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LA LOCANDIERA E LA RIFORMA

letteratura



LA LOCANDIERA E LA RIFORMA


Quando La locandiera viene rappresentata per la prima volta al teatro Sant' Angelo di Venezia, nel carnevale del 1753, Goldoni sta per interrompere il sodalizio con Girolamo Medebach. Nei sei anni di collaborazione con la compagnia del Medebach, lo scrittore aveva impostato il proprio progetto di riforma del teatro comico, ottenendo reazioni contrastanti da parte dell'ambiente teatrale e letterario.

La locandiera si inserisce in questa linea di indagine e rappresenta sicuramente il risultato più maturo dei sei anni trascorsi con la compagnia del Medebach. Quello che non arriva è, però, il consenso da parte della platea: le repliche al Sant' Angelo sono presto interrotte e la commedia viene sostituita nel cartellone. Le vicissitudini economiche cui Goldoni va incontro alla fine del 1752 non sono che la conseguenza della ricezione travagliata del suo teatro e testimoniano la difficoltà di farne accettare al grande pubblico le innovazioni di maggiore impatto.

A partire dalla primavera del 1753 Goldoni passerà ufficialmente alle dipendenze del nobile Vendramin proprietario del teatro di San Luca.


LA STRUTTURA GENERALE DELLA COMMEDIA: IL MODELLO DELLA FORMA SONATA




La locandiera è suddivisa in tre atti, ognuno dei quali è a sua volta f 131c28b ormato da altrettante unità tematiche.

IL PRIMO ATTO. L' ambientazione delle prime dieci scene è la sala comune della locanda in cui il Conte d'Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli discutono animatamente. A questi si aggiungono prima, per pochi minuti, Fabrizio, il cameriere della locanda, e poi il Cavaliere di Ripafratta.

Nella successiva compare finalmente l'oggetto del diverbio tra i due nobili: Mirandolina, la padrona della locanda. Le costanti tematiche di questo primo nucleo narrativo sono: a) la differenza sociale

b) la differenza tra i sessi evidenziata dalla misoginia del Cavaliere di Ripafratta.

Questi due nuclei tematici costituiscono l'asse principale della vicenda e sono, nella parte iniziale del primo atto, fortemente drammatizzati.

Nella camera del cavaliere ha inizio il piano di Mirandolina per punire la superbia del cavaliere. La costante tematica delle scene I, 11-16 è la seduzione, che sarà sviluppata nel secondo atto. La terza parte, invece, di cui sono protagonisti due commedianti in cerca di avventure, è organizzata intorno a un motivo non strettamente indispensabile all'intreccio, quello del teatro nel teatro.

IL SECONDO ATTO. Il sipario si apre sulla camera del Cavaliere che, al secondo assalto di Mirandolina, è ancora deciso a non cadere nella trappola amorosa. Dopo un'intermezzo nella stanza del Conte in cui anche le due commedianti tentano, senza riuscirvi, di circuire il Cavaliere, compare nuovamente Mirandolina che, con uno svenimento a regola d'arte, fa crollare anche le ultime difese di Ripafratta, il quale si scopre ormai perdutamente innamorato della locandiera. Mirandolina si rivela dunque migliore attrice delle due commedianti.

IL TERZO ATTO. All'inizio del terzo atto Mirandolina è intenta ai lavori di stiratura. La passione dominante di questa prima parte dell'atto è la folle gelosia del Cavaliere,originata dalla presenza di Fabrizio e dall'improvviso voltafaccia di Mirandolina. Ripafratta è costretto a subire le angherie della donna che, raggiunto il suo scopo, gli nega ormai qualsiasi attenzione rifiutando simbolicamente la boccetta d'oro che egli le ha offerto in dono. Il motivo guida è proprio questa fialetta che, trovata fortuitamente dal Marchese, passa nelle mani di Dejanira, una delle commedianti. Si tratta di una divagazione, come la terza parte del primo atto.

Il finale della commedia è ambientato in una camera con tre porte dove sono radunati tutti i personaggi principali. Mirandolina offre la propria mano a Fabrizio e promette di tornare alle faccende della locanda. Ripafratta esce di scena riconfermando le opinioni sulle donne da lui espresse all'inizio della commedia. Anche il ritorno all'utile e al lavoro di Mirandolina sottolinea il movimento circolare che sottostà alla struttura della commedia. L'ordine è stato sul punto di essere rotto ma nulla è veramente cambiato. La breve avventura della locandiera è terminata senza sconvolgimenti.

IL MODELLO DELLA FORMA-SONATA. In tutti e tre gli atti è possibile ricostruire una struttura tripartita articolata in due momenti principali intercalati da un episodio centrale di divagazione. Alcuni critici hanno osservato un'analogia fra la struttura generale della commedia e quella della forma sonata, una forma musicale sviluppatasi a partire dalla seconda metà del Settecento e impiegata in vari generi strumentali. Nella forma sonata si ha una struttura bitematica articolata nella sequenza esposizione-sviluppo-ripresa. Nella esposizione vengono rappresentati due temi fondamentali e contrastanti tra loro seguiti da un episodio divagante. I due termini ritornano, rafforzati, nella ripresa, dopo uno sviluppo in cui essi sono stati elaborati e arricchiti.


IL PRIMO ATTO


Nel primo atto sono esposti i temi e i motivi che saranno poi sviluppati nel corso dell'opera. La linea principale dell'intreccio è  il confronto tra Mirandolina e il Cavaliere.

La consequenzialità tra le singole scene è sempre molto serrata ed è possibile costruire un nesso di causa/effetto anche quando questo non è esplicito: il Cavaliere tratta sgarbatamente Mirandolina perché vuole differenziarsi dal Conte e dal Marchese che, lodano le virtù della donna, gli appaiono frivoli e superficiali; la sua misoginia provoca la ripicca di Mirandolina che intraprende una serie di azioni volte a ottenere la vendetta e nelle quali sarà coinvolto, nel secondo e nel terzo atto, anche Fabrizio. Questi, accortosi delle attenzioni particolari di Mirandolina per il Cavaliere accetta di giocare un ruolo secondario fino a quando non tornerà a godere dei suoi favori.

È Fabrizio a ricordare a Mirandolina il desiderio espresso dal padre di lei prima di morire: vederli un giorno, marito e moglie. E sarà proprio la volontà paterna a indicare a Mirandolina, nel finale del terzo atto, la giusta conveniente soluzione della vicenda.

Un ruolo particolarmente importante nella struttura dell'intreccio è giocato dallo spazio fisico in cui essa è ambientata. La locanda è un luogo di incontro e di passaggio e costituisce perciò un meccanismo generativo di personaggi e situazioni potenzialmente infinito.

Questo semplice espediente permette a Goldoni di costruire, nel breve spazio di tre atti, una rappresentazione polifonica e ricca di contrasti della società settecentesca. Anche il luogo geografico ha una sua importanza. La scelta di non ambientare La locandiera a Venezia ma a  Firenze conferma l'attenzione del Goldoni degli anni Cinquanta per un pubblico più ampio e cosmopolita.


IL SECONDO ATTO


Il sipario del secondo atto si apre sulla camera del cavaliere. La tavola è apparecchiata per il pranzo e Mirandolina ha ordinato che egli debba essere servito per primo. L'intenzione della Locandiera è quella di sedurlo prendendolo per la gola. Il cibo è il motivo ricorrente di questo secondo atto e a esso è associato un significato simbolico di tipo sessuale. L'appetito del cavaliere non è che un sostituto del desiderio sessuale represso: gli intigoli di Mirandolina, stuzzicando l'uno, risvegliano anche l'altro, che emerge in alcune battute. Il commento triviale ma veritiero del servitore chiarisce il significato della scena.

La conversazione da buoni amici tra Ripafratta e Mirandolina è però interrotta dal Marchese, che fa piazza pulita dei manicaretti destinati al Cavaliere e offre infine i suoi commensali un vino di Cipro dal sapore disgustoso.

Al cambio di scena il Conte d'Albafiorita e le finte nobildonne stanno intanto organizzando anche loro una falsa seduzione ai danni del Cavaliere di Ripafratta, per divertirsi alle sue spalle e burlarsi della sua misoginia. L'inganno però non riesce e le due commedianti vengono smascherate senza difficoltà dal Cavaliere dimostrandosi davvero delle pessime attrici. Alla fine però è ancora il cavaliere a cadere nel ridicolo: egli si vanta di conoscere la finzione teatrale ma non è in grado di comprendere l'inganno di Mirandolina.

La finzione è dunque il tema centrale del secondo atto.


IL TERZO ATTO


Il terzo atto ha inizio nella stireria, Mirandolina, soddisfatta della riuscita del suo piano, torna a occuparsi dei lavori della locanda. C'è una evidente incongruenza tra il proposito di tornare alla quiete vita borghese e la volontà di ultimare la propria vendetta espressa nel finale del secondo atto.

Ma lo squilibrio compositivo può dipendere dal fatto che Mirandolina è, a questo punto, tentata da due istanze opposte e contraddittorie: il richiamo del piacere e dell'avventura erotica e quella del dovere e del lavoro.

L'evento risolutore sarà proprio il comportamento irrazionale e dissennato del Cavaliere che, spinto dalla gelosia, farà temere Mirandolina per la propria stessa incolumità.

L'intero atto è percorso da un oggetto scenico apparentemente secondario, ma che acquisterà importanza nel corso della vicenda, la boccetta d'oro contenente lo spirito di melissa regalato dal Cavaliere a Mirandolina dopo lo svenimento. Il dono rifiutato con irriverenza dalla destinataria rappresenta l'accettazione tardiva delle convenzioni sociali da parte di Ripafratta. Passata di mano in mano tra gli altri avventori, nella scena finale la boccetta tornerà però alla locandiera. Perduto il suo valore d'uso e il suo significato erotico, il dono potrà essere accettato per il suo significato puramente economico, in quanto valore di scambio.


LA POETICA DELLA LOCANDIERA


La locandiera è preceduta da una lettera di dedica indirizzata al nobile fiorentino Giulio Rucellai, che Goldoni aveva conosciuto nel 1744. Commediografo dilettante, il Rucellai era favorevole a una iniziativa di moderata riforma della commedia e alla creazione di un genere di livello medio per il pubblico borghese.

La dedicatoria assume dunque una funzione nuova rispetto al passato: non è un atto di sottomissione incondizionata al volere del Principe, ma l'espressione di un rapporto paritetico tra l'autore e un'esponente della classe nobiliare che ne condivide gli ideali e ne sostiene la battaglia culturale.

Un testo importante per valutare la portata della poetica della Locandiera è infine la premessa del 1753 alla commedia, L'autore a chi legge. In questo caso, però,è utile osservare lo scarto esistente tra le dichiarazioni dell'autore e la portata effettiva dell'opera. Il tipo di lettore chiamato in causa dalla prefazione non coincide del tutto con il destinatario reale della commedia. A quest'ultimo si chiede infatti una maggiore spregiudicatezza nel giudizio etico sul personaggio di Mirandolina.

L'intriduzione ha anche un compito più pratico è immediato: Goldoni doveva difendersi dalle accuse di immoralità che gli venivano spesso rivolte dai detrattori.

Goldoni vuole persuadere il lettore della moralità della propria commedia insistendo soprattutto sul valore esemplare dei due personaggi principali. La vicenda del Cavaliere è presentata come un esempio di presunzione avvilita, cioè un caso di comportamento asociale e irrazionale che, come tale, deve essere punito.



L'argomentazione è rafforzata dal riferimento alle proprie vicende personali.

Tuttavia le accuse che Goldoni qui rivolge a Mirandolina non trovano conferme sostanziali nel testo. Del personaggio emerge invece l'abilità con cui, pur appartenendo a una classe sociale inferiore, riesce a dominare il suo nobile ospite sia sul piano pratico sia su quello intellettuale. Questo tratto del carattere di Mirandolina può ricordare uno dei topoi della letteratura teatrale del Settecento, quello della serva padrona.



LINGUA E STILE


La lingua di Goldoni è ispirata, oltre che al fiorentino parlato, soprattutto all'uso delle persone colte delle regioni settentrionali, cui spesso si aggiunge qualche sfumatura francesizzante.

Nel trasferire dal copione al volume le proprie commedie, Goldoni opta per unja progressiva riduzione delle forme più marcatamente dialettali e popolari. La parte di Fabrizio nella Locandiera, dal veneziano della prima rappresentazione, passa all'italiano dell'edizione fiorentina del 1753.

Il nucleo più vivo del linguaggio di Goldoni è infatti intimamente legato a una dimensione orale e dialettale che, nel Settecento, non possedeva ancora quei connotati di marginalità sociolinguistica che verrà ad assumere sempre più dall'Ottocento in poi.

Lo stile della Locandiera rispetta nelle sue linee essenziali il canone settecentesco. A un'ideale di aderenza dello stile alla realtà fanno riscontro l'attenuazione delle figure di parola ( metafora ) e, per contro, l'insistenza sulle figure di pensiero ( reticenza, antitesi, iperbole e allusione ).

Il ritmo sintattico è sempre breve è rapido.

L'intera parte di Mirandolina, infine, ruota intorno alla categoria logica della simulazione, assimilabile alle figure di pensiero già esaminate. Per ben due volte, in passi decisivi della commedia, la locandiera fa uso del topos retorico della simulazione di modestia.


L'IDEOLOGIA


La critica goldoniana degli ultimi cinquant'anni si è spesso confrontata sulla questione,assai problematica, dell'ideologia. Le interpretazioni storicistiche degli anni Cinquanta partivano dall'ipotesi di una attiva solidarietà ideologica tra Goldoni e la sua classe di appartenenza, la borghesia.

Tuttavia esso rivelò ben presto i propri limiti: si era voluto vedere in Goldoni, gramscianamente, un'intellettuale organico, un portavoce ortodosso dell'ideologia mercantile.

La storiografia letteraria degli anni Settanta e Ottanta ha sottolineato invece le numerose contraddizioni presenti nell'ideologia del borghese Goldoni.

Il testo è percorso da tensioni e segni contraddittori. Accanto ai propositi moralizzatori e raziocinati dell'autore, permane una certa ambiguità di giudizio sulle azioni dei personaggi: l'etica borghese è sì chiamata a contrastare l'assenza di regole sociali, ma si insinua nello spettatore il dubbio che sia la dimensione sociale stessa a essere percepita come una dimensione in autentica, teatrale e artificiosa.

L'ambiguità è la vera cifra del personaggio di Mirandolina: l'autore appoggia la sua azione punitiva nei confronti del misogino ma ne condanna allo stesso tempo la condotta libertina; e, se le mette in bocca parole di rimorso e di pentimento, le concede però di fingere anche nelle battute finali, quando Mirandolina promette di essere fedele a Fabrizio. Anche Fabrizio,del resto è animato, da interessi concreti e materiali piuttosto che da una vera e autentica passione per Mirandolina.

Anche il personaggio del Cavaliere di Ripafratta mantiene una sostanziale irriducibilità rispetto a schemi univoci di lettura: Goldoni bolla in lui l'asocialità del rustego e anche una certa arroganza che gli deriva dalla condizione di nobile, e tuttavia gli concede una battuta d'uscita di un'incisività drammatica pari a quella di un'amante sincero e tormentato. La comicità non colpisce mai il carattere del Cavaliere in quanto tale; il riso nasce invece dalla constatazione che egli è in un certo senso fuori posto. Segnato dalla vocazione alla solitudine, il Cavaliere è un personaggio tragico capitato però nella più tipica delle situazioni da commedia: una donna contesa da più uomini.

È evidente che le diverse interpretazioni della commedia e del suo significato ideologico producono anche diverse messe in scena. Sulla regia della Locandiera ; sulla ricezione di Goldoni in generale.






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