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Le fonti islamiche della Divina Commedia

dante



Le fonti islamiche della Divina Commedia


Di grande interesse è l'ipotesi, che gia fu di uno studioso spagnolo, prete cattolico e grande arabista, Miguel Asìn Palacios (1871-1944), della derivazione di molte delle strutture dantesche dalle leggende islamiche. Nel libro intitolato La escatologia musulmana en la Divina Comedia, uscito nel 1919, e mai pubblicato in Italia fino al 1994, che ebbe vasta risonanza nel mondo dei dantisti (assai più ridotta tra quelli italiani), l'autore riportava, organizzato con pazienza e acume, un gran numero di leggende islamiche (in arabo hadit), tra le numerosissime fiorite attorno a un passo del Corano (Sura XVII, 1) e risalenti ai secoli tra l'VIII e il XIII, quindi precedenti l'età di Dante e , come dimostrava l'autore, precedenti anche le leggende medievali europee, tutte relative a un misterioso viaggio di Maomet 131e46b to nel mondo dei morti con la guida dell'arcangelo Gabriele: un viaggio all'inferno (in arabo isra, che significa "viaggio notturno"), e un viaggio in Paradiso (ovvero mi'rag, che in arabo significa "ascensione"). Organizzata la materia in tre grandi gruppi di isra, di mi'rag e di leggende miste, Asìn Palacios dimostrava che la struttura portante e moltiluoghi della Commedia derivavano da quelle leggende e che perciò l'apporto islamico al poema (e persino la teoria e la tecnica stilnovistica della donna angelicata, attraverso la Provenza) - apporto già ipotizzato, sia pure timidamente, da qualcuno - era assai maggiore di quanto non si fosse creduto fino a quel momento. Del resto, se il debito verso la cultura scientifica araba (matematica, astrologia, astronomia, scienze mediche, attraverso la Spagna) era notissimo e indiscutibile, non c'era ragione di respingere alla leggera l'ipotesi di una seria influenza anche della cultura araba letteraria nell'Italia del Duecento dove, alla corte di Palermo, Federico II teneva milizie arabe al suo servizio, parlava arabo, manteneva un harem, vestiva spesso come un orientale e intanto faceva tradurre Averroè (ndr: celebre filosofo e medico studioso di Aristotele) in latino: dove le repubbliche marinare prosperavano commerciando con l'oriente mediterraneo dopo aver prestato per due secoli i loro porti e le loro navi agli stati europei impegnati nelle crociate; dove il dibattito filosofico, a Parigi, come tra poco sarebbe accaduto anche a Bologna e soprattutto a Padova, si esercitava sui testi di aristotele conosciuti attraverso quell'Averroè di cui si è detto, il grande "commentatore" di Cordova.



Trent'anni dopo, nel 1949, morto Asìn, dai fondi della biblioteca Bodleiana di Oxford e della Nazionale di Parigi, nonché della Vaticana, veniva alla luce (in Italia per cura di Enrico Cerulli) un testo arabo nella versione latina condotta nel XIII secolo alla corte del re di Castiglia Alfonso il Saggio, intitolato Liber Scalae, dove un autore arabo-spagnolo, parlando in prima persona e fingendosi Maometto, narrava di nuovo la sua mi'rag, la sua misteriosa ascensione notturna, pregevole per eleganza e tensione spirituale, e ricca anch'essa di sorprendenti analogie con la Divina Commedia. Ma per un facile reperimento dell'opera, come di quella dell'Asin, e in traduzione italiana, s'è dovuto attendere gli anni novanta, tanta è stata la resistenza incontrata dall'ipotesi araba nel nostro paese. Che Dante tuttavia avesse conosciuto quelle leggende e il Libro della Scala (la scala per il paradiso), è molto verosimile. Brunetto Latini, che poi fu suo maestro, era stato alla corte di Castiglia proprio nel periodo in cui quel testo veniva diffuso. Se poi dovettero passare almeno una trentina d'anni prima che egli avesse rapporti con Dante, avrebbe comunque potuto parlargliene egualmente.

Al suo allievo non poteva sfuggire questo versante della cultura islamica, dal momento che già conosceva, tra gli autori arabi, quelli di filosofia, geografia, astronomia (come appare soprattutto nel Convivio), tanto che nella Commedia, nonostante la loro fede in Maometto, li salva dall'inferno ponendoli tra i grandi del Limbo. Qui per intanto ci interessa l'impressionante quantità di analogie che è possibile elencare in proposito tra quelle leggende e il poema.

E ne potrà venire pure una conclusione importante: il concetto che il cristianesimo, per Dante, fa parte della grande rivelazione di Mosè, la quale non è estranea quella di Maometto, intesa come "disordine" (Maometto nell'Inferno è punito tra i seminatori di discordie). Interpretare quindi l'islamismo come un fatto estraneo, a sé, non è il pensiero del poeta, per il quale la creazione è unica, opera del Dio unico, tra cui le tre religioni di Abramo. Ma persino il mondo pagano non è estraneo a quello delle tre religioni. Come Allah, così Giove non è un'altra cosa, ma aberrazione di quello stesso principio. Se Dante invoca: O sommo Giove/ che fosti in terra per noi crocifisso, non è per fare un gioco di parole; con la stessa spregiudicatezza salva dalle pene infernali persino Cesare, massacratore di celti, persino il Saladino, irriducibile avversario dei crociati e riconquistatore del Santo Sepolcro. Ne deriva quella che può sembrare spregiudicatezza, ed è soltanto spirito del tempo: tempo che non è facile dire se più chiuso o più aperto del nostro. Qui basti porlo intanto come materia di meditazione nel momento in cui da Vaticano (1994) sembrano venire segnali in questa stessa direzione.




Commedia e fonti islamiche a confronto


S'è detto poc'anzi che nella Navigazione di san Brandano i santi monaci giungono a un certo momento su un'isola, che non è un'isola, ma il dorso di una gigantesca balena, sul quale accendono un fuoco risvegliando l'animale e rischiando il naufragio; s'è accennato altresì, e più volte, al particolare di un ponte stretto e scivoloso, comune a molte visioni, sul quale sono costrette a passare le anime. Ebbene, l'episodio della balena era già in un famoso racconto che noi possiamo ancora leggere, spesso aggregato alla raccolta de Le mille e una notte, il racconto di Sinbad il marinaio; e quel ponte infernale di cui s'è detto già era il luogo comune di testi persiani dei primi tempi degli Abbasidi (VIII-IX secolo). Ma questi sono appena due esempi. Occupandosi della produzione religiosa popolare escatologica araba, ispirata al primo verso di una Sura (la XVII) del Corano - dove si accenna a un viaggio di Maometto alla Mecca a Gerusalemme, e di là agli inferi - l'Asìn dimostrava o si sforzava di dimostrare che le leggende medievali europee di viaggi nell'aldilà erano tutte state precedute dall'imponente produzione araba relativa allo stesso soggetto, alla quale quindi spettava la priorità, anche in fatto di contenuti, essendo quelle leggende assai più ricche di particolari assorbiti dal poema dantesco di quanto non fossero quelle cristiane.

La reazione della critica fu quasi ovunque di accettazione, ma non in Italia, dove il libro, uscito nel 1919 alla vigilia delle celebrazioni del sesto anniversario della morte del poeta, non venne neppure tradotto.

Sorte non molto diversa ebbe pure il Libro della Scala, di cui anche s'è detto, fatto conoscere nel 1949 e tradotto e stamapato solo recentemente in Italia nel 1991. Rimandando alla lettura diretta, diamo qui un breve elenco di concordanze significative, tra le decine e decine documentate dall'Asìn e ricavate dalle pagine di hadit (racconti) intorno all'isra e al mi'rag di Maometto, nonché da altre narrazioni parallele al Libro della Scala.


Innanzi tutto in tutte le hadit e nel Libro della Scala si narra in prima persona, come se si tratasse del racconto di un'esperienza personale. Inoltre si ricorre all'aiuto di una guida, di un accompagnatore: quasi sempre l'arcangelo Gabriele come Virgilio in Dante

Maometto asserisce che un sasso, lasciato cadere dal tempio di Gerusalemme, cadrebbe in verticale sulla testa di Iblis (il nome arabo di Lucifero), sepolto nel ghiaccio in fondo all'imbuto dell'inferno. Lo stesso accadrebbe nell'inferno dantesco, strutturato allo stesso modo e sulla stessa verticale

I quattro possibili destini dell'anima dopo la morte, come si possono ricavare da numerose hadit, sono una sorta di limbo, un inferno ampiamente descritto, una specie di purgatorio dai contorni confusi, un paradiso terrestre, in arabo Heden, e infine un paradiso vero e proprio ampiamente illustrato. In Dante i contorni dell'aldilà sono assai più rigorosi e definiti, ma la sostanza non è molto diversa

Due fiere, un leone e un lupo, di probabile derivazione biblica, sbarrano il passo a Maometto all'inizio del viaggio, come le tre fiere fanno con Dante.

In numerose hadit si ripete che il cammino, nell'inferno, volge sempre a sinistra, come in dante

Sempre nelle hadit si parla spesso di tombe infuocate, come quelle in cui Dante condanna gli eretici

Numerosissime punizioni (acqua, fuoco, serpenti, crocifissioni, mantelli di metallo, facce girate all'indietro, mutilazioni, malattie ecc) descritte sia nelle hadit che nel Libro della Scala, sono spesso simili a quelle dell'Inferno di Dante. Altre invece no, che ricordano invece le visioni medievali e sono le probabili fonti di ispirazione dei pittori dei giudizi universali del tre e quattrocento

Nei testi islamici vi è un'applicazione frequente e dichiarata della legge del contrappasso, quella stessa che regola le punizioni dell'aldilà dantesco

Iblis (Lucifero), con due facce (in Dante tre), immerso nel ghiaccio al centro della terra, è legato con un braccio davanti al petto e uno dietro la schiena (in varie hadit), come il gigante Fialte del XXXI canto, concordanza davvero impressionante.

Impressionante corrispondenza ci è tra lo schema della struttura dell'Inferno islamico, come si può ricavare dalle hadit, col relativo schema dell'Inferno dantesco disegnato dal noto dantista Porena e stampato a confronto con quello dell'Asìn nel suo volume

Il Purgatorio, o ciò che somiglia al purgatorio, è nelle hadit all'aria aperta e non sottoterra come nelle leggende europee, distribuito lungo gradoni del monte più alto della terra. Sul monte è posto anche l'Heden, in una regione orientale del mondo non oltre le colonne d'Ercole, precluse rigorosamente, come afferma anche Dante, che avrebbe così accolto una credenza araba ignota ai classici e tanto più ai contemporanei marinai italiani o spagnoli

La grande scala dalla terra al cielo di molte hadit e del Libro della Scala, è la stessa di Giacobbe, nella Bibbia, ed è anche in Dante

Numerosi luoghi comuni del paradiso islamico sono anche in quello di Dante: la luce, la musica, i colori, l'ineffabilità delle visioni, l'inesistenza dei paragoni possibili. la stessa inesistenza dantesca su questi concetti appare anche nel libro della scala e nelle hadit

I cieli sono gli stessi, derivati da un'identica cosmografia: luna, mercurio, Marte ecc. Intorno a Dio ruotano egualmente nove cori angelici, il più veloce è nei testi arabi quello dei cherubini, in Dante quello dei Serafini

Maometto è sottoposto a un esame sulla fede e sulla virtù (hadit); Dante sulle tre virtù teologali

Gabriele invita Maometto a guardare la terra piccola piccola dall'alto del cielo, come fa Beatrice con Dante. Ma questo tratto, per la verità era già nel somnium scipionis di Cicerone, là dove il futuro Scipione Emiliano viene condotto in sogno, dal nonno Scipione Africano, tra le stelle della via lattea




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