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GIOVANNI VERGA (1840-1922)

letteratura italiana



GIOVANNI VERGA




IL VERISMO: PENSIERO E POETICA DI VERGA


Quando si parla di verismo il riferimento a Verga è d'obbligo, la cui prima novella verista (Rosso Malpelo) risale al 1878; il suo primo capolavoro "I malavoglia" non ha invece per niente successo perché non viene capito. Le opere nelle quali Verga espone la sua poetica sono la Prefazione a L'amante di Gramigna e la Lettera a Farina.

Luigi Capuana, il teorico di Verga, scrive le sue r 626e44g iflessioni ispirandosi ai romanzi di quest'ultimo. Egli rifiuta l'uso sperimentale della letteratura: Positivismo, Naturalismo, Realismo gli vanno bene, a patto che influenzino il romanzo nella forma; infatti la scientificità dei fatti come metodo di scrittura deve servire per la forma. Secondo Capuana l'autore deve inoltre scomparire ed eclissarsi da quello che scrive, senza far influire né sentire il suo pensiero, e deve fare in modo che gli eventi si facciano da sé.



In Rosso Malpelo il narratore è infatti esterno e non è onnisciente né interviene, diversamente dal Manzoni dei Promessi sposi, il quale fa sempre sapere al lettore il suo personale punto di vista sui fatti narrati. Obiettivo fondamentale del verismo è infatti quello di ricorrere all'uso di un narratore esterno e onnisciente che racconti una storia in cui non è personalmente coinvolto e che si limiti perciò a seguire l'evolversi della vicenda.

Secondo Capuana la scientificità si traduce inoltre nella perfetta impersonalità (quindi con l'assenza di giudizi personali e commenti in prima persona, senza cioè alcuna intromissione da parte dell'autore: l'artista non deve rivelarsi nella propria opera), nella forma e non nel contenuto; l'impersonalità serve a riprodurre fedelmente la realtà astenendosi da indagini psicologiche e da interventi dell'autore. La scientificità deve inoltre riferire un fatto com'è avvenuto e riportarlo al lettore così com'è in modo che questo veda svolgersi i fatti come se si svolgessero proprio davanti ai suoi occhi. Essa implica quindi non ammette descrizioni dei personaggi e dell'ambiente, perché il lettore impara a conoscerli e a scoprirli con il solo svolgersi della vicenda. L'autore perciò regredisce a livello dei personaggi, operando la cosiddetta regressione, si eclissa cioè dietro le voci dei suoi stessi personaggi.

Verga comincia a utilizzare questa tecnica solamente dal '78 in poi, a partire da Rosso Malpelo e dalla prima novella in cui utilizza la tecnica della regressione, la quale comporta anche lo straniamento. Lo straniamento comporta un punto di vista ribaltato rispetto a ciò che sarebbe normale e lecito pensare. Ad esempio in Rosso Malpelo gli operai della cava reputano anormale il comportamento di Malpelo, atteggiamento che per lui è invece del tutto normale. Gli stessi operai affermano che Malpelo tiranneggia Ranocchio, anche se Malpelo lo fa solo perché gli vuole bene è ha già capito che la vita è una lotta continua. In questo senso, quindi, quello che è bene finisce per essere e sembrare male.

Nella Prefazione al Ciclo dei vinti, dalla quale si apprende l'ideologia verghiana, Verga afferma che l'autore non deve intervenire perché non ha il diritto di giudicare. La vita è una dura lotta per la sopravvivenza e quindi per la sopraffazione, un meccanismo crudele che schiaccia i deboli e permette ai forti di vincere: è questa la legge della natura - la legge del diritto del più forte - che nessuno può modificare perché non ci sono alternative. In questo senso l'autore non ha quindi il diritto di giudicare né criticare gli eventi perché il cambiamento non è comunque possibile: tanto vale lasciare che le cose vadano come devono naturalmente andare. Questa è la legge della natura - che già Darwin aveva intuito e formulato nella legge della selezione naturale e che il darwinismo sociale aveva fatto propria - e non ci sono alternative. L'autore deve solo limitarsi a fotografare la realtà, descrivendo i meccanismi che ne stanno a fondamento: la posizione verghiana è pertanto diversa da quella di Zolà, non c'è denuncia ma solo constatazione nuda e cruda della realtà così com'è. E' questa inoltre la concezione pessimistica di Verga circa la condizione umana nel mondo.

Il verismo autentico si attua perciò solamente nella forma. La letteratura ha la funzione di studiare ciò che è dato e di fotografare quindi la realtà. Verga non è però indifferente ai problemi del suo tempo - in quanto conservatore, galantuomo del Sud e non socialista -, ma il suo linguaggio lucido e disincantato lo porta ad esporre la realtà denunciandone la crudeltà senza mitizzazioni: non c'è pietismo ma solo osservazione lucida del vero. Col verismo si hanno quindi nuove esperienze animate dall'interesse per le realtà regionali e, in questo specifico caso, per le tematiche siciliane e rurali.

E' quindi possibile fare un confronto fra Verga e Zolà.

Verga

Zolà


Usa la regressione e l'impersonalità, con le quali non si avverte la presenza dell'autore nello svolgersi della vicenda.

Nei suoi scritti si vede la differenza fra autore e materia trattata: Zolà non evita i commenti.

Funzione della letteratura

La letteratura è per Verga come una macchina in grado di fotografare la realtà.

La funzione della letteratura è, per Zolà, trovare le leggi dell'agire umano per migliorare l'andamento della politica e della società.



Tecnica

La sua tecnica è quindi l'impersonalità e la regressione.

Quello di Zolà è un "verismo non disincantato", ovvero il naturalismo.

Origini e mentalità

Verga è un proprietario terriero del Sud che ha una visione conservatrice, infatti il Sud è ancora arretrato e con una mentalità statica e fatalista. "Fotografa" quindi una società che è ben diversa da quella in cui vive Zolà.

Zolà è un borghese e scrive per la borghesia, una classe dinamica che cambia nel tempo. Concepisce quindi il mondo come cambiamento e progressivo sviluppo ed ha una mentalità più aperta.

Non crede nel cambiamento e non si affida a idee progressiste.

Crede nel cambiamento.

E' verista.

E' naturalista

Non esistono scrittori accostabili in tutto e per tutto a Verga, ad eccezione di Capuana - che però, come abbiamo visto, è solamente un teorico -, Matilde Serao, il primo D'Annunzio, Paolo Valera e Fucini. Questi ultimi quattro sono però degli scrittori realisti, che impostano cioè le loro novelle in ambienti umili e non attuano la regressione; il loro è comunque un carattere regionale.



VITA, NOVELLE E OPERE MINORI


I FASE (1840-1865)

Giovanni Verga nasce nel 1840 a Catania in una famiglia agiata di proprietari terrieri. Giovanni viene seguito fin dall'infanzia da maestri privati come Antonio Abate, patriota e romantico, dalle cui idee viene influenzato nella scrittura del romanzo Amore e patria. I suoi studi più maturi non sono però più molto regolari: si iscrive inizialmente alla facoltà di legge per poi abbandonarla.

Legge romanzi francesi avvincenti e di facile consumo piuttosto che la letteratura classica. Scrive le sue prime opere giovanili come il romanzo I carbonari della montagna e Amore e patria.

Esce da Catania.


II FASE (1865-1872)

Si trasferisce a Firenze, nella quale soggiornerà fino al 1872. Il soggiorno fiorentino lo aiuta a sprovincializzarsi e a venire a contatto con i letterati fiorentini; la sua mentalità si apre alla modernità.

In questo periodo pubblica:



- La peccatrice, un romanzo abbastanza autobiografico che parla di un intellettuale che esce da Catania e incontra una donna, una femme fatale, dalla quale si sente stregato e che lo porta al suicidio;

- Storia di una capinera, altro romanzo.


III FASE (1872-1878)

Da Firenze si trasferisce a Milano ed entra in contatto con gli scapigliati, i quali lo introducono alla conoscenza di Zolà e dei realisti francesi.

Scrive:

- Eva, la storia di un pittore siciliano che arriva a Firenze (allora capitale d'Italia) e incontra una ballerina della quale si innamora, bruciando tutti i suoi ideali; in questo romanzo risalta il contrasto fra l'intellettuale e la società materialista che lo deprava e che non lo capisce;

- Eros, che parla del progressivo inaridimento di un giovane aristocratico;

- Tigre reale, che presenta una trama simile a quella di Eros.


IV FASE: LA SVOLTA VERISTA (1878-1893)

E' questo il periodo in cui scrive:

- Rosso Malpelo, la novella che determina la svolta in senso verista dell'autore, nella quale Verga attua per la prima volta la tecnica dello straniamento e dell'impersonalità: il narratore si eclissa e scende così a livello dei personaggi. Verga ha finalmente trovato il mezzo espressivo per poter descrivere le cose come stanno senza dover per forza intervenire;

- Nedda, che è scritta però nel '74. Alcuni ritengono questa la prima novella verista ma non è vero: in essa Verga fa solo un cambiamento di contenuto, nel senso che parla finalmente dell'ambiente del Sud e del popolo; in questa novella sono infatti presenti i giudizi dell'autore e anche un po' di pietismo e la forma rimane ancora melodrammatica;  

- Fantasticheria, che si configura come una lettera scritta a un signore;

- La cavalleria rusticana;

- L'amante di Gramigna;

- altre opere.

Verga non cambia improvvisamente modo di scrivere; egli si libera invece pian piano dell'impostazione romantica ricercando il vero autentico, come era sempre stato nelle sue intenzioni. Prima però gli mancavano i mezzi per attuare questo suo proponimento: ora è la forma il suo mezzo espressivo, che ritrova esaminando attentamente l'ambiente della sua terra, ovvero la Sicilia. Verga ha finalmente fatto chiarezza nel suo pensiero e ha acquisito gli strumenti formali per raccontare questa verità. La maggior influenza su questo cambiamento espressivo la ha avuta dalla lettura, in particolare, di Asson noir di Zolà, nella quale l'autore descrive gli aspetti più bassi della società parigina.


V FASE (1893-1922)

V. "L'ultima fase".



IL CICLO DEI VINTI


Verga matura l'idea di scrivere un ciclo di romanzi in una lettera (del 1878) al Conte Paolaverdura, romanzi nei quali vuole trattare della lotta per la vita, non dei vincitori ma dei vinti, ovvero partendo dalle classi più basse. Con questi scritti (chiamati significativamente Ciclo dei vinti) Verga, come Zolà, vuole delineare un quadro della vita moderna. Questi romanzi, nelle sue idee, dovevano essere:

- I Malavoglia;

- Mastro-don Gesualdo;

- La duchessa di Leira;

- L'onorevole Scipioni;

- L'uomo di lusso.

Gli ultimi tre, però, non li comincia neanche.


I MALAVOGLIA

E' la storia di una famiglia toscana che vive in un mondo di pescatori e agricoltori, soprannominata appunto "Malavoglia", chiusa secondo ritmi stagionali in un ambiente statico e finito, che segue una saggezza antica fatta di proverbi e di tradizioni. Nel 1873 irrompe in questo piccolo mondo la realtà e la guerra, poiché accadono degli avvenimenti negativi che sconvolgono la vita del piccolo borgo:

- la coscrizione obbligatoria, che si porta via 'Ntoni;

- la battaglia di Lissa in cui muore Luca, il secondogenito;

- la prostituzione di Lia;

- il matrimonio della Mena che salta;

- l'imposizione di nuove tasse;

- l'introduzione del treno;

- la crisi della pesca, l'avvenimento peggiore: i Malavoglia sono costretti a trasformarsi in mercanti, acquistano una partita di pesci ma, nel viaggio per portare i lupini al paese incontrano una tempesta, durante la quale tutto il carico va perso e il conducente della barca (Bastianazzo, figlio di padron 'Ntoni) muore.

I contenuti e i valori che il romanzo reca in sé sono numerosi e interessanti. Analizziamo quindi alcune caratteristiche del romanzo:



- innanzitutto c'è il valore della famiglia dei Malavoglia, che incarna quei valori che il resto della società non ha;

- non c'è la descrizione dei personaggi da parte dell'autore, perché il lettore impara a conoscerli man mano;

- all'inizio l'ambiente sembra immobile ma al suo interno c'è chi vuole cambiare (come Don Silvestro, pronto a tutto per scalare socialmente);

- mentre padron 'Ntoni incarna la tradizione, 'Ntoni, il giovane, è emblema della voglia di novità (a ritorno dal servizio militare): si forma così un conflitto fra tradizione e modernità;

- la partenza del giovane 'Ntoni disgrega la famiglia, che poi è riunita parzialmente da Alessi;

- i Malavoglia, non accettati dai compaesani, sono esempio dei buoni valori (al contrario degli abitanti del paese, che si contrappongono a loro);

- alla fine del racconto emerge tutto il pessimismo di Verga, con l'idea della morte di valori diventati oramai impraticabili.


MASTRO-DON GESUALDO E ALTRE OPERE MINORI

Tra l'uscita de I Malavoglia e di Mastro-don Gesualdo passano otto anni, durante i quali pubblica alcune opere più commerciali delle precedenti, le quali non sono veriste come I Malavoglia né fanno parte del Ciclo dei vinti, e sono:

- Il marito di Elena, che parla di una moglie che porta il marito alla rovina economica;

- Novelle rusticane, raccolta di novelle in cui è presente una visione cruda e pessimistica della vita, dove le persone sono spinte solo dagli interessi economici;

- Per le vie, un'altra raccolta di novelle.

Mastro-don Gesualdo esce nel 1889, già pubblicato a puntate nella rivista di letteratura Nuova antologia. E' la storia dell'ascesa economica di un muratore che, a costo di sacrifici, diventa ricco acquistando terreni ma che fallisce in ambito affettivo. Rispetto ai Malavoglia Mastro-don Gesualdo diventa un borghese arricchendosi; il livello del narratore è più alto, ed elevandosi coincide a volte con quello dell'autore. Non c'è quindi lo straniamento anche il narratore rimane comunque esterno. Il romanzo si apre con l'incendio del palazzo dei Trao, che si trova vicino alla proprietà del protagonista, il quale è già ricco. Solo nel quarto capitolo il lettore comincia a capire un po' di cose: con un monologo (costruito attraverso il discorso indiretto libero e l'uso del flash-back) Gesualdo racconta la storia del suo arricchimento, rievocando tutta la sua fatica.

Mentre I Malavoglia è un tipo di romanzo corale (nel quale sono presenti valori come la tradizione, il rispetto e l'onestà) che presenta un tipo di conflitto esterno (ovvero la dicotomia e il bipolarismo tra i Malavoglia e il paese, che si configura in ultima istanza come la stessa lotta per la vita), Mastro-don Gesualdo presenta un tipo di conflitto interno, che è presente cioè solamente dentro il protagonista. In questo romanzo il protagonista è uno solo e il punto di vista sui fatti è il suo. Il conflitto che lo lacera internamente è dovuto al desiderio di famiglia e di essere amato; egli però non riesce a realizzare questi affetti perché è interessato alla "roba" (alle ricchezze e ai terreni). Il desiderio di affetti è quindi soffocato dal continuo bisogno di accumulare denaro, col risultato che Gesualdo diventa cinico e sfrutta gli operai al suo servizio, magari dimenticandosi i suoi trascorsi da operaio anch'egli. Pertanto se il conflitto è interno sparisce anche il carattere "idealistico" dei valori (il quale è presente invece ne I Malavoglia): quello di Verga è oramai un pessimismo cupo e assoluto.

Gesualdo in seguito sposa Bianca Trao, per la ricchezza della famiglia aristocratica alla quale essa appartiene. Riesce così a costruirsi una famiglia ma la moglie e la figlia non lo amano. Gesualdo è però come Rosso Malpelo perché è consapevole, sa come funziona la vita e capisce il fallimento della sua famiglia.

Gesualdo si configura quindi come:

- un eroe, perché ha faticato per crescere e migliorare, anche se alla fine è un fallito e un vinto, dato che non è riuscito a realizzare quello che veramente voleva: è questo infatti il prezzo che egli ha pagato per la sua brama di ricchezza;

- simbolo della modernità, ovvero dell'uomo che si fa da sé (self-made man) e del progresso. Il progresso non è però, per Verga, latore di vittoria, perché non ha portato Gesualdo alla vera felicità bensì al fallimento affettivo.



L' ULTIMA FASE (1893-1922)


Nel 1893 Verga si trasferisce nuovamente in Sicilia. Finito Mastro-don Gesualdo lavora ai primi due capitoli de La duchessa di Leira ma senza concludere il resto. I motivi di questa interruzione della scrittura del ciclo di romanzi che aveva in mente risultano molteplici. I più importanti tuttavia restano:

- un inaridimento dell'ispirazione verghiana;

- il fatto (questa è la causa più rilevante) che non riesce più a portare avanti il suo metodo di scrittura perché si accorge che non ce la fa a mantenere il giusto distacco dai suoi personaggi, i quali hanno psicologie sempre più complesse che egli non riesce più a dominare. La tecnica verista è poi oramai in declino perché si sta diffondendo in Italia e in Europa il romanzo psicologico (con Fogazzaro, autore di Piccolo mondo antico, e D'Annunzio).

In Sicilia scrive ancora qualcosa e lavora per il teatro. Viene infatti rappresentata La cavalleria rusticana e Verga decide di lavorare alla trascrizione teatrale de La lupa. Dopo il 1900 però non scrive più niente e si abbandona ad un pessimismo ancora più cupo e ad un pensiero più conservatore.

Allo scoppio della guerra si schiera su posizioni interventiste. Quando la guerra finisce Verga è nazionalista.






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