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Elegia di Madonna Fiammetta
E questo detto,
quasi come se egli le mie parole avesse intese súbito mi levava e correva alla
finestra, me nell'estimazione ingannando d'udire quello che io udito non avea,
cioè che egli la nostra porta toccasse, come era usato. Oh quante volte, se i
solleciti amanti avessero saputo questo, forse sarei stata potuta ingannare, se
alcuno malizioso sé Panfilo avesse finto a cotali punti! Ma poi che la finestra
aperta aveva, e riguardata la porta, gli occhi del 343f56d conosciuto inganno mi
faceano piú certa; e cotale la vana letizia in me con turbazione súbita si
volgeva, quale, poi che il forte albero rotto da' potenti venti con le vele
ravviluppate in mare a forza da quelli è trasportato, la tempestosa onda cuopre
senza contrasto il legno periclitante. E nel modo usato alle lagrime
ritornando, miseramente piango, e isforzandomi poi di dare alla mente riposo
con gli occhi chiusi allettando gli umidi sonni, tra me médesima in cotal guisa
gli chiamo:
«O Sonno, piacevolissima quiete di tutte le cose, e degli animi vera pace, il
quale ogni cura fugge come nemico, vieni a me, e le mie sollecitudini alquanto
col tuo operare caccia del petto mio. O tu, che i corpi ne' duri affanni
gravati diletti, e ripari le nuove fatiche, come non vieni? Deh, tu dài ora a
ciascun altro riposo: donalo a me, piú che altra di ciò bisognosa. Fuggi degli
occhi alle liete giovini, le quali ora tenendo i loro amanti in braccio nelle
palestre di Venere essercitandosi, te rifiutano e odiano, ed entra negli occhi
miei, che sola e abandonata, e vinta dalle lagrime e da' sospiri dimoro. O
domatore de' mali e parte migliore dell'umana vita, consolami di te, e lo stare
a me lontano riserva quando Panfilo co' suoi piacevoli ragionari diletterà le
mie avide orecchie di lui udire. O languido fratello della dura morte, il quale
le false cose alle vere rimescoli, entra negli occhi tristi! Tu già i cento
d'Argo volenti vegghiare occupasti; deh, occupa ora i miei due che ti
disiderano! O porto di vita, o di luce riposo, e della notte compagno, il quale
parimente vieni grazioso agli eccelsi re e agli umili servi, entra nel tristo
petto, e piacevole alquanto le mie forze ricrea. O dolcissimo Sonno, il quale
l'umana generazione pavida della morte costrigni ad apparare le sue lunghe
dimore, occupa me con le forze tue e da me caccia gl'insani movimenti, ne quali
l'animo se medesimo senza pro fatica».
Egli, piú pietoso che alcuno altro iddio a cui io porga prieghi, avvegna che
indugio ponga alla grazia chiesta da' prieghi miei, pure dopo lungo spazio,
quasi piú a servirmi costretto che volonteroso, pigro viene, e senza dire
alcuna cosa, non avvedendomene io, sottentra al lasso capo, il quale di lui
bisognoso, quello volonteroso pigliando, tutto in lui si ravvolge.
Non viene, posto che il sonno venga, però in me la disiata pace, anzi, in luogo
de' pensieri e delle lagrime, mille visioni piene d'infinite paure mi
spaventano. Io non credo che niuna furia rimanga nella città di Dite, che in
diversi modi e terribili già piú volte mostrata non mi si sia, diversi mali
minacciando, e spesso col loro orribile aspetto li miei sonni rotti, di che io
quasi, per non vederle, mi sono con tentata. E poche sono brievemente state
quelle notti, dopo la male udita novella della menata sposa, che rallegrata
m'abbiano dormendo, come davanti mostrandomi lietamente il mio Panfilo assai
sovente solean fare: il che senza modo mi doleva, e ancora duole.
Di tutte queste cose, delle lagrime e del dolore dico, ma non della cagione,
s'avvedea il caro marito; e considerando il vivo colore del mio viso in
palidezza essere cambiato, e gli occhi piacevoli e lucenti veggendo di purpureo
cerchio intorniati e quasi della mia fronte fuggiti, molte volte già si
maravigliò perché fosse; ma pure veggendo me e il cibo e il riposo avere perduto,
alcuna volta mi dimandò che fosse di ciò la cagione. Io gli rispondea lo
stomaco averne colpa, il quale, non sappiendo io per quale cagione
guastatomisi, a quella deforme magrezza m'avea condotta. Ohimè! che egli intera
fede dando alle mie parole, il mi credeva, e infinite medicine già mi fece
apparecchiare; le quali io per contentarlo usava, non per utile che di quelle
aspettassi. E quale alleviamento di corpo puote le passioni dell'anima
alleviare? Niuno credo; forse che quelle dell'anima via levate potrebbero il
corpo alleviare. La medicina utile al mio male non era piú che una, la quale
troppo era lontana a potermi giovare.
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