Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

FRANCESCO PETRARCA - UNA VITA TRA PROFESSIONE LETTERARIA E MISSIONE CIVILE

letteratura italiana



FRANCESCO PETRARCA


UNA VITA TRA PROFESSIONE LETTERARIA E MISSIONE CIVILE

La giovinezza, gli studi, i viaggi. Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304. LA famiglia era fiorentina, il padre era stato bandito da Firenze come guelfo Bianco.

Ad Arezzo alla Provenza. L'esilio portò la famiglia, dopo Arezzo, a Pisa e ad Avignone. A Carpentras Petrarca seguì gli studi di grammatica, retorica e dialettica sotto il notaio Convenevole da Prato. Indirizzato alla professione giuridica, frequentò l'università in Franciae poi a Bologna, dove venne a contatto con la poesia lirica volgare. Tornato ad Avignone nella chiesa di Santa Chiara incontrò la donna che suscitò in lui una passione imperitura: Laura.

I primi viaggi e l'"eremo" di Valchiusa. La necessità di provvedere alla propria sistemazione economica. Ebbe l'opportunità di viaggiare: visitò Parigi, le Fiandre, la Germania e Roma, dove ne uscì rafforzato il suo amore per la romanità. decise di impegnarsi nel lavoro letterario ritirandosi in solitudine fuori della città, a Valchiusa, presso il fiume Sorga. Gli giunse dall'Università di Parigi e dal Senato di Roma l'offerta della laurea poetica. Petrarca accettò l'invito di Roma, e per renderlo un avvenimento solenne, ottenne che Roberto d'Angiò (re di Napoli) lo sottoponesse a un esame preliminare. La cerimonia si tenne a Roma, in Campidoglio, il giorno di Pasqua (1341) e lo consacrò "grande poeta e storico", oltre conferirgli diritti di magister, cioè di professore.



Tra Avignone e le signorie italiane. Da Roma si trasferì a Parma qui ritrovò l'ambiente naturale e le condizioni ideali per riprendere a comporre. Petrarca strinse un'amicizia con Cola di Rienzo che lo avrebbe portato a sostenerne apertamente il tentativo di insurrezione.

La crisi spirituale del 1342-43. Alcuni avvenimenti scossero il poeta: la morte del frate agostiniano Dionigi da Borgo San Sepolcro, sua guida spirituale. al quale egli doveva la conoscenza delle Confessioni di sant'Agostino; e la morte di Roberto d'Angiò. Ma fu soprattutto la monacazione del fratello Gherardo a precipitarlo in una grave crisi spirituale. Petrarca sentì il peso per il proprio attaccamento alle passioni umane, il cui segno più tangibile gli parve la nascita, illegittima. della figlia Francesca (aveva già un figlio: Giovanni).

Le speranze suscitate da Cola di Rienzo. L'insurrezione guidata da cola di Rienzo fallì. A Parma viene raggiunto dalla notizia della morte, causata dalla peste, di alcuni degli amici più cari e soprattutto di Laura. Nel 1350 partì per Roma per partecipare al giubileo, accettando l'invito a sostare a Firenze rivoltogli da Boccaccio.

Dal soggiorno presso i Visconti al ritiro di Arquà. Si stabilì a Milano, provocando lo scontento degli amici fiorentini, in particolare di Boccaccio, che lo accusarono di aver tradito i propri idealidi democrazia e di libertà asservendosi ai Visconti. I Visconti gli assicuravano onori e protezione chiedendogli in cambio di dare con la sua presenza lustro culturale alla corte e di impegnarsi in missioni diplomatiche ad alto livello politico. Petrarca visse prevalentemente tra Padova, Venezia. Ad Arquà morì nel 1374.

Intreccio di vita e letteratura. La ricostruzione della vicenda umana e intellettuale di Petrarca è straordinariamente avvantaggiata da una documentazione autobiografica ricca e minuziosissima, che l'autore affidò principalmente all'epistol 313i85d ario latino, dove raccontava tutto di sé. Si tratta di una testimonianza nella quale Petrarca trasfigurava fatti e situazioni per conformarli al ritratto ideale di sé che intendeva tramandare ai posteri.

La passione per gli studi. Egli aveva orientato le proprie scelte di vita in funzione del lavoro letterario.  Né accettò mai incarichi onorifici e ben più remunerativi, che lo avrebbero impegnato all'osservanza di precisi doveri ufficiali. Questo stato sociale gli consentì di acquisire una certa autonomia, che non rinunciò anche quando si trovò a godere della protezione dei diversi signori italiani.

La professione intellettuale come missione civile. Il ruolo di intellettuale lo spinse a innalzare la professione letteraria alla dimensione di alto magistero, di vera missione civile. Fece valere le ragioni della cultura, cercando in ogni circostanza di educare la società all'osservanza di valori e di idealità, come il rispetto per l'individuo, la pacifica tolleranza fra gli stati, il concetto di Italia come patria comune, il riconoscimento del Papato e dell'Impero come guide universali della società.

Il prototipo dell'intellettuale cortigiano. Questo atteggiamento trovava una rispondenza nel suo cosmopolitismo, che era il risvolto positivo del suo sentirsi "pellegrino ovunque", come amò definirsi, della sua tendenza cioè a fare della condizione di esiliato una costante della sua esistenza. Fu proprio il reputarsi senza patria a consentirgli di guardare agli eventi della vita pubblica da un osservatorio privilegiato e con l'occhio distaccato e imparziale del saggio che si erge a difesa della moralità dei costumi politici. In lui si riconosce il prototipo dell'intellettuale cortigiano, che troverà la sua affermazione in

epoca umanistica, con in più un orgoglio per la propria indipendenza di giudizio.

Una continua ricerca della perfezione formale. Tutte le opere, latine e volgari, di Petrarca furono accantonate per essere in seguito riprese e sottoposte a revisioni. Sembra quasi che il poeta, nel suo bisogno mai soddisfatto di perfezione formale, fosse riluttante a portarle al definitivo compimento. Ogni opera quindi deriva da stratificazioni successive e porta anche il segno della sperimentazione contemporanea di diverse soluzioni letterarie e stilistiche.

Il Canzoniere:una redazione durata una vita, una struttura inedita

Il Canzoniere (intitolato Rerum vulgarium fragmenta) è il capolavoro della produzione poetica in volgare di Petrarca e la

sua opera più alta. Lo scrisse in un quarantennio (1335-74) attraverso un graduale processo di selezione, e l'unico motivo ispiratore era l'amore non corrisposto per Laura. L'intento era quello di raccogliere in una sintesi unitaria componimenti dettati da contingenze diverse, disponendoli lungo una ideale linea di sviluppo "narrativo" così da ricomporre la sua personale storia d'amore. Fu Petrarca a imporre un'idea del tutto nuova di canzoniere come struttura calibratissima nelle sue parti, costituita di testi lirici, che sviluppano da un testo all' altro, una vicenda, amorosa o meno che sia.

L'analisi psicologica dell' "io" poetico. Nessun poeta prima di Petrarca aveva saputo porre in modo così radicale al centro del discorso poetico la propria individualità, né aveva saputo analizzare i fatti della propria vita interiore con una così profonda carica di sincerità. La passione amorosa diventa l'inquietudine esistenziale di ogni uomo, proiettato alla ricerca di una felicità o di un bene che pare presente e invece è irraggiungibile, che pare duraturo e invece è fragile come il destino degli individui. E si intuisce che la passione è sentimento concreto, che coinvolge i sensi e non solo l'anima del poeta.

La nuova visione della donna amata. Laura, non appare più intermediaria tra l'uomo e Dio, come la donna-angelo degli stilnovisti, è invece una creatura terrena, più vicina alla realtà dei contrasti affettivi che tormentano i cuori degli uomini.

Un nuovo canone di eleganza formale. Petrarca depurando il volgare da ogni particolarismo e localismo ed evitando di piegarlo a effetti di realismo e di espressionismo linguistico, lo innalzò verso una classicità di stile, unificando tono e lessico su un livello stilistico medio-alto fino a raggiungere e definire un canone di eleganza e insieme di naturalezza espressive. Il Canzoniere rappresentò l'atto di "rifondazione" del genere lirico. Petrarca tendeva ad assegnare alla propria lirica volgare la funzione soggettiva e personale di depositaria della sua storia interiore e che attendeva il massimo della gloria dalle opere latine.


L'ALTRA OPERA IN VOLGARE: I TRIONFI

I Trionfi è un'opera scritta in volgare, è un poema allegorico in quattro libri, in terzine. I Trionfi sono ispirati alla Commedia, e rappresentano un' esperienza minore e poco riuscita artisticamente.

I contenuti. Il testo è articolato in 6 visioni. In ognuna di queste visioni,il conflitto interiore del poeta prende corpo in altrettante personificazioni allegoriche, cioè Amore, Pudicizia, Morte, Fama. Tempo, Eternità; queste si oppongono dialetticamente l'una all'altra secondo uno schema di contesa a due a due in base al quale, una delle due celebra il proprio trionfo sull' altra. Nel Trionfo d'Amore, al poeta appare in sogno il dio Amore su un carro trionfale seguito dal corteo dei personaggi, storici o leggendari, sottomessi al suo giogo. Il poeta è conquistato dalla bellezza di una fanciulla (Laura) apparsa improvvisamente, cosicché insieme agli altri prigionieri viene condotto a Cipro nelle carceri del dio. Nel Trionfo della Pudicizia, in un capitolo, è invece Laura ad avere ragione del dio, che viene incatenato nel tempio della Pudicizia. La vittoria di Laura è turbata dall'incontro con la Morte (Trionfo della Morte), che trionfa su di lei sottraendola per sempre ai legami terreni. Ma avanza la Fama (Trionfo della Fama) a sconfiggere la Morte. Neppure la Fama può opporsi al Tempo, qui simboleggiato dal Sole (Trionfo del Tempo), il quale trascina verso il nulla gli esseri umani e il ricordo delle loro gesta. Il poeta oppone la sua fiducia in Dio. L'ultima visione(Trionfo dell'Eternità)lo proietta verso la beatitudine celeste dove per l' eternità potrà gioire della presenza divina e della vista di Laura.

Una struttura rigida. I temi sui quali si è incentrata la riflessione del poeta sono gli stessi che troviamo nel Canzoniere

(il conflitto tra l'amore per Laura e l'amore per Dio, il desiderio di gloria e la volontà di mortificazione). Nei Trionfi l'ispirazione di Petrarca sembra sopraffatta dal proposito di comporre gli "sparsi frammenti" dell'autobiografia in un'unità non soltanto lirica, ma anche esteriore, affinché la vicenda personale potesse configurarsi come paradigmatica della condizione universale dell'uomo e prestarsi a simboleggiare un ideale itinerario dal peccato alla redenzione.

I modelli di riferimento. Il prodotto più alto della tradizione allegorico-didattica, ossia la Commedia, fornisce a Petrarca, forse, come sostengono alcuni critici, non direttamente, ma per il tramite dell'Amorosa visione di Boccaccio, il modello formale dei Trionfi: lo provano la scelta del metro (le terzine), l'affinità di molte situazioni e la massiccia presenza di riecheggiamenti e calchi danteschi. La sua adesione ai modelli è più letteraria che congeniale alla sua personalità. Lo svolgimento appare per lo più monotono e impacciato, appesantito in particolare dal rinnovarsi uniforme della scena trionfale con le interminabili rassegne di personaggi. Faticosa anche la ricerca costante di artifici retorici, che tendono a dare un tono sostenuto al discorso. Le figure allegoriche mancano di vigore espressivo: solo raramente, e sempre in coincidenza con il riaffiorare dell'immagine di Laura, i quadri si animano e la narrazione risulta partecipata e piena di calore. I Trionfi ebbero invece largo successo negli ambienti umanistici. La loro influenza non rimase circoscritta al campo letterario.

La riscoperta della classicità latina. La netta priorità assegnata al latino è la manifestazione più esplicita del peso che la cultura classica ebbe nell' orientare i suoi progetti letterari. Petrarca è considerato il diretto precursore degli umanisti ed egli stesso si vantò di aver avviato la riscoperta della classicità. La classicità per Petrarca era solo quella latina, perché i



testi greci gli erano preclusi dall'ignoranza della lingua.

Storiografia ed epopea. Il De viris illustribus e l'Africa tendono a ripetere modelli della classicità nei due generi più illustri di prosa e poesia, cioè, rispettivamente, storiografia ed epopea. Il De viris illustribus consiste in una rassegna compilatoria di biografie di uomini illustri del mondo antico. L'Africa è un poema epico in esametri latini, composto sull'esempio dell'Eneide virgiliana e diretto a celebrare, nella figura di Scipione l'Africano, la vittoria di Roma su Cartagine nella seconda guerra punica e insieme a fornire un rapido compendio di storia romana.


IL POEMA AFRICA

La celebrazione dell'antica Roma. Le vicende della seconda guerra punica sono il pretesto per una rievocazione della gloria di Roma, sia precedente sia successiva al momento del trionfo di Scipione. Stando alle dichiarazioni di Petrarca l'idea di comporre un poema epico su Scipione 1'Africano gli si sarebbe affacciata alla mente un venerdì santo e sarebbe stata subito posta in atto. I primi due libri dovevano essere già ultimati al momento della incoronazione poetica, poiché egli ne diede

lettura a Roberto d'Angiò. La stesura fu abbandonata dopo la morte del re di Napoli, al quale Petrarca aveva dedicato 1'opera. Gli interventi successivi furono di entità limitata. Furono aggiunti alcuni episodi e altri subirono integrazioni, senza che l'opera ricevesse una sistemazione definitiva. L'impressione di incompiutezza è confermata da altri elementi: alcune lacune nello svolgimento della trama, le imperfezioni metriche e linguistiche, e infine il numero dei libri, 9, che nelle intenzioni dell' autore, avrebbero dovuto eguagliare quello canonico di 12, tipico dei poemi epici latini.

I contenuti. I primi due libri sono dedicati al "sogno di Scipione", espediente letterario utile per anticipare eventi futuri. Nei libri III e IV si esaltano le virtù civiche e militari dei romani, contrapposti ai cartaginesi. Il libro V introduce un' ampia digressione perché è occupato dalla storia dell' amore tra Massinissa, re di Numidia alleato di Scipione, e Sofonisba, moglie di Siface, rivale politico di Massinissa e alleato dei cartaginesi. Dopo di che, il filo della narrazione riprende con il ritorno a Cartagine di Annibale e del fratello Magone, richiamati a difendere la città. Seguono il racconto della battaglia di lama, che concluse la guerra, e quello del rientro a Roma di Scipione trionfatore.

I modelli classici. L'intento celebrativo dei fasti della romanità è ostentato. L'opera appartiene nella carriera di Petrarca alla fase iniziale della riscoperta degli antichi, fase caratterizzata da una certa passività nell'assimilare la lezione degli autori classici e dall' entusiasmo con cui si investe del compito di restaurare la grande tradizione epica e storiografica latina. A rappresentare il filone epico sta Virgilio, che ispira l'impianto generale, la struttura metrica e lo stile del poema. Riguardo ai contenuti storici, l'Africa deriva i materiali prima di tutto da Tito, ma anche da Ennio e da altri epici o storici minori.

Un progetto poetico tra lirica e narrativa. Petrarca illustra la propria concezione della poesia come mezzo per eternare la verità in forme d'arte, ma anche presenta se stesso come l'erede e l'ideale continuatore dell' attività dei maestri.(Omero compare in sogno a Ennio e gli indica profeticamente in Petrarca, autore dell'Africa, il futuro cantore della grandezza di Roma, destinato a essere insignito della laurea capitolina). Nel Secretum Petrarca simboleggia nell'Africa la gloria terrena e poetica, alla quale Agostino gli chiede di rinunciare in nome della gloria celeste e che invece continuerà a rappresentare per lui il modo più nobile per realizzarsi come uomo. L'Africa appare come il cardine attorno a cui si regge la storia della sua formazione culturale e intellettuale. I risultati non eccelsi si spiegano in parte con il fatto che l'opera si colloca agli esordi della carriera artistica del poeta, ma più ancora dipendono dalla sua scarsa attitudine all'epica, che richiede di sostenere un impegno costruttivo di ampie dimensioni. La scelta di tale genere letterario in realtà obbedisce più a una precisa volontà culturale che a un'adesione personale intima, dettata dalla fantasia poetica e infatti si concilia poco con la naturale e straordinaria vocazione lirica che è il vero talento di Petrarca.

Il ritorno alla compilazione storica. Qualche anno dopo Petrarca tentò nuovamente la strada della compilazione storica in

prosa con il Rerum memorandarum libri. Vi raccolse episodi e aneddoti celebri, antichi e moderni, che si prestassero a fornire esempi delle quattro virtù cardinali. L'opera, incompiuta, è medievaleggiante nella concezione e nel tipo di classificazione (vizi/virtù), ma lontana dalla tradizione di exempla perché dimostra un interesse del tutto nuovo per la dimensione etica della personalità umana e per le ragioni psicologiche, che motivano le azioni attribuite ai personaggi celebri, e l'intento di ravvicinare la saggezza antica alla vita contemporanea.

L"'umanesimo" di Petrarca. L"'umanesimo" petrarchesco consiste più nella rivalutazione dell'uomo e della sua dignità intellettuale, che l'antichità pagana aveva esaltato e il cristianesimo medievale aveva mortificato subordinando l'umano al trascendente. Ma la sua sincera fede religiosa imponeva a Petrarca di tentare questa rivalutazione conciliando paganesimo e cristianesimo. Il che gli sembrò possibile facendo leva sulla constatazione che l'animo umano è sostanzialmente identico attraverso i secoli, che esiste cioè un patrimonio di sentimenti, aspirazioni, esigenze spirituali comune agli uomini di ogni tempo e non specificamente pagano o cristiano.


IL SECRETUM

Il conflitto tra ideale cristiano e passioni umane. Il Secretum non va letto come l'esito più compiuto e ragionato di una presa di coscienza maturata nella riflessione, tipica di Petrarca, sulla sua vita affettiva e sulle sue posizioni di intellettuale in rapporto alla fede. Alle ragioni intime e di meditazione interiore  è riferito il significato del titolo, quel secretum spesso interpretato come spia della volontà petrarchesca di non destinarlo alla pubblicazione.

I contenuti. Petrarca intende riassumere nel Secretum i passaggi più significativi del suo quotidiano discorso interiore, trasformandoli in vicenda esemplare. Seguendo lo schema della visione allegorica, immagina di incontrare una donna bellissima, che gli si rivela come la Verità personificata e lo affida alla guida di sant'Agostino. Tra i due si intreccia un dialogo alla presenza della Verità garante della sincerità del dialogo, il quale si protrae per 3 giorni, determinando suddivisione dell' opera in 3 libri (3 - Trinità). Nel primo libro Agostino individua la radice del tormento che affligge Petrarca, nella inadeguatezza della sua volontà nel perseguire la virtù e spiega come solo la profonda meditazione sulla morte possa rivelare agli uomini la miseria della loro condizione distogliendone l'animo dai beni terreni. Nel secondo libro passa in rassegna i 7 peccati capitali, riconoscendo le colpe più gravi di Petrarca nella superbia, nella lussuria e nell' accidia. Petraca contesta, nel terzo libro, la severa condanna dell'amore per Laura e per la gloria, passioni di cui rivendica anzi la dignità pur nella consapevolezza che solo Dio è l'unico oggetto durevole dell'amore dell'uomo.

Un monologo interiore. Il contrasto finale tra Agostino e Petraca chiarisce il carattere di autobiografia spirituale dell' opera, peraltro già manifesto nell'intenzione di rifarsi alle Confessioni di Agostino, sia il significato intrinseco del dialogo, che è un vero e proprio monologo interiore. Puramente fittizia è la dialettica fra Agostino e Francesco, che agiscono entro la cornice allegorica come personificazioni e drammatizzazioni delle due contraddittorie componenti della psicologia di Petrarca (ad Agostino è riservato il ruolo di voce della Ragione). La riflessione procede libera e spontanea, legata com' è alla diretta e individuale esperienza dell'autore evitando l'astrattezza della speculazione dottrinale e rifuggendo da intenti didascalici troppo spiccati. L'indagine mette a nudo dubbi e speranze con spietata sincerità, di cui neppure l'eloquenza dello stile può smorzare e rendere meno sofferti e autentici gli accenti.


IL DE VITA SOLITARIA E IL DE OTIO RELIGIOSO.

Due trattati morali. Il Secretum trova il suo naturale complemento nei trattati morali, nei quali Petrarca tende a dare un'impostazione dottrinale. Nel De Vita Solitaria teorizza la solitudine come condizione necessaria dello spirito per raggiungere l'affrancamento dal mondo e dalle passioni e riscoprire la propria interiorità, lodando la virtù consolatoria della letteratura. Il De otio religioso viene scritto dopo la monacazione del fratello e sotto la forte impressione ricavata nel constatare quale intima serenità derivasse ai monaci dall'assoluto distacco dalle cose terrene. Il tema della vanità di ogni bene è al centro della raccolta De remediis utriusque fortunae: una serie di meditazioni sui casi della vita umana.

Il primato della filosofia morale. La centralità dell'uomo nella visione petrarchesca della realtà è il perno attorno a cui ruota la concezione "filosofica" dello scrittore. Questa si definì come rifiuto di ogni forma di dogmatismo intellettuale e di ogni principio di infallibilità in difesa del diritto dell'uomo al dubbio come allo stimolo più efficace all'accertamento della verità. In Petrarca c'è il rifiuto della speculazione metafisica e di quella teologica, nella convinzione che campo privilegiato d'indagine della scienza dovesse essere la vita interiore dell'uomo e che quindi la filosofia morale dovesse primeggiare su tutte le altre discipline per la sua capacità di offrire uno strumento valido e concreto per la salute dell' anima, insegnando il dominio sulle passioni che inducono in errore. Egli contestava le posizioni della Scolastica. Petrarca non apprezzava l'ampio spazio concesso in ambito medievale, alle scienze naturalistiche e "oggettive". Egli si richiamò alla filosofia di Platone.



La "filosofia" di petrarca nelle prose polemiche d'occasione. Petrarca si trovò a formulare le sue idee su sollecitazione di eventi esterni e nella forma veemente e accesa del libello polemico. Una prima occasione gli fu offerta da un medico della corte pontificia, che lo aveva attaccato per aver consigliato a papa Clemente VI di diffidare dei medici. Nella replica Petrarca espresse la sua ostilità verso una categoria che ai suoi occhi riuniva in sé i peggiori difetti della speculazione medievale. Petrarca sostenne la superiorità della professione letteraria, disinteressata perché volta all'educazione e al progresso morale dell'uomo, su tutte le altre attività umane, collegate invece alle esigenze materiali dell'individuo e quindi esercitate per desiderio di ricchezza. Petrarca stese il De sui ipsiuset multorum ignorantia per controbattere l'offensiva affermazione fatta da quattro giovani, secondo la quale egli sarebbe stato «uomo ottimo, ma... illetterato e ignorante». In questa occasione compì il tentativo più organico di mettere a fuoco tutti i motivi del suo dissenso nei confronti della scienza scolastico-aristotelica,richiamandosi all'ideale agostiniano di un sapere concreto illuminato dalla luce della fede.


LE EPISTOLE

Luogo di espressione del letterato pubblico. Si connette strettamente alla trattatistica morale la prosa latina delle epistole. A scriverle, Petrarca iniziò prestissimo, né mai rinunciò a un modo di comunicare che riusciva congeniale al suo bisogno di colloquio motivato da un temperamento "desiderosissimo di amicizie", senza per questo contraddire la sua naturale propensione alla vita solitaria. Il peregrinare di corte in corte incentivò la passione per l'epistolografia, che gli consentiva di non interrompere i legami affettivi. D'altro canto la fama di poeta laureato lo portò a intrecciare una fitta rete di relazioni epistolari con ammiratori (Boccaccio). È evidente che ogni epistola, benché indirizzata a un amico o a un protettore, era rivolta indirettamente al pubblico degli intellettuali, alla cerchia ristretta e aristocratica degli eruditi italiani ed europei, che condividevano l'interesse di Petrarca per la classicità e in lui riconoscevano un maestro. Se così non fosse egli non avrebbe scelto di scrivere le epistole in latino, né di ordinarle sistematicamente,dopo averle rielaborate a fondo in base a precisi criteri stilistico-formali.

Le raccolte destinate alla pubblicazione. Scoprendo le Epistole di Cicerone egli concepì l'idea di riunire e sistemare ordinatamente le proprie lettere in un' opera da destinare alla pubblicazione. Il progetto si concretizzò, nel corso degli anni successivi, impegnandolo lungamente sino alla fine nelle due imponenti raccolte delle Familiari e delle Senili. Da queste rimasero escluse delle lettere nelle quali il poeta attaccava duramente la politica papale. Fu per questo motivo che egli, evitando di indicarne i destinatari e le riunì sotto il titolo collettivo di Sine nomine. In una quarta raccolta furono fatte confluire, le cosiddette Varie, cioè tutte le lettere trovate tra le sue carte o conservate dai suoi corrispondenti e che egli non aveva inteso rendere pubbliche. Gli interventi di Petrarca sono rivolti nella maggior parte dei casi a svincolare il più possibile le lettere dall'occasione precisa per cui le aveva scritte. Per esempio egli tende a eliminare i riferimenti a fatti, e luoghi, troppo concreti e circostanziati, oppure a forzare i dati cronologici, sia per far coincidere gli episodi salienti della propria biografia con momenti di rilievo della storia collettiva, sia per suggerire sottili corrispondenze tra fasi diverse della propria vita. Su queste basi riesce a sollevare a dimensione d'arte gli eventi della vita reale. In altri casi, le lettere gli forniscono spunti o pretesti per impostare riflessioni di ordine generale.

Un autoritratto letterario. L'epistolario rivela molto di più la sua cultura che non la vita vissuta. Propone un autoritratto letterario tracciato secondo i canoni dell' etica stoica e insieme di quella cristiana, un profilo esemplare di maestro e di saggio. L'epistolario assolve un' alta funzione pedagogica, incarnando l'aspirazione petrarchesca a fare della professione intellettuale una missione al servizio della società. Petrarca istituisce un legame tra sé e l'aristocratica comunità dei dotti che condividono la passione per gli "studi umanistici", creando un ideale cenacolo, del quale chiama a far parte anche gli antichi autori, con cui ama immaginare di colloquiare come fossero amici e contemporanei.

La scelta del latino oratorio. In funzione del ruolo assegnato all'epistolario sono orientate sia la scelta linguistica sia quelle stilistiche. Petrarca scrive in latino tutte le lettere, anche quelle di argomento personale o di contenuto occasionale. Inoltre fa di tutto perché sul piano stilistico esse possano essere altrettanto "esemplari" quanto su quello tematico, intonandole quasi costantemente su un registro solenne e oratorio, impreziosendole di citazioni dotte e modellando il latino su quello dei classici e dei Padri della Chiesa, anche se non disdegna di usare le tecniche insegnate dalla retorica medievale. Nei fatti si può dire che siano piuttosto le epistole a carattere filosofico-morale di Seneca a ispirarlo, nonostante egli cerchi di minimizzarne l'influenza, nel suo intento di elevare il genere epistolare al livello della più approfondita trattatistica erudita.

Le epistole Familiari La parte più abbondante di epistole è confluita nella raccolta intitolata Familiarium rerum libri, da cui le Familiari. Con questa raccolta Petrarca avviò il suo progetto di sistemazione organica dell' epistolario. Vi lavorò a fasi alterne ingrandendo progressivamente il disegno originario.

I contenuti. Le lettere complessivamente sono 350, ordinate secondo un criterio all'incirca cronologico. Qui accanto alla corrispondenza affettuosa e confidenziale con gli amici o alle attente e minuziose relazioni di viaggio, si trovano numerosi messaggi politici, spesso di tenore ufficiale. Altre epistole affrontano gli stessi argomenti delle prose polemiche, attaccando duramente i dialettici o i medici o la pseudo-scienza medievale; altre condividono l'impostazione, oltre che i contenuti, dei trattati filosofico-morali e sono quindi incentrate sui grandi temi della riflessione petrarchesca.

Le epistole Senili Petrarca avviò una nuova raccolta, indicando già nel titolo Rerum senilium libri di volerla destinare a contenere le epistole della vecchiaia, quelle cioè che avrebbe scritto da quel momento fino alla morte. La dedicò all'amico Francesco Nelli. Non arrivò a pubblicarla e neppure a sistemarla compiutamente; perciò essa uscì postuma per le cure degli amici padovani e suddivisa in 17 libri.

Una riflessione sulla vita e sulla morte. A distinguere dalle Familiari le Senili è l'atmosfera più pacata e meditativa, l'intonazione intensamente elegiaca della scrittura. L'età avanzata e la tristezza per la scomparsa di molti degli amici più cari lo inducono a una continua riflessione sulla vita e sulla morte e al ripensamento della propria vicenda di uomo e di artista nella prospettiva di chi si sente ormai prossimo a concluderla. Così alcune pagine, indirizzate a Boccaccio, suonano come un vero e proprio testamento spirituale.

Le lettere in versi

In una sezione a sé stante dell' epistolario Petrarca confinò le Epistolae metricae, scritte cioè in versi (esametri), ma sempre in latino, le quali risalivano negli anni giovanili, Dedicate all'amico Marco Barbato da Sulmona; alla sua morte, la raccolta non aveva ancora raggiunto la compiutezza e rimase definitivamente a questo stadio. Ciò che differenzia le metriche dalle epistole in prosa è l'ampio spazio dedicato alla storia d'amore con Laura, rievocata talora con accenti così intimamente commossi e in forma di confessione tanto sincera da richiamare le situazioni psicologiche del Canzoniere. In quei momenti Petrarca riscatta l'eleganza un po' fredda e ricercata e l'artificiosità entro cui lo schema metrico lo costringe, per raggiungere esiti di vera poesia.


CANZONIERE L'OPERA

Nel Canzoniere,Petrarca raccolse la produzione di rime volgari che aveva accompagnato ininterrottamente la sua attività di prosatore e poeta in latino. L'opera è un "libro", ossia un organismo che risponde a una concezione unitaria, e nello stesso tempo è il risultato dell'aggregazione ragionata di una serie di "frammenti", cioè di unità poetiche minori rispetto al libro, ma ognuna in sé compiuta, e nate autonomamente in margine a occasioni diverse.

Rime "in vita" e "in morte" di Laura La stretta continuità di ispirazione e di stile che regge il libro non è interrotta dalla bipartizione che il poeta operò già in una fase precoce del lungo processo di elaborazione e revisione. Si tende a ritenere che questa bipartizione, cioè la distinzione fra le liriche iniziali e quelle seguenti, sottolinei un momento di riflessione nel corso della vita del poeta, momento che troviamo documentato in particolare nel Secretum.

La trasfigurazione poetica della vicenda amorosa La storia d'amore non esaurisce il discorso poetico del Canzoniere, di cui pure costituisce il fulcro, relegando ai margini ogni altro spunto tematico. Il poeta applica un'estrema diligenza nel precisare di volta in volta momenti e occasioni della vicenda amorosa con Laura, in particolare seguendo il filo conduttore degli anniversari dell'innamoramento. Il libro parrebbe configurarsi come un vero e proprio diario sentimentale ordinato in successione approssimativamente cronologica tra i due estremi del primo incontro con Laura e della morte prematura di lei. Ma nessun dato concreto interviene a dar peso reale a una vicenda che risulta totalmente trasfigurata, e resa evanescente dal ricordo. Da un lato, dunque, la finzione di svolgimento narrativo disteso lungo il Canzoniere non basta a farlo interpretare come un semplice diario amoroso; ma neppure, all'opposto, è legittimo leggere l'opera come se si trattasse di una vicenda" esemplare", di un itinerario spirituale che va dal peccato alla redenzione.



L"'io" del poeta è il vero protagonista In sostanza la storia dell' amore per Laura, amore perennemente inappagato, più che come episodio biografico in sé vale per le ripercussioni che provoca nell' animo del poeta e per la capacità di esprimere e rappresentare in sommo grado il travaglio morale e religioso, l'inquietudine esistenziale di cui egli si sente costantemente preda. Ciò che dà all'opera verità e organicità massime, è l"'io" del poeta, analizzato nelle sue contraddizioni e nelle sue irrisolte tensioni, sempre in conflitto, tra "essere" e "voler essere", tra la coscienza della limitatezza e fragilità umana e il bisogno di ancorarsi a certezze definitive, di conquistare un equilibrio interiore e non transitorio. La poesia del Canzoniere scaturisce il sentimento della caducità e vanità dei valori terreni, la percezione dolorosa dell'inesorabile scorrere del tempo e dell'imminenza della morte, il dissidio fra l'aspirazione al divino e l'attaccamento agli affetti umani, il bisogno di isolamento dagli uomini e di immersione nel rassicurante rapporto con la natura.

Un'introspezione sublimata dalla letteratura L'introspezione non si risolve mai in confessione immediata e scomposta, perché a contenere lo sfogo passionale e a dargli voce in modi sempre limpidi e pacati, a temperarne l'impeto nei toni di una dolente e malinconica elegia interviene la letteratura. Nel momento in cui la letteratura gli fornisce i mezzi per portare alla luce e analizzare razionalmente una inquieta realtà psicologica, essa contribuisce a rasserenarlo moralmente, perché, come egli dice il dolore si attenua, si fa meno opprimente. L'assunzione del tema amoroso può convogliare entro un repertorio di immagini e moduli stilistici e linguistici già ben codificato una sostanza di emozioni e sentimenti, organizzandoli con salda disciplina formale. Nella stessa direzione egli opera attraverso un incessante lavoro di rifinitura sul testo, mirato sia a esercitare un rigoroso controllo sul lessico e sulla struttura ritmico-fonico-sintattica, sia a dotare il libro di una meditata disposizione interna delle singole parti.

Il perfetto equilibrio di versi, sintassi e lessico L'effetto stilistico finale è quello di una stupenda armonia tra la musicalità morbida e priva di dissonanze dei versi, la sintassi fluida e sorvegliatissima e la lingua nitida e rarefatta. La lingua è la componente di maggior spicco del sistema espressivo. Colpisce, nella lingua, la complessiva esiguità degli elementi lessicali, esiguità ampiamente compensata dalla capacità delle singole parole di rinnovarsi semanticamente ogni volta in stretta sintonia con il contesto, per cui si può dire che l'altro aspetto della estrema semplificazione del vocabolario sia il suo alto grado di allusività. A potenziare questa qualità del linguaggio concorre il complesso meccanismo della memoria petrarchesca, grazie al quale affiorano in continuazione nei versi le reminiscenze della multiforme cultura del poeta: di quella latina (classica e medievale, pagana e cristiana), come di quella volgare (entro la quale vanno rilevate la posizione prioritaria occupata dalla Commedia e dalle rime "petrose" di Dante e quella della tradizione stilnovistica).

Gli "echi" del nome di Laura. Entro il lessico petrarchesco si presentano come una sorta di punti fissi alcuni termini, che si caricano di una valenza simbolica. Essi costituiscono altrettanti echi fonici del nome di Laura, nome che essi diffondono attraverso tutto il Canzoniere, dove sono disseminati, generalmente nei punti nevralgici dei singoli componimenti. I principali sono: lauro, l'aura, l'auro, ma ognuno trascina con sé, in un fitto intrico di corrispondenze e variazioni, qualche derivato, come, laureto e laurea. Il primo a fare la sua comparsa nel libro, e anche quello che ritorna più frequentemente, è lauro, che e funge da tramite per l'utilizzo di un celebre mito dell' antichità. Secondo tale mito una fanciulla greca di nome Dafne aveva potuto sfuggire all'inseguimento di Apollo, innamorato di lei, grazie alla miracolosa metamorfosi in alloro. A quell'episodio perciò si faceva risalire la consacrazione della pianta ad Apollo, dio della poesia, e conseguentemente la consuetudine di cingere con la corona d'alloro, cioè la laurea, i poeti. Si capisce quindi come l'equazione lauro = Laura offra a Petrarca l'opportunità di suggerire l'identificazione tra Dafne e Laura con la poesia. Ciò comporta anche la possibilità di identificazione tra Petrarca e Apollo, in quanto entrambi amanti respinti ed entrambi cultori di poesia. Ognuna delle due linee di svolgimento riconduce comunque ai due cardini dell' esperienza esistenziale dell' autore: l'amore e l'aspirazione alla gloria letteraria. Petrarca, scomponendo le forme Laura e lauro come se fossero il prodotto dell' aggregazione di un sostantivo e del relativo articolo, ne ricava altre due parole-emblema: l'aura (brezza) e l'auro. Alla prima (l'aura) assegna un'altra funzione oltre a quella fondamentale di simbolo fonico dell'amata; ne fa in alcune poesie un' occasione di riecheggiamento di un motivo culturale diffuso nella lirica provenzale: il "tema dell'aura", cioè del vento che soffia dal paese dell'essere amato portandone il ricordo fino al poeta. Sulla base di l'auro, Petrarca fonda piuttosto dei bisticci di parole per rimarcare stilisticamente la bellezza di Laura. Ne assimila infatti la bionda capigliatura all'oro, il quale richiama l'immagine del sole, con cui egli identifica l'amata.

Le varianti del canzoniere e la lingua di Petrarca Il Canzoniere presenta un equilibrio interno che è insieme lessicale, stilistico e compositivo. Quest'armonia tra le parti è stata raggiunta da Petrarca con una rielaborazione dei materiali, di cui resta testimonianza nei codici costellati di correzioni. Il Canzoniere costituì il modello linguistico e stilistico della tradizione poetica italiana fino a tutto l'Ottocento. Ogni intervento, ogni ritocco, destinato a migliorare l'assetto interno di un singolo frammento, si inquadra in un movimento più ampio che tende a definire meglio la struttura generale del "libro". Si interferiscono tra loro il tentativo di raggiungere un'ottimale combinazione degli elementi verbali e tematici. Quindi la vicinanza fra i componimenti influisce anche sulla loro forma, rendendo necessari aggiustamenti,per esempio,per evitare ripetizioni. Ogni riassestamento della compagine complessiva può comportare interventi sul dettato di singole rime.

L'unificazione di tono e di lessico su un piano stilistico medio-alto Nel lavoro di revisione si individuano una serie di costanti attraverso cui procede l'autore. Si nota soprattutto la cura posta nell' evitare ripetizioni ravvicinate, nell' attenuare forme troppo realistiche, e nell'escludere vocaboli linguisticamente troppo caratterizzati, perché nessun elemento deve spiccare vistosamente sugli altri. L'attenuazione si esercita sulle parole in rima che appaiono di poco rilevate rispetto alle altre parole del verso, grazie allo scarso impiego di rime tecniche e ricercate. Gli interventi sulla sintassi mirano a semplificarla, a renderla distesa e ampia, spesso preferendo alla subordinazione la coordinazione, e la coordinazione attraverso il polisindeto più ancora che attraverso l'asindeto. La coordinazione infatti soddisfa meglio il gusto di Petrarca per la "pluralità", ossia la sua tendenza a esprimere concetti mediante una successione in serie di elementi, successione che il polisindeto rimarca più efficacemente dell'asindeto. La forma più semplice di pluralità è l'endiadi o comunque la coppia, che il più delle volte si configura come coppia di opposti, cioè come antitesi, nella cui acuta brevità si manifesta a livello formale la conflittuale situazione psicologica del poeta. La struttura a coppie oltre a favorire il rallentamento e la distensione della sintassi, assolve anche a una funzione ritmico-musicale, perché si presta a bipartire l'endecasillabo creando un gioco armonico di simmetrie e bilanciamenti, a sottolineare il quale contribuisce poi l'assidua ricerca di corrispondenze sonore. La grande ricchezza di espedienti sintattici e ritmico-fonici vale inoltre a dissimulare la limitatezza del lessico petrarchesco in quanto consente di riproporre in combinazioni variabili all'infinito una gamma ristretta di termini, sintagmi, locuzioni. Molti di questi sono in sé semanticamente neutri, generici, ma si caricano di particolari connotazioni e di sfumature di significato così peculiari da diventare veri emblemi della poetica petrarchesca. L'unificazione di tono e di lessico attuata da Petrarca si compie a un livello stilistico medio, equidistante cioè dagli estremi del comico e del tragico, ma elevato al di sopra del linguaggio pratico e della comunicazione corrente (che nel caso specifico è il fiorentino); si compie cioè sul piano di una decorosa eloquenza antinaturalistica. E a conferma della tendenza a una sostanziale "defiorentinizzazione" stanno forme lievemente arcaizzanti o latineggianti, oppure le alternanze tra forme fiorentine e i rispettivi doppioni di ascendenza latina, e in qualche caso contemporaneamente anche provenzale e/o siciliana.

Una rigida divisione di ruoli tra latino e volgare Altro tratto caratterizzante la lingua petrarchesca, oltre all'unità di tono e di lessico, è l'unilinguismo all'interno del volgare, bilinguismo nei rapporti con il latino. Da una parte sta il latino, lingua letteraria per eccellenza capace di modularsi variamente in accordo con le esigenze espressive dei diversi generi letterari che il poeta sperimenta, ma contemporaneamente strumento di comunicazione quotidiana, per la quale invece egli sente inadatto il volgare. Lo provano senza ombra di dubbio le postille latine che egli appone in margine alle rime volgari, con le quali egli approva o, più spesso, si autoesorta a ripensare le proprie scelte formali. il che vuol dire che al volgare è riservata la sede esclusiva della lirica amorosa.

L'influenza delle esperienze poetiche precedenti Della lirica provenzale egli mette a contributo l'esperienza del trobar clus di Arnaut Daniel. Se ne sente l'influenza nel virtuosismo tecnico di alcuni componimenti e delle sestine, sulle quali peraltro il modello provenzale agisce attraverso il filtro del precedente dantesco delle rime "petrose". Delle altre correnti poetiche, solo la siciliana e quella comico-realistica, risultano pressoché assenti dal panorama culturale del Canzoniere. Nel quale, invece, si colgono suggestioni della poesia siculo-toscana di matrice guittoniana e di quella stilnovistica.

La lingua di Petrarca e quella di Dante Proprio perché Dante ha inciso così profondamente sulla formazione di Petrarca, colpisce la netta divergenza tra i rispettivi linguaggi poetici. Al plurilinguismo di Dante, Petrarca opponne il suo unilinguismo; alla «pluralità di toni e pluralità di strati lessicali» che Dante mescola in uno stesso contesto, Petrarca oppone la sua unità di tono e di lessico. Per di più mancano del tutto a Petrarca, mentre sono vivissime in Dante, sia la volontà di impegnarsi in una razionale opera di riflessione sulla lingua e quindi di dedicarsi all'elaborazione di una teoria linguistica, sia la propensione allo sperimentalismo. Tuttavia mentre l'esperienza di Dante era destinata per la sua stessa genialità a essere irripetibile, l'ideale linguistico-stilistico petrarchesco di "medietà" con inflessioni alte, ispirato ai classici, avrebbe fatto scuola, imponendosi come modello esportabile in situazioni culturali diverse e distanti fra loro nel tempo.







Privacy




Articolo informazione


Hits: 7322
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024