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OMERO - Biografie, La tradizione manoscritta, La questione omerica

letteratura



OMERO

Con il nome di Omero (in greco Hómēros), pronunciato o-mè-ro, viene tradizionalmente identificato l'autore di due capisaldi della letteratura occidentale, l'Iliade e l'Odissea. Si ritiene che sia vissuto nel VIII secolo a.C. 
Omero è il più grande poeta che tratta delle origini greche: sulla vita di Omero ci sono pervenute le informazioni più disparate. Alcuni sostenevano che fosse figlio di una ninfa, altri lo credevano discendente di Orfeo, il mitico poeta della Tracia che rendeva mansuete le belve con il suo canto; altri lo descrivevano come un cantore cieco ("Homeros" nel dialetto di Cuma ha proprio questo significato) che errava da una città all'altra e c'era infine chi aveva costruito una biografia di Omero sulla base di un'altra etimologia del suo nome, che significherebbe "ostaggio". La tradizione ritiene tuttavia Omero nativo della Ionia, la regione dell'Asia Minore che si affaccia sul Mar Egeo. C'è chi lo ritiene contemporaneo alla guerra di Troia e chi lo considera vissuto in un epoca posteriore, o di alcuni decenni, o addirittura di secoli. La contraddittorietà di queste notizie non ha minimamente incrinato nei Greci la convinzione che il poeta fosse veramente esistito, anzi ha contribuito a farne una figura mitica, il loro poeta per eccellenza.



Biografie

La biografia tradizionale di Omero, tratta dalle fonti antiche, è fantasiosa; non ci sono notizie storiche certe. Una delle biografie più quotate è quella attribuita, probabilmente erroneamente, ad Erodoto. Un'altra biografia molto quotata dagli antichi è quella contenuta nelle "Vite", opera attribuita a Plutarco, a Proclo. Già dall'antichità ben sette città ci contendevano il diritto di aver dato i natali a Omero, indice senza dubbio del grande stato di celebrità del quale godeva sin da allora. La gran parte di queste città è nell'Asia minore, precisamente nella Ionia. La data della sua nascita oscilla secondo Erodoto tra il 1194 e il 1184 a.C., come se fosse vissuto ai tempi della guerra di Troia; in altre biografia risulta nato prima, soprattutto verso l'VIII secolo. "Omero" è molto probabilmente un soprannome. Potrebbe derivare da ὁ μὴ ὀρῶν (il cieco), ὃμηρος (ostaggio); quest'ultima ipotesi è di solito screditata perché in nessuna biografia ci sono allusioni a un suo eventuale stato di ostaggio. Una leggenda del sesto secolo racconta di una gara poetica tr 151h72b a Omero e Esiodo, indetta in occasione dei funerali di Anfidamante, re dell'isola Eubea. La competizione consisteva nel comporre il più bel lamento funebre. Esiodo lo incentrò sulla pace, Omero sulla guerra. Il pubblico assegno la vittoria ad Esiodo. Molto probabilmente, in ogni caso, questa leggenda è totalmente priva di fondamento, probabile invenzione del sofista Alcidamante. L'Iliade è scritta in dialetto ionico, ma dentro di essa ci sono anche molti eolismi (termini eolici). Una città abitata sia da Ioni che da Eoli era Smirne, sulla costa nord dell'attuale Turchia, tesi suggerita da Pindaro. Quest'ipotesi è stata messa in discussione dopo che gli studiosi si resero conto che molti di quelli che venivano considerati eolismi erano in realtà parole achee. Secondo Semonide di Amorgo, invece, Omero era di Chio; di certo sappiamo solo che nella stessa Chio c'era un gruppo di rapsodi che si definivano "Omeridi". Inoltre, tra i tanti inni a divinità che venivano attribuiti, spesso erroneamente, ad Omero, uno in particolare, l'Inno ad Apollo, potrebbe avere come autore Omero, ed in questo testo l'autore definisce se stesso "uomo cieco che abita nella rocciosa Chio". Se accettiamo dunque come scritto da Omero l'Inno ad Apollo, allora si spiega ὁ μὴ ὀρῶν e la rivendicazione dei natali del cantore da parte di Chio. La letteratura greca non nasce quindi nella Grecia propriamente detta ma nelle colonie ioniche, della costa turca.

La tradizione manoscritta

L'Iliade e l'Odissea vennero fissate per scritto nella Ionia di Asia, intorno al 8° secolo a.C: la scrittura venne introdotta nel 750 a.C circa; si può supporre che trent'anni dopo, nel 720 a.C, gli aedi possano averla utilizzata. È probabile che più aedi abbiamo cominciato ad usare la scrittura per fissare testi che affidavano completamente alla memoria; la scrittura era null'altro che un nuovo mezzo per agevolare il proprio lavoro, sia per poter lavorare più facilmente sui testi, sia per non dover affidare tutto alla memoria. Nell'epoca dell'auralità il magma epico comincia a sedimentarsi nella sua struttura, ma è anche vero che mantiene una certa fluidità. Si può dire che all'inizio c'erano un grandissimo numero di episodi e sezioni rapsodiche legate al Ciclo Troiano; vari autori, tra cui forse Omero, nell'epoca dell'auralità, intorno al 750 a.C circa, operano una cernita, scegliendo da questa immane mole di racconti un numero sempre più esiguo di sezioni, numero che se per Omero fu 24, per altri autori poteva essere 20, o 18, o 26, o anche 50. Quello che è certo è che la versione di Omero fu quella che si impose, e che dopo di lui altri aedi continuarono sì a selezionare continuamente episodi per creare la "loro" Iliade, ma tennero conto che la versione dell'Iliade più in voga era quella di Omero. Non tutti gli aedi cantavano la stessa Iliade, e non si arrivò mai ad avere un testo standard per tutti; c'erano una miriade di testi simili tra loro, ma con leggere differenze. Il poema non ha ancora, durante l'auralità, una struttura definitivamente chiusa. Non possediamo l'originale più antico dell'opera, ma sappiamo che già nel VI secolo a.C ne circolavano degli esemplari; la prima testimonianza sicura è di Pisistrato di Atene (561-527 a.C). Dice infatti Cicerone nel suo [[De Oratore]]: "primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus" (Si dice che Pisistrato per primo avesse ordinato i libri di Omero, prima confusi, così come ora li abbiamo). Il primo punto fermo è quindi che nella Grande Biblioteca di Atene di Pisistrato erano contenuti l'Iliade di Omero, fatta realizzare dal figlio Ipparco. Ad Atene dunque l'Iliade era quella di Pisistrato. L'auralità non consentì di stabilire delle edizioni canoniche, e l'Iliade pisistratea non fu un caso unico: sul modello di Atene ogni città, e di sicuro Creta, Cipro, Argo e Marsiglia, probabilmente aveva un'edizione "locale", detta κατά πόλεις. Le varie edizioni κατά πόλεις non erano probabilmente molto discordanti tra di loro. Abbiamo anche notizia di edizioni precedenti all'ellenismo, dette πολυστικὸς, "con molti versi"; avevano sezioni rapsodiche in più rispetto alla versione pisistratea; varie fonti ce ne parlano ma non ne sappiamo l'origine. L'Iliade e l'Odissea erano la base dell'insegnamento elementare: i piccoli greci imparavano a leggere leggendo i poemi di Omero; molto probabilmente i maestri semplificarono i poemi affinché fossero di più facile comprensione per i bambini. Sappiamo anche dell'esistenza di edizioni κατά ἂνδρα: personaggi illustri si facevano fare edizioni proprie. Un esempio molto famoso è quello di Aristotele, che si fece creare un'edizione dell'Iliade e dell'Odissea per farla leggere ad Alessandro Magno, suo discepolo, tra la fine del 6° e l'inizio del 5° secolo a.C. Con tutte queste versioni pre-alessandrine, si è arrivati a una sorta di testo base attico, una vulgata attica (la parola vulgata viene usata dagli studiosi in riferimento alla Vulgata di San Girolamo, che all'inizio dell'era cristiana analizzò le varie versioni della Bibbia esistenti e le unificò in un testo latino definitivo, che chiamò appunto vulgata - per il volgo, da divulgare). Gli antichi grammatici alessandrini tra il 3° e il 2° secolo concentrarono il loro lavoro di filologia del testo su Omero, sia perché il materiale era ancora molto confuso, sia perché egli era universalmente riconosciuto come il padre della letteratura greca. Molto importante fu un'emendatio (διὼρθωσισ) volta ad eliminare le varie interpolazioni e a ripulire il poema dai vari versi formulari suppletivi, formule varianti che entravano anche tutte insieme. Si arrivò dunque ad un testo definitivo. Un contributo fondamentale fu quello di tre gradi filologi, vissuti tra la metà del terzo secolo e la metà del secondo: Zenodoto di Efeso, che elaborò la numerazione alfabetica dei libri ed operò una ionizzazione (sostituì gli eolismi con termici ionici), Aristofane di Bisanzio, di cui non ci resta nulla, ma che sappiamo che fu un gran commentatore, inserì il prosodio (l'alternarsi di lunghe e brevi), i segni critici (come la crux, l'obelos) e gli spiriti, Aristarco di Samotracia, che operò una forte ed oggi considerata sconveniente atticizzazione, convinto che Omero fosse di Atene, e si occupò di scegliere una lezione per ogni vocabolo "dubbio", curandosi però di mettere un obelos con le altre lezioni scartate; non è ancora chiaro se si basò sull'istinto o comparò vari testi. Il nostro testo dell'Iliade è piuttosto diverso da quello con le lezioni di Aristarco. Su 874 punti in cui egli scelse una particolare lezione, solo 84 tornano nei nostri testi; la vulgata alexandrina è quindi uguale alla nostra solo per il 10%. Questo dimostra che il testo della vulgata alessandrina non era definitivo; è possibile che nella stessa biblioteca d'Alessandria d'Egitto, dove gli studiosi erano famosi per i loro litigi, ci fossero più versioni dell'Iliade. Un'invenzione molto importata della biblioteca di Alessandria furono le σχὸλια, ricchi repertori di osservazioni al testo, note, lezioni, commenti. Dunque i primi studi sul testo furono effettuati tra il 3° e il 2° secolo a.C dagli studiosi alessandrini; poi tra il 1° e il 2° secolo d.C. quattro scoliasti redassero gli σχὸλια dell'Iliade, poi compendiati da uno scoliasta successivo nell'opera "Commento dei 4". L'Iliade di Omero tuttavia non riuscì a influenzare tutte le zone dove era diffusa; anche in età ellenistica giravano più versioni, probabilmente derivanti dalla vulgata ateniese di Pisistrato del V secolo, che proveniva da varie tradizioni orali e rapsodiche. Intorno alla metà del II secolo, dopo il lavoro di Alessandria, giravano il testo alessandrino e residui di altre versioni. Di certo gli Ellenisti stabilirono il numero di versi e la suddivisione dei versi. Dal 150 a.C sparirono le altre versioni testuali e si impose un unico testo dell'Iliade; tutti i papiri ritrovati da quella data in poi corrispondono ai nostri manoscritti medievali: la vulgata medievale è la sintesi di tutto. Nel medioevo occidentale non era diffusa la conoscenza del greco, nemmeno tra personaggi come Dante o Petrarca; uno dei pochi che lo conosceva era Boccaccio, che lo imparò a Napoli da Leonzio Pilato. L'Iliade era conosciuta in occidente grazie alla Ilias tradotta in latino di età neroniana. Prima dei lavoro dei grammatici Alessandrini, il materiale di Omero era molto fluido, ma anche dopo di esso altri fattori continuarono a modificare l'Iliade, e per arrivare alla κοινὴ omerica bisogna aspettare il 150 a.C. L'Iliade fu molto più copiata e studiata dell'Odissea. Nel 1170 Eustazio di Salonicco contribuì in modo significativo a questi studi. Nel 1459 Costantinopoli fu presa dai turchi; un grandissimo numero di profughi dall'oriente emigrò verso l'occidente, portando con sé una gran mole di manoscritti. Questo accadde fortunatamente in concomitanza con lo sviluppo dell'Umanesimo, tra i punti principali del quale c'era lo studio dei testi antichi. Nel 1920 si realizzò che era impossibile fare uno [[stemma codicum]] per Omero perché, già nel '20, escludendo i frammenti papiracei, c'erano ben 188 manoscritti, e perché non riusciamo a risalire ad un archetipo di Omero. Spesso i nostri archetipi risalgono al 9° secolo a.C., secolo in cui a Costantinopoli, il patriarca Fozio si preoccupò che tutti i testi scritti in alfabeto greco maiuscolo fossero traslitterati in minuscolo; quelli che non furono traslitterati, sono andati persi. Per Omero tuttavia non esiste un solo archetipo: le translitterazioni avvennero in più luoghi contemporaneamente. Il nostro più antico manoscritto capostipite completo dell'Iliade è il Marcianus 454a, presente a Venezia; risale al 10° secolo d.C., quando Bessanone, rettore della Biblioteca di Venezia, lo ricevette dall'oriente da Giovanni Aurisma. I primi manoscritti dell'Odissea sono invece dell'11° secolo d.C. L'editio princeps dell'Iliade è stata stampata nel 1488 a Firenze da Demetrio Calcondica. Le prime edizioni veneziane, dette aldine dallo stampatore Aldo Manuzio, furono ristampate ben 3 volte, nel 1504, 1517, 1521, indice questo senza dubbio del gran successo sul pubblico dei poemi omerici. Un'edizione critica dell'Iliade verrà stampata solo nel 1920, edita da Monroe e Allen di Oxford - da qui il nome oxoniensis attribuito a quell'edizione. L'Odissea fu stampata nel 1919 da Allen.

La questione omerica

Aristotele affermava l'esistenza di Omero e gli attribuiva la composizione di Iliade, Odissea e di un poema minore, il Margite. Fra gli alessandrini, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia, formularono l'ipotesi che fu la più diffusa fino all'avvento dei filologi oralisti. Essi sostenevano l'esistenza di Omero e gli attribuivano l'Iliade e l'Odissea; inoltre, sistemarono le due opere nella versione che possediamo oggi e ne espunsero i passi a loro dire corrotti e integrarono alcuni versi. Xenone ed Ellanico, invece, confermavano l'esistenza di Omero, ma gli attribuivano unicamente l'Odissea. L'anonimo del Sublime sosteneva l'esistenza del poeta, facendogli comporre l'Iliade in giovane età e l'Odissea da vecchio. Le ipotesi di Karl Lachmann trovano una certa analogia con quelle di Hédelin, secondo lui l'Iliade sarebbe composta da 16 canti popolari riuniti e poi trascritti per ordine di Pisistrato (Kleinliedertheorie). Opposta la tesi di Gottfried Hermann: i due poemi omerici deriverebbero da due nuclei originali ("Ur-Ilias" e "Ur-Odyssee"), a cui sarebbero state fatte aggiunte ed ampliamenti. Kirchoff, studiando l'Odissea, teorizzò che fosse composta da tre poemi indipendenti: la Telemachia, il νόστος (viaggio di ritorno di Ulisse) e l'arrivo in patria. Wilamowitz sosteneva che Omero avesse raccolto e rielaborato dei canti tradizionali, organizzandoli attorno ad un unico tema. La questione omerica è lontana dall'essere risolta, perché in realtà è probabilmente insolubile.

I dati che si possono considerare assodati sono:

  • Iliade ed Odissea non sono opera dello stesso autore;
  • L'Iliade ebbe in seguito degli ampliamenti e l'aggiunta di qualche canto;
  • nessun motivo impedisce di pensare che l'autore di questa si chiamasse Omero, il quale forse fu di Smirne e visse nella Troade alla corte di un principe.

Fra i filologi oralisti, William Parry, studioso americano (1928), ipotizzò la natura rapsodica dei due poemi epici. Auralità e oralità sono la chiave di lettura: cantare improvvisando, o meglio impostare elementi via via innovativi su di una matrice standard; oppure declamare al pubblico dopo aver composto in forma scritta. Ebbene Parry ipotizzò un primo momento in cui i due testi dovettero circolare di bocca in bocca, da padre in figlio, esclusivamente in forma orale; successivamente per esigenze pratiche ed evolutive intervenne qualcuno ad unificare, quasi "cucendoli", i vari tessuti dell' epos omerico, e questo qualcuno potrebbe essere un Omero realmente vissuto o un'équipe rapsodica specializzata sotto il nome "Omero". L'Arend (1933), riproponendo le tesi di Parry, notava che non solamente ci sono delle ripetizioni di segmenti metrici, ma anche scene fisse o tipiche (discesa dalla nave, descrizione dell'armatura, morte dell'eroe, etc.). Individuò quindi dei canoni compositivi globali, che avrebbero organizzato l'intera narrazione: il catalogo, la ring composition e lo schidione. Infine, Havelock ipotizzò che l'opera omerica fosse in realtà un'enciclopedia tribale: i racconti sarebbero serviti ad insegnare la morale o trasmettere la conoscenza e quindi l'opera avrebbe dovuto essere costruita secondo una struttura educativa. Il nome "Omero" è in realtà un aneddoto: deriva infatti dall'unione di O-me-oron (alla lettera colui che non vede).

Omero nel Baltico?

Una teoria "alternativa" sui poemi omerici è stata avanzata recentemente da uno storico dilettante, Felice Vinci, che ha pubblicato i risultati delle sue ricerche in un saggio intitolato "Omero nel Baltico". Secondo Vinci l'ambientazione originale dell'Iliade e dell'Odissea non sarebbe affatto nel Mar Mediterraneo, come si è sempre creduto, ma nell'Europa settentrionale, in particolare nel Mar Baltico e lungo la costa atlantica della Norvegia. L'ipotesi di Vinci è periodicamente riproposta nei media e nelle discussioni in rete, ma è scarsamente considerata presso il mondo accademico.

Religione e antropologia in Omero

La religione greca era fortemente ancorata al mito e infatti in Omero si dispiega tutta la religione olimpica (carattere panellenico).

Secondo alcuni, la religione omerica ha forti caratteri primitivi e recessivi:

  • antropomorfismo: gli dei hanno, oltre all'aspetto, anche le passioni in comune con gli uomini
  • zoomorfismo: alcuni dei greci conservano tracce di antichi dei totemici, zoomorfi, nei loro epiteti ferini.
  • insufficienza escatologica e mistica: non c'è una cultura dell'aldilà e un contatto diretto con la divinità, fatta eccezione per i culti misterici (ad esempio il dionisismo)
  • insufficienza etica: manca la punizione divina

Secondo W. F. Otto, la religione omerica è il modello più avanzato che la mente umana abbia mai concepito, perché scinde l'essere dall'essere stato.

L'uomo omerico è particolaristico, perché è la somma di parti diverse:

  • σῶμα (soma): il cadavere
  • ψυχή (psiche): l'ombra
  • θύμος (thumos): il centro affettivo
  • φρήν (fren): il centro razionale
  • νοῦς (nus): l'intelligenza




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