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LAURA E PETRARCA

letteratura



LAURA E PETRARCA


Il Canzoniere è la conseguenza di questa situazione. E, innanzi tutto, poiché questo amore non fa un passo, non giunge fino ad una dichiarazione, fino ad un'espansione confidenziale, avvolto in un costante equivoco, da cui nessuno dei due osa uscire, chiamato per tacito accordo amicizia spirituale e casta, ma non sì che il sospetto di Laura si scemi o il desiderio del Petrarca si temperi, che cosa, posta questa situazione, può essere, che cos'è Laura? Laura è una Dea, non è ancora u 252c25c na donna. Si crede a torto che la Dea sia più perfetta della donna, come si crede che l'ideale sia più perfetto del reale. La Dea è la donna iniziale, ancora nelle sue qualità generali, non realizzate; è il genere, il femminile, il pensiero di un'epoca sviluppatosi dal dogma o dal simbolo religioso, uscito dalla nudità dell'astrazione metafisica, vestito da una prima forma dalla poesia, ma d'una forma ricordevole, in cui il pensiero si ricorda ancora del passato, da cui si è sciolto di fuoco. Quel pensiero prende una faccia, diviene bellezza che innamora di sé le immaginazioni, acquista un nome di battesimo, si chiama Laura o Beatrice. La donna del Medio Evo o è rozza materia di piacere, frutto di plebea barbaria, o è concezione metafisica e religiosa; o è terra, o è Dea. La Dea non ha preso le spoglie dell'umanità, mescolatasi in mezzo agli avvenimenti, ma è l'ideale dell'uomo attraverso il cammino della vita, la sua stella, il faro che gli mostra la sua ultima destinazione. Questa è certo una delle più gentili concezioni di quel tempo, generata e dallo spiritualismo cristiano e dal culto della donna presso i barbari, e più tardi nobilitata dalle idee platoniche. E', in sostanza, il pensiero che rompe il guscio del simbolo, si spoglia della ruvida scorza delle scuole, ed, incarnandosi in una donna, brilla come l'aurora della poesia. Il poeta concepisce Laura un po' come era concepita da tutti la donna: con impressioni presenti e vive si mescolano opinioni preconcette, condizione a cui non si possono sottrarre neanche gli impegni più spontanei. Laura è un esemplare di tutta perfezione, che dalla contemplazione di bellezza terrena tira l'anima alla contemplazione delle cose celesti, i suoi occhi mostrano la via che conduce al cielo, da lei viene virtù e santità. Questo concetto platonico è il luogo comune, girato e rigirato dal poeta in varie guise. Il che lo dispone talora a sostituire alla bellezza la perfezione morale, onestà, castità, purezza, umiltà, ecc.



Queste qualità sono assolutamente inestetiche, perché fuori della forma. Laura non può essere poetica che come bella; ma la bellezza era anche concepita secondo un tipo prestabilito, cioè come il velo, l'ombra nello spiritualismo cristiano e platonico. Laura è la più bella creatura del Medio Evo. Il poeta ne ha fatta una gloriosa trasfigurazione. Mette principalmente in risalto la serenità e la dolcezza dei suoi tratti:

Pace tranquilla, senza alcuno affanno,

Simile a quella che nel cielo etterna,

Move dal lor innamorato riso. (canz. LXXIII, 67-69)

La bellezza è non solo nei tratti, ma anche nelle attitudini; ciascuna delle quali ti presenta l'oggetto sotto un altro aspetto, e gli crea una nuova bellezza. Laura è una bella statua, che prende le attitudini più vaghe. Ora la vedi come un fiore, assisa fra l'erbe, ora appoggiato il seno ad un verde cespo, ora andar pensosa cogliendo fiori e facendone ghirlanda. La natura alla presenza di bella donna perde la vaghezza delle sue qualità ed acquista un non so che d'oltrenaturale, un non so che della donna o di noi stessi che comunichiamo a lei, e che in certe epoche chiamiamo poesia della natura. La Natura è come l'ornamento e la veste di Laura. Laura è l'attrice prima che incominci il dramma; non è ancora né madre, né sposa, né amante; non è la tale donna nel tale e tale momento della vita; la sua anima è un libro chiuso, sempre muta, sempre uguale, è quasi ancora natura, non è spirito. Da qui quella quietudine d'aspetto che è propria della natura, e che esprime assenze di moto o di passione. Certo questa quietudine è da un lato interesse estetico; è la forma della dignità e della forza: Laura è onesta, pura, casta, ma queste qualità rimangono delle nozioni astratte, e non penetrano nella rappresentazione, sì che non si può dire propriamente che viva; cioè che si trovi in un tale stato di volontà, con un tale scopo. E' in mezzo agli avvenimenti, e ne resta al di fuori, è al contatto con le passioni, e vi si tiene al di sopra; è nella terra, ed alcuna miseria terrena non la tange; non ti aspetti quasi che ella possa morire.

Nello spirito del lettore non c'è mai una Laura, o, se c'è, sarà frutto di una riflessione posteriore. Nello spirito del lettore, c'è Laura come sembra al Petrarca, e come opera su di lui; tutto è subbiettivo e lirico. Le chiome d'oro, la luce degli occhi, il suo andare, lo si vede in correlazione con le impressioni dell'amante, nelle quali è il principale interesse. Erano passati quindici anni, e Laura non era più quella, e gli amici si meravigliavano come il poeta l'amasse ancora con la stessa tenacità, come si può notare nei famosi versi di "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi".

Il Petrarca non ha potuto mai conchiudere se l'amore per una donna sia un peccato o no. Nello stretto senso cattolico, la donna è la tentazione, e l'amore verso di quella è un peccato, in quanto l'uomo volge alla fattura il culto dovuto al Fattore. Ma questa severa conchiusione veniva raddolcita dall'interpretazione platonica, che non solo giustificava, anzi nobilitava l'amore. Il Petrarca ondeggia su questo punto. Ora s'applaude del suo amore, ne benedice tutte le circostanze, chiama il suo amore onesto, esalta l'onestà dell'amata, la ringrazia di tutto il bene che gli ha fatto, d'averlo reso singolare dall'altra gente, amanti della virtù e delle glorie. Ora maledice al suo amore, deplora il tempo perduto, si indispettisce contro Laura, la chioma superba, l'accusa di civetteria, se la prende con gli specchi consumati da lei, suoi rivali, opera del demonio. Petrarca ama Laura, perché tutti dicono che l'ama, ed egli lo dice a se stesso; ma in verità è distratto, lontano da lei, vagabondo in Europa, con ben altre cose in capo e altro impressioni, e la povera Laura è un semplice tema sul quale platonizza; allora è galante e alla moda. Altre volte, onorato, applaudito, onorato e contento di sé e del mondo, vede tutto riso intorno, l'amore di Laura gli fa bene, lo rialza, gli dà coscienza delle sue forze, ed egli ne sente orgoglio, lo glorifica, intona un inno all'amata: c'è qui il platonismo non più astratto e galante, ma sincero e personale.








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