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Letteratura francese A - Ragione negativa

letteratura francese



Letteratura francese A


Il seicento è fondativo per le illusioni dei filosofi 700eschi, "Cogito ergo sum" diceva Cartesio. I letterari vanno alla ricerca di codificazioni. In una società che si sta dando regole, tutto ciò che non si conforma alla norma mette in discussione l'ordine. In un secolo dove tutto deve essere normato il genere per eccellenza è la poesia, il genere più frequentato è il teatro in versi. Eppure il 600 ci propone derive della ragione proprio attraverso la tragedia e Racine, suo mas 141j96b simo esponente. Il romanzo era cattiva letteratura, non era contenibile. La trattatistica del 600 si spende sull'honet homme. Colui che si comporta secondo determinate regole di  linguaggio, comportamento, gestualità, recisa cultura dell'apparenza, vestiario preciso. È un mondo dominato dalla cultura dell'apparire. La teatralizzazione del proprio sè in società è importante salvo rompere il patto sociale implicito. Il teatro è il modello che più si conforma alla società stessa. Un personaggio che non si conformava alla norma nel teatro faceva scattare il riso. Nonostante la corte 600esca si avvalesse del teatro, la condanna dell'attore rimaneva. Fare teatro vuol dire sperimentare una vita, le sue mille possibilità. In ambito pittorico, in parallelo si sperimentano nuove tecniche, come l'autoritratto. Il teatro è speculare rispetto alla realtà.

Dal punto di vista autoriale apparivano grandi personalità per una ragione specifica. All'epoca c'era una forte rottura tra privato e pubblico. Baldassare Castiglione si fa il teorizzatore di questa trasformazione, nel 1530 scrive "Il cortegiano", colui che deve possedere determinate virtù : sprezzatura, ovvero la dissimulazione di qualsiasi sforzo, facendo apparire naturali anche gli atti più costruiti; deve usare bene lo sguardo. A corte ognuno è oggetto degli sguardi e osservatore a propria volta, il gioco degli sguardi è costitutiva del mondo cortese. In particolare il cortegiano è sempre sotto gli sguardi del sovrano, che rappresenta tutti gli spettatori insieme. Il cortegiano deve farsi notare, essere unico, imparare l'arte di farsi bene amare proponendosi sempre con qualcosa in più rispetto alla regola, sapere sollecitare un percorso mimetico erigendosi a modello. È lo sguardo che impartisce i ritmi della festa a cui tutti partecipano, sguardo gestisce anche la teatralizzazione. Il senso di tutto è comunque la presenza del sovrano. Le feste coinvolgenti finiscono per sacralizzare il potere, l'immagine che il potere vuole proporre di sé è fondamentale ai fini della possibilità di governare. In un affresco di Del Cossa del 400 il principe è al centro della scena, è l'attore principale, la festa finalizzata alla celebrazione del potere ha una doppia scena, quella dello spettacolo e quella dove ci sono gli spettatori. Prima era molto in voga lo spettacolo del supplizio. Perché il potere sa che il concentrare la violenza collettiva sulla vittima favorisce il coagulo sociale. Il 600 codifica il fatto che a teatro non è possibile portare la morte sulla scena. Lo spazio teatrale si sposta a corte e una fascia di spettatori ne viene esclusa, la corte si progetta all'insegna della sublimazione degli istinti, i temi di conversazione sono la bellezza, l'amore. Si istituiscono veri e propri palazzi con funzione di luoghi di conversazione con temi di carattere puramente cortese. Si assiste a una laicizzazione del gusto. Il testo teatrale deve essere interpretato a differenza delle rappresentazioni religiose. Le 3 unità di luogo, tempo e azione vengono messe a punto negli spettacoli per consolidare al meglio la finzione, un altro modo per fare ciò fu la scoperta della prospettiva geometrica di Brunelleschi. Nella prospettiva geometrica c'è un mondo ordinato, esiste solo un punto di fuga (Palazzo Spada proprietà illusionistiche della prospettiva).




Ragione negativa


Per la coscienza tragica tutti gli istanti della vita si confondono con uno solo fra essi:con l'istante della morte. La morte è legata a tutti gli eventi dell'esistenza. In una prospettiva psicoanalitica il pensiero di Racine e Madame de La Fayette è violentemente scosso da pulsioni di vita in lotta contro pulsioni di morte. La repressione dei moti passionali viene restaurata e costituirà un problema di morte. Una ragione negativa, un vero e proprio censore persecutorio.

Il seicento non è come per lungo tempo si è detto, il regno dell'ordine, della misura, dell'equilibrio o perlomeno non è soltanto questo. Esso è forse il più drammatico, stretto fra una continua dinamica della luce e dell'ombra, del detto e del non detto, del potere costringente e della soggettività soggetta. Ciò che sembra vigere nel secolo del re Sole è un'inesausta tensione fra i poli caratterizzanti della cultura francese:misura e dismisura, alto (sublime) e basso (grottesco), classicità e barocco. Gide nel 1921 dirà che il classicismo francese tende verso la litote. L'arte di esprimere di più dicendo il meno. Si tratta cioè di una forma negativa. Il discorso classico è una maschera, un contenuto manifesto dietro cui si cela il pensiero latente. La potenza del testo classico deriva da un forte movimento di rimozione, di repressione.

Nei salotti preziosi si elabora un linguaggio aristocratico ed emendato, castigato (perifrastico) sino ai limiti del ridicolo. Con la fondazione vera e propria dell'Accademie Francaise (1635) -opera diretta da Richelieu-, il disegno ideologico proiettato sul linguaggio si precisa ulteriormente: la purezza e la stabilità della lingua hanno un corrispettivo chiaramente politico e sociale. Racine contiene nel suo purissimo linguaggio forze scatenate che rasentano la follia e che si scontrano con la morte. Madame de La Fayette rappresenta il dramma del rifiuto della passione, accampa eroine immolate alle ragioni della vertu e del repos.

Tutto il secolo, spinto a nominare la notte e la follia, sembra trattenersi, in precario equilibrio, nella regione in cui negandole le allontana, senza che per questo vengano cancellate del tutto. Il secolo è scosso da furiose pulsioni di vita e di morte, di Eros e Thanatos.


La principessa di Cleves - Madame de La Fayette


Il capolavoro romanzesco del seicento- romanzo del rifiuto amoroso è la principessa di Cleves (1678) una sorta di sintesi del secolo. La vanità dell'amore terreno, il suo egoismo le sofferenze a cui porta, l'ombra della morte, il rigore sono tutti elementi di carattere giansenista. Al versante della rimozione appartengono il silenzio come indizio di desiderio e la negazione dei segni di contatto. Al versante del rimosso in affioramento appartengono il silenzio involontario e l'agente agito. L'ultima parte del romanzo è tutta trapunta dalla parola devoir e dai suoi sinonimi.

Il romanzo è saldamente ancorato ad un preciso quadro storico ma con una precisazione: se il dato romanzesco riceve un colore storico, si può dire che in compenso il dato storico riceve un colore romanzesco. L'irrazionale non è ben visto dal secolo del classicismo francese. Ciò che viene interdetto non è la passione in sé ma la sua manifestazione devastante. Di qui tutta un'arte della dissimulazione e del paraitre a scapito della coscienza irriflessa.

Madame de Chartres trasmette la sua visione del mondo alla figlia, è di un pessimismo e si un rigorismo tutto religioso: ella ama intrattenersi con la figlia per metterla in guardia contro tutto ciò che nella vita è pericoloso. Massimi ideali di una donna onesta consistono nel seguire la vertu e nel mantenere un estrema diffidenza verso gli engagements passionali che non lasciano più liberi. Con il duca di Nemours il lessico è sempre quello dello sguardo. "Elle le vit" è frase molto ricorrente e Nemours sente per lei una inclination violente. Anche il silenzio è eloquente, assenza assoluta di parole ma carico di significazioni pre-verbali. La confessione di Nemours destabilizza la struttura dell'identità, il suo Io è frantumato, sgretolato dalla violenza affettiva. Il sistema difensivo di Madame de Cleves è dei più drastici:tutto fondato su controreattività negative (non parlargli, non vederlo) siamo al punto di un'eutanasia di un amore, prossimo alla morte per automutilazione. Il trouble è più forte che mai e costituisce una crisi permanente nella razionalità della principessa.

Mme de cleves ama di folle passione. Si noti che la grande confessione di passione la principessa la dà nel più profondo silenzio, nella più assoluta assenza di parole. La principessa perde due volte la ragione:prima, per la violenza della propria passione repressa; poi, per la morte del marito di cui si sente responsabile. Il racconto è trapunto da sottili stati di guerra, di erotismo e crudeltà. Mme de La Fayette deve molto alla psicologia pascaliana. La Principessa di Cleves è il primo romanzo del classicismo francese. Esso è il racconto di una violente passion. La passione è devastante delle convenzioni classiche di bienseance in quanto porta i personaggi a perdere la maitrise de soi, valore indispensabile a un honnete homme del seicento francese.

Nel seicento appetiti, pulsioni,istinti, propensioni irresistibili verso l'altro sono spesso ignorati o interpretati secondo prospettive variamente idealizzate o repressive. La passione è il Perturbante corporeo: la passione è in larga misura il frutto di una scelta compiuta nelle profondità del nostro essere. Si tratta di una scelta almeno inizialmente inconsapevole, ma che poi crescendo, acquista una sempre maggiore intenzionalità cosciente. La princesse de cleves è imbevuta di negazioni e di avverbi restrittivi, spesso all'origine della litote. Esiste una teologia negativa. Fra l'ardore della passione e le spinte conservatrici vince la morte, non senza che un permanente conflitto si trascini per tutto il romanzo. E' dal punto di vista di Mme de Cleves che noi viviamo il romanzo. L'autore si nasconde per così dire dietro di lei. La voce narrante appare ora come quella dello storico che si mantiene il più possibile all'esterno del testo, limitandosi a riportare fatti e atteggiamenti al passato remoto,ora imita il memorialista che aggiunge delle precisazioni e dei commenti sul destino dei personaggi, secondo un punto di vista che è quello dell'osservatore medio, ora infine dà l'immagine del moralista che cerca si smascherare la coscienza, a sondare lo svolgimento di un pensiero, a mostrarne il meccanismo e il funzionamento, senza tuttavia emettere giudizi espliciti. La romanziera ha scelto uno stile temperato, il suo è un gusto per la lingua pura. Essa ha manifestamente tenuto a rispettare le unità: unità di luogo (quasi costantemente a corte), unità di tempo (passa quasi esattamente un anno). Il linguaggio è quello della conoscenza riflessiva, sono i gesti, i discorsi dialogati, i rossori o i silenzi dell'eroina che rappresentano il discorso disorganizzato della passione. Il linguaggio del turbamento, come quello degli occhi, è il linguaggio della verità. Sono i messaggi a-verbali. Quando Mme de Cleves arrossisce, uccide la parola, messa a morte dai linguaggi comunicativi preverbali. L'importante è non dare marques pubbliche della passion:poiché il contesto in cui si muovono i personaggi non lo consente. E'la messa a morte della coscienza. La vittoria finale di Thanatos sarà determinata da una violenta introiezione da parte di Mme de Cleves della figura materna. Imponente è il linguaggio del paraitre e la sua importanza nella vita di corte, le descrizioni di ricchi costumi, le allusioni alla lunghezza del tempo speso a vestirsi, i racconti di feste, tanto brillanti quanto costose sono per mostrare il trionfo dell'apparenza. La corte è una specie di teatro, in cui ciascuno interpreta un ruolo, in cui nessuno appare così com'è. Essa suscita la menzogna, impedisce la manifestazione della verità.

Il tragico della principessa di cleves è più discreto di quello della tragedia classica, non per questo è meno reale, ma tutto in sfumature e mezze tinte e soprattutto è essenzialmente interiore. La tonalità tragica del romanzo è principio del suo fascino poetico.  Il romanzo comporta come le tragedie di Racine un tempo chiuso, cellulare. Il romanzo di Mme de La Fayette non lascia ai personaggi alcuna possibilità di evolversi e di compiersi. Romanzo dello sguardo e perciò modernissimo, ma anche romanzo del silenzio. La principessa di Cleves è il dramma della parola continuamente differita, la parola non viene mai detta (o troppo tardi), anche perché la parola è pericolosa, equivoca, crudele, mortifera. Il principe di Cleves muore per le conseguenze della confessione della moglie. La principessa di Cleves è un romanzo costruito intorno a conflitti suscitati da due forze antagoniste: la passion e il devoir. Questo romanzo è anche romanzo dell'apprendistato, la rappresentazione della corte, la rappresentazione dell'amore, definiscono i due campi di una esperienza che ha spesso l'andamento di una prova. In questo doppio camminamento, Mme de cleves è dapprima guidata da sua madre, ella sembra aspettarsi da suo marito che questi sia anche un maestro, ma in definitiva, è attraverso la propria riflessione sulla vita, aiutata da una sincerità che diventa essenziale al suo personaggio, che conquista la sua verità sull'uomo e sul mondo. In un anno la fanciulla sedicenne compie il percorso di una vita per ritirarsi dal mondo a diciassette anni, invecchiata e straziata. La morte svolge il ruolo di leitmotiv lungo tutto il romanzo. Quella di Enrico II occupa tragicamente uno dei tempi forti dell'opera. Morte eminentemente significativa. Essa sopraggiunge in occasione di una delle manifestazioni più brillanti della vita di corte: il torneo. E'una morte in pieno divertissement. L'evento funesto sembra il segno di un destino rivelatore della vera e autentica condizione dell'uomo. E' raciniana quella scienza della tristezza, del peccato, quella condanna ad autotorturarsi, quel vedere la coscienza come un Dio laico. E' raciniana il bisogno di sembrare diversi e di nascondersi. I personaggi sono costretti a muoversi nell'universo regolato e preservato della corte, il dominio del paraitre, dove quest'ultimo significa la negazione della verità. In questo mondo Dio è assente. Mme de La Fayette passa dallo stile diretto a quello indiretto libero con grande abilità, al punto che non si capisce se si ha a che fare con un racconto soggettivo o con le riflessioni del narratore. Come Racine, Mme de La Fayette lascia ampio spazio all'irrazionale e all'inconscio. Il soggetto si costituisce come sguardo prima ancora che come parola, i segnali visivi finiranno per sfumarsi, affinché il silenzio finale sia più totale. Per gli altri personaggi questa principessa soffre per la morte di un marito con il quale condivideva tutto, ma la causa principale di tutto il suo dolore è un sentimento di colpa, un lutto patologico, l'incapacità di ritornare a poco a poco a vivere una vita normale. Isolata in quella regione mediana fra la vita e la morte, Mme de Cleves si cerca ancora, in uno stato passivo. Si scopre sempre in lei come una mancanza d'essere, un'angoscia appena velata, Mme de Cleves scopre che l'amore è una passione fragile, dolorosa. Mme de Cleves si eleverà nella santità, in una fuga dal mondo di stampo giansenista, che consiste in una rinuncia. Se la spontaneità non può essere repressa essa può essere soppressa e la distruzione di sé è l'unica via d'uscita. Mme de Cleves non si prepara a vivere senza Nemours ma soltanto a morire. Il romanzo della passione finisce con il trionfo della pulsione di morte. Mme de Cleves assume una posizione pubblica di vittima designata. E così finisce tragicamente il capolavoro di Mme de La Fayette, vero e vivente esempio di romanzo del classicismo francese e primo romanzo della modernità, esso si impone subito come modello. In quest'opera in cui tutto sembra sottomesso alla ragione, la seduzione proviene dal mistero.


Fedra - Racine


Racine, la sua concezione del tragico consiste in una azione semplice, sostenuta dalla violenza delle passioni e nell'eleganza dell'espressione. Di fatto il suo teatro è un teatro della crisi cioè pone sempre i suoi personaggi di fronte ad una scelta cruciale, la quale costituisce problema tragico. In questo teatro della crudeltà la violenza è offerta in modo liturgico, calata in un'atmosfera di sacralità. Nel teatro raciniano, azioni, gesti, oggetti sono ridotti al minimo. In Phedra collidono rabbiosamente i poli della repressione e del represso, dell'interdetto e del desiderio, del buoi e della luce, del segreto e della confessione. Il sottofondo arcaico-mitologico è metafora delle profondità dell'inconscio. Ma tutto avviene a livello di linguaggio, c'è una tensione terribile tra forma classica, razionale e carattere demoniaco ed irrazionale della favola. Sono in scena Ippolito e Teramene, Ippolito vuole partire alla ricerca del padre, ma la sua ricerca è anche una fuga, una fuga da Fedra, venuta a Trezene per volontà degli dei, seguendo un fato. Essa è un essere inquietante e perturbante, figlia di Minosse, giudice degli inferi e Pasifae, figlia del sole. Fedra è morente, colpita da un male misterioso che si ostina a tacere. Ma Ippolito presenta gli stessi sintomi di Fedra: egli è corroso da un feu secret. Segreto, male, morte sono le immagini chiave di questa prima scena. Ippolito si identifica con Teseo, uccisore di mostri. Nello scenario di corte, delimitato con tanta precisione dalle notazioni formali e dalle cadenze dello stile, irrompe qualcosa di arcaico, di incomprensibile e barbaro. Fedra è figlia dell'inumano. Ma c'è una terza ragione al desiderio di fuga di Ippolito: Aricia, nemica della sua famiglia, di cui però è innamorato. Ippolito è figlio di un'amazzone e di Teseo. Ippolito è muto come è sterile, è rifiuto del sesso antinatura. Fedra è scossa da una crisi permanente dello stato di ragione. La contraddizione in lei è genetica. La ragione non governa più lo spirito della regina, al suo posto si è sostituito uno scandaloso stato di disordine. Entra finalmente in scena Fedra. L'entrata in scena è di una violenza singolare, il suo incedere vacillante, la sua debolezza, Fedra è accasciata e rompe così le convenzione regali delle bienseances classiche. Una didascalia in tutta l'opera "elle s'assit". La notte è lo stato ontologico della regina. Furore è un vocabolo martellante durante la tragedia. Per Enone il nome di Ippolito è funeste (cioè mortale) alla stirpe di Fedra. E' come se una catastrofe dovesse irrompere con l'infrazione del segreto che Fedra porta in cuore. Fedra è preveggente sa benissimo che il suo crimine la porterà alla morte. Il motivo del mostro ritorna spesso, il Minotauro, progenie di Pasifae e ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna. Fedra evoca storie d'amore estremo: quella intollerabile di sua madre per il toro e quello di Arianna, abbandonata da Teseo in un'isola sperduta. Non c'è da dubitare che anche Fedra sia in balia di un amore aberrante, mortale. I mostri abitano gli spazi più fondi, vivono come orridi fantasmi del cuore. La confessione di Fedra ad Enone è come un parto . Enone è l'ostetrica. Fedra racconta la genesi e lo svolgimento della sua insana passione, riconosce subito in Venere la persecuzione di tutto l'asse femminile della sua famiglia. La peculiarità di Fedra è che i significati letterali, fisici sono sempre prevalenti. Fedra prova i più atroci supplizi in uno spazio cartesiano di lucido pensiero. L'amore sconvolge l'identità del personaggio. Ad un certo punto si viene a sapere che Teseo è morto. Sono 3 le alternative al trono: il giovane figlio di Fedra, Ippolito o Aricia. Enone fa presente a Fedra che la sua passione colpevole con la morte del marito non lo è più. Nel frattempo avviene la confessione d'amore di Ippolito ad Aricia la quale arrossisce. La regina cerca Ippolito perché vuole parlargli prima che parta. Fedra con il suo furore, Ippolito con la sua innocenza impaurita. Fin dall'entrata in scena di Ippolito, Fedra è già molto turbata. È il secondo aveu di Fedra : quello, appunto, a Ippolito, L'oggetto del desiderio. All'inizio Ippolito finge di non capire perché imputa questo ardore a Fedra che ama molto Teseo, ma Fedra rincara la dose, favorendo l'equivoco. Fedra confessa che discesa nel labirinto se fosse stata lei Arianna e Ippolito Teseo si sarebbe persa con lui per non più ritrovarsi. Ippolito richiama Fedra alla realtà ed accenna ad andarsene. Allora c'è l'esplosione di Fedra con il passaggio dal voi al tu. Si passa dall'allusivo al concreto e dal mito al vissuto. Fedra definisce il suo amore folle, e finisce per invocare la morte, che la uccida con la sua spada. Mostro è ripetuto nel giro di tre versi. Fedra strappa ad Ippolito la sua spada. La scena rivelava lo scandalo degli istinti. Teramene vede Ippolito sconvolto e gli chiede la ragione di ciò e intanto dice che è arrivata una sorda diceria che vuole che Teseo sia ancora vivo. Fedra si irrita fortemente con Enone quando le consiglia dopo essersi sfogata di tornare pensare agli affari di stato come si addice a una regina. Fedra non impedirà ad Ippolito di diventare re. Arriva la notizia che Teseo non è morto. Fedra è più decisa che mai a morire per non subire la giusta vendetta di Teseo. Enone stessa è ora contagiata dal furore di Fedra e pensa di accusare Ippolito, agli occhi di Teseo, di aver disonorato la regina. Tanto più che ha anche la spada sottratta a Ippolito. Fedra lascia fare ad Enone, compare Teseo che cerca di abbracciare Fedra ma essa si sottrae. Teseo incontra Ippolito che pure si sottrae. La scena è tutta costellata dalla parola mostro. Teseo sconcertato da tanta freddezza pensa ad un tradimento. L'accelerazione drammatica da qui è sensibilissima. Il conflitto tra i protagonisti si fa nell'ultimo atto più violento. Intanto Enone con parole allusive accusa Ippolito di aver attentato all'onore della sposa di Teseo, il quale attacca il figlio, il re gli dice tre volte di andarsene da Trezene e qui si colloca la funesta supplica a Nettuno, dio amico a Teseo. Ippolito preferisce spostare il discorso sui suoi amori proibiti per Aricia. L'ira funesta di Teseo non fa che accrescersi. Ippolito non perora la sua causa con sufficiente forza. La tragedia raciniana riposa su un'incapacità degli esseri a interpretare i segni. Ma Teseo già mostra uno stato d'animo diverso, una tenerezza di padre inedita, uno stato d'animo duplice, complesso. Teseo dichiara a Fedra che Ippolito ama Aricia, questo fatto scatena in Fedra un furore di gelosia. Fedra dice ciò ad Enone. Fedra perde la ragione, il suo pensiero è puro delirio. Pur sentendosi colpevole Fedra continua ad accusare il mondo e a progettare altri mali. Enone viene maledetta ed espulsa. Teseo invoca la vendetta degli dei. Ippolito ama Aricia e lei ama lui quindi si danno appuntamento alle porte di Trezene. Entra in scena un'ancella che annuncia che Enone si è uccisa nel mare. Turbato il re ripensa alla sua richiesta, cerca di parlare con Ippolito e prega Nettuno di ritardare la sua vendetta. Si scopre che Ippolito è morto, con l'apparizione del mostro marino che l'ha ucciso, la morte è descritta con crudele realismo. Le sue ultime parole sono per Aricia. Fedra è morente avvelenata da una pozione, muore trasfigurata. La sorte di Teseo e Aricia, votati al dolore e al lutto, non è invidiabile, essi si riconciliano con l'adozione di Aricia.

Il soggetto è tratto da Euripide. Racine era caro alla corte di Luigi XIV. Il mito degli antichi è stato sottoposto a una revisione morale. Avviene una storicizzazione del mito. Fra i compiti del teatro quello di creare una nuova etica e assegnarle finalità universali. Il teatro di Racine vuole essere anche pedagogico.




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