun modo in via di principio una svolta d'indirizzo culturale: in un'infinità di casi, i dati, le notizie, le formule appena importati dall'Italia si lasciavano usare asetticamente, non solo senza che ciò comportasse l'assunzione del sistema concettuale di provenienza, ma addirittura partendo da posizioni frontalmente opposte ad esso


su uno scosceso e incolto terreno, il seme poteva germinare solo fiori solitari, non certo macchie multicolori o giardini lussureggianti


Va ribadito comunque che, in una prospettiva ampia, sulla lunga durata, il trionfo supremo dell'umanesimo per più di 3 secoli consiste nell'aver gettato le basi di un sistema educativo su cui si formarono le élites europee e tutte le grandi figure che diedero vita all'età moderna.


Naturalmente queste basi potevano essere gettate solo da chi avesse in mano le leve del potere.


L'umanesimo attecchì fuori d'Italia

non perché gli autori classici venissero nelle mani di più lettori (come in effetti fu)

né perché un erudito dietro l'altro li andassero adottando fino a farli diventare un canone predominante (cosa che forse mai giunse a verificarsi)

ma piuttosto perché riuscì a conquistarsi un numero notevole di padrini generosi nelle alte sfere

Fu il potere, l'aristocrazia, a prestargli l'appoggio decisivo: senza questo appoggio, l'umanesimo si sarebbe limitato, volente o nolente, ad essere una fra le tante scuole di pensiero, un ennesimo movimento intellettuale privo di un'autentica incidenza sociale

E

ma non si pensi, tuttavia, che la rivoluzione ebbe luogo perché dall'alto fu imposta a colpi di decreto


una disciplina, una cultura, si possono radicare perché vengono ritenute interessanti e valide come modi di vita, linee di condotta, elementi di una società


Fu relativamente facile che principi, nobiluomini e gente di censo intendessero gli studi umanistici come un elemento proprio del vivere aristocratico e vi guardassero con crescente favore, perché nessuno più di loro era sensibile al prurito di essere alle mode che comportavano un prestigio di classe.


D'altra parte, una buona parte della produzione degli umanisti andò con i piedi di piombo per non smentire l'interpretazione dei loro più sicuri patroni.


I capi dei diversi stati stranieri chiamavano a sé i più importanti umanisti italiani, al fine di nobilitare quelle patrie il più che potessero, che fino a quel momento erano state ed erano in una grande oscurità.


Si tratta del momento cruciale dell'espansione transalpina dell'umanesimo, quando il potere ricorre ai nuovi letterati per affidare loro l'educazione dei suoi rampolli e quando il prestigio sociale in tal modo guadagnato dall'umanesimo fa sì che la domanda si estenda ad altri ambiti.


In poco tempo, in moltissime città estere esistevano cattedre di umanità ben remunerate e occupate da professori che potevano contare sulla protezione e persino sull'amicizia delle persone più illustri.


Non tutto era risolto: gli umanisti dovevano fare i conti con non pochi nemici, e molte battaglie rimanevano ancora da combattere; ma era una sfida che si sentivano pronti a raccogliere, forti di armi di provata efficacia e rinforzati da una fede a tutta prova dell'ideale che li animava; ma in ogni caso, l'alleanza dei potenti con gli studi umanistici aveva assicurato loro già una mezza vittoria.


VII.   Filologia.


Alla fine del 400, era inevitabile in Italia

un certo deprezzamento dell'umanesimo

che i grandi astri volessero distanziarsi smettendo i panni di profeti e missionari, ormai non del tutto privi di ambiguità, e lasciando perdere gli orizzonti profondi per rinchiudersi nella specializzazione


Nel momento in cui gli autori classici, così come le loro opere, venivano letti in tutte le scuole e si trovavano a buon mercato in tutte le librerie, gli umanisti di maggiore statura dovettero necessariamente puntare ad un livello più alto.


Un secolo di esplorazioni, di scoperte e di conquiste aveva fornito loro una quantità di materiali e strumenti filologici tali da aprire nuove prospettive.


Il progressivo dominio della lingua e della letteratura greca, in particolare, ampliò in modo straordinario gli ambiti della ricerca:

oltre a rivelare un proprio mondo di una ricchezza inesauribile

il greco rappresentava l'altra voce decisiva nella risoluzione di moltissime questioni di fonti, nel chiarimento di passaggi oscuri, nel perfezionamento della lessicografia


Ma una parte vitale dello spazio aperto dagli studi greci era costituita da opere scientifiche, e in questo spazio le opere iniziavano a parlare davvero nel momento in cui taceva la filologia più strettamente tecnica che allora andava per la maggiore, quando l'interesse passava dal testo al tema in sé


era proprio l'emergere di questa stessa realtà che toglieva respiro al sogno originario dell'umanesimo, minando quel mito della lingua di Roma come medicina universale, che con tanta energia aveva animato i padri del movimento

Per qualche decennio, le nuove esigenze di specializzazione si indirizzarono soprattutto verso il commento minuzioso, punto per punto, dei testi più difficili e raffinati della tradizione, testi irti di allusioni e riferimenti che nessun grammatico di provincia si sarebbe mai azzardato a commentare


si trattava di un genere di richiamo, perché tanto gli editori quanto gli studenti accoglievano con grande favore quelle annotazioni esaustive che, d'altro canto, accrescevano la reputazione e il salario del maestro

E

ma era anche un lavoro faticoso e insoddisfacente insieme, giacchè i contributi originali più attraenti per i dotti si perdevano nell'oceano delle banalità e delle minuzie, necessarie per l'attività degli alunni e dei docenti comuni


bisognava, dunque, fare un passo avanti:

non più chiacchiere su cose nuove per gli ignari ma ovvie per qualunque esperto

solo i nodi insoluti, ovunque occorressero, scelti e giustapposti con il solo criterio della difficoltà, per una prova di forza dell'interprete e quasi per sfida


Nessuno fece questo passo con maggior decisione e naturalezza di Angelo Poliziano nei suoi Miscellanea.


lezioni corrotte dalla trasmissione testuale

voci male interpretate

allusioni e fonti rimaste inavvertite

problemi di storia letteraria

sono i nodi insoluti che Poliziano, in poche righe o nel giro di qualche di pagina ricca di ammiccamenti stilistici a beneficio dei più colti, chiarisce grazie ad un'acutezza fuori dal comune e ad uno stupefacente bagaglio di conoscenze, coronate, in particolare, da una padronanza delle lettere greche allora senza eguali


Era l'esito ultimo di uno sforzo lungamente durato, per cui la scuola umanistica, facendo leva sulla nuova industria tipografica, era giunta a proporre il suo diritto ad esistere, nella società contemporanea, come classe privilegiata, in concorrenza coi giuristi e coi filosofi e medici.


Si era posta l'amministrazione esclusiva, indiscutibile da altri, del patrimonio classico.


Ma

raggiungendo il punto indubitabilmente più alto nella filologia

e conquistando così uno statuto di disciplina autonoma

la tradizione storica dell'umanesimo italiano si ripiegava su se stessa, in una nicchia professorale e professionale, e rinunciava ai clamori della pubblica piazza


L'inesauribile curiosità di Poliziano è messa interamente al servizio della filologia e solo eccezionalmente si spinge oltre.


Nelle pagine dei Miscellanea si precisa che un'intima familiarità con tutte le arti dell'encicolpedia è condizione imprescindibile per chi voglia spiegare i poeti e rendere un buon servigio alla latinità.


Sulla soglia delle Elegantie ci veniva assicurato che lo studio del latino era l'unica strada per ogni conoscenza: sembrerebbero 2 modi per dire una stessa cosa; ma ben guardare, Poliziano e Valla procedono, a rigore, in direzioni diametralmente opposte:

dal latino ad ogni conoscenza (Valla)

da tutte le arti al latino (Poliziano)


a Valla premeva annettersi nuovi territori

Poliziano non mette in discussione l'identità di dominii altrui, né vuole ornarsi di altro titolo se non di quello di grammatico, nel senso più nobilmente classico


dietro questa posizione, c'è la lucida coscienza che gli studi umanistici hanno raggiunto un livello tale per cui non possono avanzare ulteriormente grazie all'imperialismo di altri tempi, guadagnando terreno su altre aree di ricerca; l'unico modo è quello di circoscrivere un proprio spazio, sacrificando la tentazione annessionistica

Si rendeva evidente che l'impostazione del classicismo per sé sola, non bastava più a far fruttare miniere tanto ricche.


Ma il sogno dell'umanesimo era stato proprio il contrario

E

con la purificazione filologica dei Miscellanea, Poliziano, l'umanista supremo, sancisce insomma l'avvenuto smembramento dell'ideale umanistico del sapere

E

in ogni caso, un tale atteggiamento non toglie una virgola alla passione letteraria, componente altrettanto essenziale dell'umanesimo


Si tratta di voluto ermetismo, quello stesso che lo spinge a servirsi di una grafia scientificamente indecifrabile, quando non della crittografia.


Un vocabolo raro, un dato ignorato, sono beni che gli preme proteggere con le unghie e con i denti.


Poliziano, quindi, si muove deliberatamente tra queste vette, dalle quali non ha alcuna intenzione di scendere nelle pianure degli incolti.


Nei Miscellanea non mancano punte polemiche.


Poliziano non si occupa della dottrina in sé, non si soffermarma sulle implicazioni di fondo delle diverse questioni; lui si concede il diritto di riscattare dalla barbarie una voce greca.


Poliziano si è ritagliato risolutamente uno spazio proprio, e anche se a titolo personale è disposto ad affacciarsi su altri paesaggi, istituzionalmente non vuole sconfinare in recinti altrui.


Gli preme

screditare i colleghi di formazione più modesta

dialogare con i pochi che sente come suoi pari

stupire gli uni e gli altri

e soprattutto esaltare se stesso, per un testo ottimamente espresso o non ancora chiarito fino a quel momento


Poteva permetterselo, perché ora esisteva un ampio pubblico in grado di apprezzare quel sapere iperspecialistico ed esistevano dei generi letterari adeguati per comunicarlo.


Certo, però, che le innovazioni da lui proposte, per la maggior parte esatte, sono rivolte essenzialmente a specialisti e di non mediocre livello.


Si tratta di innovazioni di indiscutibile valore sia per i temi che per il metodo seguito, ma di norma solo nel dominio ristretto della filologia classica, un dominio che ormai non incide più sulle altre sfere della cultura.


Ma nel momento in cui

le opere degli autori classici erano universalmente venerate

tutti disponevano delle coordinate di base per render loro giustizia storica e artistica

tutti stavano fecondando la nuova letteratura con una forza fino ad allora sconosciuta

i minuziosi interventi di Poliziano restavano irrimediabilmente ridotti ad una degustazione per filologi


Un ultimo esempio ce lo potrà fornire Ermolao Barbaro, spirito per più di un verso affine a Poliziano, ora suo imitatore, ora suo modello.


Per la materia Castigationes e Corollarium sono 2 libri gemelli; per il taglio e il significato storico, profondamente diversi:

le Castigationes rimangono soffocate dal severo esercizio di una critica esclusivamente testuale, che rifiuta decisamente la possibilità di aprirsi al tipo di indagini che

nel Corollarium, sulla linea della lessicografia più che della sperimentazione, saggiavano la nascita di un metodo nel campo delle scienze della natura

L'improvviso abbandono del Corollarium a beneficio delle Castigationes è tutto un sintomo: anche Ermolao Barbaro testimonia il ripiego verso la nuda filologia che caratterizza la fase terminale dell'umanesimo italiano, che ci conduce alle porte del 500.


Ciò che per un verso è evoluzione, è per l'altro involuzione: in nome di un'esasperata filologia si rinuncia ormai al sogno di rifondare una nuova civiltà, l'inizio della scienza dell'antichità segna la fine dell'umanesimo come animatore di tutta la cultura.


Per più di un secolo, gli studi umanistici avevano avuto quel ruolo decisivo che in altre epoche è toccato ad altre arti o altre scienze: fornire non solo materiali, ma più ancora modelli e stimoli agli altri saperi, proporre ad essi problemi, metodi e obiettivi.


All'inizio del 500 la situazione è cambiata cause di tale situazione:

scompaiono prima gli uomini migliori, quasi in un sol colpo e nel fiore dell'età

si disperdono poi i maestri più validi sotto l'incalzare delle guerre e lo sfasciarsi delle forze economiche

una parte della colpa va pure attribuita al disordine della società e degli stessi interessati di fronte ai cambiamenti che si stavano verificando proprio all'interno degli studi umanistici


Il diritto di rinchiudersi nella torre d'avorio della pura filologia classica gli umanisti se l'erano guadagnato: erano stati loro a dare il via a tutto il processo furono gli umanisti a riportare il classicismo alla vita e a sottolinearne il ruolo centrale


Ma in queste circostanze, era necessario seguire una strada diversa da quella dell'alta filologia; il ripristino del testo e la sua interpretazione continuavano ad essere importanti, ma l'impresa del futuro era un'altra a quell'epoca gli interessi non andavano più in quella direzione


VIII.     Il canto del cigno.


All'inizio del 500, le vibranti parole d'ordine del primo umanesimo risuonavano ora principalmente fuori d'Italia con una passione che qui si era intiepidita già da decenni


a quest'epoca erano i barbari coloro che con maggiore entusiasmo tenevano desta l'illusione che gli studi umanistici potessero generare un mondo nuovo, sia nell'ambito delle lettere sia negli altri aspetti della vita


Se i nuovi fedeli si fossero chiusi nello squisito classicismo degli ultimi grandi modelli italiani, sarebbero apparsi dei personaggi astrusi e marginali: se invece volevano guadagnarsi la considerazione e il prestigio che pensavano di meritare, dovevano per forza mostrare e dimostrare che le arti e i principi che professavano avevano una portata che andava molto al di là di quella puramente letteraria.


Il progetto equivaleva a recuperare lo spirito dei padri fondatori, ma potendo contare su tutte le conquiste posteriori: le raffinate armi del 500 venivano impugnate sotto le insegne eroiche del 400, e le esperienze accumulate in Italia per più di un secolo erano liberate fuori tutt'insieme.


Un superbo triumvirato mostra lo splendore ineguagliato di questa estrema fioritura dell'umanesimo:

Guillaume Budé

Desiderio Erasmo (da Rotterdam)

Juan Luis Vives

tra periodi di tensioni e finanche di rotture, i 3 rimangono amici e formano il nucleo dell'élite più innovatrice fra quante esercitano il potere intellettuale in Europa


In loro germinano semi che l'Italia aveva sparso in Francia, Paesi Bassi e Spagna, ma nessuno di essi può dirsi frutto normale della situazione degli studi letterari nei rispettivi paesi:

hanno dovuto formarsi cercandosi libri e precettori al di là delle frontiere e delle tradizioni locali

credono nell'internazionalismo dell'intelligenza

e tutti e 3 si risolvono in primo luogo ad un pubblico internazionale, che si estende soprattutto a nord delle Alpi, dall'Inghilterra alla Germania


I loro destinatari più significativi occupano in genere una posizione privilegiata, nelle università, nelle corti, ma comprendono anche un buon numero di borghesi illuminati (e, in genere, una crescente presenza di laici, quali sono anche Budé e Vives).


A questi va aggiunto anche l'esercito di entusiastici sostenitori di minor calibro:



ecclesiastici inquieti

e in special modo maestri di scuola che si sentono gratificati dal fatto di militare tra le fila di uomini così importanti


Grandi e piccoli condividono un sentimento di gruppo che trasforma i nemici di ognuno di loro in nemici della causa: gli studi umanistici, con il greco a quel posto di onore che si era già guadagnato in Italia, e spesso affiancato dall'ebraico.


In un primo momento, persino il caso di Lutero fu letto in quest'ottica; e fintanto che le acque non strariparono, molti ebbero l'impressione di assistere alla nascita di una nuova età dell'oro.


Tutti sono sostenuti da una fede vigile e critica nelle molteplici capacità dell'eloquenza, e tutti accettano in sostanza il grandioso disegno che Vives sviluppa nel De disciplinis: la via della conoscenza è tutto un andirivieni fra

linguaggio

realtà

e costumi

quando si allenta uno degli anelli della catena, come era accaduto per secoli e secoli soprattutto per quanto riguardava le parole, gli altri pure si allentano, di modo che risulta impossibile intervenire su uno soltanto di essi senza intervenire al tempo stesso su tutti gli altri, entro l'orizzonte di una civiltà realmente umana.


L'accento viene posto ossessivamente sulla pratica, sulle conseguenze concrete del sapere.


Valla aveva spiegato che il significato del linguaggio consiste nel suo uso; ora si è ad un passo dal credere che la verità consista nell'utilità (in questa direzione Vives, ad esempio, apre il cammino alla psicologia moderna affermando che poco importa interrogarsi su che cosa sia l'anima: quel che importa è piuttosto stabilire come sia, quali siano le sue attività)


neanche la conoscenza del latino e del greco contano se non se ne ricava qualcosa di utile


Nessun'altra fase dell'umanesimo si era mai mostrata tanto sollecita nell'avanzare obiezioni, censure, correzioni o persino sconfessioni degli autori antichi.


I contributi dei nostri triumviri alla ricerca sul mondo classico conbinano senza complessi

la solida oggettività dei materiali con la libertà soggettiva e persino tendenziosa dell'interpretazione

il rigore archeologico con un costante sguardo all'attualità


Nessuna generazione di umanisti aveva mai raggiunto una visione così articolata dei problemi del proprio tempo, nessuna aveva dispiegato un'altrettanto ampia prospettiva europea.


Fuori dall'Italia, nei primi decenni del 500, l'umanesimo conservava ancora il sapore delle cose recenti, e non sorprende che questa fragranza fosse in grado di potenziarne la tradizionale vocazione civica e inducesse a recepirlo come il progetto intellettuale più adatto a comprendere e a orientare qualsiasi fenomeno fosse pure recente o in via di sviluppo.


La causa delle lettere si mescolò mille volte con la presa di posizione di fronte agli eventi che stavano trasformando il continente, condizionando

la coscienza della crisi

la risposta ai conflitti

i desideri di riforma


Con una forza mai conosciuta prima, gli studi umanistici rappresentarono all'inizio del 500 la cultura nuova di una nuova epoca.


Non è necessario trovarli sempre a editare e commentare classici, per riconoscere gli umanisti di allora: lo sono integralmente, con pienezza, e non soltanto per lo stile, anche quando un incauto li scambi per giornalisti.


Il paesaggio in cui si muovono comprende l'antichità al pari dell'attualità.


Erasmo, Budé, Vives e tanti altri contribuirono al trapianto dell'eredità italiana sull'altro versante delle Alpi, vissero o contemplarono da postazioni privilegiate non poche delle grandi questioni dell'epoca:

il nuovo equilibrio di potere in Europa

le inquietudini che turbavano la religione cristiana

le conseguenze dell'espansione economica, ..


Su ciascuna di esse ebbero una o molte parole da spendere e proprio perché accreditati dagli studi umanistici, in quanto si sentivano chiamati a testimoniare che l'eredità spirituale da essi amministrata aveva più soluzioni e proposte di quelle che normalmente sospettavano i loro conpatrioti.


Il dispiegamento di citazioni e reminescenze classiche, il continuo riferimento al mondo antico era soprattutto un sistema di analisi e critica.


Chiunque aspirasse ad essere considerato un autentico erudito doveva aver letto almeno una volta nella vita tutti i classici, di tutti i generi, annotandone ed estrapolandone ogni elemento di qualche interesse

E

non si trattava assolutamente di esortare alla ripetizione inerte e all'ornamento pret-à-porter

E

anzi: era un'istigazione a

precisare le proprie opinioni confrontandole con quelle altrui

esaminare ogni questione dalle più varie angolazioni e trarne le conclusioni, non già sostituendo il punto di vista personale con quello dell'una o dell'altra autorità, ma tenendo conto di tutti, correggendo e arricchendo gli uni con gli altri


Il nome di maggior spicco, ai suoi tempi come ai nostri, è senz'altro quello di Erasmo da Rotterdam


è difficile indicare quale delle sue inesauribili dimensioni gli diede più delle altre questo enorme rilievo nell'Europa del tempo; assiduo come pochi al fianco dei protagonisti delle grandi decisioni storiche, l'olandese non giunse forse mai ad influenzare in modo determinante il corso della storia contemporanea


i tempi erano ancora troppo duri perché si prestasse orecchio ad una voce che ossessivamente ripeteva che la cristianità avrebbe raggiunto la pace solo

riducendo al minimo le definizioni

e lasciando a ciascuno libertà di giudizio su gran quantità di aspetti

le ragioni che oggi ce lo rendono così attuale sono le stesse che ieri gli impedirono di incidere fattivamente sul suo tempo


D'altra parte, chi analizzi il suo pensiero e le tracce da esso lasciate, poche volte potrà affermare che l'idea appartiene a Erasmo, senza subito dopo precisare che già qualche autore aveva scritto altrettanto, e senza aggiungere ancora che, pure, in quell'autore, l'idea è di Erasmo, viene imposta esattamente da Erasmo.


eclettismo

ampiezza di vedute

duttilità o, se si preferisce, ambiguità

caratterizzano le sue posizioni


I suoi sostenitori furono una legione fragile e instabile dal punto di vista dottrinale.


I posteri recuperarono molte delle posizioni di Erasmo, ma solo eccezionalmente in quanto erasmiane.

L'Erasmo che ha lasciato l'impronta più profonda e duratura non è l'uomo pubblico, e neppure il pensatore, ma il professore di umanità; il suo fu sempre lo spirito del pedagogo prima che dell'erudito, più preoccupato di imparare cose utili per insegnarle agli altri che di scorpire verità nuove di incerta applicazione.


I padri dell'umanesimo disdegnavano le minuzie del grammatico: Erasmo, invece, se ne occupò ben orgoglioso di farlo; ebbe l'intelligenza generosa e umile di comporre tutti i manuali che i massimi umanisti non si erano degnati di scrivere


a quest'opera lo spingeva in primo luogo

una fede incondizionata, ma non certo fine a sé stessa

nelle capacità del latino di conservare un rapporto sempre vitale con il mondo contemporaneo

in grado di essere assimilato al pari di una lingua volgare, senza neanche il bisogno di imbalsamarsi in regole e precetti

ma semplicemente grazie alla frequentazione dei buoni autori

in un apprendistato che non avrebbe dovuto discostarsi dal gioco, dal piacere della lettura e dall'esperienza quotidiana


La migliore espressione e la virtù più nota di questo latino che egli voleva così perfetto e universalmente vivo, si ritrova probabilmente nella copia:

come esercizio didattico, il punto di inizio della copia, la copia verborum (abbondanza di parole), consisteva nello scegliere una frase come modello e nel tentare di sottoporla a variazioni con sinonimi, metafore, figure retoriche, non per declinare oziosamente un identico concetto in modi diversi, ma al contrario, per apprezzare la peculiarità di ogni formulazione

successivamente, la copia rerum (abbondanza di cose) portava ad analizzare una questione considerandola in diverse riprese secondo i suoi vari elementi e qualità, inserendola in un contesto più ampio, confrontandola con testimonianze storiche e letterarie, con il pensiero dei vari autori e le opinioni correnti in proposito: arricchendola insomma con un ampio ventaglio di prospettive


al di là delle pratiche scolastiche, la copia erasmiana servì da stimolo fecondissimo alle lettere del Rinascimento


era un vero e proprio sistema di comprensione e ragionamento rivolto a garantire

tanto una fluidità di espressione che permettesse di scoprire nuovi aspetti delle cose

quanto una forma di percezione più completa che si risolvesse in un uso più duttile della lingua


Erasmo compilò tutti i manuali che l'epoca richiedeva: l'esagerazione è minima, se solo si consideri che non c'è frase o grado nel tirocinio degli studi umanistici per il quale egli non avesse proposto un congruo sostegno


non gli si negheranno capacità ed entusiasmo, ma neanche senso dell'opportunità


l'espansione dell'umanesimo era stata condizionata principalmente dalla capacità di guadagnarsi seguaci fra le classi alte e gli apostoli della causa, volenti o nolenti, avevano dovuto vestire i panni degli uomini di palazzo


fu il caso dello stesso Erasmo (in quella fase era di gran lunga più conveniente cercarsi un buon protettore che confezionare un buon manuale)


l'umanesimo però, apertosi un varco fra i potenti, guadagnava ora posizioni più per la quantità che per la qualità dei nuovi fedeli: e ciò comportava un notevole allargamento del mercato dei libri, garantendo quindi al professionista nuovi sbocchi di lavoro


il mercato richiedeva soprattutto testi e manuali:

testi, ad esempio, come i piccoli volumi tascabili di Aldo Manunzio, destinati ad un numero sempre maggiore di cavalieri e sempre più a dame di formazione umanistica: tutti, una volta terminati gli studi, volevano continuare a leggere classici senza mescolanze di specialisti; ma anche testi destinati al pubblico della scuola, dove l'opera del maestro consisteva proprio nell'integrare la mancanza di note

manuali come la grammatica latina dello stesso Manunzio: operette, comunque, dalle quali docenti e studenti dovevano trarre solo poche notizie essenziali, che servissero da aiuto immediato alle opere dei grandi scrittori


Se voleva conservare l'indipendenza che gli era vitale, non aveva altra scelta che vivere della penna, spesso mal stipendiato dagli editori


la critica testuale aveva raggiunto a quell'epoca un livello e una complessità tali da esigere una dedizione assoluta: la più alta filologia non poteva più coesistere con un'attività multiforme come quella di Erasmo


era arrivata l'ora degli specialisti: volgeva alla fine il sogno dell'umanesimo

E

nessuno potè invece far ombra all'Erasmo autore di manuali: attraverso l'opera didattica di Erasmo, si ha l'impressione che l'umanesimo si irrigidisca alla fine in una bibliografia di base, si oggettivizzi in una lista di letture richieste, dotate di vita propria


gli studi umanistici erano lì, alla portata di tutti, e chi non avesse altre aspirazioni poteva accontentarsi della versione blanda che vi si impartiva, considerarsi dotato dell'educazione adeguata e occuparsi delle proprie attività


il programma scolastico degli umanisti può essere ormai usato in modo autonomo, comincia ad avere una vita propria a costo di perdere gran parte della usa originaria voracità


è l'ambigua vittoria sul lungo periodo, la gloria incerta dell'umanesimo: cessare di essere la forza motrice di una civiltà per trasformarsi nella colonna portante di una cultura generale

E

Erasmo era ben lungi dal pensarla così: non poteva sapere che il suo era un canto del cigno (l'ultimo e il più bello); egli lottò con forza ed entusiasmo eccezionali perché le cose andassero in tutt'altro modo; si dedicava meno per convenienza che per la sua forza di convinzione


La parabola di Erasmo si conclude quando rotture e guerre avevano dimostrato crudelmente quanto potesse essere rischioso soffiare sul fuoco delle indulgenze, nella prima metà del 500, con l'ultimo libro che Erasmo vide pubblicato, un anno prima di morire: l'Ecclesiastes, sive de arte concionandi, un metodo per predicatori o, se si preferisce, una retorica classica inserita nel quadro della società contemporanea, al servizio della parola di Dio, nonché, sempre con ossessiva ostinazione, della pace fra gli uomini.


L'olandese non aveva mai smesso di proclamare che il cammino giusto era proprio quello da lui adottato: giungere alla pietas accompagnati dalle lettere.


l'itineario di Erasmo culmina precisamente nella teologia, nella teologia cristiana nel primo 500


Allora

con teologia non si intendeva un qualunque linguaggio intorno a Dio

teologia è unicamente ed esclusivamente teologia scolastica, consacrata quale disciplina principe delle facoltà universitarie (con un rigido curriculum che da Pietro Lombardo proseguiva per una delle 3 vie di Tommaso, Scoto o dei nominalisti)

teologo è solo chi sa disputare con sfoggio di definizioni magistrali, conclusioni, corollari, proposizioni esplicite e implicite

la teologia ufficiale dell'epoca, speculativa per principio, era tassativamente proibita ai laici e gli specialisti la proteggevano col massimo zelo dalla comprensione dei comuni mortali



il nesso erasmiano di pietas e lettere non ambiva semplicemente a rendere presentabile, dandole un tocco di antica eleganza, la sola teologia che faceva proprio tale titolo

non si trattava neanche di consentire che la teologia scolastica e gli studi umanistici procedessero paralleli e in ultima istanza indipendenti (un compromesso di questo tipo sarebbe equivalso ad una rinuncia allo spirito annessionistico che dava all'umanesimo la sua stessa ragion d'essere)


il progetto erasmiano non si limitava a porre etichette diverse ad uno stesso concetto o a difenderlo da analogie contaminanti


quello che Erasmo voleva era proporre il rovescio della teologia ufficiale, rimpiazzarla con un'altra diametralmente opposta


L'inutilità della teologia scolastica si manifesta tanto nella forma quanto nel contenuto:

ai temi esoterici

corrisponde un gergo incomprensibile (e viceversa)

nell'uno e negli altri si verifica un identico divorzio dalla vita reale e dall'esperienza quotidiana della fede.

E

non così nell'unica fonte certa del cristianesimo: Gesù e gli apostoli usavano un linguaggio accessibile tanto al colto come all'ignorante, per mostrare all'uno e all'altro uno spirito che a tutti ugualmente si adatta


è assolutamente necessario recuperare quel linguaggio e quello spirito, quelli del Nuovo Testamento, studiando la Bibbia, ove possibile in lingua originale e stando attenti a cogliere le peculiarità di ogni libro e di ogni tempo, facendosi permeare dalla Sacra Scrittura, fonte di ogni comportamento e pensiero cristiano, dall'esperienza quotidiana fino alla predicazione


Nessuno, in nessun momento, è estraneo al messaggio del Redentore e quindi a nessuno è precluso essere teologo.


Filosofia di Cristo


Ogni occasione è buona per far teologia: Gesù, punto di riferimento dell'individuo e cuore della comunità, non può non manifestarsi in ogni circostanza della vita; una società cristiana respira teologia da ogni poro.


Lo spirito parla allo spirito e da esso riceve risposta

non da semplici osservanze esterne o da vuote cerimonie

meno ancora, naturalmente, da sillogismi


Gli insegnamenti di Gesù sono trasparenti; i classici del cristianesimo non osavano affermare nulla che non fosse chiaramente esplicitato nelle Scritture, e nel fare altrettanto e insegnarlo in buona fede, sinceramente, consiste la vera scienza della teologia.


È possibile sentirsi in comunione con la Trinità senza conoscere o spiegare i tecnicismi della filosofia; la fede c'è o non c'è; la verità rivelata non corre pericolo, se la devozione è salda; ciò che importa è avere un cuore puro.


Cristo è il linguaggio che tutto trascina con la forza dell'amore


a sua immagine, anche il teologo non deve parlare delle cose di Dio senza passione, senza commuoversi e commuovere chi lo ascolta, senza trasformare se stesso e proporsi di trasformare gli altri, esortandoli ad aprirsi allo spirito, a operare secondo carità: il compito del teologo consiste più negli affetti dell'animo che nei sillogismi, più nel ben vivere che nel buon argomentare


è difficile che possano sussistere dubbi circa il ruolo dell'eloquenza ai fini dell'istruzione spirituale del cavaliere di Cristo Erasmo concepisce la teologia secondo i canoni dell'eloquenza, la contempla all'interno di coordinate e in accordo a principi che ricalcano in misura decisiva le coordinate e i principi degli studi umanistici


l'idolo che Erasmo vuole abbattere è il nemico tradizionale dell'umanesimo, il metodo scolastico, perché s'impone una scelta fra

un codice artificiale per iniziati e una lingua a misura di tutti gli uomini

il predominio del sapere come teoria misteriosa, riservata ad una minoranza, oppure come cultura viva, destinata ad illuminare l'esperienza reale del maggior numero possibile di beneficiari



La filosofia di Cristo richiede un grande ritorno

all'età che aveva preceduto una decadenza millenaria (medioevo)

a Gesù


l'ideale di una restaurazione della corruzione dei testi, del sapere e dei costumi deriva in linea diretta dalla prospettiva filologica più profondamente radicata negli studi umanistici


come in essi, il nucleo della teologia erasmiana risiede nel linguaggio, e con perfetta coerenza, dato che Dio si è fatto linguaggio e attraverso il linguaggio va ricercato, con un minimo di precetti e, viceversa, un'intensa frequentazione dei libri capitali

come in essi, la diffusione di quella teologia, nonché la sua acquisizione, segue il programma della retorica antica: con l'obiettivo di una grandiosa riforma morale e sociale, ciò che conta è persuadere, e per indurre all'azione si ricorre al pathos come strumento privilegiato


Già Valla e Petrarca, un secolo prima, sostenevano che, i teologi della scolastica, con tutti i loro predicamenti e categoremi, non hanno una sola parola che ci spinga nell'intimo a ben operare


le affermazioni tra loro analoghe di Petrarca, Valla e tanti altri umanisti non sono solo precedenti: la teologia di Erasmo condivide con essi delle radici e una linfa vitale che, per aver fruttificato in luoghi e tempi diversi, non cessano di essere fondamentalmente le stesse paradigmi dell'umanesimo


Requisiti fondamentali nell'eloquenza:

dominare alla perfezione l'oggetto trattato

far sgorgare il discorso dal profondo

e adattarlo alle esigenze del tema, ai destinatari e alla circostanza

E

la qualità dell'eloquenza, dunque, non consiste nei temi, nei dati o nello stile, ma nell'adesione ad alcuni principi essenziali:

l'atteggiamento nei confronti dell'oggetto di studio

il modo di comunicarlo

il rapporto con l'uditorio o con i lettori, ..


ma l'umanista addestrato a perseguire tale obiettivo sul terreno dell'espressione finisce per elevarla a modello di comprensione (e forse di vita, nel caso di Erasmo): l'aptum (adattato) è per lui una categoria di interpretazione storica, la storia stessa


l'abitudine di chiedersi sistematicamente a chi, quando e a che fine si stia parlando

si estende inevitabilmente dal discorso proprio a quello altrui

addestra la possibilità a captare in modo più profondo come cambino e quanto diverse e complesse si rivelino nelle diverse circostanze, parole, cose e persone

e di qui ne deriva come ciascuna sia inconfondibile e come tutte siano relative


Cicerone, oratore impareggiabile della sua epoca, non lo sarebbe stato in un altro momento, caratterizzato da abitudini e gusti diversi i testi non si comprendono al di fuori del loro contesto, né i fatti senza tener conto delle circostanze


lo stesso vale per la Bibbia: le regole e i divieti dell'Antico Testamento, se ebbero un senso nell'epoca in cui vennero dettate, per la stessa ragione perdono d'efficacia forse nella nostra


Per Erasmo il Redentore offre l'esempio più alto di rispetto per l'aptum (l'adattarsi) sia nelle parole che nelle opere:

perché Gesù non solo volle che la predicazione fosse alla portata di tutti

ma preferì non arrivare ad una brusca rottura con la vecchia legge, affinché gli ebrei andassero assimilando poco a poco la Buona Novella

e, invece di ritirarsi nel deserto come il Battista, volle vivere nel mondo adattandosi a tutti e senza rifiutare la compagnia di nessuno


l'esempio vale prima di tutto per i predicatori, ma riguarda anche tutti i credenti, se una comunità che si dice cristiana vuole avere veramente in Cristo il proprio punto di riferimento: ed è un esempio di apertura alle molteplici dimensioni della realtà, una lezione di flessibilità e di tolleranza


IX.   Da Erasmo a Petrarca.


Erasmo ci consegna l'ultima grande versione del sogno dell'umanesimo


la vecchia aspirazione ad una cultura linguistica e letteraria che si traduca in pratica modellando tutti gli aspetti della vita

si condensa ora in un pensiero cristiano rinsaldato dalle più efficaci risorse dell'eloquenza

per prepararsi al confronto con la questione centrale dell'epoca, il conflitto religioso che lacera le nazioni e le anime


Forse a nessun altro autore che a Valla Erasmo deve spunti altrettanto decisivi

E

ma le concordanze fra l'uno e l'altro non sempre presuppongono necessariamente che Erasmo abbia accolto il testimone esattamente dove Valla l'aveva lasciato: sarà che entrambi rispondono ad un comune impulso iniziale


Con il Novum Instrumentum (prima metà del 500) Erasmo vuole riscattare il messaggio originario di Cristo culmine di tutte l'attività di Erasmo:

con quest'opera certificava che la principale speranza di restituire e ricomporre la religione cristiana consiste nel fatto che tutti coloro che professano la filosofia cristiana, anzitutto vogliano assorbire gli insegnamenti del loro creatore secondo i testi evangelici e apostolici

e d'altro lato egli sitentizzava la convinzione che al fine di recuperare il discorso di Cristo, l'indispensabile punto di partenza era il restauro della lettera e la percezione dello spirito del Vangelo mediante il suo inserimento nel primitivo contesto


al Novum Instrumentum contribuirono immensamente le annotazioni di Valla, ma sarebbe improprio attribuire ad esse un ruolo esclusivo: non furono le annotazioni a spingere Erasmo a concepire il progetto, quanto piuttosto il progetto a mettere Erasmo sulle tracce delle annotazioni


già agli inizi del 500 egli si era dato con passione all'apprendimento del greco, rendendosi conto che senza dominarlo alla perfezione sarebbe stata una solenne assurdità anche appena sfiorare una gran quantità di questioni teologiche


l'allargamento del campo d'indagine dalle lettere latine a quelle greche rientrava a pieno titolo nei presupposti degli studi umanistici: era la stessa materia ad esigerlo (Petrarca lo aveva tentato con entusiasmo, benchè con scarsa fortuna, Salutati e Crisolora lo inaugurarono e per la generazione di Poliziano fu un fatto acquisito; lo stesso Valla era avanzato in identica direzione)


Erasmo non solo va più in là di Valla

perché concentra l'attenzione sui testi greci

ma soprattutto perché proclama senza mezzi termini un ideale ancora più ambizioso


se la Scrittura parla in 3 lingue, è necessario apprendere con determinazione le 3 lingue; colui che le ignora non è un teologo: è piuttosto un profanatore della teologia, la infanga e la perverte


quando nel 1500 Erasmo decise di consacrarsi agli studi biblici per il resto dei suoi giorni, accarezzò il sogno di far interamente suo quell'ideale accostandosi all'ebraico, ma fu costretto a desistere, di fronte alle difficoltà di quella lingua

E

Valla era stato più cauto, accontentandosi di affermare che la restituzione delle parole della Scrittura richiedeva come minimo un possesso modesto del greco e il dominio completo del latino; però non poteva certo sfuggirgli che la direzione di marcia doveva essere quella in seguito vagheggiata dall'olandese, e non mancava di sottolineare che solo gli originali ebraico e greco, e in nessun modo le loro traduzioni, meritavano il titolo di Sacra Scrittura


l'ideale erasmiano del biblismo trilingue era già implicito nelle premesse iniziali dell'umanesimo


secondo Valla, si imponeva di depurare a dovere le acque della tradizione che, nel millennio del medievo, si erano commiste al fango


la sentenza del ritorno alle fonti delle cose diventata necessariamente un invito alla filologia trilingue il 400 abbonda di tentativi in tal senso, tanto più sintomatici quanto più discontinui e sconessi


ciò rispondeva ad una vasta e coerente prospettiva

che dall'ebraico, che per la prima volta aveva annunciato agli uomini la salvezza

passava al greco, deposito per eccellenza del sapere

e al latino, universalmente diffuso

giungendo a riconciliare religione, sapienza e potenza, sì da rafforzarle reciprocamente

E

esattamente il contrario delle formule rutinarie incrostatesi nelle università dell'epoca, dove una marea di frati ignoranti spendeva il proprio tempo a disputare su questioni ridicole


è questo il dato significativo: in ambienti diversi, ciascuno con stile e materiali propri, si perveniva a metodi, atteggiamenti e risultati convergenti, e per di più in date ravvicinate


un biblismo come quello di Erasmo, infatti, era il prodotto della stessa dinamica interna degli studi umanistici, perché lo richiedevano il punto di partenza e il cammino percorso fino a quel momento


Tra le primizie erasmiane, l'epistola De contemptu mundi assicura che la vita monastica può essere propriamente definita epicurea (legata alla felicità individuale e ai piaceri):

né Gesù fu triste e melanconico

né la vita del cristiano deve per obbligo essere penosa, chè anzi nessun'altra è altrettanto felice e serena

e giacchè Dio, il sommo bene, è l'allegria e la pace e il cristiano ha trovato in Lui il supremo bene perseguito dai filosofi, essere filosofo è lo stesso che essere cristiano

(queste idee vengono riconosciute fra i tratti più singolari del pensiero erasmiano)


L'epicureo del nostro esempio è un evidente aggiornamento di una delle idee fondanti dell'umanesimo: il vero e sommo bene e la felicità consistono nell'amare e godere di Dio, di modo che l'autentico filosofo non è altri che il buon cristiano, e tanto più in quanto la filosofia non si fonda sulle parole e men che meno sui sillogismi, ma sui fatti, non è arte delle parole, ma della vita


è rilevante la coincidenza, di pensiero e di espressione, che ci riporta a quella zona nella quale persino i modi più elementari degli studi umanistici si organizzano inevitabilmente in un sistema la cui portata supera di molto la sola letteratura


così, tra i giorni di Petrarca e l'età di Erasmo, il classicismo formale e tematico che è nei fondamenti dell'umanesimo implicava di necessità un insieme di nozioni dell'uomo, della morale e della religione che Erasmo divulgò con il suo enorme talento e la sua implacabile tenacia, ma la cui paternità non può in alcun modo essergli riconosciuta


Erasmo sostiene che non si deve definir profano nulla che contenga dottrina di pietà e utile ai buoni costumi: alla Sacra Scrittura compete un posto di assoluto rilievo; tuttavia tra le altre talvolta si trovano cose che dissero gli antichi o scrissero i gentili, non esclusi i poeti, tanto pure e sante e divine (i pagani)

E

per contro, leggendo gli autori recenti (i dottori della teologia scolastica), si vede che non sentono ciò che scrivono


Erasmo non fa che raccogliere ed enfatizzare, conforme ai tempi e alla sua sensibilità, alcuni principi che appartengono al patrimonio costitutivo degli studi umanistici (Petrarca, in particolare, sostiene le stesse tesi di Erasmo)


Si sostiene che molti autori classici avrebbero abbracciato, se avessero potuto, il Cristianesimo.

Non fu necessario aspettare Erasmo: il processo di beatificazione di molti autori classici ebbe inizio nello stesso istante in cui il primo umanista, fosse Petrarca o uno sconosciuto, decise di dedicarsi anima e corpo all'esplorazione dell'Antichità.


Nell'Europa di Erasmo come di Petrarca, una dedizione totale non dirò ai temi, ma finanche alle forme del mondo pagano non poteva darsi senza una sincera giustificazione dal punto di vista religioso.


Che nei classici si trovassero continuamente affermazioni inaccettabili per un cristiano, atti disonesti e carnali scritture, era ovvio


tuttavia, se bisognava continuare a studiarli, si imponeva di neutralizzare in qualche modo tale evidenza:

un rimedio molto praticato fu quello di decifrare quei testi secondo i dettati dell'allegoria, attribuendo loro quel significato che risultasse più congruo alle intenzioni dell'interprete

ma la soluzione più sensata e meglio riuscita fu di sorvolare per quanto possibile sugli elementi più a rischio dei testi antichi, e viceversa enfatizzare i contenuti positivi


gli umanisti si abituarono

non solo ad esercitare in larga misura la tolleranza verso idee e comportamenti che teoricamente non avrebbero potuto accettare

ma anche a ricercare delle costanti etiche che, in ultima istanza, unissero gli uomini, cristiani e gentili, al di sopra dei tempi e delle frontiere


ragionando e procedendo in questo modo, era inevitabile che tutta una zona della realtà cristiana rimanesse relegata in una discreta penombra


il prurito professionale dell'umanista lo spingeva ad enfatizzare le coincidenze con la morale dei classici, a costo di attenuare, deformare o nascondere le differenze più apertamente o, in certi casi, più superficialmente religiose


Nessun problema quando si trattava di universali etici:

nessuna scuola antica, nessuna scuola filosofica aveva mai insegnato che il denaro dà la felicità

gli stoici sostengono che solo il buono è saggio

Socrate esortava a non restituire le offese

Epicuro proclamava che mai sarà felice colui che non abbia la coscienza tranquilla, ..

E

Ma la questione si ingigantiva fino a divenire insolubile quando si trattava di:

sacramenti

dogmi esclusivi del credo

liturgia

precetti ecclesiastici

pratiche di devozione, ..

(si doveva necessariamente lasciar da parte o sfiorare appena tali aspetti)


molti li tralasciarono con tanta maggior decisione in quanto il nuovo senso della storia rendeva evidente che era proprio in quegli ambiti che il cattolicesimo si era allontanato dalla limpida semplicità del Vangelo


comunque sia, anche quando non prendeva la forma della denuncia e della polemica

si doveva lasciare nell'ombra e guardare con scarso entusiasmo tutto un aspetto del cristianesimo, profondamente radicato nella tradizione



e per ciò stesso si doveva privilegiare una religiosità focalizzata sull'uomo interiore, ribelle a istituzioni e legalismi, sobria nelle sue manifestazioni più specificamente confessionali e molto attenta invece ai comportamenti etici


Religiosità di Erasmo 4 aspetti:

ritorno alle fonti del cristianesimo

esortazione alla lettura della Bibbia per tutti i cristiani e in lingua volgare

superiorità del cristianesimo interiore sulle esteriorità e sulle cerimonie

preminenza della preghiera mentale su quella recitata

Nuovo genere di fedeli che non si chiude in cerimoniali e rituali, ma che adora piuttosto Gesù nel cuore e con il comportamento.


O potremmo parlare semplicemente di culto nello spirito.


Il nucleo della religiosità erasmiana è insieme il nucleo della religiosità caratteristica degli umanisti


Ancora Petrarca sottolinea che il pentimento di un uomo, di fronte alla morte, è uguale per tutti, anche per chi non è cristiano; sebbene solo il cristiano conosca a chi e in quale modo ci si debba confessare, l'esame di se stesso è cosa comune a tutti gli esseri ragionevoli.


Il De remediis è la grande opera degli anni della maturità dove Petrarca volle riunire tutto il tesoro morale dell'antichità, affinché il lettore lo potesse avere sempre sotto mano traendone un insegnamento in vita qui solo eccezionalmente vi viene trattato qualche articolo della fede o qualche sacramento religioso


nel redigere il libro che per più di un aspetto riassumeva tutta la sua attività intellettuale, il religiosissimo Petrarca

lasciava deliberatamente da parte tutto quanto avesse a che fare con la fede e coi cerimoniali, della massima importanza per un cristiano

e si atteneva a quelle questioni di etica su cui i classici permettevano di far luce con l'ausilio della sapienza, fornita dalla sola natura, la comune sapienza dell'uomo

E

ma per il Petrarca filosofo la parola di Dio risuona per ogni dove, proprio per mostrare che la filosofia terrena degli antichi è rinforzata dalla filosofia celeste della salvazione


Petrarca

si concentra sulla virtù e le sue pertinenze

coprendo con un silenzio prudente i dogmi o le liturgie inequivocabilmente confessionali

la tattica di attenersi strettamente al terreno in cui la concordia tra classici e cristiani era più praticabile e la battaglia poteva vincersi con minore sforzo


Lo spostamento della prospettiva portava subito

ad avvertire più nitidamente gli ovvi eccessi del cattolicesimo medievale

e a privilegiare una religiosità più orientata verso la sincerità dell'intima adesione, verso la solida testimonianza, nella condotta, nelle opere, di un autentico spirito di carità


Tra il 300 ed il 500 molta acqua (nuovi testi, strumenti, inquietudini, realtà) era passata sotto i ponti; ma le fortune del De remediis e le fortune della filosofia di Cristo potevano andare per mano, perché in sostanza Erasmo era tutto dentro Petrarca.


X.     Finale.


Mai più dopo Erasmo un progetto paragonabile al suo avrebbe avuto altrettante ripercussioni: mai più la speranza di dare una risposta globale ai problemi del mondo contemporaneo avrebbe mosso ancora tante volontà, rinnovando profondamente la società e le coscienze, grazie ad un programma ispirato agli studi umanistici.


Forse nulla esprime le ambizioni dell'umanesimo meglio dell'immensità del progetto erasmiano, nulla meglio dei destini di questa illusione mostra in modo più palpabile le sue debolezze:

a breve termine, gli ideali di tolleranza, concordia e fraternità attiva predicati dall'olandese ebbero la peggio sui campi di battaglia, nelle cancellerie, in concili e conciliaboli dai segni più diversi

a lungo termine, le costanti etiche da lui perseguite come terreno di incontro fra tutti gli uomini si coniugavano con quello spirito cristiano che il secolo dei lumi si sarebbe ripromesso di estinguere, affermando precisamente che la morale non è nella superstizione, non è nelle cerimonie, la morale è la stessa presso tutti gli uomini che fanno uso della loro ragione: il laicismo strategico, strumentale, degli umanisti diveniva valore autonomo negli illuministi, la Ragione prendeva il posto di Cristo


E in particolare, gli umanisti non riuscirono mai a risolvere completamente la tensione

fra autorità ed esperienze

tra fedeltà al passato e coinvolgimento nel presente


Erasmo, al pari di Petrarca e di tanti altri, troppe volte piegò l'interpretazione dei testi classici alla convenienza di confermarli come modelli di etica e persino di teologia.


Sfuggì loro il genere originale della modernità, e fu così che il romanzo e quasi tutta la grande letteratura d'arte vennero prodotti in volgare.


L'ambiguità incombe sull'intera parabola dell'umanesimo.


Nella prima metà del 500 si scopre una cultura sostanzialmente diversa da quella che dominava la scena 100 anni prima, quando Valla si dedicava alle Elegantie

E

in tutti i campi della cultura così come della vita, le realtà più degne di nota, quelle che indicano le direzioni più originali, rivelano tuttavia un debito decisivo nei confronti degli studi umanistici

E

tuttavia, questo panorama così ricco di novità

non solo è ben lontano dal rappresentare una realizzazione soddisfacente del sogno dell'umanesimo

ma per più di un verso potè darsi solo a costo di rinunciarvi, a costo di svegliarsi



Per disporre di un comodo punto di riferimento, torniamo per un istante ai giorni delle Castigationes Plinianae:

Ermolao Barbaro era convinto che Plinio non si fosse sbagliato se non in rarissimi casi e che gli errori che si riscontravano nella Naturalis historia fossero proprio quelle sviste di copista che egli si proponeva di sanare

nello stesso momento, Niccolò Leoniceno, professore di medicina, sosteneva invece che le inesattezze dell'autore latino erano così numerose da poter riempire un intero poderoso volume; ed erano così gravi da mettere a rischio la salute e la vita degli uomini


Entrambi avevano la loro parte di ragione

il filologo dovette riconoscere al medico più volte di quante avrebbe desiderato

e il medico non potè non rivelare come gli interventi del filologo fossero riusciti a restaurare passi da lui considerati radicalmente falsi


entrambi gli atteggiamenti sono eredi del sogno dell'umanesimo e nessuno dei 2 riesce a realizzarlo

l'atto di fede di Barbaro nel collocare l'autore classico al di sopra dell'errore rispondeva in definitiva all'originario modo di essere del movimento, comprensibile in uno stadio nel quale il solo fatto di leggere correttamente i classici significava aggiungere dati preziosissimi alla comprensione e alla conquista della realtà: depurare il testo della Naturalis historia era allora senza dubbio capire meglio e sapere di più sulla natura. Senza questa fede in linea di principio cieca, tutto il resto non sarebbe stato possibile

ma senza la rottura con Plinio presupposta dall'atteggiamento di Leoniceno neanche si poteva ormai aspirare sensatamente all'obiettivo che gli umanisti si attendevano da Plinio, l'ideale cioè di una nuova civiltà che li aveva esortati alla ricerca, al commento e alla diffusione dei libri dell'antichità


Il filone grecolatino aveva dei limiti

chi avesse limitato il proprio interesse a Plinio era padrone di passare la vita su questo o quel brano di ardua interpretazione, senza sperare di andare molto oltre

ma chi si fosse interessato alla materia trattata da Plinio, una volta fatte proprie le grandi lezioni della Naturalis historia si sarebbe ben presto trovato a dover battere altre strade


Fu Pandolfo Collenuccio che insistette sul fatto che le questioni in discussione più che con l'ausilio di autorità e dizionari greci, dovevano essere affrontate perlustrando campi e boschi, mediante l'osservazione e l'esperienza diretta

Lo spostamento d'accento, dalla Naturalis historia alla storia naturale, costituisce un chiaro annuncio del fatto che i nuovi orientamenti intellettuali, proprio negli ambiti destinati a trasformare in profondità l'immagine e la realtà del mondo

non solo non sarebbero stati più incubati nel grembo degli studi umanistici, com'era accaduto in una misura rilevante per più di un secolo

ma si sarebbero configurati in buona parte come un vero e proprio atto di ribellione contro di essi


giacchè il minimo comune denominatore di questi nuovi orientamenti risiede nel rifiuto dell'idea, centrale nell'umanesimo, che le antiche lettere siano il fondamento di ogni scienza e che ai maestri classici competa di indicare la via maestra per ogni sapienza


Ovviamente persino coloro che sostennero questo rifiuto continuarono a giovarsi del ritrovamento di opere greche prima ignorate; i filologi classici continuarono a offrire il loro contributo in un pluralità di campi, muovendo dalla loro specifica competenza.


Gli echi dei poeti, degli storici, dei filosofi della Grecia e di Roma continuarono sempre ad avvertirsi un po' dappertutto.


D tuttavia, per quanto incredibilmente copiosi fossero questi echi, si trattava di fatti dispersi, occasionali, estemporanei: la persistenza di molti elementi della tradizione classica non può essere interpretata come persistenza dell'umanesimo, e meno ancora dell'umanesimo quale paradigma di tutta la cultura


Insieme con il tramonto della filosofia di Cristo modellata sull'eloquenza, lo stesso Erasmo giunse a vedere come gli studi umanistici andassero progressivamente

perdendo quella funzione di avanguardia che avevano avuto per tanto tempo nella battaglia della conoscenza

e cessando di essere quella stella polare che avrebbe dovuto condurre alla nascita di un mondo più ricco e più bello


In quanto filologia, non erano ormai che una disciplina tra le altre; nella scuola, da nucleo centrale che erano stati, passavano a semplice ornamento; accanendosi sulla letteratura e sull'arte, le trascinavano verso il baratro dell'accademismo, ..


Non si può parlare di sconfitta, giacchè a determinare questa situazione erano stati proprio gli studi umanistici: la grandezza dell'umanesimo consiste precisamente nell'aver aperto un tale numero di strade, che a partire da un certo momento si trovò nell'impossibilità di percorrerle da solo, con gli strumenti che gli erano propri, e fu costretto a cedere il passo ad altri.


Per i nuovi esploratori, superare l'umanesimo implicava di necessità rivoltarsi contro l'umanesimo


la loro critica verso gli umanisti è che essi hanno iniziato a ricercare più le parole che la questione (non erano questi i propositi che avevano originato il movimento, anche se lì si erano frequentemente impantanati la routine dei professori e gli sfizi degli snob)

E

ma il pensiero di molti di questi nuovi esploratori non sarebbe stato possibile senza avere alle spalle tutti gli apporti degli studi umanistici


Le accuse dei padri della nuova epistemologia (conoscenza scientifica), se prese punto per punto e alla lettera, raramente sono sostenibili

E

erronee se considerate una per una, risultano viceversa valide nel loro complesso, giacchè in gioco non vi erano gli innumerevoli esiti ottenuti dagli umanisti, quanto piuttosto la convenienza di abbandonare i classici e la filologia o l'eloquenza in quanto punto di partenza e strada maestra della ricerca


i frutti continuavano ad essere fragranti, ma le radici dell'umanesimo apparivano ai pionieri della modernità come irrimediabilmente inaridite



XI.   Laudes litterarum (elogi degli studi letterari): Umanesimo e dignità dell'uomo nella Spagna del Rinascimento.


All'inizio del 500, Juan de Brocar inaugurava il corso accademico pronunciando un'esortazione alla grammatica, alla presenza del corpo docenti e degli studenti dell'Università


era antica abitudine europea aprire l'anno scolastico con una prolusio (prolusione = discorso che serve da introduzione ad un corso di lezioni universitarie) in lode delle arti liberali e delle altre discipline insegnate nell'Università


Nel Rinascimento ebbero particolare rilievo le letture o discorsi preliminari alla trattazione specifica di una materia o di un testo.


Presentazioni e letture preliminari tendevano a strutturarsi in forma di divisioni della filosofia:

le prime, attenendosi in buona misura all'organizzazione dei cicli e delle facoltà universitarie

le seconde, illustrando la posizione del tema o dell'opera all'interno dell'insieme del sapere


Brocar combina chiaramente questi 2 schemi, senza insistere eccessivamente sull'elogio globale delle scienze, ma neanche eludendolo, in vista di uno scopo molteplice, perfettamente stabilito: discutere sul valore della grammatica e sulle altre discipline in quanto inseparabilmente unite alla grammatica, per mostrare, alla fine, l'errore di coloro che non tengono nella debita stima l'una e tentano di progredire nelle altre.


Secondo Brocar, la grammatica (deposito delle 3 lingue della Chiesa: ebrea, greca e latina) è essenziale tanto per coloro che studiano le cose divine quanto per coloro che si occupano delle arti liberali.


Se questa venisse a mancare, verrebbero a mancare tutte le conoscenze che migliorano la nostra vita e si spegnerebbe lo splendore delle lettere sacre che ci insegnano la religione; senza la grammatica:

è impossibile capire la Bibbia, piena di allusioni e nomi, la cui comprensione esige esperienza varia e lettura universale dei classici

risultano incomprensibili sia le scienze che conducono all'azione sia quelle che sfociano nella contemplazione


Brocar presenta un repertorio impressionante di casi in cui l'ignoranza della grammatica è stata fonte di errore per medici, giuristi, teologi, incapaci di interpretare correttamente le diverse opere.


Nessuna disciplina della vita umana è più giusta della grammatica, nessuna più adatta all'uomo.


Per ottenere la vittoria degli Spagnoli anche nel campo del sapere, il precetto di Brocar è inequivocabile: partendo dalla grammatica, bisogna unire sapienza ed eloquenza, leggere poeti, storici e drammaturghi: coltivare, insomma, la lingua latina, strada maestra per tutte le arti e tutte le scienze.


L'Oratio di Brocar consiste fondamentalmente in un mosaico di citazioni e reminiscenze tacite di Nebrija; Nebrija qui vi appare come il modello eccelso del grammatico.


Nell'Oratio si rievoca il percorso di Nebrija:

lotta che egli sostenne contro le barbarie

momento della piena maturità, descritto dallo stesso Nebrija come un'invasione nel dominio di altri saperi, senza abbandonare la prospettiva propria del filologo

compilazione di una serie di vocabolari dedicati all'esplicazione o al commento di testi di diritto, di medicina e della Sacra Scrittura


Immagine della grammatica come chiave di tutte le discipline.


Programma che intronizzava la grammatica nel cuore della nuova cultura spagnola.


Propulsio che Valla pronunciò il giorno dell'inaugurazione del corso accademico alla metà del 400, a Roma, per celebrare ancora da parte sua l'autorità del latino: la fortuna delle scienze è inseparabile dalla fortuna della lingua latina: se decade l'una, decadono le altre.

Non esiteremo a chiamare umanesimo il comune denominatore nel pensiero di Valla e Poliziano, Nebrija e Brocar, malgrado l'ovvia diversità dei contesti.


umanesimo è termine moderno e si presta ad utilizzazioni polemiche

umanista è termine che risale al 1500 circa, ma bastardo, volgare, caricato persino di un senso peggiorativo e perciò poco usato da quegli stessi cui veniva applicato correntemente tale appellativo


tuttavia, quanto meno per la Spagna di Nebrija e Brocar, possiamo applicare l'etichetta di umanesimo là dove troviamo una valutazione positiva degli studi umanistici, le lettere umanistiche o politiche, le arti, scienze o lettere di umanità, umane


un ideale che propone come fondamento di ogni educazione l'espressione corretta e la comprensione totale dei classici

un ideale incentrato sulle materie del trivio, come sono incarnate nei grandi scrittori grecolatini, e, muovendo da esse, si incammina, volendo, verso altri campi

l'ideale di una formazione letteraria che non si impedisce nessun orizzonte pratico e teorico


Porsi degli interrogativi sull'immagine dell'uomo, in generale, oppure, in concreto, della dignità dell'uomo nella tradizione umanistica per illuminare di una qualche luce sicura la tormentata questione della nozione dell'uomo propria degli studi umanistici, si è puntata l'attenzione su tutte le opere appartenenti allo stesso genere dell'Oratio di Brocar che la Spagna di Carlo V ci ha conservato: le prolusiones in lode delle discipline


Si definirà la dignità dell'uomo non in termini di natura, bensì di storia


una definizione che coniuga tradizione e innovazione, e proprio la somma di entrambe fissa nel Rinascimento il canone della dignità dell'uomo


è necessario andarne in cerca negli elogi degli studi letterari: infatti, per una definizione corretta dell'umanesimo vale la pena di interrogarsi sulla presenza della dignità dell'uomo in testi nei quali gli umanisti realizzano solennemente la propria condizione esponendo in pubblico un'immagine del sapere costruita sugli studi umanistici


sintesi dei principali punti di coincidenza tra gli elogi della dignità umana e le apologie della cultura che si nutre delle lettere umanistiche:


L'uomo è superiore agli animali grazie alla ragione, il cui strumento essenziale è la parola. Con la parola ci si impadronisce delle lettere e delle arti buone, che non costituiscono un fattore aggiuntivo, ma la sostanza stessa dell'umanità. L'umanità, pertanto, più che una qualità ricevuta passivamente, è una dottrina che bisogna conquistarsi. Di più: l'autentica libertà umana si esercita attraverso il linguaggio, attraverso le discipline, sia nella vita civile, sia nella contemplazione. Perché con questi strumenti l'uomo può dominare la terra, edificare la società, ottenere ogni conoscenza ed essere, così, tutte le cose (un microcosmo), realizzare davvero le possibilità divine assicurategli dal fatto di essere stato creato a somiglianza di Dio.


Tale schema teorico sottende l'insieme delle più rimarchevoli versioni della dignità dell'uomo; naturalmente ciascun autore sceglie alcuni aspetti piuttosto che altri.


Francisco Decio sostiene che gli elogi delle lettere erano necessari in altri tempi, di maggior rozzezza, quando gli uomini non avevano superato lo stadio di belva

E

tuttavia, se le lettere non richiedono più lode, chiedono però difesa di fronte a coloro che le disprezzano


tale è, dunque, il discorso di Decio:

un manifesto della cosa letteraria affermata

un'affermazione delle qualità della cultura basata sulle lettere e delle esigenze che essa impone a professori, autorità e alunni


manifesto e affermazione che mirano ad elevare la Spagna all'altezza di altri paesi e si forgiano di fronte all'indifferenza di un ambiente poco ricettivo


una dichiarazione non bastava, e un paio d'anni dopo Decio dovette esprimersi con più energia e meno riguardi in un altro discorso inaugurale qui i nemici delle lettere acquistano voce e nitida presenza:

sono coloro che gestiscono il potere a Valencia, e non vogliono che i giovani aristocratici si istruiscano nelle buone lettere

sono i cavallieri, che al ginnasio letterario preferiscono la scuola del torneo e persino il bordello


tali atteggiamenti vengono attaccati in nome della natura dell'uomo, alla cui essenza spetta di perseguire il perfezionamento che le lettere procurano


Se il cavaliere ostenta di possedere tutto ciò che desidera, Decio proclama che nulla si possiede quando non si possiedono le lettere, mentre con esse si possiede tutto.


L'argomentazione di Decio ripete fedelmente uno dei motivi più notevoli della dignità dell'uomo: l'onnipresenza e l'onnipotenza dell'intelligenza (qualità celebrate continuamente nella letteratura del 400 e del 500).


Decio non consiglia al cavaliere qualsiasi tipo di studi letterari, ma solo quelli che insegnano in modo pacifico e rivolto all'umanità: questi infatti, insieme alla ragione e alle leggi, sono il fondamento della repubblica.


Juan Pérez traccia l'ideale di una città dello studio, una civiltà letteraria organizzata ad immagine e somiglianza di una repubblica ben costituita; e la base di tale meditazione bifronte è data dalla peculiare condizione dell'uomo.


La felicità dell'uomo consiste precisamente nel realizzare i dettami della sua peculiare natura: vale a dire, esercitare e perfezionare la ragione, che lo pone al di sopra delle altre creature, per dedicarsi, così, alla pratica della virtù e alla contemplazione delle realtà più sublimi.


La dignità e l'eccellenza dell'uomo si riassume in un doppio impulso ad agire e a comprendere.


Grazie a questo impulso nascono le discipline.


Così, avanzando per questa strada, l'anima si eleva per giungere fino a Dio, artefice e fondatore del mondo.


L'enfasi sulla dimensione teologica della cultura si comprende bene nella Spagna della prima metà del 500 non invano Pérez ricorda (mirando alla concordia, ma senza facili compromessi) le dispute che agitano l'università:

gli attacchi contro gli umanisti, sospettati di eresia

e, in compenso, le accuse contro i teologi moderni nel nome della dialettica classica

E

non dobbiamo però attribuire a semplici motivi di circostanza questa insistenza sulla trascendenza etica e religiosa del sapere


questo atteggiamento tradizionale si attiene al canone più stretto della dignità dell'uomo


Anche Juan Maldonato lamentava di sentirsi obbligato a proteggere le lettere da attacchi, piuttosto che elogiarle direttamente; la sua Oratiuncula è incentrata su 2 punti:

la cecità degli uomini prima dell'invenzione delle lettere e delle arti liberali

e, viceversa, la luce che in seguito brillò nel mondo


Nell'età primitiva, egli racconta, gli uomini vivevano come fiere, senza pensiero religioso, senza diritto

E

tuttavia, alcuni mitizzano quei tempi bestiali e affermano che i mortali non hanno mai commesso meno errori che prima della proclamazione delle leggi e l'invenzione delle discipline

E

contro questi ottimismi illusi, Maldonato allega una prova tratta dalla storia contemporanea (insieme ad altre spigolate dall'Antichità): per punizione, la natura li aveva privati di animali da carico e da lavoro, tenendoli esposti alle fauci delle terribili fiere che lì abitavano


è un fatto costante e universale: dove sono mancate le leggi e le lettere, gli uomini sono stati selvaggi e totalmente privi della vera condizione umana


Ma per misurare il grande valore delle lettere e delle discipline annesse, è sufficiente far notare che nelle Indie da poco scoperte vi sono ora quasi più cristiani che in Europa e alcuni persino si sono consacrati alle dottrine e alle arti


prova stringente, ritiene Maldonato, del fatto che gli aborigeni non erano privi di ingegno, ma di cultura, non di volontà di apprendere e prontezza di sipirito, ma di precettori e maestri


Vivere senza le discipline equivale a non essere più uomo


perché le lettere non si limitano semplicemente ad ornare, affinare, dar lustro, né solo a farci distinguere dalle fiere, ma soprattutto costituiscono la vera pietra di paragone dell'essere uomini


Francisco Decio sottolinea che, prima di tutto, l'uomo è l'unico tra gli esseri viventi formato a immagine di Dio, per comprendere, desiderare, discernere, prevedere, ragionare

E

gli altri animali sono soggetti in perpetuo al dominio di una determinata natura

E

l'uomo invece, con il giudizio e la ragione, può scegliere il suo cammino, abbandonarlo in cambio di un altro, retrocedere: può variare, insomma


all'uomo, la Provvidenza, concesse la ragione e la parola: e con queste ricevette allo stesso tempo tutte le doti degli altri animali è giusto, quindi, considerarlo un mondo in piccolo


Antichissima nozione che il Rinascimento accolse con entusiamo nelle apologie della dignità dell'uomo: la nozione dell'uomo microcosmo e immagine di Dio.


L'uomo, con la ragione virtuosamente esercitata, domina la terra; e, poiché la mente è immagine di Dio, anche con la mente si approssima al Fattore.


quanta più luce apporterà all'intelletto grazie alle lettere e alla conoscenza, tanto più si farà simile al Signore

quanto più adornerà il linguaggio, tanto più si distinguerà dalle fiere


in tal modo diverrà effettivamente più uomo


Se coltiviamo l'animo con le discipline, non solo il mondo sarà nostro, ma persino finiremo col diventare una sorta di divinità


è l'idea cardine della dignità dell'uomo, applicata all'elogio della grandezza degli studi umanistici, la dignità delle scienze


Idea dell'umanità

come tensione (allontanarsi dalla fiera, avvicinarsi alla dività)

come immenso repertorio di possibilità la cui realizzazione più alta si ottiene grazie alle discipline


Oratio di Lope Alonso de Herrera: è a prima vista non è un elogio, ma un'invettiva contro le lettere umane in favore delle lettere divine


Abbiamo verificato che l'umanità propria delle discipline viene regolarmente concepita come un modo di

allontanarsi dalla fiera

dominare la terra

avvicinarsi alla divinità

diventare quasi Dio

E

Herrera non esita a ribaltare la spiegazione


egli denuncia la barbarie a cui conducono le scienze

sostiene che le atroci dispute tra grammatici, retori, dialettici o filosofi dimostrano che i dotti stanno al di sotto delle bestie

afferma che la sapienza, con l'ambizione di essere divina, è in realtà priva di contenuto umano e vicina alle fiere


Herrera, capovolgendo gli elogi alle lettere, sovverte al tempo stesso i fondamenti della dignità dell'uomo


sperimentando ciò, si conferma la parentela e insieme il legame degli uni con le altre


così concreti sono i contatti tra gli elogi delle lettere e gli elogi dell'uomo, che invertire gli uni obbliga a modificare gli altri


Herrera non solo accetta così la portata convenzionale del sintagma studi umanistici:

di fatto, proprio nell'epistola introduttiva risulta chiaro che la prolusio che segue nasce precisamente da una frustrazione, dalla dolorosa coscienza che le parole d'ordine e le pratiche umanistiche vengono da fuori e non attecchiscono completamente in Spagna

ma l'opera nasce anche con una speranza: se non mancherà il sostegno, alla decadenza seguirà una felice rinascita letteraria


Nella cultura e particolarmente nella scuola degli umanisti furono comuni le discussioni doppie, pro e contro.


Herrera, nel grosso dell'Oratio, sviluppa l'attacco contro le lettere in quanto punto di vista negativo possibile dell'argomento ciononostante, la visione negativa contiene e suppone la visione positiva


In verità, si dovrebbe avere una pessima conoscenza dell'epoca per non accorgersi che gli attacchi univoci contro le lettere non si facevano né potevano farsi con il latino curatissimo e ornato, con la stupenda eleganza artistica di Herrera; o che la dialettica di Lope Alonso fa parte del genere retorico destinato a commuovere: dialettica morale e non formale, contrapposta all'arido sillogizzare che allora praticavano in Spagna gli autentici nemici degli studi umanistici


Quando, con stile umanistico per lingua e pensiero, Herrera fustiga le lettere, le sta in realtà coltivando (e sta esercitando un rivoluzionario metodo filosofico).


Le lettere sono la porta indispensabile per ogni conoscenza di qualche importanza, sono gli strumenti per costruire una cultura piena, che non si può ottenere con altri mezzi.


Nebrija e Brocar partono dalla grammatica per elevarsi fino ad una comprensione totale della Bibbia

Pérez si solleva dall'eloquenza al sommo bene

Decio, attraverso le discipline del linguaggio, ci conduce alla divinità

Herrera gioca alla variazione della tradizione: sottostima il principio, per esaltare la meta (e nel processo deve ridefinire le ragioni della dignità umana)


Un umanesimo definito da un nucleo con entità propria (il trivio e gli autori, diciamo), ma pronto a crescere e ad invadere qualsiasi dominio, ad offrirsi come metodo di accesso a qualsiasi sapere.


Si tratta di un panorama complesso, con abbondanti sfumature di pro e contro, e in larga misura ancora non esplorato.


Nel progredire della ricerca, bisognerà delineare un paradigma dell'umanesimo spagnolo molto più ampio (e problematico): credo, tuttavia, che in questo paradigma di più vasta portata si manterranno come elemento considerevole i punti di contatto tra le lodi delle lettere e le idee-chiave della dignità dell'uomo.


UMANESIMO: 300-500

(in particolare, a Padova,

a cavallo tra il 200 e il 300)    VS MEDIOEVO (SCOLASTICA)


RINASCIMENTO: metà 400-500


importanza degli studi umanistici e dell'ELOQUENZA



Europa feudale del medioevo età dei comuni (200) epoca dei signori e dei re (Rinascimento)


durante l'UMAMESIMO, in ITALIA, Alfonso il Magnanimo



Cola di Rienzo (colpo di stato della metà del 300)

Guarino Veronese (insegnante a Ferrara a metà del 400)

Poggio Bracciolini (importanza della personalità distintiva di ogni autore classico; VS Valla)

Niccolò Niccoli (modello del bon ton dell'umanesimo nella vita)



PETRARCA (Africa; De remediis; De viris illustribus)

Coluccio Salutati

Leonardo Bruni

Leon Battista Alberti (arte e architettura: De pictura; De re aedificatoria)

LORENZO VALLA (Elegantie)

Giannozzo Manetti

Antonio de Nebrija (genovese in Spagna; Isagogicon cosmographiae)



FINE 400: si perde a mano a mano quell'impulso a uscire dal guscio della filologia, quella volontà di conquistare il mondo


FINE 400 e INIZIO 500, in ITALIA: specializzazione

Poliziano (Miscellanea)

Ermolao Barbaro (Castigationes; Corollarium)


FINE 300 e soprattutto prima metà del 500: diffusione in EUROPA

Budé

ERASMO (da Rotterdam) (sacre scritture)  più sguardo all'attualità, più vocazione civica

Juan Luis Vives



Pandolfo Collenuccio (FINE DELL'UMANESIMO: no studio degli autori antichi, ma dell'esperienza diretta)




Juan de Brocar (importanza della grammatica)

Francisco Decio    Spagna del Rinascimento (soprattutto prima metà

Juan Pérez   del 500) con Carlo V

Juan Maldonato discorsi nelle università

Lope Alonso de Herrera (ragionamento inverso)






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