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L'AmOre: L'amore nei poeti latini: L'elegia

letteratura



L'AmOre


L'amore nei poeti latini:


L'elegia


L'elegia è un componimento poetico caratterizzato da precisi tratti distintivi sul piano metrico, formale e tematico.



Dal punto di vista formale l'elegia romana è un componimento poetico costituito da strofe di due distici con la successione di un esametro e un pentametro.

L'elegia esprime, tramite una complessa rete di convenzioni letterarie e di situazioni topiche, un'esperienza fortemente soggettiva, che passa attraverso una serie di tappe:l'innamoramento, la gelosia, il litigio, il discidium, la riappacificazione, il distacco definitivo, il sogno.

Al centro del racconto elegiaco c'è l'amore, ma non quello felice, bensì quello turbolento, tormentato, che tramuta l'uomo in schiavo, una schiavitù da cui è pressochè impossibile liberarsi ; un amore che rende l'uoimo succube della sua passione.La donna, in particolare ,è padrona di sentimenti dell'uomo e del suo cuore.La donna viene idealizzata come irraggiungibile oggetto d'amore ma anche insultata(nei momenti di distacco)come avida e del tutto incapace di apprezzare sentimenti profondi e quindi "non-ricambiatrice" dell'amore del poeta.Al centro di ogni raccolta di elegie c'è quindi un nome di donna(Licoride per GAllo, Delia e Nemesi per Tibullo, Cinzia per Properzio) a cui sarebbe vano, oltre che inutile, dare identità anagrafica; anche perche tra l'uomo e la donna si instauravano forti relazioni extra-coniugali.

La donna viene da un lato mitizzata ed estremamente idealizzata come irraggiungibile oggetto d'amore, dall'altro insultata come incostante, avida, fedifraga, del tutto incapace di capire e apprezzare sentimenti profondi.In Catullo, per esempio come oggetto del canto non troviamo una donna tanto concreta, quanto la ricerca , sempre delusa, di un ideale figura femminile capace di incarnare un concetto d'amore altissimo, sublime, che abbia come termine di confronto il mito.Per questo i momenti di maggior ricchezza lirica, sia in Catullo sia nei poeti Elegiaci, si raggiungono quando la donna viene contemplata in absentia, mentre è lontana, o dopo il discidium, o addirittura dopo la morte, divenuta un sogno sull'onda dei ricordi e della nostalgia, fantasma che non teme confronti con la realtà, perchè è pura creazione della fantasia e del sentimento.

Si tratta di figure che, benchè affondino le radici in un'esperienza reale, vivono entro una ben più commplessa esperienza letteraria.Al contrario, però sarebbe completamente errato considerare le elegie di Tibullo o di Properzio in chiave strettamente autobiografica.E' infatti un rapporto che viene essenzialmente idealizzato nel sogno e nella fantasia del poeta.Nonostante ciò non si pensi che questi poeti non siano sinceri o che non esprimano sentimenti veri, anzi Tibullo e Properzio nelle loro poesie rimandano ad una visione della vita filosofica, simile a quella dei poeti nuovi(totale e totalizzante), piuttosto che ad una descrizione cronologica di avvenimenti e fatti amorosi.

La presenza dell'amore è accompagnata da alcuni luoghi comuni:

La bellezza della donna, che cambia a seconda degli autori; in Tibullo semplice e non artefatta.In Properzio aggressiva e 535h78f sensuale;codificata in una puntuale precettistica in Ovidio.

L'infedeltà al patto amoroso, da cui scaturisce uno dei sentimenti più ricchi di drammaticità e di pathos, la gelosia, che si esprime nelle forme del lamento, del rimprovero, accorato o dell'invettiva.Il patto è un legame sacro ed inviolavile ed è per questo motivo che nelle liriche scaturiscono i sentimenti sopra citati.

Il discidium (distacco) a causa dell'incostanza della donna che lascia l'amante, offrendo così l'occasione per tutta un'altra serie di situazioni topiche.

E' necessario comunque operare una netta distinzione fra la rappresentazione dell'amore in Tibullo e in Properzio da un lato e in Ovidio dall'altro:nei primi la convenzionalità della vicenda è riscattata dal profondo coinvolgimento emotivo del poeta che analizza il proprio cuore, nel secondo l'amore è spogliato dei suoi risvolti più coinvolgenti e si riduce a gioco e a passatempo.


Il modello elegiaco in definitiva si propone, oltre che come codice letterario, anche come modello etico alternativo a quello augusteo, centrato sull'amore -passion e non sul dovere civico, sulla ricerca della felicità personale e non sui valori collettivi, sull'esaltazione di una vita tranquilla e non della virtus che sa imporre la pace con le armi.Rispetto ai poeti novi, gli elegiaci hanno abbandonato certamente gli atteggiamenti più apertamente provocatori, ma sono ugualmente decisi nell'affermazione di un tipo di poesia e insieme di un modello di vita centrati sulll'individualismo, sull'otium, sul disimpegno.


CATULLO:



Catullo (84 a.C - 54 a.C), poeta latino. Nato in una famiglia molto facoltosa della Gallia cisalpina, si trasferì assai giovane a Roma, dove frequentò l'alta società e si innamorò di una donna da lui cantata con lo pseudonimo di Lesbia, a cui è dedicata gran parte dei suoi carmi. Si trattava quasi sicuramente di Clodia, sorella di Publio Clodio, aspro avversario politico di Cicerone.Scrisse 116 poesie del suo Liber (incompleto) sono divise in tre gruppi a seconda di criteri metrici:

Il primo gruppo è costituito da sessanta brevi liriche in metri vari, le nugae ("cose da nulla"), di carattere lirico, amoroso o satirico;

Otto componimenti più lunghi ed elaborati, i carmina docta ("carmi dotti");

Il terzo gruppo è costituito da epigrammi di argomento vario in distici elegiaci.

L'amore per Lesbia fu l'esperienza dominante della vita e della vicenda poetica di Catullo, che lo visse con un'intensa consapevolezza tra felicità, tempestose rotture, delusione, ritorni. Ma i suoi versi esprimono anche il caldo affetto per gli amici, il dolore per la morte del fratello, entusiasmi e sdegni per situazioni e persone.



Nonostante le poesie di Catullo siano numerose in tre in particolare è possibile denotare le tematiche del poeta più volte riprese : "Odi et Amo", "gli amici messaggeri di un addio" e "Bene Velle e Amare".


("ODI ET AMO")

"Odi et Amo, quare id faciam fortasse requiris, nescio, sed fieri sentio et excrucior."

In questo breve distico dell'odi et amo è concentrata l'intera tematica catulliana dell'amore per Lesbia. In un breve giro di parole essa riassume mirablmente l'intera e complessa sintassi dei moti del cuore, che non seguono le "regole" della ragione e del buon senso, ma quello contraddittorie dei sentimenti.Odio e amare si mescolano e si intrecciano in un groviglio inestricabile di passioni che lacerano il cuore e creano sofferenza.

("GLI AMICI MESSAGGRI DI UN ADDIO")

[...]"Viva e stia bene con i suoi amanti, che tra le braccia ne tiene trecento contemporaneamente, non amandone nessuno veramente, ma rompendo contemporaneamente i fianchi di tutti;e non si aspetti il mio amore indietro, come prima, che per sua colpa è morta come l'ultimo fiore di un prato, dopo che è stato tranciato/spezzato/sfibrato/ dal passare di un aratro.""


In Catullo vi è un forte contrasto di sentimenti con la sua Lesbia, in ragione di frequenti momenti di distacco, alternati ad appacificamenti ma mai definitivi.

Questi ultimi causano così forte dolore nel poeta che egli è portato anche a scrivere male della sua amata(vedi "gli amici messaggeri di un addio").In diverse liriche è possibile avvertire l'infelicità del poeta, la sua rabbia contrapposta al suo continuo e grande amore.

("BENE VELLE E AMARE")


[...]" Ora ti conosco per questo sebbene io arda di più intensamente, tuttavia, per me tu sei molto più vile e leggera.In che modo è possibile?-tu dici-poichè tale ingiuria costringe l'amante ad amare di più ma a voler bene di meno."


Egli stesso dice di AMARE e ODIARE e fa una netta distinzione tra AMORE E BENE VELLE(voler bene): dichiara infatti di amara Lesbia e non può sfuggire al suo sentimento che ormai è ridotto ad attrazione sessuale, ma si rende conto di aver perso la STIMA verso la sua amata.Quindi amare vuol dire essere attratto sessualmente, bene velle" vuole dire STIMARE;Catullo ha perso la stima ma continua ad amare.

Catullo inoltre ritiene che il suo non sia un "amore comune", che provano le persone comuni, il suo amare raggiungeva una dimensione altissima.Catullo quindi AMAVA e ODIAVA, cosa che sembrerebbe impossibile e che lui stesso non seppe spiegare, ma era così e e si tormentava.L'elegia latina per alcuni versi è da paragonare alla successiva lirica provenzale.In questa ultima, come nell'elegia, l'amore è il sentimento dominante e l'uomo era schiavo della donna, diventava fedele ad essa come un cavaliere è legato al proprio sovrano.


Saffo ( Lesbo 650? - 590? a.C.), era una poetessa di lingua greca. Poco si sa della sua vita, salvo che nacque nell'isola di Lesbo dove insegnò poesia a gruppi di giovani donne alle quali usava anche dedicare poesie.Anche Catullo si è ispirato a una delle poesie di Saffo, dedicando un carme ala sua amata Lesbia; in questo il pathos raggiunge livelli altissimi(<<...Ti guardai nulla mi rimase di voce in gola, ma la lingua si intorpidisce, una fiamma sottile scorre sotto gli arti, le orecchie rimbombano e gli occhi sono coperti dalla notte.>>).Catullo però apporta una modifica al finale del carme dove immette il tema ell'otium (<<...L'ozio, Catullo, ti è molesto: l'ozio moltissimo tu esulti: l'ozio distrusse prima i re e poi le città>>)



VIRGILIO:


L'Eneide

Virgilio consacrò gli ultimi undici anni della sua vita al progetto più ambizioso: un lungo poema epico nazionale che celebrasse la romanità. Il protagonista non è, come nell'idea originaria, Augusto, ma l'eroe troiano Enea, figlio di Venere e fondatore della gens Julia, alla quale Augusto diceva di appartenere. L'Eneide narra i suoi sette anni di pellegrinaggio dalla caduta di Troia alla vittoria militare in Italia, preludio della futura grandezza di Roma.



ENEA E DIDONE(Ellissa):



Nella mitologia greca e nella mitologia romana,Enea era un eroe troiano figlio di Anchise e di Afrodite, sposo di Creusa e padre di Ascanio. Quando i greci posero fine alla guerra di Troia conquistando la città, Enea riuscì a fuggire con l'aiuto di sua madre: caricandosi il vecchio padre sulle spalle e tenendo il figlioletto per mano, si diresse verso la costa, mentre, nella confusione della fuga, smarrì Creusa.Ci fu un lungo ed avventuroso viaggio. La dea Giunone, che aveva sempre odiato Enea e voleva impedirgli di fondare Roma, impresa a cui lo sapeva destinato, cercò di fermarlo con una violenta tempesta. Enea e i suoi compagni furono scaraventati sulla costa africana, dove li accolse Didone, la bellissima regina di Cartagine.Didone, che si era votata alla castità dopo l'uccisione del marito, accolse i troiani cordialmente e si innamorò di Enea; i due divennero amanti, ma non vissero insieme a lungo perché Giove ricordò a Enea che doveva ripartire, per proseguire nella sua missione e fondare Roma. Alla partenza di Enea, Didone, disperata, si uccise gettandosi in un rogo funebre.[ La versione "storica" è leggermente differente: quando suo fratello Pigmalione, divenuto re di Tiro, le uccise lo sposo Sicheo, Didone fuggì con i suoi seguaci nell'Africa del Nord. Qui, in Libia, ottenne dagli indigeni una terra su cui stabilirsi e fondò Cartagine. Quando la città divenne prospera, il re Iarba le chiese di sposarlo. Poiché l'unica alternativa era la guerra, Didone si uccise per restare fedele al primo marito.]

Dopo molti anni di vagabondaggi, Enea raggiunse l'Italia e la foce del Tevere, dove fu ricevuto in modo ospitale da Latino, re del Lazio. Si fidanzò con Lavinia, figlia di Latino, ma prima che potesse sposarla Giunone indusse Turno, re dei rutuli e pretendente respinto di Lavinia, a dichiarare guerra a Enea e a Latino. Il conflitto finì con uno scontro corpo a corpo in cui Turno fu ucciso da Enea, che regnò poi per molti anni sul Lazio e, sposando Lavinia, realizzò l'unione di troiani e latini che un giorno avrebbe dato origine alla stirpe di Roma.

Nell' Eneide vi è una grandissima abilità di Virgilio di penetrazione del sentimento amoroso;soprattutto sopratutto per ciò che riguarda la psicosi femminile.

Nell'economia generale del poema, la storia fra Didone ed Enea funge anche da causa prima dell'inimicizia storica.

([Cartagine distrutta nel 146; Troia nel 1183)]


Apollonio Rodio (Illa.C.) nell IIl libro delle Argonautiche ha proposto il modello di Medea, quando, con profonda analisi psicologica, descrive nella giovane la lotta interiore tra il sentimento ed il pudore ed il graduale cedimento alla passione infine trionfante. Né bisogna sottovalutare gli apporti della Medea di Euripide presenti in certi atteggiamenti altamente tragici dell'infelice regina cartaginese; anche Catullo, con il lamenio di Arianna abbandonata da Teseo(carme 64), ha fomito motivi ispiratori..


Didone è donna matura, che ha superato molteplici traversie nella sua vita, conquistandosi una posizione di prestigio e di potere che deve continuare a difendere. Virgilio ha ooncesso a Didone ampli spazi narrativi, in cui la passione della donna si apre a tutte le possibilita espressive e soprattutto alla forma drammatica per eccellenza che è il discorso diretto.

Quando la regina percepisce i segreti propositi della partenza, affronta Enea, alternando il tono di supplica della donna inamorata con le prime accuse, per cedere alla suggestione del sentimento materno con 1'accorato rimpianto di un figlio.. Ma alla donna che rivendica 1'amore Enea contrappone gli ordini di Giove. Non c'e possibilita di comunicazione reciproca: ciascuno persegue la propria verita, chiuso nel suo isolamento; Didone pensa e parla come una donna innamorata, Enea come portatore di valori e disegni provvidenziali. La replica di Didone,in un crescendo di passione e d'ira, si esprime soprattutto in accenti di sarcasmo e si conclude con oscure minacce e presagi di morte (tua madre non fu Dea ma sei figlio di una stirpe selvaggia" "io spero che ripagherai il fio e quando sarai morto ci sarò sempre io, pallido spettro a turbarti"). Alla vista delle navi troiane, che già veleggiano al largo, la regina si abbandona ad un monologo con espressioni d'ira ed esasperati sentimenti di vendetta per culminare nelle maledizioni con il presagio del futuro odio mortale tra il popolo cartaginese e quello romano. Essa invoca su Enea ed i suoi discendenti la maledizione degli dei: trovi I'eroe in Italia guerre e stragi e, dopa una morte prematura, resti insepolto; i cartaginesi conservino sempre un odio implacabile verso i disoendenti troiani e un teribile vendicatore naasca un giorno dal suo sangue!.

Il dramma di Didone, in definitiva, è il dramma della solitudine di chi si sente tradita proprio da colui che piu ha beneficato. Didone ritiene di avere offerto molto ad Enea: non solo e venuta meno ai suoi principi, tradendo la Fedelta al marito, ma ha in qualche modo rinnegato la sua regalità per uno straniero esule, che ora non esita ad sbbandonarla.



NEI VERSI SEGUENTI TRATTI DAL LIBRO IV DELL'ENEIDE E' POSSIBILE NOTARE L'ABILITA' DI VIRGILIO NEL DESCRIVERE I SENTIMENTI FEMMINILI ; SI PERCEPISCE INOLTRE UN FORTE PATHOS E LO STRUGGIMENTO INTERIORE DELLA REGINA.

ENEIDE : libro IV vv.1-89


Ma la regina gia da tempo ferita da un grande struggimento; ma la regina ormai ferita da una terribile pena nutre la ferita nelle sue vene e viene(travolta) presa da un fuoco nascosto.Il grande valore dell'uomo e la grande gloria della sua storia (stirpe) le tornò in mente(nell'anima);le restarono infissi nel cuore il volto e le parole e ne(la pena) consente un riposo tranquillo alle sue membra.L'aurora seguente (il giorno seguente) illuminava con la luce del Sole(la lampada febica) la terra e allontanava dal cielo l'umida ombra (della notte),

Quando Didone, fuori di sè, parla così con la sorella del male risanato:

"Anna, sorella mia, quali sogni mi tengono agitata!(Che porta i suoi confini(le sue usanze /terre),di così forte intelleto e armi !Credo in vero, non con vana fede,che sia stato portato dagli dei.Il timore rivela gli animi vili., Così, quelo stesso(sia stato)portato (gettato) dal fato!Quello porta bel logoramento)

Quale nuovo ospite è giunto qui, presso le nostre terre, quale presentandosi nell'aspetto quanto forte nel cuore e nelle armi!Credo certamente, e non è una vana fiducia, che sia di stirpe divina.Il timore dimostra gli animi degeneri.Ahimè, da quali fati è stato trevolto! quali guerre travagliate cantava! se non stesse a me fisso ed immobile nell'animo(e nella mente) di non volermi unire in vincolo matrimoniale ad alcuno, dopo che il primo amore ha ingannato con la morte me abbandonata, se io non mi fossi annoiata(stancata di essere fedele) del letto e della fiaccola matrimoniale, forse potrei(avrei potuto)soccombere a questa sola colpa.

Anna,confesserò infatti,dopo il destino dell'infelice marito Sicheo e disperse le fraterne stragi ai Penati, solo questo cambiò il sentimento e spinse l'animo.

Ammetto i segni della vecchia fiamma.


Ma io desidererei per me piuttosto che la terra profonda si apra(piuttosto che violare il pudore)o il padre onnipotente mi spinga fulmini verso le ombre o dai morti, pallide ombre e la notte profonda prima, piuttosto che, oh pudore, violi te o tradisca i tuoi giuramenti

Quello(Sicheo), che per primo si è unito allontani l'amore (che ci ha uniti) con sè e lo conservi nella tomba.

Io penso che con gli spiriti e gli auspici di Giunone la navi Illiache abbaiano tenuto questa rotta con il vento.Con queste parole Anna rinforzò l'anima già accesa dall'amore e diede speranza alla mente esitante e sciolse il pudore.

<<Oh menti ignare degli indovini, quali sacrifici giovano a lei fuori di sè?C'è una fiamma nelle molli budella e una tacita ferita(IPALLAGE) vive nel cuore.L'infelice Didone brucia e vaga fuori di sè per tutta la città, come una cerva colpita da una freccia che da lontano un pastore ha colpito(lei)che incauta tra i boschi di Creta inseguendola con saaette(facendolo con delle freccie) e inconsapevole lancia la freccia che vola:lei corre in fuga, affannata, per le foreste e le balze dittèe, recando inflitta nel fianco la freccia(canna) mortale.Ora conduce con sè Enea in mezzo alle mura facendogli ammirare le ricchezze sidonie e la città già pronta:ora comincia a parlare e le manca la voce, si ferma a mezzo il discorso.

Caduto il giorno chiede sempre lo stesso banchetto follemente domanda sempre di udire lo stesso racconto, e pende sempre dalle labbra di lui.




ORAZIO:



Orazio ( 65 - Roma 8 a.C.), fu un poeta lirico e satirico, tra i principali esponenti della letteratura latina di età augustea.

Era figlio di un esattore delle aste pubbliche e piccolo proprietario terriero di origine servile, fu educato a Roma e ad Atene, dove studiò la filosofia e la poesia greca all'Accademia. Le sue poesie attrassero l'attenzione di Virgilio, che intorno al 38 a.C. lo presentò a Mecenate, amico di Ottaviano e patrono delle arti, il quale introdusse il giovane autore nei circoli letterari di Roma e provvide alla sua tranquillità economica concedendogli una proprietà in Sabina.

Orazio scrisse satire, epodi, odi ed epistole. Le Satire (il primo libro fu pubblicato nel 35 a.C.; il secondo nel 30 a.C.), hanno forma di dialoghi in esametri e originano da un intento morale, quello di colpire, con ironia quasi sempre benevola, i più comuni vizi umani quali l'ambizione, l'avidità di ricchezza, la brama di ascesa sociale. Gli Epodi, sono un'aspra critica delle ingiustizie sociali ed esprimono il fervido auspicio che si ponga fine alla discordia civile . Nella sua opera principale, le Odi,   Orazio esaltò la pace, l'amore, l'amicizia, la convivialità, le gioie della vita semplice e i piaceri della campagna. La materia umana e morale è la stessa delle Satire, ma il tono è qui più elevato e meno confidenziale, mentre il pensiero costante della precarietà della vita conduce a valorizzare e dominare l'attimo che fugge (carpe diem). Orazio pubblicò il primo libro delle Epistole, lettere personali in esametri, contenenti osservazioni sulla società, la letteratura e la filosofia. Convinto che la vera saggezza si identifichi con l'"aurea mediocrità", Orazio consigliava la moderazione anche nel perseguimento della virtù. Dal tono intimo e riflessivo delle lettere, si direbbe che il poeta stesse compiendo una verifica dei principi che fino ad allora avevano regolato la sua vita: non intendeva più sentenziare o accusare, ma imparare a trovare la via della felicità. Alla morte di Virgilio, nel 19 a.C., Orazio gli succedette nella fama di maggior poeta dell'epoca. Due anni dopo, su incarico di Augusto, compose il carme per i ludi saeculares indetti per celebrare l'inizio del nuovo saeculum, cioè la nuova età aurea del mondo preannunciata dagli oracoli. Scrisse il quarto libro delle Odi, forse il secondo delle Epistole e infine l'Ars Poetica , manuale in versi sullo stile, sui caratteri e gli scopi della poesia.


Nel "carpe diem"(cogli l'attimo) è espressa tutta la tematica di Orazio, la sua semplice ma allo stesso tempo concreta filosofia di vita .E' un invito a cogliere i momenti positivi e belli della vita, un incoraggiamento a gioirne, anche perchè come dice lo stesso Orazio non sai quali "inverni" abbia destinato "Giove" per te.


"CARPE DIEM"

Non ti chiedere, non e lecito sapere, quale fine gli dei abbiano stabilito per me e per te.E non consultare gli oracoli Babilonesi .Come megliopuoi sopporta, qualunque cosa sara!

Sia che Giove abbia dato piu inverni sia che come ultimo quello che affatica il Mar Tirreno, versati del vino e tronca una lunga speranza in un breve spazio di vita. Mentre parliamo (stiamo parlando), il tempo invidioso sarà fuggito: cogli 1'attimo, credulosa minimamente nel domani.

L'amore canatto da Orazio è ben lontano dall'amore-passione di Catullo per Lesbia: esso non deve essere fonte di turbamento, perchè il turbamento, non si addice al saggio epicureo, ma deve essere fonte di diletto, piacere della vita e sua consolazione, allo stesso modo di un buon bicchiere di vino o del profumo di un fiore (carpe diem-l'aura mediocritas).Per ciò nei suoi versi non troviamo solo amore ma tante figure femminili "assaporate" all'insegna del carpe diem.Orazio non intende dare particolare spessore mitologico alle figure femminili, poichè la sua conoscienza di esse si ferma prima che possa dare luogo a qualcosa di troppo serio e... pericoloso.Restano nelle odi di Orazio tanti nomi femminili: Lidia, Cloe, Pyrra, tanto letterali da far nascere il sospetto che non si riferiscano a persone reali.Resta il ricordo di qualche passione tempestosa, dalla quale il poeta si compiace di essersi liberato.


Orazio scrisse delle liriche a tutte le donne amate da lui (Pirra, Cloe Lidia).


A PIRRA:(donna bionda che icarna il simbolo della passione ardente come un fuoco)In questa poesia Orazio si domanda chi è il giovane sventurato, che crede di essere fortunato tra le braccia di Pirra, ma che in realtà non conosce la sofferenza a cui sta andando incontro;il poeta si ritiene fortunato di essersi salvato come un naufrago dopo una tempesta.



"Chi è, Pirra, il giovane gracile che ti stringe in mezzo a molte rose,

avvolto di unguenti profumati della tua grotta?

Per chi con grazia misurata annodila bionda chioma?

Quanto dovrà lamentare la tua infelicità, l'avversità degli dei e

osservare stupito le acque agitate da un vento oscuro,

se ora senza sospetto ti gode dorata e sempre libera ti spera,

degna d'amore, ignaro dell'inganno che respira.

Sventura a chi risplendi sconosciuta.

Per me su una parete sacra la tavola votiva testimonia che

al dio potente del mare le vesti bgnate ho consegnato."



A LIDIA:

In questa schermaglia amorosa tra Orazio e Lidia, vengono inizialmente lodate le qualità degli amanti dei rispettivi personaggi e inseguito vi è la proposta di Orazio di un riappacificamento.



"Fino a quando ero a te gradito nè alcun giovane

da te preferito dava le braccia al tuo candido collo,

godevo più beato del re dei Persiani.

<<Fino a quando non ardesti di più per un'altra

nè Lidia veniva dopo Clodia, Io Lidia di Gran fama godevo

più famosa della romana Ilia(Rea Silvia)>>

Ora mi domina la tracia Cloe, esperta di dolci melodie

e abile alla cetra, per la quale non temo di morire,

se il fato risparmia l'anima di lei superstite.

<<Ora mi fa ardere di un fuoco di una fiaccola reciproca Calais figlio di Ornite per il quale due volte sopporterei di morire se i fati risparmieranno il fanciullo.>>

Cosa ne diresti (quid)se ritornasse l'antica Venere(allegoria dell'amore)

e riunisce noi separati con un giogo di bronzo e se la bionda Cloe viene cacciata via?

<<Sebbene quello là sia più bello di una stella e tu sei più volubile del sughero e più iracondo del duro Mar Adriatico , io amerei vivere con te e possa io morire volentieri con te>>





L'amore nel medio-evo:








LE CANZONI DI GESTA






La letteratura cavalleresca

E' un genere letterario che nacque nella Francia medievale e si diffuse presto nei paesi romanzi. Gli ideali cavallereschi della società medievale sono rappresentati tramite eroiche gesta guerresche o coraggiose imprese avventurose spesso compiute in difesa dell'onore di nobili fanciulle.

Gli ideali fondamentali di questi prodi cavalieri erano :

La PRODEZZA vale a dire il valore nell'esercizio delle armi, IL CORAGGIO E LO SPREZZO DEL PERICOLO, SETE DI GLORIA E IL SENSO DELL'ONORE da tutelare ad ogni costo e con ogni mezzo da ciò che potrebbe macchiarlo: la perdita dell'onore è ritenuta la più grande infamia;la LEALTA' il rispetto dell'avversario e del codice minuzioso che regola il combattimento, la GENEROSITA' con i vinti, il rispetto della parola data, la FEDELTA' al signore o al sovrano.

Tutti questi valori sono complementari e sono strettamente legati tra loro.Venir meno all'ideale della prodezza, cioè rifiutare uno scontro o fuggire dinanzi al nemico, compromette l'onore ; le stesse conseguenze scaturiscono dal mostrarsi sleali verso l'avversario o infedeli al signore.Tutto ciò costituiva la cosidetta FELLONIA.

La Chiesa esercitò il suo influsso su questi ideali, riuscendo a mediare guerra e religione, tramite il ripoto della concezione cristiana all'interno di quella cristiana.In questo modo gli originali valori guerreschi, rozzi, barbarici, ne econo così mitigati, ingentiliti: il cavaliere deve metter la sua prodezza al servizio degli oppressi, in particolare delle donne.Nasce inoltre il conceto di guerra santa contro gli infedeli(i musulmani).


All'origine si trattava di un insieme di testi raggruppabili in tre famiglie:

il ciclo bretone, quello carolingio e quello classico.

Il primo racconta le imprese di re Artù, dei cavalieri della Tavola rotonda e le vicende di Tristano e Isotta: è il ciclo di Bretagna, basato su antiche leggende celtiche.

Il secondo narra le avventure di Rolando nella guerra di Carlo Magno contro i mori, e ha dunque un fondamento storico. Episodio centrale delle opere di questo secondo gruppo è l'eroica morte del paladino Orlando, capo della retroguardia dell'esercito di Carlo Magno nella gola di Roncisvalle, nei Pirenei (storicamente, il fatto avvenne nel 778).

Il terzo insieme di testi rielabora alcune leggende classiche sopravvissute in forma romanzata attraverso compilazioni greco-bizantine. Protagonisti ne sono personaggi come Enea e Alessandro Magno, e a essere raccontate sono vicende come la guerra di Troia, anche se non mancano narrazioni di impianto mitologico.

I primi due tipi di poema cavalleresco hanno un peso decisamente maggiore nella tradizione del genere, che trova nella Chanson de Roland, nelle chansons de geste e nei poemi di Chrétien de Troyes i suoi principali modelli.

In Italia, la materia cavalleresca diede vita a una linea "bassa" e a una "alta". Da un lato si sviluppò la letteratura franco-veneta, che riprendeva soprattutto il ciclo carolingio assieme ai cantari, componimenti in volgare recitati da cantastorie. Dall'altro, e con ben maggiore consapevolezza letteraria, si sviluppò la linea che ha il suo capolavoro nell'Orlando furioso (1532) di Ludovico Ariosto. Anche l'Orlando innamorato (1495) di Matteo Maria Boiardo adotta una lingua composita, un emiliano illustre che include espressioni popolari. Il contenuto del poema, però, questa volta è serio: aggrovigliate avventure tradiscono un'evidente nostalgia per un mondo ormai tramontato, interpretato da energici eroi guerrieri.

Ariosto riprese l'argomento del suo poema là dove Boiardo, che aveva lasciato incompiuto il suo lavoro, si era interrotto. Alcuni elementi dell'Orlando furioso sono già presenti nell'Orlando innamorato, come la dimensione magica e fiabesca, la centralità del tema dell'amore, il gusto per avventure intricate. Ariosto vi aggiunse l'equilibrio tra drammaticità delle vicende narrate e leggerezza ritmata di inseguimenti, fughe e duelli, mescolando garbata ironia e sottile malinconia, distacco e insieme partecipazione ai destini degli eroi, gioco ed evidente allusione alla situazione contemporanea: tutti aspetti che rendono l'Orlando furioso l'esempio più riuscito del genere.

Al tempo dell'Ariosto l'immaginario cavalleresco aveva perduto da secoli ogni attualità, diventando un contenuto esclusivamente letterario. Determinarono il definitivo superamento del genere due capolavori che ne condividevano alcuni aspetti qualificanti: la Gerusalemme liberata (1580) di Torquato Tasso e il Don Chisciotte (1605-1615) di Miguel de Cervantes. Il primo autore impostò il poema eroico moderno basato su una verosimiglianza storica (il racconto si concentra sulla prima crociata); il secondo utilizzò materiali cavallereschi in un romanzo, questa volta, in prosa: uno dei primi grandi romanzi moderni europei.

Tutte queste meravigliiose opere erano cantate da Trovatori, cioè poeti lirici che componevano in lingua d'oc tra l'XI e il XIII secolo. Il termine deriva dal provenzale trobadours, connesso con trobar, "trovare, comporre poesia". Accanto a Guglielmo IX d'Aquitania, uno dei primi trovatori, si ricordano Jaufré Rudel, Bernard de Ventadour, Arnaut Daniel, particolarmente apprezzato da Dante, e Bertran de Born. Si hanno notizie, per quanto scarse, di oltre 400 poeti, della cui produzione ci sono pervenuti circa 300 melodie e 2600 componimenti. La musica che accompagnava i testi andò gradualmente scomparendo nel corso del XIII secolo, così come avvenne in generale per la poesia trobadorica stessa, che a partire dalla crociata contro gli albigesi seguì il declino delle corti cui era legata.

Quale espressione degli ideali cavallereschi, le composizioni dei trovatori celebravano soprattutto l'amor cortese ma, accanto al tema dell'amore, trovavano posto anche soggetti politici e religiosi. Le forme metriche comprendevano, tra le altre, canzoni, tenzoni (contrasti), sirventesi (di argomento politico o satirico), compianti (generalmente canti funebri), albe (sulla separazione degli amanti al sorgere del giorno).

Nel XII secolo la poesia provenzale si diffuse nella Francia settentrionale e in Inghilterra. La lingua usata fu quella d'oïl e gli autori presero il nome di trouvères ("trovieri").

I generi trattati dai trovieri comprendevano romanzi del ciclo bretone e di argomento classico, ispirati all'epica antica, fabliaux (racconti in versi di argomento fortemente realistico), poemi allegorici come il Roman de la Rose. Fra gli autori dei circa 4000 componimenti pervenutici ricordiamo Thomas, autore del romanzo di Tristano e Isotta e Chrétien de Troyes.


LA CHANSON DE GESTE


E' una raccolta di circa ottanta componimenti epici francesi, perlopiù anonimi, composti fra l'XI e il XV secolo, comprendenti circa 10.000 versi. Dalle canzoni di gesta, che fondono elementi leggendari e realtà storica, derivano i romanzi cavallereschi di Chrétien de Troyes. I temi ricorrenti sono le gesta dei paladini di Carlo Magno e dei suoi successori, l'alleanza fra Guglielmo d'Orange e Ludovico I il Pio, le lotte contro le invasioni saracene. All'argomento cavalleresco si aggiunse in seguito quello dell'amor cortese.


Il più importante dei cicli in cui si raggruppano le chansons è quello delle Geste du roi (o delle gesta dei re di Francia), cui appartiene la Chanson de Roland (1100), attribuita al poeta normanno Turoldo. Vi si narra della battaglia di Roncisvalle (15 Agosto 778), dove Rolando, uno dei più valorosi paladini di Carlo Magno, si sacrificò valorosamente in difesa della fede cristiana. Le chansons de geste costituirono un patrimonio tematico che fu ampiamente ripreso, a partire dal Trecento, nella letteratura epica europea. In Italia vi si ispirarono poeti come Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto.



LA CHANSON DE ROLAND


La più antica chanson de geste francese rimastaci, in lasse assonanzate, scritta da un autore anonimo nell'XI secolo; in Italia è nota anche come Canzone di Orlando; è di circa 4000 decasillabi.

Lo spunto per la narrazione è ricavato da un reale avvenimento storico, una breve spedizione in Spagna effettuata da Carlo Magno nel 778, tornando dalla quale la retroguardia dell'esercito franco venne annientata nel passaggio dei Pirenei, a Roncisvalle. La scelta dell'argomento era di attualità: durante tutto l'XI secolo gli stati cristiani furono impegnati in una strenua lotta contro gli arabi che occupavano la Spagna, la Sicilia e la Sardegna, oltre all'Africa del Nord, in una serie di guerre e battaglie che avrebbero portato alla prima crociata (1095).

I due temi dominanti erano la guerra santa contro gli infedeli e la celebrazione del rapporto di onore e fedeltà che lega i paladini al sovrano

L'autore (riconosciuto da alcuni in quel Turoldo citato nell'ultimo verso del poema "Ci fait la geste que Turoldus declinet") modifica in parte i fatti realmente accaduti e inserisce personaggi ed episodi di invenzione: nella prima parte del racconto viene narrato come, dopo sette anni di guerra, Carlo decide di tornare in Francia, stipulando una pace con Marsilio, re di Saragozza, mentre un cavaliere della corte dell'imperatore, Gano, si appresta a tradire il suo signore. Nella parte centrale della chanson i saraceni, seguendo le indicazioni di Gano, attaccano e annientano a Roncisvalle la retroguardia dell'esercito franco guidata da Rolando: quest'ultimo viene ferito mortalmente e, in fin di vita, suona il corno Olifante per richiamare re Carlo. L'ultima parte è dedicata alla vendetta di Carlo sugli arabi e sul traditore Gano, che verrà squartato dal tiro di quattro cavalli.


Ecco dei versi tratti dalla "Morte di Orlando e vendetta di Carlo":


CLXXII


"Ah Durendala, come sei sacra e fine!

Nell'aureo pomo i santi ne han reliquie:

SanPietro un dente, del sangue San Basilio,

qualche capello monsignor Dionigi,

e un pezzo d'abito anche Santa Maria."



Ma non vuol mettere nemmeno sè in oblio:

le proprie colpe ripete e invoca Dio:

"O vero Padre, che mai non hai mentito,

tu richiamasti San Lazzaro alla vita e

fra i leoni Daniele custodisti;"

Protende ed offre il guanto destro a Dio:

dalla sua mano San Gabriele lo piglia.

Sopra il suo braccio or tiene il capo chino:

a mani giunte è andato alla sua fine.

Iddio gli manda l'angelo Cherubino

e San Michele che guarda dai pericoli.

Con essi insieme San Gabriele qui arriva.

Portano l'anima del conte in Paradiso.



"Carlo, cavalca; la luce non ti manca.

Dio sa che il fiore hai perduto di Francia:

puoi vendicarti della razza malvagia."

L'imperatore allora monta a cavallo.



In questi pochi versi si può notare come la vita di Orlando sia simile a quella di un santo come itinerario di virtù e guerra santa.Vi è una conferma clamorosa alla morte di Orlando quando due arcangeli e un cherubino accorrono a raccongliere la sua anima per portarla in Paradiso.

Si possono notare anche delle analogie tra Orlando e Cristo che riguardano l'identità tra il numero dei pari e degli apostoli, la presenza di un traditore all'interno dei due gruppi(Gano/Giuda); Carlo MAgno, vecchio, saggio, prevegente, in rapporto direttocol soprannaturale rappresentato come<<una specie di figura di Dio Padre>>.

Il legame diretto del re Carlo con il cielo si avverte nelle lasse sopra citate, quando Carlo, come il profeta Giosuè, ottiene dal signore che il sole si fermi, la notte ritardi ed il giorno si prolunghi.Un angelo, sceso dal cielo, ordina a Carlo di cavalcare.Dio sa che Carlo ha perduto "il fiore" di Francia e gli consente di vendicarsi"della razza malvagia".E' lo stesso dio ad armare la mano di Carlo per la vendetta sui pagani; carlo è del tutto legittimato da Dio nella sua guerra.


LE LEGGENDE DELLA TAVOLA ROTONDA:


Fanno parte del gruppo di racconti detti anche "ciclo bretone" o "ciclo arturiano", risalenti all'Alto Medioevo, incentrati sulle vicende leggendarie che hanno come protagonisti Artù, re di Britannia, e i suoi cavalieri, usi a sedersi attorno a una tavola rotonda, perché non sorgessero tra loro differenze e invidie riguardo alla posizione da occupare rispetto al re. Le storie narrate intrecciano elementi tratti dall'antica mitologia celtica ad altri aggiunti dalle tradizioni successive, innestandoli su una base storica; furono diffuse in Europa tra il V e il VI secolo, probabilmente dai celti stanziati in Bretagna.

La prima raccolta di narrativa arturiana è la Historia regum dell'inglese Goffredo di Monmouth. Nell'opera compare anche Merlino, consigliere di Artù, e si dice che quest'ultimo è figlio del re inglese Uther Pendragon; viene citata inoltre l'isola di Avalon, dove Artù si reca per guarire dalle ferite riportate nell'ultima battaglia, e si narra dell'infedele Ginevra e della ribellione istigata dal nipote di Artù, Mordred.

Le più antiche delle versioni francesi del ciclo sono costituite dalle opere di Chrétien de Troyes (XII secolo): in particolare, un poema dedicato alla figura di Lancillotto, primo cavaliere di Artù e suo rivale in amore, e un altro che ripercorre la storia di Perceval (Parsifal) alla ricerca del Sacro Graal, intrecciandola alle vicende degli altri cavalieri della Tavola Rotonda.

I successivi romanzi inglesi sono incentrati sulle figure dei singoli cavalieri: Parsifal e Galahad, i cavalieri del Sacro Graal.


Chrétien de Troyes (Seconda metà del XII secolo), fu un poeta francese. Di lui sappiamo quel poco che si ricava dalle sue opere.

Apparteneva al gruppo dei poeti lirici della Francia settentrionale che subirono l'influenza della poetica dell'amor cortese elaborata dai trovatori della Francia meridionale.

La produzione di Chrétien de Troyes, considerato il più grande scrittore medievale prima di Dante, comprende, oltre a due canzoni amorose di maniera trobadorica, cinque romanzi cavallereschi appartenenti per la materia narrata al ciclo bretone. Essi sono Erec ed Enide, Cligès, Lancillotto o il cavaliere della carretta, Ivano o il cavaliere dal leone, Perceval o il racconto del Graal. Alla concezione trobadorica dell'amore si avvicina invece il Lancillotto, che, come il Perceval, sviluppa una più complessa tematica attraverso enigmi e simboli tipici della cultura medievale, espressione di una spiritualità che lega direttamente, senza mediazioni, i valori cavallereschi alla più alta realtà spirituale.

Nel Perceval, interrotto per la morte dell'autore e continuato nel secolo successivo da autori minori, l'eroe ceh da il nome al romanzo viene allevato dalla madre, che vuole salvaguardarlo dalla morte in guerra tocacta al padre e al fratello, in solitudine e senza che mai il giovane senta parlare della cavalleria(come successe anche con Achille).Per caso incontra dei cavalieri; attratto irresistibilmente dalle armi, affronta il combattimento, e segue i cavalieri alla corte di re Artù.In seguito viene ordinato cavaliere, s'innamora di Biancofiore e, quando decide di tornare dalla madre , nel frattempo morta a sua insaputa, ha la visione del Graal, il calice che aveva raccolto il sangue di Cristo crocifisso.Poichè si credeva che il Graal sarebbe stato ritrovato solo da un cavaliere puro Parceval parte aala sua ricerca.


LANCILLOTTO E GINEVRA

Pur di raggiungere l aregina Ginevra, moglie di re Artù, che è stata rapita con uno stratagemmadal malvagio Melegant, Lancillotto accetta di salire sulla <<carretta>> coprendosi di un indelebile marchio d'infamia.

Dopo aver superato duri ostacoli e pericolose avventure , Lancillorro combatte contro Melegant, che teneva prigionieri, con Ginevra, molti dei sudditi di re Artù.

La vittoria di Lancillotto rende la libertà a tutti i prigionieri, che acclamano il loro salvatore e gli fanno grandi feste.Solo la regina, incomprensibilmente, si mostra nei suoi confronti dura e sprezzante.

La notizia successiva della morte di Lancillotto getta però Ginevra nello sconforto.

Ma la notizia era falsa e Ginevra, incontrando nuovamente Lancillotto, si mostra adesso benevola, spiegandogli le ragioni della precedente ostilità.I due giungono finalmente alla realizazione dei loro desideri.


TRISATNO E ISOTTA


E' una delle più grandi storie d'amore della letteratura di tutti i tempi. La leggenda venne tramandata nel Medioevo attraverso numerose versioni letterarie che reinterpretano e rielaborano un mito che probabilmente affonda le sue radici in lontane tradizioni celtiche.

Le linee principali della storia narrano di Tristano, nipote di Marco, re della Cornovaglia, che sconfigge in Irlanda il gigante Morholt, ma ne viene gravemente ferito. Guarito grazie alle magiche cure di Isotta, fa ritorno a corte dallo zio, che lo incarica di una nuova impresa: dovrà trovare la donna a cui appartiene il biondo capello caduto dal becco di una rondine ai piedi del re e che questi, interpretando l'evento come una fatale premonizione, ha deciso di sposare. Tristano, dopo lungo vagare, tornato in Irlanda, riconosce in Isotta la futura moglie di Marco. Nel corso del viaggio per nave che li conduce in Cornovaglia, Tristano e Isotta bevono per errore un filtro d'amore che la madre di Isotta aveva preparato per le nozze reali e vengono presi da un'irresistibile passione reciproca.

Inizia qui una lunga e, a seconda delle versioni, varia serie di episodi che raccontano del contrastato amore tra i due, dei sospetti di re Marco e dell'invidia dei cortigiani. Fuggiti da corte, Tristano e Isotta vengono sorpresi da Marco addormentati in una capanna: ma tra loro che giacciono è posta una spada sguainata, segno della castità del loro rapporto. Il re perdona e riammette Isotta a corte, ma bandisce Tristano dalla Cornovaglia: approdato sulle coste continentali della Bretagna, questi sposa un'altra dama, Isotta dalle Bianche Mani. Ferito mortalmente in un duello, Tristano chiede di poter essere di nuovo curato da Isotta la Bionda; dà quindi incarico all'amico Caerdin di andare in Cornovaglia a invocare l'aiuto della regina. Tristano chiede all'amico di segnalargli al suo ritorno l'esito della missione: se la nave avesse recato con sé la dama, Caerdin avrebbe dovuto issare una vela bianca, altrimenti si sarebbe presentato con una vela nera. Isotta accetta di soccorrere l'amante di un tempo, ma Isotta dalle Bianche Mani inganna Tristano, ormai moribondo, annunciandogli che una nave dalla vela nera sta entrando nel porto. Disperato, Tristano muore di dolore e, al cospetto del suo cadavere, muore anche Isotta la bionda.


Jaufré, Rudel


(1130 - 1170 ),fu un famoso trovatore provenzale. Cantò il tema dell'" amore lontano", cioè dell'amore impossibile e senza speranza, celebrando nelle sue liriche una contessa di Tripoli, aristocratica e inaccessibile. Probabilmente fu principe di Blaye; sicuramente partecipò, verso il 1147, alla seconda crociata al fianco di Luigi VII. A Tripoli incontrò una donna - forse la moglie o la figlia del conte di Tripoli, oppure la moglie dello stesso conte di Francia - che gli ispirò i suoi versi più belli. Il tema dell'amore lontano non era certo una novità per i trovatori dell'epoca, ma Jaufré Rudel lo seppe portare alla perfezione: le sue liriche, composte con stile semplice ma cariche di nostalgia e di misticismo, appaiono non già la sapiente elaborazione di un genere letterario bensì confessioni d'amore di affascinante sincerità.


Bernard de Ventadour


( 1150 ca. - 1200 ca.), Era un trovatore limosino che cantò, nei suoi versi, la passione amorosa per Eleonora d'Aquitania.

Secondo una biografia provenzale, sarebbe stato il figlio di un servo e di una fornaia al servizio dei castellani di Ventadour, nel Limosino. I suoi primi componimenti furono sicuramente dedicati alla viscontessa di Ventadour, la qual cosa gli attirò le ire del visconte geloso che lo cacciò dal castello. In seguito fu accolto alla corte di Eleonora d'Aquitania, a cui dedicò le sue Chansons, e risiedette infine alla corte di Tolosa.

Le scarne notizie sulla sua vita possono essere dedotte dall'opera poetica, dove il trovatore inserisce spesso allusioni a personaggi storici come Enrico II Plantageneto. Pur riprendendo motivi comuni agli altri trovatori - la natura, l'amore - la sua poesia acquista toni di vibrante sincerità. La lirica coincideva per lui con l'espressione del sentimento più che con la ricerca formale. Le sue canzoni contengono infatti immagini commoventi, che esprimono in una lingua semplice passioni intense. La sua opera fu poco apprezzata dagli estimatori della poesia cortese che ponevano la ricerca formale al di sopra dell'espressione dei sentimenti.


Arnaut Daniel


( 1150 - 1200 ),Anch' egli fu un trovatore provenzale, conosciuto in Italia anche come Arnaldo Daniello. Secondo le poche notizie biografiche, era di origine nobile, assistette all'incoronazione di Filippo Augusto, re di Francia, nel 1180, ed ebbe l'amicizia di Bertran de Born e la protezione di Riccardo Cuor di Leone. Dei suoi versi rimane un canzoniere di diciotto liriche di ispirazione amorosa, di intensa forza espressiva, fra cui la più famosa, Lo ferm voler qu'el cor m'intra, utilizza per la prima volta lo schema metrico della sestina, basato sulla ripetizione di parole-rima. La sestina venne ripresa anche da Dante e da Francesco Petrarca, che in Arnaut riconobbero il più grande dei poeti provenzali. Il primo ne parla nel De vulgari eloquentia e nel Purgatorio dove Guido Guinizelli interviene definendolo "il miglior fabbro del parlar materno"; Petrarca ribadisce il suo primato fra i trovatori nel Trionfo d'Amore.



L'AMOR CORTESE






E' una concezione che nasce nel corso del XII secolo nella poesia lirica dei trovatori provenzali.Era un codice di comportamento che regolava la relazione tra gli amanti di estrazione aristocratica nell'Europa occidentale durante il Medioevo. Improntato agli ideali della cavalleria e del feudalesimo, l'amor cortese ebbe la sua celebrazione letteraria tra l'XI e il XIII secolo nelle canzoni dei trovatori e trovieri, che ne codificarono poeticamente le norme principali.

La struttura piramidale tipica della società feudale prevedeva che, attorno a un nucleo di potere forte che, a seconda dei diversi livelli lungo la scala delle autorità, poteva essere rappresentato dal sovrano, dal barone, dal piccolo feudatario, si raccogliesse un'aristocrazia di cavalieri e dame. Valori come il servizio e la fedeltà, che legano la corte al signore e si concretizzano in obblighi e prestazioni materiali, subiscono una sorta di trasposizione ideale nel codice letterario cortese.

L'amor fino, il concetto di amor cortese così come viene espresso dall'elaborazione poetica dei trovatori provenzali, vuole che un cavaliere venga preso da passione per una dama di nobile stirpe, generalmente di grado nobiliare più alto, spesso identificata con la donna del signore. Il codice, obbliga il cavaliere a esercitare virtù come la pazienza, l'assoluta discrezione, la lealtà, la fedeltà esclusiva, la generosità, il coraggio eroico per potersi meritare l'attenzione dell'amata e una speranza di vedere ricambiati i propri sentimenti. L'attrazione sensuale, pur presente nell'immaginario poetico e talvolta fonte in se stessa di sofferenze fisiche, viene tuttavia sublimata in una sfera spirituale. Ecco quindi che l'esercizio dell'amor cortese diviene di fatto un itinerario di perfezionamento dell'anima, di nobilitazione ed ingentilimento.

Il mecenatismo delle grandi corti medievali in Provenza, in Francia, in Germania e in Italia, ha fatto sì che gli ideali dell'amor cortese trovassero espressioni di grande valore letterario. Tra le opere in volgare ispirate ai temi dell'amor cortese, oltre ai canzonieri dei trovatori occitanici (Arnaut Daniel, Jaufré Rudel, Bertrand de Ventadorn), si ricordano i romanzi cavallereschi di Chrétien de Troyes, la leggenda di Tristano e Isotta, raccontata in numerose versioni, Le Roman de la Rose (1230-1270 ca.), di Guillaume de Lorris e Jean de Meung, e i romanzi ispirati alla leggenda di Re Artù. In Italia la poetica dell'amor cortese fu rielaborata e arricchita dapprima dai poeti della Scuola siciliana, quindi profondamente rinnovata dal Dolce stil novo.

GLI ELEMENTI CARATTERIZANTI DELL'AMOR CORTESE SONO:


IL CULTO DELLA DONNA: vista come un essere sublime, irraggiungibile

INFERIORITA' DELL'UOMO:per contro;l'amante si presenta come un umile servitore della donna.il cosidetto "servizio d'amore" che rendeva il rapporto uomo-donna simile a quello cavaliere-sovrano.

L'AMORE E' INAPPAGATO:l'amante non chiede compenso per i servigi procurati.

LA SOFFERENZA: generata da un amore impossobile

ANIMO INGENTILITO : dall'esercizio di devozione; lo purifica di ogni viltà o rozzezza l'amore per la donna.

Alcuni ritengono che 1'amor cortese altro non sia che la metafora dell'enorme rispetto che il vassallo aveva verso il suo signere; tato è che il cavaliere si riferiva alla donna con 1'appellativo che significa "mio signore".Esiste anche un'interpretazione psicosociologica, cioè è ormai un dato di fatto che nelle corti la castellana era simbolo supremo di donna, essere altissimo, quasi irraggiungibile, attorno a cui tutto e tutti si raccoglievano. Cavalieri e trovatori rendevano omaggio alla castellana, donna nobile, colta ricca e potente. Esistono ancora altre interpretazioni, come quella che l'amore era paragonato alla devozione alla Santissima Vergine Maria. L'ultima e piu recente interpretazione e quella di Erich Kohler, secondo la quale l'amor cortese nient'altro è che l'invenzione letterale di nobili decaduti che con questo ideale da loro inventato vogliono sentirsi all'altezza della nobiltà che possiede il feudo.(interpretazione anch'essa psicosociologica). L'interpretazione di Erich Kohler:


L'amore cortese è un processo di autonobilitazione che deve restare per principio incompiuio e che richiede un continuo sforzo di perfezionamento.Lo scopo di questo sforzo è la dama.

Nella struttura della societa feudale dell'epoca cortese era un movimento di un gruppo sociale che ha la necessita di rafforzare la propria posizione raggiunta.

Nell'amor cortese, la dama non ha solo dei diritti, ma anche dei doveri; e noto infatti che se 1'amante viene leso nei suoi diritti, può lasciare ufficialmente il suo servizio, cosi come il vassallo puo lasciare i1 servizio del signore.

La donna appartiene a tutti, è per così dire possesso comune della corte.Perciò nell'ambito de11'amore cortese non c'e posta per la gelosia, ancor meno per quella del marito.

L'amante cortese spera di arrivare, attraverso d'amore e 1'osservanza delle sue leggi a un riconoscimento sociale. Come prima si pretendeva dal signore cbe non puo ricompensare i servizi con un feudo ci si aspetta liberalità, così è un dovere della donna accordare un onore che non si misura piu in possessi ma che consiste solo in cansiderazione sociale.

Il significato feudale di questi concetti e ancor viva nella mente dei trovatori.


La scuola siciliana:



E' la prima forma di poesi d'arte in volgare siciliano.Nata da poeti che, a partire dal 1230 ca., presso la corte palermitana di Federico II di Svevia e dei suoi figli Manfredi ed Enzo, diede avvio alla tradizione poetica italiana in volgare. Questa esperienza può ritenersi conclusa con la battaglia di Benevento nel 1266, in cui morì re Manfredi.

La corte di Federico fu in effetti un crocevia itinerante (il re si spostava spesso per ragioni politiche e amministrative) non solo letterario ma, più in generale, culturale: vi ebbero infatti grande impulso anche la tecnica e la scienza. Confluirono qui tradizioni molto diverse: quella araba, quella bizantina e quella latina; l'eredità dei poeti tedeschi (i Minnesänger) e quella normanna in lingua d'oïl, soprattutto tramite la diffusione dei poemi cavallereschi del XII secolo. Ma la componente determinante per la poesia italiana delle origini è certamente l'esperienza dei poeti provenzali (vedi Trovatori), autori di liriche soprattutto amorose, che viaggiavano di corte in corte.

Molti stimoli culturali vennero raccolti da un gruppo di intellettuali, funzionari di corte e perlopiù giuristi e notai di area prevalentemente meridionale, che trapiantarono i modelli della lirica provenzale nel volgare di Sicilia, eliminando i riferimenti alla cronaca cortigiana e cercando un'espressione più astratta e teorica. Si tratta di una lingua lontana dal parlato, tenuta quasi sempre su un livello retoricamente alto modellata sul provenzale e sul latino. Il rapporto amoroso, presentato da un punto di vista "feudale", in cui la donna è il signore e l'amante il vassallo, ha come centro la donna. L'amore è fortemente concettualizzato e le sue manifestazioni avvengono in forme stereotipe e convenzionali. Inoltre l'amore ha senso indipendentemente dalladonna, che resta, per convenzione, irraggiungibile.

I maggiori poeti di questo gruppo furono Jacopo da Lentini ,Rinaldo d'Aquino e Giacomino Pugliese, oltre agli stessi sovrani. A noi sono giunti pochi componimenti e tutti in volgare toscano perché in quell'area fu trapiantata l'esperienza poetica siciliana dopo la fine della corte sveva. Pier della Vigna, cui Dante rende omaggio nel XIII canto dell'Inferno, si dedicò anche alla prosa aulica, elaborata per le necessità delle funzioni giuridiche e amministrative che quegli intellettuali svolgevano.



Jacopo da Lentini:

(XIII secolo), poeta italiano. Fu notaio imperiale alla corte di Federico II. Viene citato da Dante nella Divina Commedia (Purgatorio, XXIV, 55) come iniziatore della scuola siciliana, e nel De vulgari eloquentia una sua canzone viene portata ad esempio di limpido e ornato stile. A lui per antonomasia si deve quindi la prestigiosa iniziativa di aver tradotto in lingua volgare i temi e le forme della poesia provenzale, aprendo in tal modo la strada alla lirica d'arte italiana. Gli vengono attribuiti una quarantina di componimenti divisi tra canzoni di vario schema e sonetti, genere metrico che appare per la prima volta nelle sue rime e di cui è considerato inventore. Nei suoi versi si ritrovano le tematiche amorose e le metafore proprie della poesia provenzale("Amore è un desio che ven da' core"), nelle quali i riferimenti a situazioni concrete e reali vengono eliminati nell'intento di conferire all'esperienza amorosa un valore oggettivo.

Ecco alcuni versi di uno dei suoi più famosi testi:


"AMORE E' UN DESIO CHE VEN DA'CORE":


Amor è un[o] desio che ven da'core

per abondanza di gran piacimento;

e li OCCHI in prima genera[n] l'amore

e lo core li dà nutricamento.


Per il poeta gli occhi, quindi generano amore.



DOLCE STIL NOVO


Dolce stil novo Movimento poetico sviluppatosi a Firenze alla fine del XIII secolo. Il termine deriva dalla Divina commedia (Purgatorio, XXIV, vv. 19-63), dove è utilizzato dal poeta Bonagiunta Orbicciani: dopo che Dante gli ha esposto i propri principi poetici, Bonagiunta riconosce le differenze che separano l'approccio alla tematica amorosa da parte della scuola siciliana, di Guittone d'Arezzo e di se stesso da quello dello stile "novo" di cui Dante si fa portavoce.

Iniziatore del nuovo stile fu il poeta bolognese Guido Guinizelli, che nella celebre canzone "Al cor gentil rempaira sempre amore" definì quelli che sarebbero stati i canoni della nuova scuola: anzitutto, in un'Italia centrosettentrionale che evolveva in senso cittadino e borghese (fu questa l'età dei Comuni), il concetto della nobiltà come dote spirituale piuttosto che come fatto ereditario e lo stretto rapporto fra la nobiltà ("gentilezza") d'animo e la capacità di amare; in secondo luogo l'immagine della donna come angelo, in grado di purificare l'anima dell'amante e di condurlo dal peccato alla beatitudine celeste. Questi concetti ricevettero un approfondimento sia dal punto di vista filosofico sia da quello psicologico, che dava conto con precisione, tra l'altro, degli effetti di Amore sull'anima dell'innamorato.

Il Dolce stil novo si mosse nella direzione di una poesia concettualmente e formalmente rigorosa: sul piano dei contenuti, trascendeva il dato biografico e concreto dell'esperienza amorosa per farne esperienza spirituale e morale, mezzo per raggiungere la virtù; sul piano della forma, si proponeva di utilizzare un linguaggio "dolce", privo di asprezze tanto negli effetti fonici quanto nelle immagini, perché fosse adeguato all'altezza dei contenuti espressi.

Al modello lirico e ideologico di Guinizelli si ispirò a Firenze un gruppo di giovani poeti, i cui maggiori esponenti furono Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, che in alcune rime giovanili e in particolare nella Vita nuova approfondì l'analisi psicologica del sentimento amoroso e accentuò il tema della virtù salvifica della donna.

L'immagine letteraria ricorrente nello stil novo è la donna.La figura femminile, infatti è al centro di tale poetica e, ne è quindi protagonista insieme all'amore.


La caratterizzazione del paesaggio è quasi completamente inutile al fine letterario.Se per caratterizzazione del paesaggio però, si intendono tutti i paragoni della donna con la natura allora il paesaggio è importantissimo.Per esempio nel sonetto di Guinizzelli "io voglio del ver la mia donna laudare", il paesaggio caratterizza le prime due quartine, che sono appunto destinate ad elevare la bellezza esteriore ed interiore della donna amata tramite bellissimi confronti con elementi naturali(<<asemblarlj la rosa e lo giglio: più che stella Diana splende e pare, e ciò ch'è lassù bello a lei somiglio//Verder river a lei rasemblo e l'are, tutti color di fior, giano e vermiglio, oro ed azzurro e ricche giò per dare.>>).L'elemento paesaggistico, non ha infatti la funzione di determinare un luogo o spazio, bensì come è facilmente comprensibile, al fine della poesia amorosa, la natura serve a elevare il concetto di donna, fino alla donna-angelo


Il personaggio femminile viene descritto dagli stil novisti come un essere sublime, incantevole(nel vero senso della parola-che incanta-),stupendo.Vengono attribuiti alla donna addirittura dei poteri divini, come quelli di poter convertire gli infedeli e rendere fine l'uomo vile(come nel sonetto di Guinizzelli "io voglio del ver la mia donna laudare":<<Abbassa orgoglio a chi dona salute e fa'l de nostra fé se non la crede//null'om può mal pensare fin che la vede>>).La donna raggiunge uno stadio di beatitudine così elevata che diventa donna - angelo ed è adorata dall'uomo a tal punto che talvolta egli nei suoi sonetti si scusa con il Signre per aver lodato di più la donna che DIO stesso.












La donna comunque si rivolge sempre e solo all'uomo fine, gentile, quell'uomo che sa amare gentilmente e finemente, al "cavaliere" dell'amor cortese(non si tratta più propriamente di amor cortese, ma il genere e molto simile nelle tematiche amorose).Non vi è una descrizione fisica della donna diretta, ma le sue connotazioni fisiche vengono elevate tramite numerosissimi iperpati durante paragoni con elementi naturali, come i fiori, le stelle, ecc...(vedi domanda 2)Sono tutti elementi naturali dalla grande bellezza , noti, appunto per essere i simboli naturali della perfezione, e tramite il paragone con essi la bellezza della donna viene sublimata.

Le differenze principali tra dolce stil novo e romanzo cortese sono che l'amore per la donna amata nel dolce stil novo è ancora più elevato e non lascia spazio come nel romanzo cortese, ad attrazioni sessuali.La donna non è solo simbolo di bellezza nello stil novo, bensì anche essere(quasi) perfetto a cui rivolgersi per ottenere salvezza tramite il suo saluto(per essere nobilitati.).Inoltre la donna diventa anche donna-angelo e lodata quasi più di Dio.Nel romanzo cortese iolltre la dama di corte era al centro delle attenzioni di tutti i cavalieri(di qualcuno in particolare), nello stil novo, invece non esistendo più le corti l'attenzione alla donna era rivolta di più dal singolo.Nonostante ciò delle corti esistevano, ma più che corti a titoli nobiliari erano corti dove solo il nobile in cultura poteva accedervi, erano poeti che si consideravano una "corte" di spiriti eletti per raffinatezza e cultura; non erano esperienze vissute, bensì esperienze letterali inventate.Lo stil novo è una rielaborazione dell'amor cortese è infatti più dolce, pieno, scorrevole e la figura della donna è ancora più idealizzata.

Gli elementi fondamentali dello stil novo sono quindi l'amore estremo per la donna che è portato quasi a esaltazione per il divino e la sublimità della donna-angelo.

Lo Stilnovismo è prodotto da una società dove le corti sono sparite, e le uniche "corti" rimaste sono quelle di poeti che si considerano spiriti eletti per cultura e raffinatezza.La società che lo produce è pre tanto una società comunale, che quindi ha perso le sostanziali caratteristiche dell'Italia feudale creatasi con Federico II.

"Dolce-Novo": dolce perchè è appunto uno stile più dolce, con meno artifici retorici astrusi, relativamente più semplice rispetto al precedente, più scorrevole e lineare.Novo perchè è un nuovo genere letterario, che va ben oltre l'amor cortese; i poeti non descrivevano esperienze vissute, bensì inventate e lo stesso Dante ci da una piccola ma significativa definizione del compito dello stil novista:<<Mi son un, che quando/Amor mi spira noto, ed a quel modo che ditta dentro vo' significando >>.Dante quindi come anche gli altri stilnovista è un fedele trascrittore del dettato d'amore.



GUIDO GUINIZZELLI:


(Bologna 1230 - Padova 1276 ), poeta italiano che Dante stesso definisce il Maestro. Figlio di un giudice, seguì le orme del padre e, dopo aver compiuto gli studi di legge a Bologna, iniziò la professione dell'avvocatura, partecipando intanto alla vita politica della città che era divisa fra guelfi e ghibellini. Fu podestà di Castelfranco Emilia, ma quando nel 1274 la parte guelfa ebbe la meglio, Guinizelli, che era ghibellino, dovette andare in esilio, rifugiandosi con la moglie e il figlio a Monselice, dove morì pochi anni dopo.

Accanto alle cure politiche e giuridiche, fu poeta tra i maggiori del suo tempo. Le sue Rime sono il fondamento di quello che Dante chiamerà il dolce stil novo, già compreso e sintetizzato nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore (dove il verbo rempaira è una parola di origine provenzale che significa "tornare a casa", "rimpatriare"), nella quale viene affermata l'affinità elettiva che lega il sentimento d'amore alla nobiltà d'animo. Con il superamento della poesia cortese e provenzale, di cui rimangono nella sua lirica solo echi lontani, Guinizelli canta con delicatezza e pensosità un amore che è principio di elevazione e perfezione morale, un amore come virtù individuale che è specchio dell'ordine naturale del creato.


"IO VOGLIO DEL VER LA MIA DONNA LAUDARE":

ANALISI:

Nelle ultime due strofe le rime possono essere coparate tra di loro trendo dalle parole rimanti dei significati ben precisi.Per esempio gentile/vile(vengono in tal modo messi in evidenza due aggettivi contrastanti, ma che ben si adattano al fine del poeta;infatti colui che e gentile non è vile, e la gentilezza dell'amore per la donna rende 1'uomo vile nobile e lo ingentilisce) o salute e vertute (dove il solo saluto della donna ha un potere miracoloso che ha la capacita di cambiar l'omo vile in gentile e di convertire l'infedele in fedele) infine, gli ultimi due verbi "crede" e "vede" sottolineano la sublime figura della donna e la sua altezza spirituale, tanto da poter affermare che nessuno puo pensare male di questa donna.

Le parole chiave:

Nella prima quartina la parola chiave è laudare, perche questo sonetto e innanzi tutto una lode alla donna.Nella seconda quartina la parola chiave è Amore, in quanto questo sanetto e le sue tematiche in particolare, si rifanno all'amor cortese, dove la donna era sublime essere, simbolo dell'amore e dell'integrità sia morale che spirituale; inoltre l'amore insieme alla donna sono al centro di questo sonetto.

I verbi che caratterizzano la prima parte del sonetto, sono verbi di paragone, utilizzati per innalzare e aumentare la bellezza della donna, non solo interiore, ma anche esteriore(1a donna e paragonata tramite similitudini a unn rosa, un giglio, una stella all'aria e alla bellezza di tutti i eolori dei fiori). Nella secenda parte della poesia i verbi utilizzati, servono per aumentare il valore delle facoltà della donna rapportate all'uomo, omaggio dalle stesse frasi dell'autore(ch'abbassa orgoglio...no.lle pò apressare om che sia vile, ecc) si intuisce il terna dell'amore che ingentilisce 1'animo, che nobihta che porta l'uomo verso un cammino di perfezionamento continuo per ottenere 1'amore della donna.

"Gentile" net sonetto, assume quindi significato di sublime.

Vi è un'esaltazione della donna come angelo in terra.

La donna viene lodata tramite il canfronto con elementi naturali.In particolare la bellezza della donna, sia interior che esteriore e tale da assomigliare a ciò che è più sublime in natura: una rosa, un giglio, una stella, i colori dei fiori, ecc...

Sono tutti elementi naturali dalla grande bellezza, noti, appunto per essere i simboli naturali della perfezione.

Al solo passare della donna in una via, i vili si ingentiliscono e gli infedeli

diventano credenti; questo e il potere miracoloso della donna.Pero io ho percepito un altro signifieata dal testa.Ho interpretato cion "la via della donna", come il cammino necessario all'uomo per redimersi, o meglio per ingentilirsi.Egli vedendo la donna riconosce la sum infcriariL e si vergogna di essere infimo se paragonato allo splendore spirituale della figura femminile






Guittone d'Arezzo (1235 - 1294), poeta italiano. Non si hanno notizie della sua formazione, ma si sa che, figlio di un camerlengo del Comune, fin da giovane fu della fazione guelfa e che con buona probabilità fu impegnato nel dibattito politico. Amareggiato però dai troppi contrasti, intorno al 1265 entrò nell'ordine religioso dei Cavalieri della Milizia della Beata Vergine Maria Gloriosa, con lo scopo di operare per la pacificazione tra guelfi e ghibellini. Quest'ordine, detto dei "frati gaudenti" per la rilassatezza di costumi assunta dai suoi cavalieri, fu preso molto sul serio da Guittone, come rivelano le sue sentenziose e moralistiche Lettere, la cui importanza sta nel fatto che rappresentano il primo epistolario scritto in volgare con propositi letterari.

Tuttavia egli va ricordato il suo ricco canzoniere che riunisce rime d'amore, provenzaleggianti nei contenuti e nel linguaggio, e canzoni politiche: celebre è il lamento sulla battaglia di Montaperti del 1260, che vide i senesi, alleati ai ghibellini esiliati da Firenze e guidati da Farinata degli Uberti, sbaragliare i guelfi fiorentini.



Guido Cavalcanti (Firenze 1255 ca. - 1300), poeta italiano. Di nobile famiglia guelfa di parte bianca, fu ostile alle riforme antiaristocratiche del Comune di Firenze e nel 1280 fu rappresentante guelfo alle trattative di pace tra guelfi e ghibellini. Fece parte del Consiglio generale del Comune nel 1284 con Brunetto Latini e sposò Bice, figlia di Farinata degli Uberti. Negli scontri tra bianchi e neri, si trovò al centro di più di un episodio di violenza tra le fazioni rivali. Il 24 giugno 1300 venne esiliato a Sarzana, dove contrasse la malaria; amnistiato, fece in tempo a tornare in patria, dove morì alla fine di agosto.

Lasciò solo 52 componimenti, ma è uno dei massimi poeti del suo tempo. Produsse una poesia melodica (tipica espressione del Dolce stil novo) che, "leggera" solo in apparenza, nasconde una grande sapienza retorica. Egli fece della morte e della paura uno dei temi fondamentali della sua poesia, per esprimere l'idea dell'amore come "sbigottimento"; tale elemento tematico assegna alle sue poesie un tono intensamente drammatico, pur nella tessitura "leggera" delle parole e dei ritmi. A Cavalcanti si deve l'introduzione nella poesia italiana degli "spiriti", termine della filosofia scolastica da lui impiegato per descrivere il funzionamento dei sensi e dell'attività psicologica dell'individuo entro una prospettiva "laica" dell'esperienza amorosa. Un caso a parte è la canzone Donna me prega, difficile, di impostazione averroistica e dai significati complessi. Dante lo ricorda nella Divina Commedia (Inferno, X; Purgatorio, XI) e nel De vulgari eloquentia come il primo tra gli "eccellenti" poeti toscani.



A cura di Scagno Simone






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